Tratto dal numero 252 di Diorama Letterario

 

 

Carlo Formenti, Incantati dalla rete. Immaginari, utopie e conflitti nell’epoca di Internet, Raffaello Cortina, Milano 2000, pagg. 302, euro 19.

Per chi voglia comprendere la Rete, pensare il presente, cercare di cogliere le tendenze e la complessità della comunicazione contemporanea, il primo compito è liberarsi da ogni negazione apocalittica come dall’apologia entusiastica. L’invito heideggeriano a pensare la tecnica coincide oggi in gran parte col pensare le reti della comunicazione che intessono di sé l’esistenza dei soggetti, delle comunità, delle economie. Se si accetta tale invito, le due ipotesi sull’intelligenza artificiale – che si sono progressivamente diversificate a partire dalla conferenza di Dartmouth del 1956 – potranno essere analizzate e discusse ciascuna per le proprie caratteristiche e per il diverso significato che assumono in ambito anche antropologico e politico. Il programma dell’IA debole guarda a questa prospettiva in modo sostanzialmente operativo e strumentale, come a una maniera particolarmente efficiente di dotare l’umanità di macchine in grado di eseguire con efficacia lavori non solo di routine e molto pesanti – compito che le macchine hanno svolto almeno a partire dalla Rivoluzione Industriale – ma anche di simulare attività intelligenti in quei settori nei quali non basta la semplice forza meccanica. L’IA forte rappresenta un programma assai diverso rispetto al primo(1), ritenendo che, anche se molto difficile –almeno per ora- non sia per principio impossibile la creazione di menti artificiali, dotate di una qualche forma di coscienza separata dalla struttura biologica attuale del corpo. È quindi per l’IA forte che si pone la questione di ciò che è costitutivo dell’umano e delle società. Un collaboratore di McLuhan, Derrick de Kerckhove, ritiene che "il Web, il medium connesso per eccellenza, rappresenta una nuova condizione cognitiva"(2) caratterizzata dalla connessione delle informazioni, della ricerca, del pensare stesso. Si tratterebbe, insomma, di un "medium collettivo" in grado di armonizzare individuo e specie al fine di uno sviluppo diffuso delle capacità intellettuali. Di "intelligenza collettiva" parla anche Pierre Levy(3), che vede nello sviluppo della Rete il progressivo formarsi di un "Nuovo soggetto" antagonista rispetto all’omologazione culturale e al dominio del superstato rappresentato dalle grandi organizzazioni economiche internazionali come il WTO o il FMI.

Formenti si mostra assai più prudente e invece che di nuovo soggetto preferisce parlare di quel "sincretismo antagonista" che ha mostrato la sua forza –e le sue debolezze- per la prima volta a Seattle nel 1999. Lo studioso è molto critico verso chi intende distinguere le due anime di quel movimento, definendone la componente "progressiva" high tech proletariat e quella "reazionaria" localfascism antiglob (pag. 264). In realtà, come afferma Hakim Bey(4), la vecchia sinistra non sembra in grado di comprendere davvero gli sviluppi della globalizzazione, poiché "essa stessa aveva, tra i suoi ideali, quello di un’unica cultura mondiale […] fondamentalmente egemonica verso le differenze" (pag. 268). La conferma di questa difficoltà quasi strutturale sta nelle parole di uno studioso neomarxista come André Gorz: "non è contro la mondializzazione che bisogna lottare cercando di sottrarsi a essa; si tratta di lottare, nel contesto della mondializzazione in corso, per una mondializzazione diversa"(5). Non è un caso che Gorz polemizzi verso Alain de Benoist, accusando il filosofo francese di non porre differenze fra le comunità cooperative e quelle costitutive –le prime frutto di scelte e condizioni sociali, le seconde date da appartenenze di nascita. Contro questi tentativi di riprodurre delle dicotomie che all’apparire di nuove comunità virtuali e locali appaiono prive di significato, Formenti scrive che "si rivela sempre più difficile attenersi ai paradigmi d’una filosofia politica che ha sempre liquidato come regressivo, antimoderno, in una parola di destra, il tentativo di rivalutare il legame comunitario in contrapposizione al legame sociale" (pag. 273).

