10 agosto 2021 – EtnaMusa Festival 2021 – Contrada Musa/Difesa (Bronte)
Le Quattro Stagioni
di Antonio Vivaldi
Musicisti dell’Orchestra Sinfonica del Teatro Massimo «Bellini» di Catania
Una delle composizioni più celebri della musica barocca e della musica universale è risuonata tra la pietra lavica e gli ulivi di una grande tenuta ai piedi del vulcano che domina lo spazio della Difesa, contrada dove ho la fortuna di trascorrere parte dell’estate.
I sette musicisti dell’Orchestra Bellini -archi più un flauto traverso- diretti da Giulio Plotino hanno interpretato le Stagioni di Vivaldi facendone emergere la varietà e le sfumature che soltanto dal vivo possono davvero essere colte. Soprattutto le note profonde della viola e del violoncello hanno rappresentato ed espresso la tonalità inesorabile di questo capolavoro. Nulla può infatti opporsi all’andare del divenire e del tempo. Nulla.
Il succedersi delle stagioni si è singolarmente incarnato per me in un’esperienza non soltanto estetica ma integrale. L’esperienza narrata da Proust in occasione di un altro concerto, quello che chiude il Temps perdu come Temps retrouvé.
Ho infatti rivisto in una serata d’agosto amici e persone che non incontravo da molti anni, alcuni anche da venti o trenta. E lo stupore è nato sia da quello che vedevo sia da come Proust lo ha raccontato.
Professionisti una volta pieni di energia e le loro mogli diventati dei vecchietti quasi rattrappiti nella ridotta misura dei corpi, come se la morte inizi la propria opera di dissoluzione assai prima dell’ultimo respiro.
Giovani che erano stati atletici e asciutti e che ho visto espansi nello spazio della propria obesità.
Donne parenti tra di loro, delle quali ho ne ho riconosciuta soltanto una, nonostante i profondi mutamenti, e dell’altra mi sono chiesto a lungo chi fosse, prima di intuire la sua identità e meravigliarmene. L’antica bellezza, a guardare bene, era intatta ma come se appartenesse ora a un’altra persona. Impressionante.
Soprattutto straordinaria è stata l’identità, sì proprio identità, tra un uomo del quale ricordavo il padre e che adesso mi appariva esattamente il padre, a lui identico in ogni anfratto della guancia, degli occhi, delle mani, della postura.
Davvero ho visto la maschera della quale parla la Recherche, la maschera che si posa sui volti, rendendoli negli anni irriconoscibili o identificandoli con altri umani che più non sono ma che è come se nei loro figli fossero risorti. E insieme alle maschere il teatrino di marionette, «car on était obligé de les regarder en même temps qu’avec les yeux avec la mémoire, des poupées baignant dans les couleurs immatérielles des années, des poupées extériorisant le Temps, le Temps qui d’habitude n’est pas visible, pour le devenir cherche des corps et, partout où il les rencontre, s’en empare pour montrer sur eux sa lanterne magique»; «poiché si era costretti a guardarli sia con gli occhi sia con la memoria, un teatrino di marionette immerse nei colori immateriali degli anni, di marionette che esteriorizzavano il Tempo: il Tempo che, d’ordinario, non è visibile, che per diventar tale va in cerca di corpi e che, dovunque li incontra, se ne impossessa per mostrar su di loro la propria lanterna magica» (À la recherche du temps perdu, Gallimard 1999, p. 2307; trad. di Giorgio Caproni, Einaudi 1978, p. 258).
Naturalmente l’impressione che i miei antichi conoscenti hanno fatto su di me è stata identica a quella che io ho fatto su di loro. Ho ben notato che qualcuno faceva fatica a riconoscermi. Non il tempo ha agito su di noi, su di me, ma semplicemente noi siamo stati il tempo: «Ainsi change la figure des choses de ce monde ; ainsi le centre des empires, et le cadastre des fortunes, et la charte des situations, tout ce qui semblait définitif est-il perpétuellement remanié, et les yeux d’un homme qui a vécu peuvent-ils contempler le changement le plus complet là où justement il lui paraissait le plus impossible»; «Così muta l’aspetto delle cose di questo mondo; così il centro degli imperi e il catasto dei patrimoni e la mappa delle situazioni sociali, tutto ciò che sembrava definitivo viene incessantemente rimaneggiato, e gli occhi d’un uomo che ha vissuto possono contemplare il più completo sconvolgimento proprio là dove gli sembrava più impossibile» (À la recherche du temps perdu, p. 2379; trad. Caproni, p. 360).
In mezzo alla lava e agli ulivi ho ascoltato la musica di Vivaldi e insieme a essa ho visto la musica di Proust.
Antonio Vivaldi
Il cimento dell’armonia e dell’inventione
Concerto Nº 4 in Fa minore, opera 8, RV 297 (L’inverno)
1 Allegro non molto (in Fa minore)
Versione su Spotify (Luka Šulič, Archi dell’Accademia di Santa Cecilia)
Versione video (Luka Šulič, Orchestra della Fondazione Teatro Lirico «Giuseppe Verdi» di Trieste)
[L’immagine di apertura è di Giuliana Sammartino]