Skip to content


Imperialismo

Poche cose sono emblematiche della servitù di un individuo e di un popolo come il prendere posizione per l’uno o per l’altro di due padroni, le cui differenze sono per quell’individuo e per quel popolo irrilevanti. Il coro dell’atto III dell’Adelchi è assai efficace nel descrivere tale situazione.
Che dunque a vincere le imminenti elezioni che designeranno il rappresentante legale del sistema finanziario e militare statunitense sia il guerrafondaio premio nobel per la pace Barack Obama o il plurimiliardario cristiano-mormone e ultraliberista Mitt Romney, la politica statunitense verso il resto del mondo rimarrà quella ben esemplificata da Hiroshima, dal Vietnam, dalla distruzione dell’Iraq, dell’Afghanistan e della Libia, dal terrorismo che sta colpendo la Siria.
Ed Husain, analista del Council on Foreignis Relations -uno degli istituti di ricerca che elaborano la strategia statunitense verso gli altri Paesi- scrive che «i ribelli siriani oggi sarebbero incommensurabilmente più deboli senza Al Qaeda. I battaglioni dell’esercito libero siriano (Fsa) sono stanchi, divisi, confusi e inefficaci. Si sentono abbandonati dall’Occidente e sempre più demoralizzati mentre affrontano la potenza di fuoco superiore e l’esercito professionista del regime di Assad. L’arrivo di jihadisti di Al Qaeda porta disiciplina, fervore religioso, esperienza bellica dalle battaglie in Iraq, finanziamenti dai simpatizzanti nel Golfo e soprattutto risultati letali. […] In breve, l’Fsa ha bisogno di Al Qaeda ora» (Fonte: www.cfr.org/syria/al-qaedas-specter-syria/p28782 ).
Questo significa, commenta Francesco Labonia su Indipendenza, (anno XVI, n. 32, pp. 30-35) che «Washington e i suoi alleati/subalterni NATO sostengono (con finanziamenti e forniture di armi) quella che per anni è stata dipinta come una Spectre planetaria, cioè al Qaeda», con la quale invece gli USA si sono adesso alleati allo scopo di annientare «l’ultimo Stato arabo laico caratterizzato da un pluralismo multiculturale, integrato con il riconoscimento degli stessi diritti alle varie religioni che si intrecciano nella complessità dei vincoli tribali-familiari», come vari esponenti cristiani che vivono in Siria confermano.

Nel flusso di menzogne che i media filoamericani diffondono «straordinario è il ruolo dell’influente Al Jazeera, di proprietà della famiglia regnante del Qatar. Ora, il Qatar è il regno di un piccolo satrapo di stampo feudale e teocratico. […] Il Qatar brilla per il fatto che non esiste alcun Parlamento, non vige alcuna Costituzione, non è ammessa l’esistenza di alcun partito e ovviamente non sono mai state indette, anche solo pro forma, consultazioni elettorali. La parola “diritti”, di qualsiasi natura, è semplicemente sconosciuta. La sua importanza le viene soprattutto dall’essere sede di una gigantesca base militare statunitense, considerata la più grande esistente fuori dagli Stati Uniti. […] Da questo emirato Al Jazeera lancia le sue crociate suppostamente democratiche d’interventismo militare in casa d’altri. Anche al prezzo di mistificazioni e falsificazioni colossali. […] Di democrazia è fantasioso parlare anche per altri Stati dell’area come gli Emirati Arabi Uniti l’Oman o la monarchia hashemita della Giordania o nello stesso Yemen. Per Al Jazeera (e non solo), però, è la Siria laica, multiconfessionale, non sottomessa e sovrana a dover essere democratizzata, cioè, come da relativa accezione linguistica euroatlantica,  dominata».
Tutto questo è non soltanto grottesco ma anche esemplare di una società -la società dello spettacolo- nella quale il dominio appartiene a chi controlla la comunicazione e l’informazione. Ancora una volta Orwell e Debord ci hanno insegnato l’essenziale.
Ma nonostante questa imponente propaganda della quale naturalmente tutti i media italiani, escluso in parte il manifesto, sono strumento e voce «quel che principalmente conta –e non è assolutamente cosa da poco– è che gran parte della società siriana sinora non si è piegata ed ha scelto la strada della resistenza, nelle diverse forme in cui la sta esprimendo. La migliore risposta che si possa dare all’oscurantismo di matrice salafita-alqaedico e alla sudditanza atlantica».
Tacito fa dire al generale caledone Calgaco «Auferre, trucidare rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant» (Agricola, 30, 7). Rubare, massacrare, rapinare. Questo, con falso nome, chiamano impero. Creano il deserto, e lo chiamano pace. E democrazia.

