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Il crepuscolo dell’Europa

Qualunque sarà l’esito della fluida e anche un poco grottesca situazione politica italiana nella primavera del 2018, quanto avvenuto dal 4 marzo in poi ha mostrato con chiarezza a che cosa il dominio della burocrazia finanziaria dell’Unione Europea ha ridotto non soltanto l’Italia ma l’intera Europa.
Se infatti in 24 anni di berlusconismo nessun ministro indegno, corrotto, mafioso, soubrette, è stato respinto  dai Presidenti della Repubblica italiana,  alla sola prospettiva di ministri che potessero difendere l’Italia in Europa, Sergio Mattarella ha opposto un rifiuto che ha aperto una crisi politica e istituzionale molto grave e senza precedenti. Una crisi che ha certamente delle motivazioni interne ma che mi sembra chiaramente eterodiretta.
È ormai evidente il fatto che l’Italia non è un Paese sovrano, come non lo è la Grecia e come non lo sono i Paesi che compongono un’Unione nata male e gestita con criteri autocratici -come rileva Jean-Luc Mélenchon– e volti alla integrale sottomissione agli Stati Uniti d’America. È ormai evidente il fatto che molti governi non vengono scelti dalla maggioranza dei cittadini europei ma da altri poteri.
Per quanto riguarda nello specifico l’Italia, è evidente il fatto che forze antidemocratiche non possono e non vogliono permettere che nella ‘stanza dei bottoni’ entrino soggetti che non siano proni al sottobosco delinquenziale della politica italiana, all’oligarchia dell’Unione Europea, al controllo degli USA.
Naturalmente anche il Movimento 5 Stelle ha le sue contraddizioni, i suoi limiti, i suoi arrivisti, i suoi corrotti. Che un movimento politico -composto da alcune decine di migliaia a milioni di persone- sia puro è poco sensato sperarlo e  pretenderlo. Non esiste purezza nella cosa pubblica, esistono gradi diversi di corruzione. Alcune tollerabili, altre che oltrepassano il segno e diventano un fattore di distruzione del corpo sociale. Chi è arrivato a quel segno ha molto da nascondere e fa di tutto per impedire che movimenti e soggetti meno criminali vedano dall’interno -dalla ‘stanza dei bottoni’ appunto- i risultati della sua azione.
Quanto sta accadendo è anche una prova evidente del fatto che Mattarella paga il suo debito con Matteo Renzi, il quale lo volle al Quirinale e che non vuole in alcun modo il M5S al governo. Nel suo discorso del 28 maggio, infatti, Mattarella ha affermato di nutrire delle «perplessità su un Presidente del Consiglio non eletto in Parlamento». Ma fu proprio Renzi a diventare Presidente del Consiglio pur non essendo stato eletto in Parlamento. Una simile ‘perplessità’, fondata sulla certezza che gli italiani non abbiano memoria e non capiscano nulla di politica, mi offende profondamente come cittadino e come studioso, tanto più che dieci minuti dopo questa dichiarazione Mattarella ha convocato Carlo Cottarelli, non eletto da nessun italiano e sostenuto soltanto dal Partito Democratico, pesantemente sconfitto alle elezioni politiche.
Il comportamento dell’attuale inquilino del Quirinale non è certo una novità in politica e nella storia. Ha un nome antico e ritornante. Si chiama tradimento. Se non è infatti un tradimento della democrazia impedire la nascita di un governo sostenuto dalla maggioranza parlamentare, che cosa vuol dire la parola ‘tradimento’? 1
Il discorso con il quale Mattarella ha cercato di giustificare le proprie decisioni entra nel merito delle opinioni dei ministri proposti, cosa del tutto fuori legge, ed è -di fatto- un discorso da Presidente del Consiglio e non da Presidente della Repubblica. Secondo la nostra Costituzione il governo non è scelto dal Quirinale ma dalla maggioranza parlamentare, frutto di un un voto popolare che si può certamente non condividere ma che va rispettato. Un esito, tra l’altro, frutto di una legge elettorale imposta dal Partito Democratico a colpi di voti di fiducia e da Mattarella promulgata senza fiatare nel novembre del 2017.
