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Sui quaderni heideggeriani

Traduzione del saggio di Friedrich-Wilhelm von Herrmann:
Die Reinheit des seynsgeschichtlichen Denkens
Il reale significato del pensiero ontostorico
in Vita pensata, n. 23 – Novembre 2020
pagine 5-15

Il testo si può leggere:
sul sito della rivista
in pdf

Il testo tedesco è seguito dalla traduzione in italiano, che è stata approvata dall’autore.
Riporto qui la Nota del traduttore:

Il saggio del Prof. von Herrmann affronta una delle questioni più delicate, strumentali e incomprese del percorso heideggeriano. Lo fa con pacata determinazione e anche, dove è necessario, con durezza. Sono pagine che contribuiscono in modo decisivo a fare chiarezza sul rapporto tra Martin Heidegger e il Nazionalsocialismo. ‘Decisivo’ perché si pongono all’altezza della dimensione teoretica dalla quale ogni riga di Heidegger scaturisce.
L’importanza ermeneutica e politica di questo saggio mi ha indotto a privilegiare la scorrevolezza della resa in italiano rispetto alla letteralità dell’enunciato, senza naturalmente mai discostarsi dai significati del testo, di per sé assai chiari.
E questo anche perché uno dei segreti della potenza heideggeriana, direi della sua gloria, è l’utilizzo delle parole come un tutto che si dissolve. ’Tutto’ nel senso che per Heidegger, come per ogni vero filosofo, la parola è il luogo nel quale traluce, splende e si dà l’essere. E quindi ogni parola deve essere -per dirla con Ungaretti- «scavata come un abisso».
Ma questo tutto della parola è destinato a dissolversi poiché il pensiero deve affrancarsi da ogni rigidità che inerisce a questa potenza, senza rimanere nella univocità di un solo significato, senza scadere mai nella scolastica e nell’idolatria delle formule. La parola deve rimanere e diventare ciò che è: la vibrazione del mondo.
Anche per questo ho ad esempio tradotto la medesima struttura semantica – Wesungsgeschehen der Wahrheit des Seyns – in tre modi diversi. Tre modi che a me sembrano corretti perché moltiplicano il senso e lo innestano ogni volta nella differenza: nella prima occorrenza è un divenire non della verità ma dell’essere nella sua verità; nella seconda occorrenza la verità dell’essere ha la forza di un accadere ontostorico che si allontana vertiginosamente dal verificarsi storico del Nazionalsocialismo; nella terza occorrenza la verità dell’essere è un manifestarsi che conferma la natura fenomenologica del pensare heideggeriano.

Andrea A. Sturiale su Tempo e materia

Andrea Antonio Sturiale
Recensione a Tempo e materia. Una metafisica
in Scienza & Filosofia, numero 24, dicembre 2020
Pagine 374-378

La densa e limpida recensione di Andrea Sturiale ha un incipit parmenideo che ho molto apprezzato: «La metafisica del tempo presentata da Alberto Giovanni Biuso in Tempo e materia si connota come una metafisica monistica e materialistica. Vi è una sola sostanza autosufficiente, dinamica, immanente, sacra, eterna, priva di causa e fondamento: la materiatempo che sempre c’è stata e sempre ci sarà».
L’autore spiega bene che cosa in questo libro si indichi con metafisica, la quale «intesa come lo sforzo di comprendere il mondo e quindi il tempo, è connaturata nell’esserci. L’umano è per natura metafisico. […] Una metafisica è, in generale, la precondizione di qualsiasi giudizio sul mondo, sia esso teoretico, estetico o pratico. A tal proposito, Biuso afferma che: ‘ogni pensiero che si esprime sul mondo, ogni parola che dice il reale, ogni sentire estetico, concetto logico, legge fisica, hanno infatti come fondamento una metafisica. Essa può rimanere implicita, può essere ignorata e può persino venire esplicitamente negata, e tuttavia essa sta all’origine di ogni costruzione concettuale – di qualunque genere essa sia –, ne scandisce l’andamento, ne determina gli esiti. Fisici, chimici, astronomi, biologi non possono conseguire risultati che non implichino sin da subito delle opzioni metafisiche, esplicite o no che siano’».
Sturiale si sofferma poi sul significato di verità; sul principio di ragion sufficiente; sul nesso tra ontologia, determinismo e irreversibilità e osserva che «la metafisica del tempo si presenta come il tentativo di conciliarsi teoreticamente e praticamente con la materiatempo e con l’ordine necessario del mondo».