Favole propagandistiche

Molto forte, incredibilmente vicino
(Extremely Loud and Incredibly Close)
di Stephen Daldry
Con: Thomas Horn (Oskar Schell), Tom Hanks (Thomas Schell Jr.), Sandra Bullock (Madre di Oskar), Max von Sydow (Thomas Schell Sr.), Dev Patel (Sonny), Celia Imre (Madge), Ronald Pickup (Norman), Maggie Smith (Muriel), Diana Hardcastle  (Carol), Tena Desae (Sunaina)
USA 2012
Trailer del film

Oskar è un ragazzino molto intelligente, forse affetto da una lieve forma della Sindrome di Asperger, che però esalta le sue capacità, pur costandogli molte fobie. Ha un padre meraviglioso, che «non mi ha mai parlato come un bambino» e che gli pone continuamente delle sfide giocose ed esaltanti per farlo crescere. Un padre che si trova in una delle torri del WTC l’11 settembre 2001. Oskar ascolta i messaggi da lui lasciati sulla segreteria telefonica, conserva tutto quello che avevano costruito insieme, trova in un vaso nascosto una chiave e un messaggio: «Non smettere di cercare». Sulla busta che contiene la chiave c’è scritto “Black”. Oskar si mette alla ricerca di tutti i quasi cinquecento Black di New York perché vuole e deve trovare l’oggetto che quella chiave apre. Per un breve periodo lo accompagna il singolare inquilino della nonna paterna, un uomo anziano che sente ma che non parla, comunicando soltanto con dei biglietti. Alla fine troverà qualcosa di più importante di una serratura.

Il film è stato sceneggiato da Eric Roth sulla base di un romanzo di Jonathan Safran Foer che a quanto pare deve essere un po’ più problematico della sua trasposizione cinematografica. Il film, infatti, è profondamente falso: un padre, come detto, perfetto; gli abitanti di New York tutti buoni, solidali, disponibili; le immagini e il ricordo delle torri gemelle continuamente riproposti, così come lo stupore di fronte a chi «uccide senza nemmeno conoscere le sue vittime», affermazione senz’altro esatta che si potrebbe applicare alle persone che negli ultimi sessant’anni sono state massacrate a milioni in tutto il mondo dalle bombe e dagli eserciti statunitensi. Un’opera, dunque, insopportabilmente retorica, i cui soli momenti autentici sono costituiti dalle scene in cui un Max von Sydow anziano ma sempre incomparabilmente raffinato dà vita al personaggio più sobrio della vicenda. Per il resto, è un film che si pone due obiettivi: strappare lacrime di commozione su una tragedia che in realtà gli Stati Uniti si sono costruiti da soli; fare opera di propaganda ideologica. Ma il regista ha decisamente esagerato nella misura della commozione e della finzione.

«Mai sbiadirà»

Enola Gay
da Organisation
(1980)
di Orchestral Manoeuvres in the Dark (OMD)

«Enola Gay, you should have stayed at home yesterday
Oho words can’t describe the feeling and the way you lied
These games you play, they’re gonna end it all in tears someday
[…]
Oho Enola Gay, it shouldn’t fade in our dreams away
It’s 8.15, and that’s the time that it’s always been
[…]
Enola Gay, is mother proud of little boy today
Oho this kiss you give, it’s never ever gonna fade away»

Non sbiadirà mai il più grande crimine contro l’umanità perpetrato nell’età contemporanea.
Nessuna Norimberga, nessun Tribunale dei Diritti Umani lo ha punito, poiché è stato commesso dai vincitori.
Contrariamente a ciò che molti pensano, da quel 6 agosto del 1945 la pace è impossibile, perché Hiroshima è ovunque e può essere sempre.

