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Amore / Vendetta

Animali notturni
(Nocturnal Animals)
di Tom Ford
USA, 2016
Con: Amy Adams (Susan Morrow), Jake Gyllenhaal (Tony Hastings), Michael Shannon (Bobby Andes), Aaron Taylor-Johnson (Ray Marcus), Armie Hammer (Walker Morrow)
Trailer del film

Si mostrano, ballano, ballonzolano strati e strati di carne cellulitica e disfatta. Al rallentatore i movimenti di questi corpi appaiono non soltanto grotteschi ma anche inquietanti.
Il film si apre così. Si tratta dell’ultima installazione di Susan, brillante gallerista erede di una agiata famiglia tradizionalista, repubblicana, razzista. Susan è la moglie ricca e tradita di un uomo d’affari. Ma c’è stato un tempo in cui non era ridotta a questa triste finzione di felicità. Il tempo nel quale era sposata con Tony, un ragazzo «sensibile e meraviglioso», impiegato in una libreria, aspirante romanziere. Un uomo che la madre di Susan definisce «debole». Finito l’innamoramento, anche Susan accetterà questo giudizio e, affascinata dal ricco Walker, lascerà Tony nel modo più brutale, netto.
Dopo molti anni -diciannove-, nel giorno in cui inaugura la sua mostra/installazione, Susan riceve da Tony il dattiloscritto di un romanzo dal titolo Animali notturni, a lei dedicato. La donna inizia la lettura e si immerge in un vortice di violenza. Il testo narra di una famiglia che nel nulla delle strade texane viene aggredita da un gruppo di balordi. La madre e la figlia sono stuprate e uccise, il padre vaga nel deserto. Un poliziotto dai modi non del tutto consueti aiuta l’uomo a trovare gli assassini, a vendicarsi. Susan non avrebbe immaginato Tony capace di scrivere un libro come questo. Ciò che legge l’afferra nella notte, la sconvolge, la inquieta, la immedesima, la spinge a chiedere a Tony di incontrarsi. Lui accetta. E si vendica. Senza violenza, naturalmente. Peggio.
Revenge è il titolo di un quadro esposto nella galleria di Susan. L’induismo lo chiama Karma. I filosofi lo definiscono come la relazione che lega causa ed effetto. Nella scena centrale del film, il sensibile Tony dice a Susan, in un impeto di disperata passione, «quando ami veramente qualcuno dovresti fare attenzione a non perderlo. Potrebbe non capitarti più». Già. Quando ami qualcuno e direi, soprattutto, quando hai la fortuna di essere amato da qualcuno, bisogna stare molto attenti, pensarci bene prima di privarsene. La fortuna può sempre capovolgersi e le Moire scatenarsi. Il film si chiude sugli occhi stupiti di Susan. Hanno visto il Destino.

Struggle for Life

Revenant – Redivivo
(The Revenant)
di Alejandro González Iñárritu
USA, 2015
Con: Leonardo Di Caprio (Hugh Glass), Tom Hardy (John Fitzgerald)
Trailer del film

Le montagne del Missouri nei primi anni dell’Ottocento. Si contendono il territorio orsi, sciacalli, corvi, inglesi, francesi, nativi pellerossa. Tra le acque, gli alberi, i prati, il gelo, è una guerra senza fine. Hugh Glass conosce bene l’ambiente, ha sposato una nativa e da lei ha avuto il figlio che porta con sé. Aiuta gli inglesi a cacciare per rifornirsi di pelli. Un orso lo assale e lo riduce in fin di vita. La spedizione non può portarlo con sé. In cambio di danaro John Fitzgerald si offre di assisterlo sino alla fine, in compagnia del figlio di Glass e di un altro giovane. Fitzgerald ha fretta e lo abbandona alla morte. Glass è però tenace. Sopravvive. Cerca la vendetta.
Un film cupo e desolato, fatto di silenzi umani e dei suoni di una natura strabordante, incontaminata, implacabile, nella quale l’unica armonia è quella dei nativi, dei loro gesti, credenze, sguardi. Gli europei sono invece dismisura. Con quest’opera Iñárritu punta al mistico ma rimane soltanto la violenza.