[Photo by Guillermo Ferla on Unsplash. L’immagine raffigura la Galassia di Andromeda (M31-NGC 224), la più vicina al nostro pianeta]

Gentile

Giovanni Gentile
in Vita pensata, numero 22, maggio 2020
pagine 70-79

Le parole di modestia che Giovanni Gentile formula nella prefazione del 1920 al suo capolavoro non costituiscono un’affermazione di circostanza ma sono già parte coerente del sistema: «Ogni libro è via, e non mèta; vuol essere vita, non morte. E finché si vive, convien continuare a pensare» (Teoria generale dello spirito come atto puro, p. 75). L’attualismo è anche e specialmente questo già e non ancora, è una tensione verso un assoluto fuori dal tempo e fondante il reale che però si dispiega tutto nell’atto temporale del suo farsi. È, questa, una delle più feconde contraddizioni non di Gentile soltanto ma dell’intera storia della metafisica. Perché non è una semplice contraddizione ma costituisce il tentativo di intendere, cogliere e spiegare l’unità molteplice del mondo, la differente identità del reale
In questo saggio ho tentato una sintesi di una filosofia complessa, molto lontana dalle mie prospettive e dunque feconda del confronto. Gentile rappresenta il culmine di ogni possibile idealismo e anche per questo lo capovolge in un immanentismo radicale. Ben se ne accorse la Chiesa cattolica che inserì le sue opere nell’Indice dei libri proibiti.
Nel testo non si trova nessun riferimento alla pedagogia gentiliana, che merita un’analisi a parte, fondata com’è sulla struttura socratica del fatto educativo, il quale non è frutto né del maestro né dell’allievo ma della loro relazione.
Il saggio è diviso nei seguenti paragrafi:

  • Un trionfo della soggettività?
  • Estetica, linguaggio, ermeneutica
  • Gnoseologia, fisica, antirealismo
  • Filosofia pratica
  • Ontologia e logica
  • Gentile antimetafisico
  • Essere e verità
  • Immanentismo
  • Divenire e processo

Una metafisica

Tempo e materia. Una metafisica (Olschki, 2020, pagine X-158) è il volume che completa la tetralogia che ho dedicato al Tempo. Iniziata con La mente temporale. Corpo Mondo Artificio (2009), proseguita con Temporalità e Differenza (2013) e Aión. Teoria generale del tempo (2016), tale indagine ha dato senso e pienezza alla mia vita di studioso e di uomo. Questo libro coincide dunque con l’ακμή dell’esistere. Un ringraziamento profondo va a coloro che in tanti modi hanno reso possibile questo tentativo di comprendere l’essere, la verità, il tempo.

Il libro sul sito dell’editore Olschki

Pdf con copertina, frontespizio, epigrafi, indice

Recensioni:

Gli astri / gli dèi

La verità, gli astri e lo statuto dell’umano
il manifesto
12 dicembre 2019
pagina 11

[Dall’articolo]
«Filosofia e fede cristiana appaiono inconciliabili per tre ragioni fondamentali.
La prima concerne lo statuto della verità, che per la filosofia è una ricerca sempre aperta, svolta a partire dalla convergenza tra ciò che si osserva del mondo e la riflessione razionale che viene condotta su di esso. Per i cristiani, invece, la v erità è un dato della rivelazione al quale si accede con la fede e che rimane sempre identico, incontestabile, fuori da ogni discussione e argomentazione.
La seconda ragione riguarda lo statuto del divino, che per la filosofia greca è plurale e molteplice, mentre per il cristianesimo e le altre religioni del libro è un’identità monoteistica che respinge da sé ogni differenza.
La terza ragione si riferisce allo statuto dell’umano, il quale per i filosofi antichi ha nel mondo una specificità che non diventa mai una differenza assoluta e di valore. Il cristianesimo dà invece all’essere umano un privilegio e una superiorità assoluti, come immagine di dio».

[La fotografia (della NASA) raffigura la formazione stellare NGC 604 nella galassia Messier 33]

Veritas

Quid est veritas? Ermeneutica e prospettivismo
in Siculorum Gymnasium. A Journal for the Humanities
Anno LXXI / n. IV – 2018 (ma uscito nell’ottobre 2019)
Verità e post-verità. Forme della comunicazione e costruzione di immaginari
Pagine 113-119

Indice
1 Verità
2 Gadamer
3 Disseminazioni

Abstract
Τί ἐστιν ἀλήθεια; Post-nietzschean civilization, and not just philosophy, is under the sign of Pilate’s question. However, perspectivism is not the legitimation of any affirmation, is not the so-called post-truth, but constitutes the awareness that every truth is plural. This is the heart of hermeneutics, the game between Gegenstand and Bedeutung. It is on this foundation that Heidegger and Gadamer have transformed hermeneutics from a methodology into an ontology that is rooted in temporality.