[audio:Enola_Gay.mp3]

.

 

Il nome

Cena tra amici
(Le prénom)
di Alexandre de La PatellièreMathieu Delaporte
Con: Patrick Bruel (Vincent), Charles Berling (Pierre), Judith El Zein (Anna), Valérie Benguigui (Élisabeth), Guillauma De Tonquedec (Claude), Françoise Fabian (Françoise)
Belgio-Francia, 2012
Trailer del film

Parigi. È Vincent che racconta. Sta per recarsi a cena dalla sorella Élisabeth e dal cognato Pierre, due intellettuali di sinistra molto attenti alla correttezza politica. Ci sarà anche Claude, musicista e amico d’infanzia della famiglia. Arriverà poi Anna, moglie di Vincent, il quale è un affermato e ricco agente immobiliare. Anna è incinta. Tra uno spuntino e una battuta, qualcuno chiede che nome daranno al bambino. La risposta scatena una vera e propria guerra che scontro dopo scontro, ricordo dopo ricordo, accusa dopo accusa, farà emergere piccoli e grandi segreti di tutti.

Il titolo originale è Il nome, l’unico titolo possibile per un film di grande intelligenza, benissimo recitato, nel quale si ride molto andando in profondità nell’analisi della natura umana e dei pregiudizi contemporanei. Viene giustamente preso in giro il politicamente corretto, che negli Stati Uniti è una vera e propria religione e che rischia di estendersi anche all’Europa. Il nome scelto da Vincent e da Anna per il loro bambino è infatti insostenibile agli occhi di chi ritiene che le parole non debbano mai alludere a qualcosa che potrebbe suscitare il risentimento di qualcuno. Il risultato di una simile sciocchezza sarebbe naturalmente il silenzio, come Vincent ha buon gioco a mostrare elencando tutta una serie di altri possibili nomi.
Il politicamente corretto è quella forma di bigottismo che induce a condannare quasi tutte le fiabe -ad esempio, Cappuccetto rosso sarebbe offensivo verso i lupi e quindi verso gli animalisti (ricordo che sono vegetariano e animalista convinto)-, a censurare moltissimi capolavori letterari -l’organizzazione “Gherush92” ha chiesto seriamente l’eliminazione della Divina Commedia dai programmi scolastici poiché l’opera è piena di «contenuti antisemiti, islamofobici, razzisti ed omofobici»-, a rivolgersi ai propri interlocutori collettivi nelle mail con espressioni quali “Care/i” oppure “Car*” per evitare di apparire maschilisti. E così via, in un progressivo trionfo della censura che non a caso nasce in una cultura intimamente conformista come quella degli Stati Uniti d’America (consiglio, a questo proposito, la lettura di Robert Hughes, La cultura del piagnisteo, Adelphi 2003).
Nelle sue scene più drammatiche questo film mostra come i più accaniti difensori del pudore semantico siano poi pervasi da sostanziali pregiudizi. Il tono tuttavia rimane sempre quello di una commedia assai divertente nella quale le parole si incrociano con geometrico sorriso e con ironica libertà.

Fragilità

Detachment – Distacco
di Tony Kaye
Con: Adrien Brody (Henry Barthes), Sami Gayle (Erica), James Caan (Il professor Seaboldt)
USA, 2011
Trailer del film

Henry Barthes insegna come supplente nelle scuole di Chicago. Gli va bene così, in modo da non doversi legare per troppo tempo a nessuna classe, scuola, luogo. L’istituto che lo assume per un trimestre è uno dei peggiori: studenti completamente demotivati e violenti, genitori o assenti o nemici dei professori, amministrazione che intende chiudere la scuola. Barthes attraversa luoghi e persone con gentilezza e con un distacco dentro il quale ci sono in realtà molta passione e molto dolore. La sua famiglia è composta soltanto dal nonno, ospite di un istituto per anziani. Una delle studentesse più brave e più disprezzate dai compagni si innamora di lui. Fuori dalla scuola incontra una ragazzina che si prostituisce e le offre il proprio alloggio. Sembra che dentro Barthes tutto scorra a partire da un’antica ferita.

