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Pandemia, un luogo

Un lessico dell’epidemia
Recensione a: Barbara Stiegler, La democrazia in Pandemia. Salute, ricerca, educazione
(De la démocratie en Pandémie. Santé, recherche, éducation, Gallimard 2021)
Trad. di Anna Bonalume
Carbonio Editore, 2021
Pagine 80

in Aldous,  14 ottobre 2021

Al centro dell’accadere non c’è soltanto un virus più o meno pericoloso ma c’è il linguaggio, ci sono le parole che «possono essere come minime dosi di arsenico: ingerite senza saperlo sembrano non avere alcun effetto, ma dopo qualche tempo ecco rivelarsi l’effetto tossico» (p. 49), come afferma il filologo Victor Klemperer riferendosi alla lingua del Terzo Reich. Neologismi, risemantizzazioni, parole d’ordine ossessivamente ripetute sono pericolosi virus che hanno infettato il corpo collettivo: lockdown, coprifuoco, mascherine, fragili, webinar, dad, green pass, distanziamento sociale…Queste parole vanno sostituite con altre, più antiche, più dense, più corrispondenti a quanto sta accadendo.

Guerre e censure

Non è necessario aggiungere molto alle analisi critiche sul presente e sulla storia che intessono il numero  362 (Anno XLII – 7/8 – Luglio/Agosto  2021) della rivista Diorama Letterario. Mi limito a riportare una serie di riflessioni suddividendole per argomento.

Afghanistan
Nei rapporti forza del conflitto asimmetrico, l’ossessione per le operazioni a ‘perdite zero’ induce gli Stati maggiori ‘democratici’ e ‘umanitari’ a programmare interventi dal costo economico esorbitante, che finiscono così per rendere insostenibile nel lungo periodo l’intera campagna; inoltre induce i comandi sul campo a richiedere sistematicamente l’appoggio aereo o il fuoco indiretto dell’artiglieria e, quindi, a seminare la morte tra i civili, cosa che -indipendentemente dalla sua enormità a livello etico- rende controproducente l’utilizzo stesso della forza nella conquista dei «cuori» della popolazione.
(Eduardo Zarelli, p. 23; aggiungo solo che caratteristica della Società dello Spettacolo è la sua capacità di dissolvere ogni evento in una fiammata mediatica senza radici né continuità. Il destino delle donne afghane è sparito dai media e dalle menti, sostituito da nuove questioni che saranno a loro volta bruciate nell’arco di pochi giorni o persino poche ore. Invece la continuità implacabile -sui media di ogni genere e soprattutto in Italia- di tutto ciò che è legato al Covid19 costituisce un’ulteriore testimonianza di quanto autorità e aziende farmaceutiche abbiano investito -in ogni senso- su tale questione).

Censura
Una volta, la censura era fondamentalmente opera dei poteri pubblici. Oggi, proviene dalle lobbies, dalle leghe della virtù e dalle reti sociali. Il potere, parallelamente, ha delegato il potere di censura a società private come Twitter, Facebook, o Google, una cosa che non si era ancora mai vista. Con la paura, l’autocensura prevale sulla censura. È una delle ragioni per le quali non ci può più essere un dibattito argomentato. Su qualunque argomento, si arriva immediatamente agli estremi. I dibattiti televisivi cominciano ad assumere aspetti da scontri di piazza e il grande ospizio occidentale assomiglia ogni giorno un po’ di più a un manicomio. Si trascura d’altronde troppo il fattore psichiatrico: vediamo tutti i giorni in televisione degli isterici che pontificano e dei monomaniaci che sono visibilmente altrettanto caratteriali e squilibrati
(Alain de Benoist, pp. 4-5)

[A proposito dell’organizzazione Sleeping Giants, sostenitrice del politicamente corretto, della Cancel Culture, del linciaggio mediatico]
Di questi «giganti dormienti», attivisti dell’oltranzismo progressista, in Italia si parla ancora poco. Troppo poco, in relazione alla loro pericolosità e all’elevata probabilità di vederli presto entrare in campo in misura molto più incisiva, con il loro gioco a gamba tesa, per intensificare la già cospicua demonizzazione degli avversari. […]
Minacciati nella loro stessa esistenza, i media sotto attacco hanno finalmente reagito, concordando una azione legale. Ma c’è da scommettere che l’apparato informativo ufficiale ribalterà i ruoli nella vicenda e farà passare gli aggrediti per aggressori e questi ultimi per coraggiosi martiri della lotta per la tutela dei diritti dell’uomo. […]
Primo: l’efficacia del rullo compressore della omologazione al pensiero globalista oggi dominante si fonda innanzitutto sul ricatto, materiale o psicologico che sia. […] Secondo: questi ricatti – la patente di razzista o di omofobo assegnata a chi non si piega al coro ‘inclusivista’ – puntando a creare un complesso di inferiorità nei dissidenti e ad indurli a tenere le loro ragioni ed obiezioni ben chiusa nella sola cerchia delle frequentazioni più intime, se non addirittura in interiore homine (ove peraltro non a caso habitat veritas). Terzo: l’obiettivo finale del processo è la cancellazione dell’identità nelle coscienze individuali e in quella collettiva. È questo l’estremo baluardo a difesa della specificità dei popoli, delle culture -e persino dei sessi-, su cui per millenni si sono articolate la bellezza del mondo, la sua vitalità, la sua creatività, nelle più svariate forme a cui ogni aggregato umano ha saputo dare espressione.
(Marco Tarchi, pp. 1-3).