Konrad Lorenz

Natura e destino
di Konrad Lorenz
(Das Wirkungsgefüge der Natur und das Schiksal des Menschen, 1978)
A cura e con introduzione di Irenäus Eibl-Eibesfeldt
Traduzione di Alvise La Rocca
Mondadori, 1990
Pagine 392

In questa antologia curata da Eibl-Eibesfeldt, Konrad Lorenz ripropone alcune delle tesi fondamentali della sua opera e offre gli strumenti per coniugare filosofia e scienze naturali, legame che costituisce uno degli obiettivi della sua ricerca. Lorenz è infatti avverso a ogni forma di riduzionismo gnoseologico e ontologico, sia esso l’assolutizzazione del metodo matematico, il dualismo “natura-spirito” o la confusione tra i livelli dell’essere, vale a dire «quegli sconfinamenti “verso l’alto” come il meccanicismo, il biologismo e lo psicologismo, che si arrogano il diritto di spiegare i processi caratteristici degli strati superiori con le categorie evolutive, per principio inadeguate, di quelli inferiori» (p. 259). È anche per questo che Lorenz attacca frontalmente il behaviorismo che riduce l’animale -compreso quello umano- a un fascio di reazioni condizionate, che fa della persona un ente privo di libertà e di dignità, malleabile nelle mani di demagoghi e ideologi, pronto a farsi strumento della tirannide. Desiderio di potere e acquiescenza alle mode culturali hanno contribuito a determinare l’ampio successo del comportamentismo nel Novecento: «Per chi desidera poter manipolare masse umane, sapere che l’uomo non è altro che il risultato dell’ammaestramento esercitato su di lui fin dall’infanzia dall’ambiente vivente e inanimato deve rappresentare la soddisfazione dei sogni più arditi. […] Il verbo to control che vuol dire “dominare” […] compare troppo spesso in Skinner»  (155)
A Charles Darwin Lorenz riconosce di dovere moltissimo, così come a Nicolai Hartmann e a Kant. Di quest’ultimo egli reinterpreta in chiave evolutiva sia l’apriori gnoseologico sia l’imperativo etico. Molte strutture presenti in natura costituiscono una sorta di apriori che rende possibile all’animale di potersi muovere, vivere, adattare al proprio ambiente; l’imperativo categorico traspone nel linguaggio dell’etica la scelta fra distruzione dell’ambiente e accettazione del posto del singolo nella biocenosi, nella comunità dei viventi.
Anche per questo Lorenz è uno dei fondatori del pensiero ecologico. Egli ritiene che i meccanismi che inibiscono la violenza verso gli altri animali siano diretti anche a impedire la violenza verso altri umani. La crudeltà verso gli altri animali contribuisce quindi al dilagare della violenza all’interno della nostra specie. In generale, «l’uomo tecnomorfo è sempre e comunque un predatore; quando sfrutta un sistema vivente, lo distrugge in breve tempo» (368). Il problema di fondo è che nell’essere umano filogenesi e ontogenesi hanno ritmi di sviluppo completamente diversi: «Considerato come specie, l’uomo, nello stesso lasso di tempo che gli è occorso per diventare signore della terra, non ha compiuto il più piccolo passo avanti per diventare signore di se stesso» (312).
Il veloce ritmo del cambiamento culturale e tecnologico non ha dato tempo ai meccanismi inibitori di svilupparsi adeguatamente; ciò comporta che nessun dispositivo naturale può frenare un uomo dal prendere una decisione che comporta la distruzione di migliaia di altre vite. È però sempre possibile lo scarto culturale, la capacità di pensare, la responsabilità per le conseguenze delle proprie azioni.

È quindi un errore accusare di determinismo e di fatalismo Lorenz e in generale gli etologi. Il concetto di innato non implica quello di destino ineluttabile ma anzi la comprensione dei meccanismi naturali a cui anche l’uomo è sottoposto diventa una condizione per approntare strumenti efficaci –non ideologici né totalitari- di controllo. La guerra, ad esempio, «è un prodotto culturale umano che, pur non privo di componenti istintive, non è tuttavia esclusivamente tale» e quindi si può, perché si deve, sottoporre al controllo della ragione e dell’etica (281).
Che molti comportamenti animali e umani siano innati o istintivi, per l’etologia significa esattamente e solamente due cose:
1) «analogie di comportamento (come pure analogie morfologiche), riconoscibili in diversi animali nonostante condizioni di allevamento completamente diverse, possono ritenersi fissate nel genoma» (117);
2) è innato ciò che è adattato filogeneticamente. In particolare, «della natura istintiva, pulsionale, dell’aggressività umana non si può seriamente dubitare» (305) senza che questo implichi per Lorenz l’adesione ai concetti freudiani di impulso di morte, violenza inconscia, perversione originaria, che egli anzi esplicitamente respinge.