Alla scuola pubblica statunitense è dedicato il ritratto che essa merita: luoghi che hanno perduto interamente qualunque funzione educativa, in cui non si impara nulla e che rimangono in piedi soltanto come centri sociali nei quali il compito dei docenti è «di evitare che i ragazzi si accoltellino durante la ricreazione». Il genitore di uno studente tra i più violenti difende in modo iroso e insensato il figlio, adducendo tutte le più improbabili patologie e dichiarando che il principio della scuola è questo: «Nessuno deve rimanere indietro». Il risultato è che rimangono indietro tutti. Pensiamoci quando ci facciamo complici della colonizzazione pedagogica americana. Quello slogan, infatti, risuona di continuo anche nelle scuole italiane.
Ma Detachment non è un film sulla scuola. È un  film sull’esistenza, come l’epigrafe da Camus fa subito capire. È un film sulla solitudine inoltrepassabile di ciascuno, sulle passioni che ci schiantano, sulla fragilità umana moltiplicata da una civiltà che ama presentare se stessa come la più avanzata e felice che la storia abbia mai costruito. E che anche per tale pretesa accresce in realtà la delusione e quindi la tristezza.
Al di là dei suoi temi, l’aspetto più coinvolgente è la matura tecnica cinematografica che fa coincidere contenuti e forma nei colori, nei flashback, nel grandangolo utilizzato in quasi tutte le scene collettive. Come un occhio che guarda gli umani e dilata l’assurdo che li intesse.

Al-Ciaeda

Nel «mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso» (Guy Debord, Opere cinematografiche, Bompiani, p. 54). I media e la politica che li controlla sembra che vogliano confermare ogni giorno quest’affermazione di Debord. Quando il rovesciamento tocca i popoli, i bambini, le guerre, diventa un crimine. Ricordiamo: il Segretario di Stato Colin Powell dichiarò solennemente davanti all’Assemblea dell’ONU che l’Iraq di Hussein deteneva “armi di distruzione di massa” e per questo andava invaso. Armi che poi si ammise non esistevano; la Libia è stata smembrata e distrutta anche perché Gheddafi venne accusato di aver massacrato decine di migliaia di suoi concittadini, buttati poi nelle fosse comuni. Tali fosse si disse poi che erano una fantasia. Adesso è il turno della Siria.
Invito a leggere un dettagliato e assai chiaro articolo di Paolo Sensini dal titolo Di ritorno dalla Siria. Appunti sulla geopolitica del caos, che dimostra in modo documentato e diretto che cosa veramente sta accadendo in quel Paese. Le menzogne del media mainstream che tutti ci condiziona emergono con chiarezza. Colpisce, in particolare, il fatto che gli USA e la Nato sostengano in Siria -come hanno fatto in Iraq e in Libia- i movimenti islamisti radicali che combattono il regime di Assad, quei movimenti che vengono accusati dagli stessi USA e dalla Nato delle peggiori nefandezze, compreso l’attacco alle Torri di New York.
Il documento si può scaricare a questo link. Per i più pigri ho evidenziato i brani secondo me più significativi. Alcuni li riporto anche qui sotto. Perché una delle condizioni per essere liberi è essere informati.