Non a caso il discorso di Mattarella ha sùbito ottenuto l’entusiastico sostegno di chi ha condotto l’Italia al massacro sociale -il Partito Democratico- e la benevolenza di Silvio Berlusconi e probabilmente -al di là delle affermazioni pubbliche- dello stesso Salvini, che spera di ottenere da nuove elezioni il controllo dell’intera destra e, con essa, del governo. Un discorso che attribuisce alla Presidenza della Repubblica poteri che la Costituzione esclude. Un discorso che si fa garante dell’oligarchia da nessuno eletta dell’Unione Europea, vera nemica dell’Europa e dei suoi interessi economici e geostrategici.
La prova sta nell’incarico dato a Cottarelli di formare un governo esplicitamente avverso alla volontà espressa dal corpo elettorale. Cottarelli del quale Wikipedia dice, tra l’altro, che ha lavorato per il Fondo Monetario Internazionale, che «nel novembre 2013 è stato nominato dal Governo Letta Commissario straordinario per la Revisione della spesa pubblica», che dal «1° novembre 2014, su nomina del Governo Renzi, è diventato direttore esecutivo nel Board del Fondo Monetario Internazionale».
Il Curriculum giusto per proseguire nel massacro sociale, contro i lavoratori, contro la scuola, contro l’Università, contro i servizi sanitari, contro la democrazia, contro il voto degli italiani. Un CV adatto a fare gli interessi delle oligarchie politiche e finanziarie dell’Unione Europea. Come affermano i comunisti di Potere al Popolo, «si conferma ciò che dovrebbe essere chiaro da tempo: la UE, le sue regole, i suoi trattati sono un colpo di stato permanente contro la nostra Costituzione. Rompere con essi è sempre di più un dovere democratico. Noi di Potere al Popolo, come nostro sacrosanto diritto, ci preparavamo a opporci al governo Salvini Di Maio per il suo programma e per la sua linea politica, opposti alla nostra. Ora diciamo con altrettanta fermezza che siamo contro Mattarella e il suo atto gravissimo e che intendiamo lottare per una democrazia senza sovranità limitata e senza presidenti della repubblica che, invece essere garanti di una repubblica parlamentare, si ergano a difensori dei risparmiatori, cioè di banche e finanza».
Giuseppe Conte indicato da una maggioranza parlamentare no. Carlo Cottarelli voluto dalle oligarchie dell’Unione Europea, dagli USA, da Berlusconi sì. Nella postmodernità non c’è bisogno di marce su Roma. È tutto molto più soft.
Che partiti nati dalla sinistra e persone che si credono di sinistra difendano una delle più feroci burocrazie finanziarie, responsabile del massacro sociale dell’Europa, conferma che il progetto di emancipazione nato con Karl Marx e con le lotte dei lavoratori è finito. Gli eventi italiani diventano così paradigmatici della direzione autoritaria verso la quale il nostro Continente si muove.
Prima tolsero valore al voto degli elettori del M5S ma non mi importava, non voto per il M5S.
Dopo tolsero valore al voto degli elettori della Lega ma non mi importava, non voto per  la Lega.
Poi ancora tolsero valore al voto degli elettori di Forza Italia ma non mi importava, non voto per Forza Italia.
E tolsero valore al voto degli elettori di Liberi e Uguali ma non mi importava, non voto per Liberi e Uguali.
Tolsero valore anche al voto degli elettori del Partito Democratico ma non mi importava, non voto per il Partito Democratico.
Infine tolsero direttamente il diritto di votare. Ma mi ci ero abituato.
Il popolo, si sa, è ignorante e incapace. Che i governi vengano scelti da raffinati banchieri e da presidenti prudenti. Torniamo alle oligarchie. Anzi ci siamo già tornati in questo crepuscolo dell’Europa.
«The markets and a ‘darkened’ outlook will teach Italy’s voters not to vote for populist parties in the next elections. […] I can only hope that this will play a role in the election campaign» (Dialogo tra Bernd Thomas Riegert e Günther Hermann Oettinger, ministro dell’Unione Europea al bilancio e alle risorse umane, 29.5.2018).