Incipit
Τί ἐστιν ἀλήθεια; «Che cos’è verità?» (Gv 18,38). Nietzsche riteneva che questa domanda di Pilato fosse l’unica parola del Nuovo Testamento ad avere valore, e che di quel libro fosse la critica più puntuale, il suo stesso annientamento ‒ «seine Kritik, seine Vernichtung selbst» (Der Antichrist, § 46). Si tratta, in effetti, di una domanda che è nello stesso tempo l’orizzonte della filosofia e il suo sorgere. Che cosa sia verità è infatti una delle tre questioni con le quali e attraversando le quali l’indagine filosofica definisce se stessa, il proprio oggetto, il proprio statuto. Le altre due domande riguardano l’essere e il tempo. 

Per la metafisica

Martin Heidegger
Segnavia
(Wegmarken, 1967)
Edizione tedesca a cura di F.W. von Hermann, Klostermann 1976
Edizione italiana a cura di F. Volpi, Adelphi 1987
Pagine XIV-522

 

«Leonardo da Vinci scrive: ‘Il nulla non à mezzo e li sua termini è il nulla’ – Infralle cose grandi che intra noi si trovano, l’essere del nulla è grandissima’ [Codice Atlantico, folio 289 verso b e folio 389 verso d]. La parola di questo grande non può e non deve dimostrare nulla; essa rimanda alle questioni: in che modo si dà l’essere, in che modo si dà il niente? Da dove ci viene un simile darsi? In che misura siamo ad esso già assegnati in quanto esseri umani?»
(Heidegger, La questione dell’essere, p. 367)

«Il niente, è questo l’unico tema pensato dalla Prolusione» (p. 333) svolta da Martin Heidegger a Friburgo il 29 luglio 1929. Il coraggio di pensare il niente è la metafisica. Il niente che sta a fondamento dell’intero, il niente che è l’originario, il niente che per lo più non percepiamo e che tuttavia sentiamo profondamente intramato nelle nostre viscere, negli istanti, nel destino che conosciamo e che tutti ci accomuna, che tutto accomuna.
La filosofia nasce dalla meraviglia, certo, nasce dalla meraviglia che qualcosa ci sia, invece che il nulla. La domanda di Leibniz sul perché c’è l’ente invece del niente ha dietro di sé lo stupore aristotelico. Ed è anche per questo che Heidegger sottolinea, alla lettera, che «la Fisica aristotelica è il libro fondamentale della filosofia occidentale, un libro occultato e quindi mai pensato sufficientemente a fondo» (196). Aristotele pensa infatti prima e al di là di qualunque distinzione tra natura e cultura, tra spirito e materia.
Φύσις non è ‘natura’, φύσις è ἀρχή κινήσεως, è principio, origine e sostanza del mutamento, è costante divenire dell’ente che non sta fermo mai, la cui unica costante è μεταβολή, è la trasformazione, è quindi il divenire, è il tempo.

Il profondo aristotelismo di Heidegger lo induce a sostenere -a ragione- che «in Essere e tempo, ‘essere’ non è qualcos’altro rispetto a ‘tempo’, perché il ‘tempo’ viene indicato come il nome della verità dell’essere, quella verità che è ciò che dispiega l’essenza dell’essere ed è perciò l’essere stesso» (327). Nell’adesso in cui tutto si raggruma sono anche l’essere stato e il sarà, perché l’adesso non è un istante che sparisce non appena lo si pensi ma è il durare di ciò che essendo stato continua a essere, è la potenza capace di trasformarsi da ciò che adesso è in qualcosa che ancora non si dà, è l’apparire ora e qui dell’essere che nel celare la sua essenza immutabile disvela tuttavia istante per istante la pienezza della materia nello spaziotempo, nell’incessante mutare degli atomi, delle molecole, degli aggregati, dei corpi, degli organismi, dei pensieri, delle parole. Anche per questo la verità non è una funzione del linguaggio, un carattere della parola, una dimensione dei pensieri ma consiste nella modalità sempre uguale e sempre diversa in cui gli enti e il loro intero esistono.