«Bernard Lewis presentò alla Conferenza del 1979 del Gruppo Bilderberg una strategia britannico-americana “approvata dal movimento estremista Fratellanza Musulmana […], con lo scopo di promuovere la balcanizzazione dell’intero Vicino Oriente musulmano lungo linee di divisione tribali e religiose”. […]
Nessuna menzione invece ai “rapimenti, alle torture, alle esecuzioni sommarie, alle mutilazioni e alle pratiche criminali commesse dai gruppi armati che si oppongono al regime siriano”, come ha dovuto ammettere anche l’organizzazione non-governativa Human Rights Watch in un suo rapporto pubblicato il 20 marzo 2012, cioè dopo più di un anno di distanza da quando i terroristi imperversano in Siria. […]
L’obiettivo primario di queste sollevazioni eterodirette è stato fin dall’inizio di frantumare la società siriana, infliggere quante più perdite possibili all’esercito di Assad, dividere il paese su linee etnico-confessionali, paralizzare la produzione agricola, industriale, artigianale. […]
Madre Agnes-Mariam de la Croix espone una realtà molto diversa dal quadro che, volente o nolente, si è raffigurato in Occidente sui fatti siriani. Senza interrompere la sua attività di pittrice per “guadagnarsi il pane” e fare andare avanti i lavori di sistemazione dello splendido Monastero che condivide con un’altra ventina tra suore e frati provenienti da varie parti del mondo, mi parla di “persone spacciate per morte ad uso televisivo e che morte invece non erano”, di “individui uccisi e orribilmente mutilati affinché le loro morti potessero essere attribuite alle violenze dell’esercito siriano, ma che invece erano stati assassinati dai cosiddetti ‘ribelli’ a beneficio delle troupes dei grandi network”. Parla ancora di “violenze inaudite su bambini, di stupri, di mutilazioni di seni, di uccisioni seriali di cristiani presenti nelle città teatro delle rivolte dei fanatici islamisti, di omicidi compiuti anche ai danni di sunniti che non condividevano la loro violenza belluina”. Parla di tutto ciò che ha potuto appurare in prima persona, senza frapporre tra sé e i fatti alcun filtro televisivo o giornalistico, ma la sua testimonianza non viene raccolta da nessun mezzo di comunicazione, neppure da quelli cattolici. Non rientrando nei canoni del “politicamente corretto”, la sua voce fuori dal coro risulta sgradita ai corifei del Big Brother».

I sovversivi

Guardate questa persona. Un tranquillo, anziano signore, vero? Un pensionato dalla faccia serena. Un nonno che immaginiamo circondato dai suoi bei nipotini. No. È la fotografia di uno degli umani più feroci del Novecento. È Jorge Rafael Videla, presidente dell’Argentina dal 1976 al 1981. In un’intervista concessa al giornalista Ceferino Reato Videla afferma che le 30.000 persone massacrate, torturate, uccise, gettate dagli aerei militari, fatte sparire sotto il suo regime e per suo comando furono il necessario «prezzo da pagare per vincere la guerra contro la sovversione […]. Bisognava eliminare un bel mucchio di persone che non si poteva portare davanti alla giustizia e neanche fucilare»; «Per non provocare proteste dentro e fuori il paese, si arrivò alla decisione che quella gente “desapareciera”, scomparisse». In ogni caso, continua Videla, «Dio sa quello che fa e perché lo fa. Io accetto la volontà di Dio e credo che Dio mi abbia sempre tenuto per mano».
Non so se lo abbia guidato la mano di Dio ma certamente lo ha fatto quella della Chiesa argentina, quella degli Stati Uniti d’America -la “più grande democrazia del pianeta” per i fessi che ci credono-, i quali incoraggiarono, sostennero e protessero una delle dittature più efferate del Novecento. I militari assassini furono guidati anche dal gioco del calcio e dalla vittoria dell’Argentina ai mondiali del 1978, un successo che regalò loro il plauso delle folle. Il “calcio e lo sport fuori dalla politica”? Un’altra favola per gli sprovveduti.
Sovversivi dell’ordine furono i generali e ammiragli Emilio Eduardo Massera, Roberto Eduardo Viola, Leopoldo Galtieri, Reynaldo Bignone, Orlando Ramón Agosti e il loro capo Videla.

Vai alla barra degli strumenti