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Steve McCurry 1980-2009. Sud-Est

Milano – Palazzo della Ragione
Sino al 21 marzo 2010

Una saggezza profonda, la saggezza stessa della terra, sembra prendere volto e forma nei luminosi e potenti ritratti di Steve McCurry. Persone e paesaggi dello Yemen vi appaiono ancora come li aveva descritti Pasolini decenni fa. L’infanzia sembra resistere quasi sulla soglia della morte nei tanti bambini armati o schiavizzati. Bellissime le foto in cui questi bambini stanno invece in compagnia di anziani dallo sguardo fiero e millenario. La guerra domina il paesaggio della mostra milanese. Violenza ovunque: Kuwait, Afghanistan, Iraq. Ma dalla luce dei volti, dagli occhi limpidi, malinconici e profondi sembra sgorgare un’ultima e fonda speranza.

Welcome

di Philippe Lioret
Francia, 2009
Con: Vincent Lindon (Simon), Firat Ayverdi (Bilal), Audrey Dana (Marion), Derya Ayverdi (Mina)
Trailer del film

Bilal è riuscito ad arrivare a Calais dall’Iraq curdo. A piedi, con ogni mezzo disponibile, subendo per una settimana le sevizie dell’esercito turco. Ora ha solo da attraversare la Manica per giungere a Londra dalla sua Mina, che però il padre ha destinato a un matrimonio combinato. Fallito un tentativo coi camion dei trafficanti, Bilal vuole imparare a nuotare perfettamente, in modo da raggiungere da solo l’Inghilterra. Chiede l’aiuto di Simon, un ex campione e ora istruttore in una piscina. Simon è solo, sta per divorziare senza neppure essere stato capace «di attraversare la strada per fermarla, mentre Bilal vuole attraversare il mare». Tra il ragazzo e Simon nasce un legame forte e insieme tenero, sobrio e profondo, che induce l’uomo a rischiare il carcere per l’amico venuto da lontano. A ottocento metri dal sogno, il sogno si infrange.

Con molto sentimento ma nessuna retorica, in modo sobrio e coinvolgente, con degli attori straordinari -a partire da Vincent Lindon-, il film descrive una realtà di dolore che attraversa il nostro continente in ogni sua parte. La polizia francese distrugge persino i contenitori dei volontari che vogliono offrire un pasto ai clandestini. La legislazione italiana ordina di lasciare i clandestini alle loro malattie e alla morte. Con i nostri eserciti portiamo guerra, fuoco e distruzione tra popoli lontani migliaia di chilometri, che nulla ci hanno fatto e che vorrebbero solo essere lasciati in pace, alle loro culture. E al frutto di queste guerre, ai profughi che cercano salvezza e fortuna, rispondiamo coi mastini. Che cosa è mai diventata l’Europa cristiana, l’Europa dei Lumi, l’Europa cosmopolita? Un fortino che pensa di salvarsi mostrandosi spietato coi deboli e servile con i padroni del mondo.

Milano 1947-2007. Idee per una casa della storia

Milano – Museo di Storia Contemporanea
Sino al 15 novembre 2009

Bonvesin de la Riva scrisse nel Duecento un elogio di Milano che nel variare profondo dei tempi e dei modi rimane di grande efficacia e verità. Questa mostra ne costituisce una riprova. Sessant’anni di vita milanese vengono ripercorsi lungo cinque itinerari che iniziano coi riti che fanno la città nel tempo -concerti, feste, San Siro, La Scala, la Fiera campionaria ora finita perché sparsa in una miriade di fiere lungo tutto l’anno-; proseguono con la vicenda politica, dalla ricostruzione post-bellica ai trionfi della Destra leghista e televisiva; trovano un momento di meditazione nei libri che di Milano parlano; incontrano i volti e le iniziative sempre molteplici, diverse e aperte dei milanesi; si chiudono con i progetti di destinazione dei quartieri e degli spazi non più industriali.
La mostra è la prova generale di un museo permanente e sempre in fieri da dedicare alla storia della Milano contemporanea. Per chi ama e gode questo spazio urbano, rappresenta l’occasione di immergersi nella memoria personale e collettiva di un luogo che non somiglia a una donna dalla bellezza eccessiva e da tutti visibile -come è caratteristico di altre città- ma a una creatura dal fascino riservato e che quindi più si gusta nello scoprire, nel disvelare. La miseria del presente è certo anch’essa evidente -è il presente dell’intera nazione- e tuttavia questo luogo si salva, non si sa come ma si salva sempre.