Nota
Sulla questione -delicata e importante- della correttezza costituzionale di Mattarella, non è vero quanto affermato dal mainstream mediatico sulla ‘maggioranza dei costituzionalisti italiani’ che ne avrebbe approvato il comportamento. Si tratta della ‘maggioranza dei costituzionalisti italiani di area PD’, come da molti è stato rilevato.
Propongo qui, per chi fosse davvero interessato e abbia un poco di tempo, la lettura di un documento assai lucido e argomentato, che mi è stato inoltrato da un collega il quale lo ha ricevuto da un costituzionalista il cui nome è preferibile non indicare, visto che non è ancora ordinario della disciplina e che dunque -lo so, è amaro dirlo- potrebbe subire delle conseguenze negative a causa delle sue opinioni: Sul caso Mattarella.

Siria

Gli Stati Uniti d’America, il più pericoloso stato terrorista del mondo, hanno bombardato stanotte la capitale della Siria, uno stato sovrano a migliaia di chilometri dalle loro coste. A collaborare all’attacco sono state le colonie Regno Unito e Francia. La Turchia di Erdogan e Israele hanno approvato con entusiasmo l’attacco.
Aerei sono partiti anche dalla base catanese di Sigonella. E ciò in spregio dell’articolo 11 della Costituzione repubblicana: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
Voi che vi siete bevuti le menzogne sulle armi di distruzione di massa dell’Iraq, sulla Libia, sull’Afghanistan, non siete ancora abbastanza ubriachi? Un poco di razionalità non guasterebbe.
Razionalità e competenza mostrate da una testimonianza del generale italiano Leonardo Tricarico, così come riportata in una mail che ho ricevuto da Marco Tarchi e Giuseppe Ladetto:

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Caro professore, riporto qui in appresso (con parole mie ma cercando di essere il più fedele possibile a quanto ascoltato) l’intervento in Omnibus di questa mattina (14/4/2018) del generale Leonardo Tricarico (già Capo di stato maggiore dell’aeronautica militare e Presidente dell’Unità di crisi) sui fatti siriani.

In questi sette anni di guerra civile in Siria, mai le forze armate di Assad hanno fatto uso di gas, ma si è sempre trattato di messe in scena o di azioni delle forze ribelli che, dopo palesi sconfitte, hanno cercato, talora riuscendoci, di provocare interventi militari da parte degli occidentali. L’azione franco-anglo-americana di questa notte è stata una sceneggiata senza significative conseguenze sul piano militare, più che altro un atto rivolto all’opinione pubblica interna, ma che sul piano internazionale appare come una manifestazione di debolezza perché non collocata in una qualche strategia di lungo periodo. Inoltre, i russi hanno facilmente ironizzato sull’impresa dichiarando che nessun missile occidentale è entrato nell’area da essi controllata: sono bastate le difese antimissilistiche siriane (vecchie di trenta anni) per abbattere un terzo dei missili in arrivo.
Alla osservazione un po’ preoccupata del conduttore, tesa a ridurre queste parole a semplice opinione, il generale Tricarico ha ribadito che non si tratta di un’opinione: infatti lo rivela in primo luogo la logica del cui prodest per la quale nessuno, dopo aver già conseguito il successo, mai avrebbe fatto uso di gas che gli si sarebbe ritorto contro; in secondo luogo, l’esame obiettivo dei fatti relativi ai precedenti presunti attacchi con gas da parte siriana rivela che le accuse ad Assad non reggono come pubblicato da una ricerca del Mit di Boston.
In seguito, commentando le parole di un giornalista che lamentava la totale assenza dell’Italia nello scenario mediorientale, il generale Tricarico ha detto che si tratta di un’affermazione parziale perché le forze armate italiane sono quelle (fra i paesi dell’UE) con il maggior impegno nell’area (Afganistan, Iraq, Libano, Kosovo, Libia, Niger); tuttavia a fronte di tale impegno, gli Usa non danno nulla in cambio, ed è qui sul terreno politico che il Paese è in difetto.