Jean-Claude Michéa dice assai giustamente che la cancel culture è il «complemento indispensabile del rullo compressore dell’economia liberale di mercato». La cancel culture non va intesa come «cultura della soppressione» quanto come soppressione della cultura. Leggendo le Tesi sul concetto di storia di Walter Benjamin, si cade su questa terribile frase: «Neanche i morti saranno al riparo dal nemico, se esso vince». [il grassetto è mio] Con la cancel culture, ci siamo. La caccia all’«inappropriato», colpevole di non rispondere alle norme dell’ideologia dominante, consente tutto, giustifica tutto. Screditare prima e far sparire poi tutto ciò che, da due o tre millenni, è stato prodotto, pensato, scritto, teorizzato, dipinto, scolpito, rappresentato, filmato , diventa possibile, dato che, frugando bene, si finirà per trovare ovunque tracce di «razzismo sistemico», «omofobia», «sessismo» e altre scempiaggini di moda.  […]
Chi svolge questo compito non ha mai accettato che la storia sia tragica, che la realtà possa essere compresa solamente nella complessità dei chiaroscuri. Sogna un mondo trasformato in safe place, in asilo per orsetti del cuore dai muri imbottiti. È il partito del neopuritanesimo punitivo, il nuovo partito iconoclasta (distruzione di statue) e persecutore, il partito della contrizione e dell’afflizione, del pentimento e della techouva.
(Alain de Benoist, p. 6).

Al Figaro Magazine si è verificato un episodio abbastanza simile quando mi è stato fatto notare che il mio anticapitalismo infastidiva gli inserzionisti. Si vede in tal modo che la normalizzazione ha soltanto cambiato forma: non si deportano più i dissidenti, li si condanna alla morte sociale; non li si fucila più, ma li si mette in disparte per ridurli al silenzio. Come nell’epoca sovietica, l’intellettuale può scegliere solo tra l’aderire alla doxa dominante o il restare fuori dal gioco: per sopravvivere, deve recitare ciò che ci si attende da lui. Personalmente provo soltanto disprezzo per quelli che antepongono i loro interessi alle loro convinzioni. Costoro non differiscono molto dai ‘pentiti’, contestatori da quattro soldi che hanno finito col coricarsi con delizia nel sistema della spettacolo, con i relativi privilegi e rendite vitalizie. E non sono nemmeno uno di quei prudenti professori universitari che dicono ciò che pensano solo una volta andati in pensione.
(Alain de Benoist, p. 5).

Il caso Matzneff
Matzneff ha 85 anni e il cancro: le anime belle, le anime indignate, diranno che se l’è meritato e che per i carnefici non è prevista la pietà. Sono le stesse che in Francia fino al giorno prima si sdilinquivano davanti alle intemperanze erotiche del marchese de Sade, che pure era un criminale patentato…[…]
È difficile dare torto a Matzneff quando osserva: «Se è normale bruciare quei miei libri in cui è descritto un passato d’amore poco ortodosso, esigo allora che vadano al rogo anche i libri di Anacreonte, Teocrito, Tibullo, Petronio, Luciano di Samosata, Djami, Kayyam, Aretino, Ronsard, La Fontaine, Baffo, Casanova, Pony, Sade, Laclos, Mirabeau, Byron, Baudelaire, Apollinaire, Gide, Colette, Sandro Penna, Nabokov, senza dimentica Hécate et ses chiens di Paul Morand. […]
Sulla ‘età del consenso’, per tornare al libro della Springora, l’età legale dell’amore, Matzneff non ha mai avuto dubbi e lo ha sempre sostenuto pubblicamente: andava abbassata, «quei quindici che speravamo il legislatore tramutasse in tredici». Ne scriveva allora in lettere aperte, sulle colonne di «Libération» e di «Le Monde» e a fianco della sua firma c’erano quelle di Sartre, Aragon, Roland Barthes, Simone de Beauvoir. Era il 1977, erano tutti pedofili? […]
Parliamo di letteratura. Matzneff è uno scrittore che rimarrà, per l’eleganza dello stile, per la cultura, per la varietà di interessi, di trame, di personaggi e insieme per il narcisismo e la sofferta verità che la continua esposizione di sé comporta, nel bene come nel male. […] Per i libri però non esistono sbarre, e non c’è prigione da cui prima o poi non riescano a evadere.
(Stenio Solinas, pp. 36-38)

Ordine
Non ho mai accettato l’idea destrorsa secondo la quale un’ingiustizia è meglio di un disordine. Un’ingiustizia è, per me, il più grande dei disordini.
(Alain de Benoist, p. 4).

