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Maleparole

Wicked Little Letters
(Cattiverie a domicilio)
di Thea Sharrock
Gran Bretagna, 2023
Con: Olivia Colman (Edith Swan), Jessie Buckley (Rose Gooding), Anjana Vasan (Gladys Moss), Timothy Spall (Edward Swan)
Trailer del film

Tra le tante sindromi psicosomatiche, in parte anche di origine genetica, che accompagnano e affliggono le persone ce n’è una nota anche perché tra le vittime sembra vi sia stato Mozart. Si tratta della sindrome di Tourette, la quale induce il soggetto a una serie di comportamenti quasi automatici, per lo più ossessivo-compulsivi, tra i quali la coprolalia, vale a dire l’utilizzo di un linguaggio osceno e svaccato, del turpiloquio.
La vicenda raccontata in questa commedia umoristica ma piuttosto amara – e che sembra ispirarsi a eventi realmente accaduti – si riferisce a qualcuno che durante gli anni immediatamente successivi alla Prima guerra mondiale in un paesino britannico scrive e spedisce lettere piene di maleparole e di fantasiosi e grevi insulti, tutti declinati nel registro degli escrementi e del sesso. Le prime vittime sono una devota zitella e i suoi altrettanto bigotti genitori. Poi i destinatari si ampliano a numerosi altri abitanti del luogo. Viene immediatamente sospettata una giovane immigrata irlandese, vedova e ragazza madre, molto estroversa, frequentatrice di pub e dal linguaggio assai aperto. Naturalmente la colpevole non è lei, come cerca di dimostrare una poliziotta che prende a cuore il caso, anche contro i suoi superiori. Quel comportamento è infatti come sempre il frutto dell’invidia e soprattutto del rancore più profondo che una persona sottomessa nutre inevitabilmente verso i suoi tiranni. In ogni caso, buona parte della sceneggiatura è composta da un denso, variabile e pesante turpiloquio.
Piccole lettere malvagie è anche l’occasione per delle esemplari prestazioni attoriali sia delle due attici protagoniste sia dei tanti ottimi caratteristi che le attorniano. Triste è però la conferma che troppe opere cinematografiche seguono un vero e proprio «Manuale Cencelli» che non deve far mancare tra gli attori i neri e i gay. In questo caso la seconda categoria sarebbe stata del tutto inverosimile per l’epoca e quindi non compare. Il poliziotto donna è invece di origine indiana e un giudice è di colore. Caratteristiche assai improbabili nell’Inghilterra degli anni Venti del Novecento. A un’opera anche e soprattutto di fantasia non si chiede ovviamente verosimiglianza e realismo e tuttavia l’imposizione di regole «inclusive» a registi e case di produzione è un esempio di sottomissione estetica e moralistica, di negazione della libertà. Quella «libertà» che pure i contenuti del film giustamente difendono e rivendicano.

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