Cordiali saluti,
Giuseppe Ladetto

Ministero della Verità

In una mattina di aprile dell’anno che forse è il 1984, Winston Smith torna a casa e comincia a scrivere i propri pensieri in un quaderno che ha da poco acquistato. Questa è la sua colpa, lo psicoreato che aveva già cominciato a commettere e che adesso è dimostrato dalla sua stessa scrittura. Winston Smith vive, infatti, in Oceania, uno dei tre stati sovracontinentali nati dalla guerra atomica degli anni ’50. Winston lavora presso il Ministero della Verità, il cui compito è la falsificazione sistematica e la creazione di documenti che modifichino il passato. Infatti, «chi controlla il passato, controlla il futuro; chi controlla il presente, controlla il passato» (Orwell, 1984, Mondadori 1998, p.  260).
Lo psicoreato esiste negli anni Dieci del XXI secolo e si chiama politically correct. Esso è l’impossibilità di criticare dogmi etico-politici più o meno sensati, pena conseguenze anche sulle carriere. Esso è la disinformazione della quale parla il § XVI dei Commentari alla Società dello Spettacolo di Debord: una mescolanza di vero e di falso sempre funzionale agli interessi di chi governa. Non dimentichiamo, infatti, «che i grandi media che oggi si vantano di ‘decodificare’ le fake news degli altri, sono sempre stati i primi a rilanciare le menzogne di Stato, dalle ‘armi di distruzione di massa’ di Saddam Hussein al presunto ‘carnaio’ di Timisoara» (De Benoist, Diorama Letterario 340, p. 11).
Il politicamente corretto è l’altro nome dell’ideologicamente conforme, il quale diventa esplicita e ignorante censura in iniziative come quelle che hanno impedito lo svolgimento nello scorso febbraio di un dibattito su destra e sinistra promosso dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano con la partecipazione, tra gli altri, di Alain de Benoist. Attribuendo a questo filosofo tesi da lui mai sostenute, alcuni intellettuali (?) e giornalisti italiani hanno ottenuto la provvisoria cancellazione dell’iniziativa. «Affermano di voler difendere la democrazia e ne smantellano le fondamenta» (Tarchi, DL, p. 3). Costoro utilizzano anche «l’ingenuità, la rozzezza e la stupidità politica degli sparuti apologeti di dittature passate che non hanno conosciuto per rafforzare le premesse della dittatura del futuro, che si sforzano di trapiantare nel presente a suon di divieti, discriminazioni e punizioni» (Ibidem). La stupidità è per definizione stupida. Il risultato di quella improvvida richiesta di censura è stata infatti la sala strapiena della Fondazione Feltrinelli quando il dibattito si è poi svolto, lo scorso 6 aprile 2018.
Durante la recente campagna elettorale italiana, gruppi di miserabili e ininfluenti nostalgici come CasaPound e Forza Nuova sono stati gli alleati di una sinistra perduta che si sente viva quando agita «uno spauracchio che si pensa possa farle riguadagnare consenso e sostegni fra un certo numero di simpatizzanti e militanti ormai caduti in preda alla delusione» (Tarchi, DL, p. 19).
Contro il vero fascismo contemporaneo, che è l’ultraliberismo il quale moltiplica le guerre, strangola le economie  e cancella i diritti sociali, non si attua una mobilitazione neppure lontanamente paragonabile alle manifestazioni che hanno regalato per qualche giorno audience e dignità politica agli esigui nostalgici di Mussolini. E invece è contro gli Stati Uniti d’America che bisognerebbe mobilitarsi senza tregua, contro un sistema che -secondo l’analisi del giornalista francese di TF1 Michel Floquet- è inguaribilmente razzista, ferocemente diseguale, fanaticamente bellicista, mortalmente inquinante. Una nazione che è «la più grande prigione al mondo. In America, un adulto su cento si trova in carcere. E un prigioniero su quattro, nel mondo, è americano» (Virgilio, DL, p. 27); secondo Floquet «la democrazia e la libertà delle quali godrebbero tutti i cittadini statunitensi senza distinzione di razza, di sesso, di religione, non sono altro che una finzione, ‘un meraviglioso esempio di doppiezza e di ipocrisia’» (Id. DL, p. 26), come conferma una documentata e dolente analisi di Santo Barezini sul numero 422 di A Rivista anarchica: «Schiavi del XXI secolo».
Rispetto all’uniformismo dei padroni del mondo, sarebbe opportuno applicare la difesa della biodiversità anche alla «diversità dei popoli, nonché a quella delle lingue e delle culture che sono ad esse associate» (De Benoist, DL, p. 5; sulla questione linguistica si vedano anche i testi miei e di Dario Generali: Parola) cercando almeno di rallentare la distruzione della Terra e delle sue fonti di vita, attuata da una forma politico-economica del tutto indifferente alle leggi della natura e alla limitatezza delle risorse. Questo infatti «dimostra il secondo principio della termodinamica e la legge dell’entropia nell’assoluta indifferenza da parte di sociologi, economisti e scienziati della politica, nonostante la messa in guardia fornita dalla teoria della complessità di Edgar Morin e dalle acquisizioni di Ilya Prigogine sulle ‘strutture dissipative’» (Zarelli, DL, p. 22).
Come dimostra Orwell, il Ministero della Verità è anche sede della menzogna più profonda.