Stati Uniti d’America
Il significato vero della propaganda di sinistra, con il suo universalismo umanitario o di quella di destra con il «prima gli italiani» è comunque e sempre «come vogliono gli americani».
Dovrebbe essere inutile, insomma, dire che questa non è un’alleanza ma una sudditanza in cui solo una delle due parti è libera e sovrana, perché chi non lo vede evidentemente non lo vuole vedere (pensare qui a tutto il sistema dei media occidentali è del tutto appropriato).
La prima cosa da fare sarà sbarazzarsi di quel simulacro di istituzione, burocratica, irresponsabile e asservita, che vive tra Straburgo e Bruxelles.
(Archimede Callaioli, p. 18)

In Afghanistan le truppe occidentali si ritirano dopo venti anni dalla guerra più lunga mai combattuta dagli Stati Uniti (e dai suoi alleati). […] In Iraq la guerra del 2004 contro Saddam Hussein fece precipitare il Paese e il Medio Oriente nel caos da cui vennero partoriti l’Isis e il fanatismo del terrorismo islamista. La guerra alla Libia del 2011 contro Mu’ammar Gheddafi ha devastato e ora spartito il Paese tra la Turchia neo-ottomana di Recep Tayyip Erdoğan e l’Egitto del generale Abdel Fattah al-Sisi. In Siria la guerra jihadista figlia anche dell’ingerenza occidentale ha distrutto un intero Paese, causando cinquecentomila morti e contribuendo all’instabilità generale del Mediterraneo.
Cosa l’Italia e l’Europa, direttamente o indirettamente coinvolte, abbiano avuto da guadagnare in questi interventi militari, è sotto gli occhi di tutti e sottolinea una volta ancora la necessità che il continente europeo miri al fine di emanciparsi dalla subalternità atlantica in un contesto geopolitico multipolare, favorendo reazioni internazionali multilaterali. Affermare la sovranità neutrale dell’Europa significa ritornare nella storia, assumersi la responsabilità della propria difesa, in alleanza continentale con chi punta alla costruzione di un mondo plurale, sostenibile, capace di ricomporre il divario tra cultura e natura, dato il suicida progetto della forma capitale di una crescita illimitata di una Terra finita.
(Eduardo Zarelli, p. 21).

Transumanismo
Nella prospettiva della «grande reinizializzazione» (il great reset) si mette all’opera una mutazione antropologica che mira a fare dell’uomo un individuo digitalizzato, connesso, retto da dispositivi tecnologici privi di pertinenza esistenziale, isolato per quanto possibile dai suoi simili, vivente in permanenza nel «distanziale» e nel virtuale. La vera Grande Sostituzione, quella dell’uomo da parte della macchina. Un transumanesimo tecnologico che, nelle attuali circostanze, va di pari passo con l’igienismo di Stato. Lo Stato terapeutico. Big Mother. La tabula rasa è la fine dell’uomo e il caos.
(Alain de Benoist, p. 6).

Vaccini
Il primo fatto inconcepibile è che l’Unione europea abbia stipulato con le aziende produttrici dei vari vaccini contratti che sono stati secretati. […]. Nel caso di stipulazione di contratti in cui la Commissione agisce come soggetto di diritto privato, in una materia di primario interesse pubblico, ma nella quale in nessun modo può configurarsi la necessità del segreto, con controparti a loro volta private, la decretazione è inconcepibile, in termini di diritto ma vorremmo dire anche dal punto di vista della pura decenza politica. Ma quando poi si sono (in parte) desecretati quei contratti, la cosa è apparsa anche peggiore.
Nei contratti non c’era, a carico dei fornitori, alcuna effettiva penale in caso di inadempimento, né una definizione stringente dei tempi delle prestazioni. […]
Di fronte ad un tale incredibile esempio di insipienza, noi ci rifiutiamo di pensare che di insipienza si tratti. Siamo troppo oltre. Per un comportamento di questo tipo, l’unica spiegazione è che chi ha contrattato non fosse in realtà libero di farlo, ma abbia dovuto accettare tutto quanto gli è stato proposto a scatola chiusa. Certo, «Big Pharma» non è una controparte arrendevole né priva di potere nel senso più forte della parola, ma Regno Unito e Stati Uniti hanno negoziato con le stesse aziende con risultati del tutto diversi. E allora, quale è la differenza tra Gran Bretagna, Stati Uniti d’America ed Unione europea? La differenza, semplicemente, sta nel godere o nel non godere di sovranità, nell’essere o meno padroni di se stessi.
(Archimede Callaioli, p. 17)