La metafisica rivela il suo limite quando, invece di cogliere la dinamica di svelamento che sta nelle cose stesse, confonde il mondo con la rappresentazione più o meno corretta che delle menti si fanno del mondo. E tuttavia la metafisica mostra la propria perennità, la propria -se si preferisce- inoltrepassabilità quando pur incentrandosi soltanto sull’ente in quanto ente fa emergere in esso e da esso la luce dell’essere. Perché rispetto a ogni altro sapere, rispetto a tutte le scienze, è esattamente questa la capacità, è questo il proprio della filosofia, è il fatto che «ovunque la metafisica rappresenta l’ente, già traluce l’essere. L’essere ha il suo avvento in una svelatezza (Aλήϑεια). […] Pertanto si può dire che la verità dell’essere sia il fondamento in cui la metafisica, come radice dell’albero della filosofia, si sostiene e si nutre» (318).
Il legame tra il niente, l’essere e la metafisica è quindi radicale, profondo. Uno dei grandi elementi e meriti della filosofia di Heidegger è averlo colto. Il niente rimane infatti sempre, nella sua differenza dall’ente, «il velo dell’essere» (266) ma è proprio per questo velo che le cose sono, che il mondo esiste, che l’intero si dà. Senza questo niente gli enti non potrebbero essere perché sarebbero l’essere. Il niente è quindi tale differenza tra gli enti e l’essere. Per questo il niente è originario. Una differenza che si dispiega come μεταβολή, divenire e trasformazione, e quindi come tempo. Il tempo è il niente, certo. Il tempo è il niente che nella sua differenza rende possibile l’emergere della molteplicità dall’indistinto della materia, dall’Uno parmenideo, dalla potenza inquieta e insieme stabile dell’essere. Gli enti possono essere soltanto differenza, possono essere soltanto tempo. «Appartiene alla verità dell’essere che mai l’essere dispiega la sua essenza (west) senza l’ente, e che mai un ente è senza l’essere» (260).

La domanda metafisica parte dunque dal nulla che non è se non come differenza, si sofferma sull’ente che è in quanto differenza, perviene all’essere come radice della differenza da sé e quindi come dispiegamento della molteplicità. Se l’umano è l’ente che interroga, la metafisica rimane e rimarrà sempre parte costitutiva del suo stare al mondo. «L’andare oltre l’ente accade», infatti, «nell’essenza dell’esserci. Ma questo andare oltre è la metafisica. Ciò implica che la metafisica faccia parte della ‘natura dell’uomo’. Essa non è un settore della filosofia universitaria, né un campo di escogitazioni arbitrarie. La metafisica è l’accadimento fondamentale nell’esserci. Essa è l’esserci stesso. […] Se la domanda del niente da noi sviluppata ci ha realmente coinvolti, allora non ci siamo presentati la metafisica dall’esterno, e neppure ci siamo ‘trasferiti’ in essa. Noi non possiamo in alcun modo trasferirci nella metafisica, perché, in quanto esistiamo, siamo già da sempre in essa. φύσει γάρ, ὦ φίλε, ἔνεστί τις φιλοσοφία (Platone, Fedro, 279 a). In quanto esiste l’uomo, accade il filosofare. Ciò che noi chiamiamo filosofia non è che il mettere in moto la metafisica, attraverso la quale la filosofia giunge a se stessa e ai suoi compiti espliciti»  (77).

Questo è la metafisica, un punto di osservazione sul mondo che cerca di andare -pur nei limiti di tutti gli attingimenti umani- al di là di ogni etica, oltre ogni posizione antropocentrata, per comprendere, accogliere e rispettare l’autonomia dell’intero dalla sua parte umana, una parte tra le altre, una forma in mezzo al tutto.
La metafisica è perenne sì, perché non dipende dall’umano, dal divino, dalla storia, dalle scienze ma costituisce il sapere dell’essere, nel duplice senso del genitivo: il sapere che l’umano conserva delle cose e il sapere nel quale l’essere dispiega per intero, pur nei limiti della comprensione umana, se stesso.
«Un pensiero che pensa alla verità dell’essere certo non si accontenta più della metafisica; ma esso non pensa nemmeno contro la metafisica. Per restare nell’immagine, esso non strappa la radice della filosofia, ma ne scava il fondo e ne ara il terreno. La metafisica rimane la prima cosa della filosofia, anche se non raggiunge mai la prima cosa del pensiero. Nel pensiero che pensa alla verità dell’essere, la metafisica è oltrepassata e cade la sua pretesa di amministrare il riferimento portante all’ ‘essere’ e di determinare in maniera decisiva ogni rapporto con l’ente in quanto tale. Ma questo ‘oltrepassamento (Überwindung) della metafisica’ non mette da parte la metafisica. Finché rimane animal rationale, l’uomo è animal metaphysicum. Finché l’uomo si considera un essere vivente dotato di ragione, la metafisica, come dice Kant, appartiene alla natura dell’uomo. È invece possibile che il pensiero, qualora riesca a ritornare al fondamento della metafisica, possa contribuire a occasionare un mutamento dell’essenza dell’uomo, con cui andrebbe di pari passo una trasformazione della metafisica» (319-320).
A quel punto la metafisica diventerebbe, probabilmente, la scienza suprema del niente e del suo stupore. In questa apologia attuale e potenziale del vuoto e del nulla sta forse il primo e ultimo segreto gnostico di Heidegger.

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