Manifesti patriottici

Tre manifesti a Ebbing, Missouri
(Three Billboards Outside Ebbing, Missouri)
di Martin McDonagh
USA – Gran Bretagna, 2017
Con: Frances McDormand (Mildred Hayes), Woody Harrelson (lo sceriffo Bill Willoughby), Sam Rockwell (l’ufficiale Jason Dixon), Caleb Landry Jones (Red Welby)
Trailer del film

Una ragazza è stata stuprata, uccisa, bruciata. Le indagini non approdano a nulla. Dopo sette mesi la madre decide di affiggere dei grandi manifesti per chiedere allo sceriffo e alla polizia le ragioni di questo stallo. Sui manifesti compaiono tre frasi: «Raped while Dying; And still no arrests?; How come Chief Willoughby?» L’iniziativa di Mildred Hayes suscita le reazioni più diverse, portando alla luce il cuore nero di Ebbing, piccola città del Missouri, Stati Uniti d’America.
La violenza della polizia, la sua micragnosa e intollerante visione dell’umanità: «Se dovessimo cacciare tutti i razzisti dalla polizia, rimarrebbero tre poliziotti che odiano i froci». L’autoironia dello sceriffo, la sua profonda umanità, l’idea di scrivere delle lettere che conteranno molto nella vicenda. E questo riscatta la violenza della polizia. Tra i più stupidi e fanatici poliziotti ce n’è uno -Dixon-, la cui violenza rimane impunita ma che all’improvviso muta comportamento, anche in seguito alla lettera che gli indirizza lo sceriffo e nella quale legge: «Tu alla fine sei una brava persona; quello che ti manca per diventare un buon detective è l’amore».
La determinazione impassibile e insieme appassionata della madre (una straordinaria Frances McDormand) la conduce a esigere tenacemente giustizia ma anche a farsi giustizia da sé, chiedendo la sospensione dei diritti civili pur di arrivare all’assassino della figlia. Una riproposizione al femminile dell’epopea individualista e armata del Far West, quella che si fonda sul calvinismo che diede origine a questa Nazione e che spiega perché mai gli statunitensi non vogliano alcun controllo sulla vendita e sulla detenzione delle armi, nonostante il moltiplicarsi delle stragi.
Le famiglie di Ebbing, una piccola comunità lontana da ogni orizzonte e culturalmente deprivata, mostrano -anche con un costante turpiloquio- la brutalità che le intride, le perversioni che le animano, la totale incapacità educativa. Eppure alla fine appaiono persone simpatiche, da comprendere nei loro limiti, da giustificare -nel senso anche luterano- di fronte al destino.
Una disperazione sottile e profonda permea i movimenti e le menti di questi statunitensi. Lo sceneggiatore e regista la fa emergere in molti modi. E tuttavia il senso complessivo del film è questo: «Our Country! In her intercourse with foreign nations may she always be in the right; but right or wrong, our country!» (Stephen Decatur, 1820).
Un bel film dunque, narrato assai bene ma anche profondamente patriottico e propagandistico. Come sapeva il Duce degli italiani, il cinema è l’arma più potente.