Agamben e il mucchio selvaggio

[Ho scritto questo articolo, uscito ieri su Aldous, insieme ad alcuni amici che sono anche colleghi. Un professore non filosofo che lo ha avuto in anteprima mi ha risposto che anche lui aveva «letto con raccapriccio il tanto banale quanto arrogante testo […] (che francamente mi ricorda i 150 del Mucchio Selvaggio contro Jack Beauregard nel mitico film “Il mio nome è Nessuno”)». Questo  il link alla scena ricordata dal collega 🙂 ]

Bullismo filosofico
Aldous, 17 ottobre 2021

Se gli oltre cento estensori del piccolo manifesto dal titolo Non solo Agamben avessero scritto un testo a favore delle politiche governative italiane sul Covid 19, a favore del lasciapassare sanitario, sarebbe stato un documento legittimo, per quanto non condivisibile. E invece hanno voluto attaccare in tanti una sola persona, un filosofo italiano molto noto, con argomenti -rispetto alla complessità delle tesi di Giorgio Agamben– sinceramente imbarazzanti. Ma la cosa grave non è il merito della questione, la cosa grave è il rivolgersi contro una persona priva di potere politico e accademico indicandola alla pubblica riprovazione. Un atto di bullismo, di violenza organizzata. Hanno formulato solo un nome, quello di Agamben appunto, e non – ad esempio – quello di Massimo Cacciari, che insieme ad Agamben ha redatto e pubblicato un documento che stigmatizza la logica, le radici, le implicazioni del green pass sanitario.
Forse perché Cacciari ha un potere mediatico e accademico che Agamben non possiede? Forse perché un documento senza nomi sarebbe stato in gran parte ignorato mentre il nome di Agamben, internazionalmente noto, attira l’attenzione di molti? Si tratta quindi di un atto di bullismo che ha come motivazione un fatto di marketing, di ascolto, di eco mediatica?
Un atto di bullismo condotto poi con ‘argomentazioni’ degne dei luoghi più culturalmente deprivati della Rete. Al centro del documento, ripetuto addirittura per due volte, c’è il paragone del lasciapassare sanitario con la patente di guida. Vale a dire si argomenta con serietà che una competenza tecnica precisa e circoscritta, il guidare un’automobile, sia la stessa cosa di un lasciapassare relativo all’inoculazione nel corpo di un vaccino. Ma non è neppure questo il punto centrale. Si pongono sullo stesso piano il divieto di guidare senza patente e il divieto di utilizzare treni e aerei; di frequentare concerti, cinema, musei, biblioteche, ristoranti, corsi universitari; il divieto soprattutto di lavorare, di esercitare cioè un diritto fondamentale, e quindi di vivere, di sopravvivere, di esistere. Vivere non è qualcosa di più ampio del guidare un’automobile? Qualcosa di più originario, fondante, essenziale? Un riduzionismo ‘automobilistico’ grave se adottato da chiunque, incredibile se sostenuto da professori universitari.
I filosofi firmatari non sono capaci di argomentazioni più profonde, più sottili, più inscritte nella complessità del mondo? Non solo: nel documento si afferma che i filosofi critici verso il green pass «rappresentano soltanto il loro punto di vista su questi temi». E che cos’altro dovrebbero rappresentare? Forse la verità assoluta della quale invece gli estensori del documento si ritengono evidentemente i portatori? Per loro non vale il fatto che ciò che hanno scritto rappresenti «il loro punto di vista su questi temi»?
Logiche e atteggiamenti escludenti come quelli che emergono da quelle righe non descrivono la complessità del mondo. La vita individuale e le esistenze collettive sono composte da sfumature, accenti, molteplicità. Da quel povero testo emerge una grande superficialità, che è un limite imperdonabile per chi si definisce filosofo.

