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Disarmonie cristologiche

Miss Sloane
di John Madden
USA, 2016
Con: Jessica Chastain (Elizabeth Sloane), Alison Pill (Jane Molloy), Mark Strong (Rodolfo Schmidt), Gugu Mbatha-Raw (Esme Manucharian), Jake Lacy (Forde), Sam Waterston (George Dupont), Michael Stuhlbarg (Pat Connors), John Lithgow (Ron M. Sperling)
Trailer del film

Può Hollywood produrre un film che mette in discussione alcuni dei fondamenti su cui si basa l’esistenza di Hollywood? No, naturalmente non può. E allora anche nei film più critici verso il sistema statunitense è sempre presente la capacità di quel sistema di correggersi e di punire coloro che ‘sbagliano’.
Nonostante tali limiti inevitabili, la vicenda e la figura di Miss Elizabeth Sloane mostrano una profondità involontaria che va molto oltre il contesto sociale e finanziario della trama.
Sloane è infatti una lobbista, forse la migliore in circolazione. Il suo mestiere consiste nel convincere deputati e senatori a sostenere una proposta di legge o a respingerla. Gli interessi finanziari sono naturalmente enormi. E così la nostra professionista è capace, ad esempio, di spacciare per garanzia del futuro dell’Indonesia una legge che in realtà distrugge l’ambiente e l’economia indonesiane, a vantaggio delle multinazionali statunitensi.
Quando però a chiedere i suoi servigi sono i produttori di armi, che vogliono affossare una proposta tesa e regolamentarne l’acquisto -come è noto, negli USA sostanzialmente a portata di chiunque senza neppure dover mostrare un documento di identità- Miss Sloane si rifiuta e addirittura passa dalla parte dei sostenitori della limitazione del Secondo emendamento, quello che appunto ritiene diritto inalienabile di ogni cittadino USA detenere le armi che più gli aggradano.
La lotta sembra, ed è, impari ma Elizabeth Sloane possiede gli strumenti interiori e una determinazione comportamentale che vanno molto al di là dei suoi personali limiti, della sua solitudine, del suo bisogno di farmaci, della sua incapacità di dormire. «Mi hanno assunta per vincere e userò qualsiasi risorsa a disposizione», dove il ‘qualsiasi’ è da riferire alle persone, da intendere nel senso che è pronta a farne qualsiasi cosa. E questo vale anche quando la persona è lei stessa.
Il metodo e insieme l’ossessione di questa donna è la sorpresa, è l’invenzione di qualcosa che i suoi avversari come anche i suoi alleati non possono nemmeno immaginare e che condurrà a un efficace colpo di scena, sapientemente costruito sin nei minimi particolari.
Ma ciò che conta qui non è il plot, la vicenda tante volte trattata della corruzione che pervade le istituzioni, la società, l’economia degli Stati Uniti d’America. Ciò che conta non è la natura infame di quella società ma la metafora cristologica di un personaggio che assume su di sé le colpe del mondo e lo conduce a redenzione. Questa è la vera sorpresa del film, incarnata assai bene da una Jessica Chastain tanto fredda quanto lacerata. La scena nella quale -in completa solitudine- lancia un urlo e spazza ogni documento dalla scrivania è l’analogo di «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia volontà, ma la tua» (Lc., 22,42). Non a caso in una scena viene citato un altro brano del Vangelo di Luca. Così come una delle più strane e struggenti telefonate intercorse tra Sloane e il personaggio che si rivelerà decisivo per l’intera vicenda è la trasposizione del «quello che devi fare fallo al più presto» che Gesù rivolge a Giuda Iscariota (Gv., 13,27).
Cristologia disarmonica perché ciò che caratterizza tutti e ciascuno dei personaggi del film -emblema di un’intera società- è l’eccesso delle vite, l’assillo calvinista del successo, il tormento del riconoscimento spettacolare al quale si riduce ogni desiderio, principio, esistenza, volontà.

«Così fanno i pagani»

«Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come  è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt, 5, 43-48).
Quanti cercano di seguire davvero queste massime di Jeshu-ha-Notzri perdono una delle gioie della vita. Essa consiste nel vedere soffrire chi ci ha fatto soffrire; nel gustare la caduta di quanti produssero in noi lacrime, umiliazioni o tristezza; nel godere sino in fondo e con un sorriso della malattia, dell’abbandono, della rovina che afferra chi ci ha procurato dolore. A coloro che mi hanno ingannato, tradito, voluto del male -come costui, come uomini e donne che non hanno meritato il mio amore e la mia amicizia, come alcuni indegni soggetti incontrati in contesti professionali-, io auguro ogni sofferenza.
Ma in realtà i cristiani provano di frequente la gioia che qui sto cercando di descrivere. Loro che ben lontani dall’“amare i nemici” sono sempre stati i primi a massacrarli. Guerre di religione, roghi (Giordano Bruno sarà per sempre la maledizione dei papisti e Michele Serveto lo sarà per i protestanti), persecuzioni di streghe ed eretici, colonialismo, benedizione di tutte le guerre, complicità con i mafiosi e i pedofili, conflitti interni per il potere, sostegno a ogni sorta di tiranni, crimini vasti e di varia natura, costituiscono il contrappasso che condanna tali ipocriti. I cristiani negano la natura umana e però la praticano (e che altro potrebbero fare?), i pagani la seguono senza mentire, in primo luogo a se stessi:
«καὶ τὸ τοὺς ἐχθροὺς τιμωρεῖσθαι καὶ μὴ καταλλάττεσθαι (e vendicarsi dei nemici è più bello anziché riconciliarsi)»
(Aristotele, Retorica A, 9, 1367 a, 24).
«Ma ho forse torto a lamentarmi… la prova, io sono ancora vivo… e perdo dei nemici tutti i giorni!… di cancro, … di apoplessia, di ludreria… è un piacere come che si svuota il sacco!… non insisto… un nome!… un altro! ci sono dei piaceri nella natura…»
(Céline, Da un castello all’altro, in «Trilogia del Nord», Einaudi 2010, p. 24).
«οὐκοῦν ἐπὶ μὲν τοῖς τῶν ἐχθρῶν κακοῖς οὔτ᾽ ἄδικον οὔτε φθονερόν ἐστι τὸχαίρειν (gioire dei mali dei nemici non è né ingiusto né invidioso)»
(Platone, Filebo, 49 D).
«εἰ κεινόν γε ἴδοιμι κατελθόντ’Ἄϊδος  εἴσω / φαίνην κε φρέν ἀτερπου ὀιζύος ἐκλελαθέσθαι» [Se lo vedessi discendere dentro i recessi di Ade, / direi che un brutto malanno avrebbe scordato il mio cuore]. Questo dice Ettore di Paride, suo fratello, in Iliade, VI, 284-285.
Così fanno i pagani.

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