Il meraviglioso mondo della natura.
Una favola tra arte, mito e scienza
Milano – Palazzo Reale
A cura di Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa – scenografie di Margherita Palli
Sino al 14 luglio 2019
La Sala delle Cariatidi del Palazzo Reale di Milano è uno spazio suggestivo e assai versatile. Qui è stata allestita una mostra inusuale, all’incrocio tra pittura del Rinascimento e scienze naturali. Camminando tra dipinti, spazi e animali che una volta furon vivi, si ascoltano versi e linguaggi delle creature non umane. La prima sala ha un titolo che probabilmente non tutti coglieranno nel suo anche ironico significato, un suggestivo «gatto vivo e gatto morto» che ricorda certamente l’esperimento mentale del fisico quantistico Erwin Schrödinger ma che -più semplicemente- presenta la pagina aperta di un codice gotico, l’Historia plantarum, dove è disegnato un gatto intento a consumare una fetta di formaggio, gatto che probabilmente è stato dipinto osservando il cadavere di un felino; in una vetrina accanto si può invece osservare un disegno di Leonardo con un altro gatto ben vivo, colto in una delle intricate posture che questi animali sanno assumere.
Nella stanza successiva splendono le Pesche di Giovanni Ambrogio Figino, perfette nella loro superficie vellutata e luminosa, pronte da afferrare. E tuttavia un dipinto così riuscito impallidisce quando viene posto accanto alla Canestra di frutta di Caravaggio, un quadro che ogni volta che lo si guarda suscita uno stupore rinnovato. Figino fotografa la frutta, Caravaggio ne coglie l’ εἶδος platonico.
Su uno schermo scorrono i numerosi animali raffigurati nei dipinti tra Quattro e Seicento: cani, giraffe, rinoceronti, scimmie, ghepardi, pinguini africani, volatili dì ogni tipo, tutti copiati e ricopiati da un artista all’altro, a partire da modelli tardogotici.
Si arriva quindi alla Sala principale, dentro la quale sono state erette le 23 tele del seicentesco Ciclo di Orfeo, che adornavano alle sue origini un palazzo nei pressi di via Montenapoleone. Il cantore sta al centro dello spazio e intorno a lui, sulle quattro grandi pareti, si dispongono più di duecento specie di animali affascinati dalla musica, dalla parola, dal canto. Le tele vengono illuminate in modo ogni volta diverso, simulando il sorgere e il tramontare del sole nella stanza. Qui Orfeo sta al centro di un paradiso non umano, al centro dunque di un vero paradiso.
Poi, assai più malinconico, si apre uno spazio-cimitero che ospita 165 corpi di animali tassidermizzati, quasi tutti provenienti dal Museo di Storia Naturale e dall’Acquario civico di Milano. Per quanto morte, queste creature trasmettono tuttavia, la potenza dei corpi, la pura, famelica, armoniosa energia dell’animalità.
Questa mostra conferma dunque che quanto definiamo cultura appare, certo, come ciò che caratterizza la nostra specie rispetto ad altre ma è anch’essa il prodotto più recente della storia genetica dell’umanità. All’ingenuo antropocentrismo dominante nelle scienze sociali e umane bisogna opporre il dato di fatto materialistico che «la nostra specie e il suo modo di pensare sono un prodotto, e non il fine, dell’evoluzione»1.
L’universo non è stato certo pensato a misura di una specie abitante su un piccolo pianeta alla periferia della Via Lattea. Piuttosto che crederci padroni della Terra, converrebbe mostrarci rispettosi della miriade di forme di vita con le quali conviviamo e da cui dipende la nostra sopravvivenza. Un rispetto che è ben presente nell’atteggiamento (riferito da Abi Warburg) degli indiani Pueblos verso gli altri animali: «Guarda l’antilope, che è velocità pura e corre tanto più veloce dell’uomo; oppure l’orso, che è tutto forza. Gli uomini sanno solo fare in parte ciò che l’animale è, interamente’»2.
Note
1. E.O. Wilson, L’armonia meravigliosa (Consilience, 1998), Mondadori 1999, p. 35.
2. Cit. da E. Viveiros De Castro, in Metafisiche cannibali. Elementi di antropologia post-strutturale (Métaphisiques cannibale. Lignes d’antropologie post-structurale, 2009), ombre corte 2017, p. 225.