Pierandrea Amato – Alberto Giovanni Biuso – Roberta Lanfredini – Davide Miccione – Valeria Pinto – Nicola Russo

[Versione in pdf dell’articolo]

Il testo è stato pubblicato anche su:
Corpi e politica
Girodivite.it
Il lavoro culturale (sottotitolo: Per un altro stile della critica filosofica: mai 100 contro 1)
Carmilla
 (con il video dell’audizione di Agamben al Senato)
Sinistra in Rete

«Ginnastica d’obbedienza»

Chi non si accorge della quotidiana «ginnastica d’obbedienza» (De André) che con la gestione politica dell’epidemia SARS-CoV-2 è in atto nelle società ‘democratiche’ (le altre sono abituate da secoli), vuol dire che è pronto alla servitù a tempo indeterminato.
La sua libertà sarà sempre una concessione delle autorità, sarà la libertà dei fascismi, e non sarà mai l’essenza stessa del respiro umano, lo splendore dello sguardo, il pensiero che comprende. Sarà la libertà della brava formica, la cui essenza è l’omologazione, il marciare compatti verso la meta, l’identità senza differenze, lo stare sempre dalla parte della maggioranza ‘buona e giusta’. Sarà il conformismo eretto a valore. Sarà la libertà che si genera dalla paura e non dal gesto che rompe le catene. Sarà, in effetti, la libertà che merita.
Raccontando la manifestazione di Roma del 9 ottobre contro il Green Pass, l’informazione asservita attribuisce a Forza Nuova centinaia di migliaia di aderenti, pur di calunniare i cittadini italiani. Come ha scritto ieri anche Vladimiro Giacché (un marxista e comunista doc): «Sento profumo di sineddoche indebita». E Marco Rizzo (segretario del Partito Comunista) ha correttamente affermato che «la lotta contro il Green Pass è giusta. Per questo vengono scomodati i fascisti che provocano e assaltano la sede della Cgil. Fenomeni da battere in quanto sono parte dello stesso problema. Non siamo nati ieri, la “strategia della tensione” la conosciamo bene. Molto bene».
Sono stato in manifestazione: cittadini di tutti i generi, famiglie, anziani, distinti signori, contro il Green Pass, per la libertà.
Credere alle veline delle questure, credere ai ministri dei temporali e della paura, significa essere pronti al fascismo, davvero. Un segnale ai miei occhi gravissimo è la trasformazione dei cittadini italiani in una massa di kapò incaricati di controllare altri cittadini. E si vorrebbe che persino i docenti universitari si piegassero a tale funzione.
La questione è politica sin dall’inizio. Anche per questo sono stato sin dall’inizio contrario alla narrazione dei governi e dei loro organi di informazione. E ogni giorno che passa sono sempre più convinto di tale scelta.
Per quanto riguarda i vaccini, se fossero efficaci e innocui, logica imporrebbe di lasciare liberi i cittadini di accedervi o meno. I vaccinati sarebbero sicuri, i non vaccinati sarebbero a rischio per loro scelta, per la loro incoscienza.
Ma, evidentemente, così non è.
Perché l’obiettivo non è la salute, l’obiettivo è il lasciapassare sanitario, l’obiettivo è il controllo totale del corpo collettivo. Per ora tramite l’epidemia ma, poi, molto oltre l’epidemia.

La lotta

Il sito Il Rovescio. Cronache dallo stato d’emergenza conduce delle inchieste e formula delle analisi da una prospettiva di classe, emancipatrice, libertaria. Analisi tanto più necessarie in un periodo storico caratterizzato dall’apologia quasi universale del controllo, della repressione, della violenza e del paternalismo dell’autorità nei confronti del corpo collettivo.
Sulla mobilitazione contro il lasciapassare. Primi appunti è il titolo di un articolo che sarebbe del tutto naturale definire di sinistra se questa espressione avesse ancora un senso. Diciamo che è un articolo che fa emergere il non detto della sostanza autoritaria, discriminatrice ed economicamente ineguale dell’emergenza sanitaria, delle politiche che essa veicola, degli scopi che giorno dopo giorno cerca di raggiungere.
Ne consiglio la lettura; riporto intanto alcuni brani e una versione in pdf (i grassetti sono miei):

Sulla mobilitazione contro il lasciapassare. Primi appunti
(1.8.2021)

Pdf dell’articolo

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Il pericolo del “fascismo” (tranquilli: la democrazia basta e avanza), non lo si vede nell’azione dello Stato e di una classe dominante che colpisce compatta, ma nelle presenze di estrema destra ad alcune manifestazioni contro il lasciapassare. Come se i passi avanti della potenza coercitiva dello Stato in nome della “salute collettiva” fossero “neutri” rispetto al conflitto di classe nel suo insieme; come se il silenzio-assenso sulla discriminazione sociale e lavorativa di chi non vuole vaccinarsi non oliasse la stessa macchina che attacca i lavoratori che resistono ai licenziamenti, i rivoluzionari, e tutte le lotte.

