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Università

Lo scorso anno ho scritto a proposito di una catastrofe didattica. Per fortuna l’Università non è soltanto esami ma è Communitas, è relazione tra persone, è crescere insieme nella conoscenza, nel disincanto e nella tenacia. Nata in Europa nel XII secolo, l’Università rappresenta uno dei più forti elementi di identità del nostro Continente. Luogo di conflitti e di scoperte, sede di trame a volte miserabili ma anche di fondamentali apprendimenti, spazio di scienza e di invenzione, l’Università è il respiro stesso di un sapere non impressionistico, non dogmatico, non utilitaristico. Proprio perché è anche questo, nel XXI secolo si sta operando a fondo -da parte dei decisori politici e dei loro complici- per ridimensionarne la funzione, la struttura, i contenuti. E tuttavia, pur con i tanti limiti che l’Università subisce e che ineriscono alle vicende umane, la fine dell’Università costituirebbe un gesto di autentica barbarie, di impoverimento collettivo, di prevalenza del fanatismo, della superficialità, dello spettacolo che emargina e rimuove il pensiero.
Il principio che mi guida nell’insegnamento è: «Per la scienza, per gli studenti». Proprio perché ha questi scopi, il mio è il mestiere più bello, più coinvolgente, più vivo. Ne ho avuto conferma in questo anno accademico, nel quale i gruppi-classe delle tre discipline sono stati partecipi, attenti, rispettosi e vivaci. La foto che vedete qui sopra è stata scattata lo scorso 1 giugno, a conclusione delle lezioni di Sociologia della cultura. Essa ritrae soltanto alcuni degli studenti che hanno frequentato il corso ma vorrei ringraziarli, insieme a tutti i loro colleghi, per avermi permesso di affrontare tematiche complesse e testi difficili in modo tanto serio quanto piacevole. Spero che gli studenti abbiano imparato qualcosa da me, io sicuramente ho appreso molto dallo scambio rigoroso e quotidiano con loro.
Chi fosse interessato, può anche ascoltare (e scaricare da Dropbox) la registrazione audio degli ultimi 30 minuti della lezione del 1 giugno, dedicati alla lettura e analisi di un saggio sulla società videocratica e ai saluti finali.

Unict, il pane

Pubblico un documento del CUDA che condivido per intero. Il mio auspicio di docente dell’Ateneo e di cittadino di Catania è che la sconfitta delle forze e degli interessi più oscuri che hanno agito contro l’Università costituisca una ragione in più per operare, con rinnovata energia, a favore del sapere e dei nostri studenti.

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Non siamo tornati indietro. Ora bisogna andare avanti…

L’elezione del professore Francesco Basile a Rettore di Unict rappresenta un momento di continuità e insieme di rottura nella vicenda dell’Ateneo e della città.

Si è affermata infatti la continuità con l’azione di Giacomo Pignataro, come è stato evidente sin dal programma e dalle intenzioni espresse in favore di legalità, trasparenza e autonomia dell’Ateneo da influenze indebite e malaffare (non sfugge a nessuno infatti che la serenità del presente si misura anche dalla chiarezza sul passato); una continuità che ieri sera è stata segnata dal lungo, sincero e caldo applauso che ha accolto Pignataro nell’Aula Magna del Rettorato, a dimostrazione che la sua azione a favore di una gestione trasparente e lineare del nostro Ateneo è stata compresa e apprezzata, e che non sarà certo dimenticata ma piuttosto valorizzata. Pare significativo inoltre che tale applauso si sia ripetuto al saluto e al ringraziamento che il nuovo Rettore ha voluto rivolgere al suo predecessore; e in questo quadro non si può che apprezzare la cortesia istituzionale e lo stile (mancati purtroppo nella precedente elezione) per i quali il Rettore uscente dà il suo benvenuto al collega che gli subentra…

L’elezione di Basile è invece un deciso momento di rottura rispetto al tentativo di restaurazione delle modalità e dello stile che hanno caratterizzato l’amministrazione di Antonino Recca. 1022 voti a favore di Basile e 374 a favore di Enrico Foti (che non ha davvero raccolto, spiace dirlo, né il voto di opinione né molto voto di protesta) rappresentano con la forza dei numeri un chiaro segnale di rifiuto di ogni tentativo di far tornare indietro l’Ateneo rispetto ai risultati conseguiti negli ultimi quattro anni, pur in presenza di una situazione ambientale non certo favorevole e di attacchi debiti e indebiti. Un voto chiaro che respinge tra l’altro, in modo che speriamo definitivo, i soliti claudicanti (e ormai scontati) giochetti di endorsement e disendorsement, e il consueto balletto di segnali obliqui e inquinamenti del clima di vita e lavoro dell’Ateneo.