Le conclusioni politiche – sempre comunque provvisorie – del libro arrivano alla fine di un lungo percorso compiuto all’interno e dall’interno delle reti mediante gli strumenti non solo della riflessione filosofica e sociologica ma anche attraverso le intuizioni di molta narrativa di fantascienza e la navigazione nella miriade di siti nei quali si esprimono le tesi di gruppi e di studiosi che definiscono se stessi con espressioni quali tecnopagani e tecnognostici(6). La Rete è, infatti, caratterizzata da un politeismo che induce più correttamente a parlare di "reti"; da un bisogno esistenziale così profondo da potersi definire senz’altro religioso, e gnostico in particolare. Un vero e proprio "patrono" delle reti e dell’evoluzione antropologica che esse promettono potrebbe essere – se dalla Chiesa non fosse giudicato un eretico – il gesuita Teilhard de Chardin, con la sua prospettiva visionaria di un tipo umano superiore dato dal convergere di tutte le menti verso il punto Omega rappresentato dal Cristo universale. La tendenza gnostica a negare la corporeità è, poi, chiarissima in movimenti come Extropy che – richiamandosi ai principi del "Transumanesimo" – "tentano di trasformare la presunta possibilità scientifica di spiegare l’emergenza della mente dal corpo, in imperativo morale di liberare la mente dalla "prigione" del corpo" (pag. 90). La metafora della mente come software racchiuso nell’hardware del corpo e il disprezzo verso quest’ultimo come wetware -sostanza ibrida, putrescente e inferiore- ricorda assai da vicino il mito platonico dell’anima che "quando è perfetta e alata, vola in alto e governa tutto quanto il mondo. Ma una volta che abbia perduto le ali, viene trascinata giù fino a quando non si aggrappi a qualcosa di solido, e, trasportata la sua dimora in esso, prende un corpo terroso"(7).

Secondo l’ipotesi forte dell’Intelligenza Artificiale, la coscienza è una caratteristica che emerge in modo diretto e consequenziale nei sistemi che raggiungono un livello di complessità sufficiente, senza che ci sia alcuna differenza, in questo, fra i sistemi naturali e quelli artificiali. In quanto generata dalla complessità di una struttura fisica ma a tale struttura irriducibile, la mente sarebbe traducibile per intero in una serie di algoritmi, tanto da rendere possibile la trasposizione di tali algoritmi in un supporto diverso dalla massa cerebrale, un supporto che potrebbe essere senz’altro un computer. La radice antropologica di questi progetti sta nel fatto che l’essere umano nello stesso tempo è un corpo e ha un corpo. Questa duplicità ontologica e logica fa sì che noi non solo siamo mortali –come ogni altro ente- ma abbiamo chiarissima la percezione del dover morire, inseparabile però dal desiderio di poter in qualche modo sopravvivere. Di fronte a questo nodo esistenziale, emerge ancora una volta la dimensione platonica e religiosa della ricerca medica e biologica contemporanea e la fiducia riposta nelle biotecnologie, le quali sembrano dirci "tu non sei un corpo, sei una mente che possiede un corpo e noi, presto o tardi, ti consentiremo di evadere dal corpo-prigione, di sbarazzarti una volta per tutte di questo ospite sleale, che vorrebbe costringerti a condividere il suo destino di vecchiaia e di morte" (pag. 111, il corsivo è dell’Autore).