L’Emergenza ha spostato il conflitto sociale su terreni inediti, “politicizzando” i gesti più intimi, le scelte più quotidiane, quelle dimensioni apparentemente “private” e “soggiacenti” rispetto ai posizionamenti ideali (i corpi, il senso di sicurezza, la paura di morire, il rischio di ammalarsi e di ammalare). Decenni di foucaultismi più o meno d’accatto si sono infranti nell’urto con una gestione statale e tecnocratica che ha applicato fino in fondo, e per davvero, un programma “biopolitico”. Improvvisamente, per lanciare delle iniziative di lotta – e persino per discutere collettivamente –, bisognava rompere anche sul piano epistemologico.

Benché siano piazze – in Italia come nel resto del mondo – assai eterogenee, ci sono almeno tre punti che accomunano decine di migliaia di persone: l’opposizione all’obbligo vaccinale, senza se e senza ma; il rifiuto della discriminazione di chi non si vaccina; la questione delle cure domiciliari negate.

Bisogna assumere il conflitto anche sul piano epistemologico (mettendo in discussione la sostituzione dello sguardo medico con i modelli statistici, la criminalizzazione del non-vaccinato in quanto pericolo per la salute pubblica, la crescente digitalizzazione della sanità e delle terapie ecc.). Stesso discorso sulle cure domiciliari negate, questione scandalosamente tralasciata (con il paradosso che a denunciare la strage di Stato è per lo più gente di destra…).

Un esempio tra i tanti di come i tre punti sopra accennati si intreccino nella mobilitazione contro il lasciapassare, lo si può trovare in un volantino, distribuito qualche giorno fa durante una manifestazione, da un gruppo di lavoratrici e di lavoratori della sanità in Trentino:

«Da un anno e mezzo, notte e giorno, tutti i giorni per mesi abbiamo continuato a operare senza interruzione, in alcuni momenti, all’inizio della dichiarata pandemia in particolare, in assenza di indicazioni terapeutiche, in condizioni organizzative disastrose, senza presidi di salvaguardia sensati, con turni di 12 ore e oltre di lavoro. Allo sbaraglio a reggere l’onda di panico alimentata dalla stampa e senza il filtro naturale della medicina di base criminalmente disattivata.
Ebbene, allora non avevamo tempo e voce per parlare e eravamo eroi.
Oggi prendiamo la parola per ricordarvi che noi sappiamo curare e curarci, abbiamo capito e capiamo molte cose operando da dentro le strutture sanitarie e di assistenza. E siamo trattati da criminali quando affermiamo il diritto di ciascuno di scegliere le cure e le attenzioni per stare in salute che considera più efficaci.
Ritieni forse più attendibili i politici e i governanti che questo disastro hanno provocato devastando il sistema sanitario e gestendo la proclamata pandemia in stato confusionale, usando come unica arma la criminalizzazione di ogni opinione? Non hanno mai visto un malato e non hanno mai ascoltato noi. Ascoltiamo solo un grappolo di supposti esperti in eccitazione narcisistica che hanno il buon tempo di pontificare dagli schermi televisivi e dai giornali insultando e minacciando. Parlano sotto dettatura di chi della salute ha fatto una fonte inesauribile di profitto. […]
Noi stiamo affermando semplicemente, ma con determinazione che i nostri corpi come i vostri, le nostre persone come le vostre non sono di loro proprietà e meno che mai i nostri figli. Non siamo schiavi e non sopportiamo più il peso di questa oppressione in particolare ora, nel momento in cui ci si impone la segregazione generalizzata con un segno di discriminazione che ha i toni della persecuzione politico-religiosa contro chi non fa atto di fede in uno pseudo-vaccino con il famigerato green pass».

Senza esplosioni di rabbia, senza contrattacco, non usciremo dall’angolo. Non è solo la miseria che avanza, ma anche la disumanizzazione.

La stragrande maggioranza di chi scende in strada non avanza alcuna rivendicazione corporativa. Se si nota, la rappresentazione della “dittatura” è spesso affidata ai ritratti di Draghi, Figliuolo e Burioni. Il generale NATO, ad esempio, non c’entra nulla con aperture o chiusure di bar e discoteche, ma molto con la militarizzazione della sanità e con la “caccia ai renitenti”.

Se tra le parole d’ordine dei cortei e i motivi per cui la gente scende in piazza c’è spesso un certo scarto, quando non una rottura vera e propria, ci pare innegabile che la mobilitazione contro il lasciapassare abbia caratteri decisamente più universali di quella “Tu mi chiudi, tu mi paghi” (slogan corrispondente al grado zero della critica) dell’autunno scorso.
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Da un’altra prospettiva, il più recente intervento di Giorgio Agamben descrive anch’esso gli effetti devastanti dell’ossessione securitaria verso il Covid19-Sars2, la quale genera una massa di ipocondriaci e sociopatici, distrugge il legame sociale, trasforma la πόλις in un aggregato impaurito di atomi che si tengono reciprocamente a distanza. Non so quanto la via d’uscita indicata da Agamben sia praticabile ma certamente è significativa di ciò che sta accadendo e che probabilmente accadrà.