Disarmonie cristologiche

Miss Sloane
di John Madden
USA, 2016
Con: Jessica Chastain (Elizabeth Sloane), Alison Pill (Jane Molloy), Mark Strong (Rodolfo Schmidt), Gugu Mbatha-Raw (Esme Manucharian), Jake Lacy (Forde), Sam Waterston (George Dupont), Michael Stuhlbarg (Pat Connors), John Lithgow (Ron M. Sperling)
Trailer del film

Può Hollywood produrre un film che mette in discussione alcuni dei fondamenti su cui si basa l’esistenza di Hollywood? No, naturalmente non può. E allora anche nei film più critici verso il sistema statunitense è sempre presente la capacità di quel sistema di correggersi e di punire coloro che ‘sbagliano’.
Nonostante tali limiti inevitabili, la vicenda e la figura di Miss Elizabeth Sloane mostrano una profondità involontaria che va molto oltre il contesto sociale e finanziario della trama.
Sloane è infatti una lobbista, forse la migliore in circolazione. Il suo mestiere consiste nel convincere deputati e senatori a sostenere una proposta di legge o a respingerla. Gli interessi finanziari sono naturalmente enormi. E così la nostra professionista è capace, ad esempio, di spacciare per garanzia del futuro dell’Indonesia una legge che in realtà distrugge l’ambiente e l’economia indonesiane, a vantaggio delle multinazionali statunitensi.
Quando però a chiedere i suoi servigi sono i produttori di armi, che vogliono affossare una proposta tesa e regolamentarne l’acquisto -come è noto, negli USA sostanzialmente a portata di chiunque senza neppure dover mostrare un documento di identità- Miss Sloane si rifiuta e addirittura passa dalla parte dei sostenitori della limitazione del Secondo emendamento, quello che appunto ritiene diritto inalienabile di ogni cittadino USA detenere le armi che più gli aggradano.
La lotta sembra, ed è, impari ma Elizabeth Sloane possiede gli strumenti interiori e una determinazione comportamentale che vanno molto al di là dei suoi personali limiti, della sua solitudine, del suo bisogno di farmaci, della sua incapacità di dormire. «Mi hanno assunta per vincere e userò qualsiasi risorsa a disposizione», dove il ‘qualsiasi’ è da riferire alle persone, da intendere nel senso che è pronta a farne qualsiasi cosa. E questo vale anche quando la persona è lei stessa.
Il metodo e insieme l’ossessione di questa donna è la sorpresa, è l’invenzione di qualcosa che i suoi avversari come anche i suoi alleati non possono nemmeno immaginare e che condurrà a un efficace colpo di scena, sapientemente costruito sin nei minimi particolari.
Ma ciò che conta qui non è il plot, la vicenda tante volte trattata della corruzione che pervade le istituzioni, la società, l’economia degli Stati Uniti d’America. Ciò che conta non è la natura infame di quella società ma la metafora cristologica di un personaggio che assume su di sé le colpe del mondo e lo conduce a redenzione. Questa è la vera sorpresa del film, incarnata assai bene da una Jessica Chastain tanto fredda quanto lacerata. La scena nella quale -in completa solitudine- lancia un urlo e spazza ogni documento dalla scrivania è l’analogo di «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia volontà, ma la tua» (Lc., 22,42). Non a caso in una scena viene citato un altro brano del Vangelo di Luca. Così come una delle più strane e struggenti telefonate intercorse tra Sloane e il personaggio che si rivelerà decisivo per l’intera vicenda è la trasposizione del «quello che devi fare fallo al più presto» che Gesù rivolge a Giuda Iscariota (Gv., 13,27).
Cristologia disarmonica perché ciò che caratterizza tutti e ciascuno dei personaggi del film -emblema di un’intera società- è l’eccesso delle vite, l’assillo calvinista del successo, il tormento del riconoscimento spettacolare al quale si riduce ogni desiderio, principio, esistenza, volontà.