In realtà, la cibernetica era nata anche per oltrepassare i dualismi e coniugare più strettamente intelligenza e fisicità, cultura e natura. Rimangono, quindi, più fedeli al suo programma i tentativi di superare il dualismo fra l’uomo e la macchina, fra il corpo biologico e gli enti artificiali coi quali fin dall’inizio gli esseri umani hanno ampliato le possibilità dei loro corpi. Nell’ambito dell’intelligenza artificiale, si moltiplicano, infatti, le metafore biologiche, si progettano dei biocomputer capaci di assembleare componenti elettroniche e cellule nervose, si ritiene del tutto insufficiente una caratterizzazione topologica del corpo che ne limiti i confini allo strato dell’epidermide e si ripropone –piuttosto- l’idea di Gregory Bateson del soggetto come un’unità di mente e corpo aperta senza posa sull’ambiente. Una delle tesi chiave di Formenti è, quindi, che se gli umani si adattano tanto facilmente all’idea che il loro corpo venga riempito di protesi ed elementi artificiali, ciò "dipende anche e soprattutto dal fatto che questa mutazione non è altro che l’elevamento a potenza di una logica che appartiene alla nostra "ontologia". Il corpo umano appare infatti compromesso in una relazione simbiotica con gli oggetti tecnici fin dalle origini" (pag. 110)(8).

Il libro intreccia, come si vede, il discorso sulle reti con un’analisi critica delle biotecnologie, ammette la profondità del bisogno religioso negli esseri umani e attraversa le forme tecnosociali in cui oggi tale bisogno si esprime -"general intellect, Noosfera, Valis, Intelligenza Collettiva, Ipertesto, Rizoma, Gaia, Mind, Cyborg: sono tutte figure di un immaginario "fusionale" fra l’umanità e le sue protesi, sempre più potenti e intelligenti" (pag. 279)-, tenta il recupero di alcune tesi neomarxiste ma è anche del tutto consapevole che l’esistenza delle comunità virtuali e dei movimenti antiglobalizzazione impone ormai di superare una dicotomia fuorviante quale sinistra/destra. Nel complesso, si tratta di uno studio aperto a delle nuove sintesi e consapevole che i processi di informazione, comunicazione e controllo sociale trovano nella cibernetica il loro elemento unificante poiché le reti costituiscono quell’orizzonte nel quale bisogna stare e che bisogna comprendere affinché ci sia ancora la possibilità di un pensiero critico.

Alberto Giovanni Biuso

NOTE

Essa sarebbe caratterizzata da tre tesi fondamentali: "l’intelligenza "disincarnata", l’identificazione del sapere con il computare e la priorità della sintassi sulla semantica" (G. Stelli, La rivincita di Eutrifrone: didattica post-moderna e Intelligenza Artificiale in "Punti Critici", 5/6, dicembre 2001, LibriLiberi, Bologna 2001, pag. 25).

2 S. Romagnolo – C. Sottocorona, Mediamorfosi. La metamorfosi dei mezzi di comunicazione di massa nell’era digitale, Apogeo, Milano 2000, pag. 4.

3 P. Levy, L’intelligenza collettiva. Per una antropologia del ciberspazio, Feltrinelli, Milano 1996.

4 Del quale si legga, ad esempio, Millenium. Dalle TAZ alla rivoluzione, Shake, Milano 1997.

5 A. Gorz, Miseria del presente, ricchezza del possibile, manifestolibri, Roma 1998, pag. 27.

6 Se Formenti scrive che "a mano a mano che la filosofia ha preso congedo dalla metafisica, sembra che gli interrogativi sul senso "ultimo" delle cose siano finiti in eredità alla fantascienza" (pag. 80), ciò conferma anche la necessità di restituire un senso e una funzione alla metafisica per non accontentarsi di ripetere i suoi errori a un livello di analisi inferiore.

7 Platone, Fedro 246 C, trad. di G. Reale.

8Anche per questo, pur a partire da una posizione critica verso il "nuovo Golem", Giuseppe Longo afferma la necessità di "regalare un corpo al calcolatore" in modo che gli algoritmi di cui è fatto possano interagire con l’ambiente in cui è immerso. (Giuseppe O. Longo, Il nuovo Golem. Come il computer cambia la nostra cultura, Laterza, Roma-Bari, 1998, pag. 64).