Una comunità nella società

L’Italia, come laboratorio politico dell’Occidente, in cui si elaborano in anticipo nella loro forma estrema le strategie dei poteri dominanti, è oggi un paese umanamente e politicamente in sfacelo, in cui una tirannide senza scrupoli e decisa a tutto si è alleata con una massa in preda a un terrore pseudoreligioso, pronta a sacrificare non soltanto quelle che si chiamavano un tempo libertà costituzionali, ma persino ogni calore nelle relazioni umane. Credere infatti che il greenpass significhi il ritorno alla normalità è davvero ingenuo. Così come si impone già un terzo vaccino, se ne imporranno dei nuovi e si dichiareranno nuove situazioni di emergenza e nuove zone rosse finché il governo e i poteri che esso esprime lo giudicherà utile. E a farne le spese saranno in primis proprio coloro che hanno incautamente obbedito.
In queste condizioni, senza deporre ogni possibile strumento di resistenza immediata, occorre che i dissidenti pensino a creare qualcosa come una società nella società, una comunità degli amici e dei vicini dentro la società dell’inimicizia e della distanza. Le forme di questa nuova clandestinità, che dovrà rendersi il più possibile autonoma dalle istituzioni, andranno di volta in volta meditate e sperimentate, ma solo esse potranno garantire l’umana sopravvivenza in un mondo che si è votato a una più o meno consapevole autodistruzione.

17 settembre 2021
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«Studenti dell’Università di Catania contro la deriva autoritaria»

L’iniziativa e il testo che segnalo testimoniano ciò che constato ogni giorno: se ci sono studenti chiusi nel proprio «particulare» o interamente rintronati dalla Società dello Spettacolo, ne esistono altri -e sono numerosi- il cui studio non si limita alla raccolta di CFU e al nozionismo ma diventa parte delle loro vite, come è del tutto ovvio e necessario che sia se lo studiare ha un senso.
Non importa quanto questa di Catania e le altre analoghe iniziative che si stanno svolgendo in tutta Italia incideranno sul decisore politico e amministrativo, che sembra tetragono a ogni critica e proposta. L’importante è che la libertà scenda ancora in piazza, con motivazioni articolate e razionali quali sono quelle che emergono dal documento degli «Studenti dell’Università di Catania contro la Deriva Autoritaria» che presenta una manifestazione organizzata per oggi, sabato 21 agosto 2021, alle 18.00 in Piazza Stesicoro a Catania.

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Care studentesse e cari studenti universitari,
oramai un intervallo temporale dalla già inaspettata dimensione di 528 giorni ci separa da quel fatidico 9 Marzo 2020, data che ha sconvolto inesorabilmente le nostre vite, introducendoci a nuove terminologie, concetti, abitudini, paure ma che, soprattutto, ha operato una cesura nello svolgimento del nostro percorso universitario, il quale si configura come un percorso formativo globale dai connotati universali, coinvolgendo tanto la sfera formativa professionale quanto quella individuale nell’ambito delle tante sfide, confronti, emozioni ma anche sane difficoltà cui ogni studente si sottopone.

Altresì, la data del 6 Agosto 2021 rappresenta non solo una cesura della vita democratica che ogni Paese civile dovrebbe garantire, ma anche una lacerazione del Patto di Lealtà alla base del rapporto tra i Cittadini e le Istituzioni, culminata nella pubblicazione in Gazzetta del d.l n°105/2021, il quale estende l’uso del dispositivo denominato “Green Pass” alla vita universitaria e scolastica.

In un quadro epidemiologico in fase di stabilizzazione e decrescita costante dal Marzo 2021, salvo una lieve tendenza al rialzo dell’ultimo periodo per via della maggiore mobilità, caratterizzato da sempre da un impatto clinico moderato nella nostra fascia di età, secondo i rilievi dell’Istituto Superiore di Sanità, si è introdotta una misura fuori da ogni ragionevole principio di proporzionalità, travalicando l’aspetto scientifico dal quale vorrebbe trarre spunto per migrare verso lidi di natura esclusivamente politica.

In particolare, pur recependo il Regolamento UE 2021/953 e 2021/954, come testimonia l’articolo 4, comma 2 del suddetto decreto, e la Risoluzione del Consiglio Europeo del 14 Giugno 2021, che assicurano la tutela dei cittadini sprovvisti di Green Pass da ogni forma di discriminazione, tale dispositivo introduce l’obbligo surrettizio alla vaccinazione, venendo meno a quanto stabilito dagli articoli 16, 32 e 77 della nostra Costituzione.
Nondimeno, l’introduzione del Green Pass rappresenta un precedente giuridico e burocratico dai risvolti e dalle prospettive del tutto ignote, ponendo in serio pericolo l’equità democratica salvaguardata dalla Carta Costituente, in ottica di medio e lungo termine.