Schmitt

Carl Schmitt
Terra e mare
Una riflessione sulla storia del mondo

(Land und Meer. Eine weltgeschichtliche Betrachtung, 1942)
Traduzione di Giovanni Gurisatti
Con un saggio di Franco Volpi
Adelphi, 2002
Pagine 149

Uno dei fatti che meglio esprimono la presunzione della specie umana consiste, secondo Nietzsche, nel chiamare «la sua storia, storia del mondo» (Umano, troppo umano II, af. 12). I pochi ma potenti tratti con i quali Carl Schmitt delinea la storia dell’umanità si sottraggono, almeno in parte, a questo rimprovero. Essi, infatti, coniugano la nostra storia con i grandi elementi della terra, dell’aria, dell’acqua, del fuoco.
L’uomo è un animale terrestre che chiama Terra un pianeta composto per tre quarti dall’elemento liquido e «la storia del mondo è una storia di conquiste di terra» (pag. 76). E tuttavia il mare ha rappresentato per numerose popolazioni ed epoche la dimensione decisiva dell’esistenza, tanto che la storia del mondo può essere definita anche come «la storia della lotta delle potenze marittime contro le potenze terrestri e delle potenze terrestri contro le potenze marittime» (18). L’animale più grande -la balena- e quello più furbo –l’uomo- hanno avuto nel mare lo spazio di uno scontro millenario. Sono state le balene e i balenieri ad aprire le rotte e le vie d’acqua più sconosciute e ardite, fino a quando tra di loro il rapporto è stato paritario, fino a che non sono apparsi i «macellai di balene meccanizzati» (35).

A partire dalle civiltà del Mediterraneo orientale sino a Lepanto (1571), le battaglie navali non furono altro che scontri di fanteria trasferiti sulle tolde delle navi, ma già dalla sconfitta della Armada spagnola nella Manica (1588), con le bocche di fuoco dei cannoni e con i nuovi agili velieri inventati dagli olandesi, lo scontro di mare assunse le sue caratteristiche specifiche, che contribuirono a trasformare gli inglesi, un popolo di allevatori di pecore, nei dominatori del globo.
I pirati, i corsari, gli schiumatori del mare furono tra i protagonisti di una trasformazione radicale con la quale l’Inghilterra trasferì completamente la propria esistenza dall’elemento terrestre a quello marittimo. Un mutamento che fu contemporaneo –e strettamente intrecciato- non solo alle grandi scoperte geografiche, non soltanto alle nuove tecnologie belliche e navali, non solo allo scontro fra cattolicesimo e protestantesimo ma anche alla lotta che oppose il calvinismo “marittimo” al gesuitismo “terrestre”. Integrando e rendendo così più plausibile il quadro di Max Weber, Schmitt scrive che «se invece ci volgiamo al mare, vediamo immediatamente la coincidenza o, se così posso dire, la fratellanza che, nella storia del mondo, unisce il calvinismo politico alle nascenti energie marittime europee» (86-87).
Con la comparsa del grande Impero inglese sull’acqua, muta radicalmente il modo di combattersi degli uomini tra di loro. Nella guerra terrestre a fronteggiarsi in campo aperto sono quasi sempre soltanto le truppe, i soldati, gli armigeri. La guerra marittima, invece, tende a colpire le risorse dell’avversario, a strozzare la sua economia, a cannoneggiare le sue coste e le città, a coinvolgere l’intera popolazione diventata tutta e inevitabilmente «nemica».

È la guerra totale, inventata dalla potenza marittima e calvinista inglese. Il suo dominio durò per più di due secoli sino a quando, trasformandosi da “pesce” in “macchina”, con la Rivoluzione industriale la Gran Bretagna sembrò attingere a una potenza incontrastata che invece di fatto rappresentò l’inizio della sua crisi. Con la meccanizzazione vennero meno lo slancio iniziale e il dominio sulle tecniche della navigazione a vela; da allora un’altra e più potente “isola” calvinista si sostituì progressivamente all’antica madrepatria. Agli inizi del Novecento, l’ammiraglio americano Mahan propose infatti la riunificazione fra l’Inghilterra e gli Stati Uniti, allo scopo di garantire la perpetuazione del dominio anglo-americano sul mondo.
La potenza secolare dell’elemento marino –il Leviatano- ha contribuito allo sviluppo dell’aviazione e del fuoco che distrugge dall’alto. I due nuovi elementi –l’aria e il fuoco- delineano un’ulteriore trasformazione tesa alla sconfitta e al controllo dell’antico elemento terrestre. Il grande uccello mitologico, il Grifo Ziz, combatte per la sottomissione della Terra Behemoth. Nella prima metà del Novecento nacque così, attraverso scontri e distruzioni immani, un nuovo Nomos der Erde, Nomos della Terra, quello che dal 1945 al tempo presente ha controllato il pianeta, sconfiggendo l’Europa continentale, lanciando un fuoco immane e distruttore sul Giappone, imponendo all’intera umanità la globalizzazione dei suoi modelli di vita e della sua economia. Non sono pochi i segnali che indicano l’esaurirsi anche di questo Nomos, tanto che possiamo forse fare nostre le fiduciose affermazioni conclusive del libro: «Anche nella lotta più accanita fra le vecchie e le nuove forze nascono giuste misure e si formano proporzioni sensate. Anche qui sono e qui regnano Dei / e grande è la misura» (110; i versi sono tratti da Hölderlin, Il viaggiatore, 17-18].