Capitalism: A Love Story

di Michael Moore
USA, 2009
Trailer del film

Inizia con lo spezzone di un vecchio documentario dedicato alle ragioni della caduta dell’Impero Romano, dal quale risulta evidente l’analogia con la situazione dell’Impero americano. Il secondo inizio è costituito da una serie di brevi filmati di rapine in banca, riprese da telecamere di sorveglianza. Finisce con il regista che circonda l’edificio della Borsa a Wall Street con uno di quegli adesivi arancioni coi quali la polizia delimita la “scena del crimine”. E infatti ciò che Moore racconta è una rapina senza confronti, senza precedenti, senza misura, perpetrata dall’1% dei cittadini statunitensi contro tutti gli altri e verso l’intero pianeta. Mutui subprime, derivati e altre invenzioni della finanza criminale -ma del tutto legalizzata- vengono spiegati con chiarezza e senza un briciolo di noia; spiegati soprattutto nei loro effetti: famiglie intere private della loro casa e costrette a vivere in automobile; migliaia di operai lasciati senza lavoro da un giorno all’altro; “contadini morti” e cioè cifre assicurative milionarie intascate dalle aziende per la scomparsa dei loro impiegati, senza che le famiglie lo sappiano e mentre subiscono lutto e danno. In questo modo, un impiegato è molto più redditizio da defunto che da vivente. E poi gli intrecci strettissimi tra il Ministero del Tesoro USA e la Goldman Sachs e le altre banche, vere padrone e vero flagello dell’economia statunitense e mondiale.

Tutto narrato con la consueta vivacità e ironia intessute alla tragedia. Da riso aperto le scene tratte dal Gesù di Zeffirelli, doppiate in modo da garantire beatitudine non ai poveri ma al capitalismo, visto che questo sistema viene presentato come del tutto conforme alla fede cristiana, nonostante alcuni preti e vescovi qui intervistati neghino la compatibilità tra il principio capitalista del profitto e l’etica cristiana del dono. Pur con delle lodi a volte eccessive a F.D.Roosevelt e a Obama, il film è imperniato sul conflitto tra capitalismo e democrazia e si conclude con l’affermazione che «il capitalismo è il male, e il male non si riforma: si abbatte». Più di questo non si può chiedere a un regista statunitense. Dopo il muro dell’89 andrebbe infatti abbattuto l’altro muro, assai più radicato e potente, quello che sta nel nome stesso di Wall Street. Il miglior film di Moore.

Lo stato criminale

Ancora ci si stupisce, ancora alcuni giornali agitano scandali e altri giornali nascondono oppure delirano di complotti della magistratura (!), ancora si aspettano indagini, processi, sentenze. Come se non fosse evidente a chiunque sappia guardare con un minimo di oggettività i fatti e la condizione dell’Italia che essa ha superato il modello colombiano, che ormai da decenni è in mano a organizzazioni criminali di ogni genere: Logge massoniche i cui programmi sono diventati azione di governo; affiliati di Cosa Nostra che hanno fondato partiti che vincono le elezioni; Camorre che amministrano intere regioni; cittadini complici dei banditi e dei magnaccia che eleggono negli enti locali, succubi dello strapotere di ladri che allignano in ogni ambito della vita sociale (sanità, pubblica amministrazione, scuole, università…).
Un intero popolo ridotto a Lumpenproletariat, a proletariato straccione di nuovi ricchi xenofobi e ignoranti al Nord, di miserabili che al Sud si vendono «per dieci chili di pasta o per la scarpa sinistra o per un posto di lavoro o per l’acqua» (come scrive Giusy Randazzo), di cattolici pronti a sostenere un sardanapalo crapulone pur di ottenere privilegi finanziari e “morali”, di raccomandati ovunque. Gli anarchici sanno da sempre che lo stato è criminale, che la lotta non è tra il bene delle istituzioni e il male delle organizzazioni malavitose ma si combatte tra gli uomini liberi e i malviventi che stanno dappertutto.

Akadimia Platonos

di Filippos Tsitos
Con Antonis Kafetzpopulos, Anastas Kozdine, Titika Saringouli, Maria Zorba
Grecia/Germania, 2009
Trailer del film

akadimia_platonos

Atene. Su un incrocio di piccole strade sporgono alcuni negozi quasi sempre vuoti e i cui proprietari trascorrono il tempo lamentandosi della città invasa dagli stranieri, in particolare cinesi e albanesi. Questi ultimi vengono immancabilmente riconosciuti da Patriota, il cane di uno di loro, e quindi allontanati. Fino a che la madre di Stavros (interpretato da un eccellente Antonis Kafetzopoulos, capace di restituire il malinconico e surreale sentimento di esclusione dei greci) invita a casa sua uno di questi albanesi e comincia a parlare la sua stessa lingua, riconoscendolo come il figlio che aveva perduto da ragazza. Per Stavros, che si sente greco sino al midollo, è una rivelazione stupefacente e spiazzante.

La sceneggiatura equilibrata nei toni e divertente in molti passaggi riesce ad affrontare con ironia ma senza superficialità uno dei grandi problemi dell’Europa contemporanea. L’incompiuto “Monumento alla interculturalità” che l’amministrazione di Atene vorrebbe costruire proprio sull’incrocio nel quale Stavros e i suoi amici vivono e giocano al calcio è la semplice ma efficace metafora di un percorso antropologico e sociale assai complicato.

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