Se Lorenz ha fornito un contributo decisivo all’antropologia nel suo senso più ampio e più profondo, è perché la sua prospettiva etologica distingue ma non separa l’uomo e la natura, la cultura e la biologia, il pensiero razionale e le sue basi istintive. Filosofia, religioni, estetiche, etiche si elevano –e non potrebbe essere altrimenti dato che l’uomo è corporeità- sulle fondamenta di comportamenti ereditari e cioè filogeneticamente adattati: «Con troppa facilità gli uomini si considerano il centro dell’universo, qualcosa di estraneo e di superiore alla natura. Questo atteggiamento deriva da una sorta di orgoglio che ci preclude quella forma di riflessione su noi stessi di cui oggi avremmo tanto bisogno. Le grandi scoperte delle scienze naturali inducono l’uomo a un senso di umiltà: proprio per questo vengono a volte avversate» (42).
L’umano è davvero, come Nietzsche ha intuito, una «corda tesa fra la bestia e lo Übermensch», è l’animale che nella corrente della vita potrebbe non essere altro –come scrive Eibl-Eibesfeldt- «che un fenomeno assolutamente transitorio. Un giorno non rappresenteremo più il culmine dell’evoluzione, e potrà accadere che la nostra specie si evolva ulteriormente o che, come tante altre prima di noi, si estingua senza discendenza immediata» (8). Non sarebbe una perdita più grave di tante altre.

Dittature

Il clan
(El clan)
di Pablo Trapero
Argentina – Spagna, 2015
Con: Guillermo Francella (Arquimedes Puccio), Peter Lanzani (Alejandro Puccio), Lili Popovich (Epifanía Puccio), Antonia Bengoechea (Adriana Puccio), Gastón Cocchiarale (Maguila Puccio), Giselle Motta (Silvia Puccio), Franco Masini (Guillermo Puccio)
Trailer del film

Arquimedes Puccio è un funzionario statale argentino che si occupa dei sequestri di dissidenti politici -o presunti tali- durante gli anni della dittatura di Videla (1976-1983). Caduta la giunta militare, Puccio continua la sua attività in privato sequestrando membri di agiate famiglie, chiedendo loro un riscatto in nome di fantomatiche organizzazioni ‘rivoluzionarie’ e uccidendo poi in ogni caso gli ostaggi. Compie tutto questo aiutato anche dal figlio maggiore Alejandro, il quale frequenta ambienti altolocati e tradisce quindi i suoi amici consegnandoli al padre. Alejandro però è sempre più inquieto. Quando la protezione goduta da parte della polizia e dei giudici viene meno, i due sono arrestati con l’intera famiglia e in carcere si scatena il conflitto tra padre e figlio.
La vicenda è realmente accaduta. Arquimedes e Alejandro Puccio sono stati entrambi condannati all’ergastolo. Pablo Trapero racconta la loro storia e quella delle loro vittime mescolando documentazione, ironia (straniante la spensierata colonna sonora), amarezza. Da questa vicenda emergono due profonde verità.
La prima è privata e riguarda il fatto che la malvagità e l’orrore possono intridere il quotidiano più banale. Significativo e terribile il piano sequenza nel quale il buon padre Puccio comunica che è pronta la cena, raccomanda a tutta la famigliola di mettersi a tavola, chiede a una delle figlie -che sta ancora in camera sua- di interrompere lo studio; intanto tiene in mano un vassoio con il quale entra in un’altra stanza della casa dove un ostaggio sta piangendo disperato e gli consegna la cena.
L’altra verità è politica ed è la conferma che una delle più distruttive conseguenze di una dittatura -specialmente se militare- sta nel fatto che essa uccide qualunque sentimento di pietà, di onestà, di condivisione, di lealtà, di luce. La dittatura fa piombare le menti in un baratro di corruzione infinita.