In tale contesto, la comunità degli studenti universitari è chiamata a individuare e neutralizzare tutti i fenomeni che pongono una grave ipoteca verso un futuro libero e virtuoso, foriero di prospettive per il nostro Paese.
D’altronde, la vita universitaria è sempre stata una roccaforte del confronto democratico ed un laboratorio di idee capace di porre le basi per la proiezione della società nel futuro.
La nostra è una Voce forte, compatta e coerente e si incarica di ripudiare la pericolosa deriva autoritaria in atto, attraverso tutti gli strumenti che la Cultura ci fornisce.

La fede

Il Cristianesimo è stato sin dalle origini dilaniato da lotte tra fazioni, alcune chiamate ortodosse e altre definite eretiche. Attualmente esso è diviso in tre grandi correnti -cattolicesimo, protestantesimo, ortodossia- e una miriade di chiese e teorie. L’Islam è diviso tra sunniti e sciiti in feroce guerra tra di loro e all’interno dei quali operano gruppi religiosi e pratiche teologico-politiche assai diverse. E tuttavia la fede in Dio del bravo cristiano e la fede in Allah del bravo musulmano non vengono scalfite in nulla da tali divergenze.
Lo stesso vale per i fedeli nei vaccini e -in generale- nella narrazione dei governi e dei media più potenti sull’epidemia SARS-CoV-2.
Le profonde divergenze tra medici, biologi, ricercatori; le strategie assai diverse degli stessi governi; i gravi e numerosi punti oscuri della vicenda sin dal suo originarsi e nei suoi sviluppi; una concezione assolutamente riduttiva e volgarmente positivistica della salute, come se la solitudine, l’allontanamento dai propri cari, la distruzione dei legami sociali, la perdita del lavoro, la catastrofe economica, l’angoscia, non fossero cause scatenanti di gravi malattie che non vengono più diagnosticate, non sono curate o lo sono in ritardo, vengono lasciate alla loro opera di morte; la realizzazione di enormi profitti da parte delle multinazionali del farmaco; la miriade di fatti che smentiscono la teoria o la pongono in dubbio (fatti per discutere la cui rilevanza devo rimandare alle ormai centinaia di pagine che ho scritto sull’argomento, alcune delle quali si leggono sia in questo sito [sezione Brachilogie] sia in Corpi e politica e Girodivite); gli altrettanto numerosi elementi che dovrebbero suggerire almeno prudenza, tutto questo non può scalfire quella che è diventata ormai una fede, che per di più pretende di presentarsi come una scienza e che in nome di questo scientismo fideistico disprezza gli infedeli, li discrimina giuridicamente e civilmente, li condanna al silenzio o -se non può- cerca di demolirne le figure, invece di rispondere seriamente e nel merito delle riflessioni critiche.
I mezzi utilizzati sono infatti per lo più il principio di auctoritas, l’argomento ad personam, il terrore. E tutto questo immerso in una dimensione di vera e propria superstizione che vede pericoli e criminali dappertutto, testimoniata dall’utilizzo e dalla diffusione di aggettivi come «sorci» e «irresponsabili», di etichette sbrigative, mediatiche e cumulative quali «negazionisti», «complottisti», «novax». Etichettare il nemico in una formula che annulla differenze e complessità è un’antica strategia che è l’esatto contrario di ogni esercizio di razionalità.
Mentre si moltiplicano i video di persone che fanno mostra di grande «pentimento» (lessico ancora una volta religioso) per non essersi inoculate il vaccino, non vedremo mai piangere in televisione o sulla Rete le centinaia di migliaia di cittadini affetti da tutte le possibili malattie (compresi i tumori) che in questo anno e mezzo non sono stati curati e molti dei quali hanno perso la vita. La miseria delle televisioni e dei giornali è una conferma di ciò che scrisse Guy Debord a proposito dei «mediatiques», i quali hanno «toujours un maître, parfois plusieurs», giornalisti che hanno sempre un padrone e a volte più di uno (Commentaires sur la société du spectacle, Gallimard, 1992, § VII, p. 31).
Il terrore, la menzogna e l’odio dilaganti descrivono una dinamica identica a quella che ha sempre guidato ogni tendenza oscurantista, nemica delle scienze, della filosofia e delle libertà. Una dinamica fideistica basata su e rivolta a un disperato bisogno di salvezza. Possono mutare le forme sacerdotali e i contenuti dei dogmi ma la fede è immortale ed è probabilmente un dato antropologico.

[Questo articolo è stato pubblicato in Girodivite e Corpi e politica]

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