Al di là della geopolitica, oltre la grandiosità del quadro cosmogonico nel quale prendono luce gli avvenimenti umani, uno dei meriti di questo splendido libro consiste nel dimostrare che prima c’è lo spazio interiore, la cultura dei popoli, il potere e i suoi obiettivi, prima c’è il mondo e solo dopo gli spazi geografici: «La scoperta di nuovi continenti e la circumnavigazione della terra furono solo manifestazioni e conseguenze di metamorfosi più profonde. Soltanto per questo lo sbarco su un’isola sconosciuta poteva condurre a un’intera epoca di scoperte» (69).
La Terra, elemento spesso negletto, è stata al centro della riflessione di Heidegger, di Jünger, di Schmitt. Quest’ultimo sembra ripercorrere la gerarchia platonica della conoscenza, andando al di là delle impressioni soggettive, dei fatti immediati, della deduzione razionale e attingendo in modo intuitivo le strutture profonde del tempo e della storia. La frase chiave del libro mi sembra quella che individua nella salvezza «alla fin fine, a dispetto di qualsiasi idea razionale, il senso decisivo di ogni storia del mondo» (85).
La forza del pensiero di Schmitt è la potenza della Gnosi, quella capacità di andare oltre l’ovvio che permetteva al “giurista del Terzo Reich” di tenere alla parete il ritratto dell’ebreo Disraeli e di ammirarne con timore la dimensione iniziatica che gli fece definire il cristianesimo una forma di ebraismo per il popolo. Anche se Schmitt respingeva sdegnato questa affermazione, essa è nondimeno vera e conferma la vittoria, nonostante tutto, di Behemoth sul Leviatano, del primato del popolo del deserto sugli spazi del mondo.

Marasciuttati

Nan Goldin. The Ballad of Sexual Dependency
Milano – Palazzo della Triennale
a cura di François Hébel
sino al 26 novembre 2017

Un video di 42 minuti composto da fotografie che si susseguono su uno sfondo musicale che va dall’opera lirica al funk, dal blues all’elettronica. Immagini di corpi che dormono, urinano, fumano, bevono, si abbracciano, si bucano. Dentro appartamenti sporchi, strade rivoltanti, solitudini profonde. Corpi abbigliati in modo malfatto e grottesco, nei cui capelli, camicie, trucco si esprimono una disperazione istintiva e un perenne infantilismo.
Che da alcuni decenni un’opera come questa venga rappresentata nei musei d’arte e di fotografia è un fatto significativo non del superamento dei tradizionali canoni di bellezza ma della sottomissione profonda del corpo sociale al puro presente, a una rassegnazione che non ha alcuna fiducia nel futuro collettivo ma si abbarbica al sonno del presente. Di fronte a un’umanità così marasciuttata (sicilianismo per: penosa, triste, sfortunata, derelitta) anche il potere può dormire sonni tranquilli. Nessuna coscienza politica esiste infatti in tali corpi.
Qualunque cosa sia la bellezza, Nan Goldin sembra avere un talento istintivo a far emergere il brutto degli umani, dei luoghi, degli eventi. Non una fotografia «senza mediazione alcuna», oggettiva -come afferma il curatore della mostra/installazione- ma una fotografia tesa a deformare ciò che già di per sé è privo di ogni grazia.
Questa Ballad è opera estremamente significativa di un’intera cultura, di una comunità umana -come quella statunitense- che è immonda non soltanto nei suoi capi, nel suo gigantismo urbanistico e militare, nella sua distruttiva volontà di potenza ma nell’intero corpo collettivo che la compone.

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