«Lasciate che i bambini vengano a me»

Il caso Spotlight
di Thomas McCarthy
USA, 2015
Con: Michael Keaton (Walter ‘Robby’ Robinson), Mark Ruffalo (Michael Rezendes), Rachel McAdams (Sacha Pfeiffer), Brian d’Arcy James (Matty Carroll),  Stanley Tucci (Mitchell Garabedian), Liev Schreiber (Marty Baron)
Trailer del film

Boston è la città più europea degli Stati Uniti d’America. E anche la città più cattolica. Per decenni il suo arcivescovo –il cardinale Bernard bernard-francis-lowFrancis Law– coprì le attività pedofile di centinaia di sacerdoti della sua diocesi. I preti responsabili di questi crimini verso i bambini venivano semplicemente trasferiti di sede e parrocchia, continuando a svolgere le loro attività. Il più importante quotidiano della città -il Boston Globe– contribuì al clima di omertà sino a quando un nuovo direttore venuto da fuori, Marty Baron, decise di affrontare l’argomento con una inchiesta approfondita e sistematica, affidandola a Spotlight, un gruppo di giornalisti specializzato in inchieste scomode. Il risultato fu lo svelamento del crimine collettivo. Come dice infatti uno dei personaggi: «Ci vuole una comunità per far crescere un bambino e ci vuole una comunità per abusarne». Comunità di abuso sono molte parrocchie cattoliche nel mondo, il cui lungo elenco compare alla fine del film.
Un spotlight film che affronta l’argomento in modo sobrio, guardando agli eventi, alla loro progressiva scoperta, alle relazioni e alle complicità. I racconti delle vittime non sono particolarmente patetici o sensazionali poiché i fatti parlano da soli. Tali fatti dicono anche questo: che quando la natura viene compressa in modo esteriore e senza intima adesione, come nel caso del celibato imposto ai sacerdoti cattolici, essa trova altre strade per ottenere il piacere biologico al quale tutti i corpi animali aspirano. Finché il sesso è tra adulti e consenziente, nulla quaestio. Quando però il desiderio si trasforma in violenza nei confronti di bambini e bambine provenienti da famiglie disagiate, con situazioni socio-affettive drammatiche, quando la risposta del prete è questa: «Sì è vero, toccavo i bambini ma non ne ho mai tratto un vero piacere. Di questo bisogna tenere conto», allora tali  criminali meriterebbero quanto propone Jeshu-ha-Notzri: «Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare» (Mt., 18, 6).
Invece la legione di preti pedofili che abita la chiesa papista preferisce un altro versetto evangelico: «Lasciate che i bambini vengano a me» (Mt., 19, 14).

Pistole e parole

The Hateful  Eight
di Quentin Tarantino
USA, 2015
Con: Samuel L. Jackson (il maggiore Marquis Warren), Kurt Russell (John ‘il Boia’ Ruth), Walton Goggins (Chris Mannix), Jennifer Jason Leigh (Daisy Domergue)
Trailer del film

hateful_eightWyoming. Pochi anni dopo la fine della Guerra di Secessione. Una diligenza corre cercando di sfuggire a  una tempesta di neve. Trasporta dei cacciatori di taglie e la loro preda, una donna. La diligenza arriva all’Emporio di Minnie. La proprietaria non c’è. Ci sono invece dei soggetti ambigui e reticenti. Nessuno si fida di nessuno. E giustamente. Il disvelamento coincide con il morire.
Il cinema barocco e splatter di Tarantino si misura qui con una struttura teatrale nella quale tutto avviene – per tre ore- in un unico ambiente. Le parole e le pistole dominano la scena.
Parole che giungono al culmine nel racconto che il maggiore Warren -un nero- fa al generale sudista Smithers, al quale riferisce come gli ha ucciso il figlio dopo averlo fatto camminare nudo nella neve e avergli imposto una fellatio.
Pistole che spuntano dappertutto e che compiono, inesorabili, il loro lavoro.
Nonostante la conclusione, spero ironica oltre che sentimentale, segnata dal nome e dalla morale di Abramo Lincoln, The Hateful  Eight è tanto divertente quanto feroce. Divertente e feroce anche nel suo essere politicamente scorretto. Delle donne il minimo che si dice è che sono delle troie, dei neri si afferma che sono proprio negri e bugiardi e subumani, dei messicani si sostiene che sono peggio dei cani. E così via.
Soprattutto si comprende come l’utilizzo, e non soltanto il possesso, delle armi ‘per difesa personale’ stia nel codice genetico delle popolazioni che abitano il Nord America da New York alla California. Selvaggi.

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