Quanto accaduto ieri è quindi un punto di arrivo ma soprattutto un punto di partenza, come Pignataro e Basile hanno subito affermato. I docenti, il personale tecnico-amministrativo, gli studenti che si sono espressi con tale chiarezza non hanno però rilasciato deleghe in bianco a nessuno. Sia le grandi scelte che attendono l’Ateneo sia l’azione quotidiana di governo dovranno essere fattivamente improntate:
– al rispetto per le persone, condizione prima e diremmo naturale di ogni comunità scientifica rivolta all’insegnamento;
– alla scelta dei collaboratori e delle cariche in base a delle qualità non generiche ma specifiche rispetto agli scopi e soprattutto alla volontà dei soggetti incaricati di lavorare duramente e quotidianamente al raggiungimento degli obiettivi;
– alla consapevolezza che un Ateneo come quello di Catania è una struttura stratificata e complessa che può essere gestita positivamente soltanto anteponendo gli interessi collettivi a quelli individuali;
– al ribadire che «l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento», anche rispetto a ogni tentativo burocratico di svuotare questo principio costituzionale;
– al coinvolgimento dell’intera comunità accademica, che coinvolta vuole essere, come è risultato chiaro anche dalla partecipazione massiccia, democratica e consapevole che ha caratterizzato l’elezione del nuovo Rettore.

Come docenti e membri di questo Ateneo, augurando buon lavoro al nuovo Rettore, vigileremo propositivamente e daremo il nostro contributo dialettico al raggiungimento di tali scopi, affinché le parole si trasformino in atti e le intenzioni espresse in queste settimane diventino il tessuto quotidiano della nostra comunità. Lo dobbiamo a noi stessi, ai nostri studenti, a una città che di ricerca e di pensiero ha bisogno come il pane.

2 febbraio 2017

Il CUDA (Coordinamento Unico di ricercatori, docenti, Pta e studenti di UNICT)

Avventurieri

Si sta vedendo e si vedrà sempre più chi è davvero Matteo Renzi. Un avventuriero senza scrupoli che prima ha distrutto il Partito Democratico e poi ha trascinato nella stagnazione e nello scontro l’intero Corpo sociale.

Il maggior partito della sinistra, indegno erede del Partito Comunista Italiano, ha subìto una metamorfosi che lo conduce a governare con un partito che si chiama Nuovo Centrodestra e ora vorrebbe proseguire insieme al partito Forza Italia del pluricondannato Berlusconi Silvio. Il suicidio storico-politico della sinistra in Italia è un fenomeno strabiliante e di grande interesse scientifico-sociale. Suicidio al quale hanno dato e continuano a dare il loro contributo le risibili, vagolanti, donabbondie ‘minoranze interne’ e le formazioni che si dichiarano ‘a sinistra’ del PD ma non hanno osato attaccarlo frontalmente in questa sua sistematica distruzione della sinistra, anche perché molti dei loro esponenti -soprattutto la presidente della Camera Boldrini- sono stati eletti nelle liste di quel partito.

Dall’avventura renziana l’Italia esce stremata, disoccupata, più malata, più ignorante. L’attacco ai diritti, alla salute, al lavoro, allo studio, è stato totale, fantasioso (sull’Università si sono inventati di tutto, persino i superbaroni)- feroce. Per fortuna le principali vittime di questo attacco -le generazioni più giovani- se ne sono accorte, hanno avuto un soprassalto di consapevolezza e sono andate a votare in larghissima parte NO alla distruzione della Carta costituzionale.

Un Paese in macerie, dove le pietre più evidenti non sono la dissoluzione del Partito Democratico e l’impoverimento drammatico del Corpo sociale ma la buffoneria di una politica fatta di lavagnette, di mirabolanti e impossibili promesse, di slogan tanto ripetuti quanto banali, di semplice spettacolarizzazione della politica. Fatta insomma di berlusconismo puro, distillato. A governare in questi due anni è stato infatti il Geist futurista-mussoliniano, del quale i governi Berlusconi e il governo Renzi hanno costituito l’ennesimo avatar, la maschera sempre ripetuta della cialtroneria italiana.

Ma ciò che più addolora è altro. È vedere una parte del Corpo sociale affascinato, intrigato, inebetito dalla pantomima renziana.
Non parlo tanto dei militanti -vecchi e giovani- che in quanto militanti non si accorgono che il Partito Democratico di Renzi conduce politiche ferocemente antisociali, oligarchiche, prone ai dettati della finanza ultraliberista. E che dunque è un partito chiaramente di destra, della peggiore destra.
Mi riferisco in parte al sistema televisivo/mediatico che -con assoluta coerenza, va detto- dopo essere stato ai piedi di Berlusconi si è prostrato al ghigno di Renzi. La democrazia contemporanea è fatta anche e soprattutto di libera informazione. Dove questa manca rimane l’apparenza dei parlamenti sottomessi allo strapotere dell’esecutivo.
Mi riferisco soprattutto agli studiosi, ai professori universitari, agli scrittori, agli artisti, agli editorialisti, agli storici, agli scienziati, ai filosofi. Mi riferisco a tutti coloro che il mio amico Pasquale D’Ascola ha definito poveri rigoletti, pronti a giullarare il padrone di turno. Ne conosco di persona, li ho visti all’opera in questi mesi di patologia sociale. Le ragioni del servaggio sono tante, alcune anche comprensibili. Ma mai comprensibili sono quando la servitù sta in bocca a chi ha soldi sufficienti per rimanere libero. Perché è anche il denaro che fa la libertà. Coloro che possiedono gli strumenti per comprendere l’accadere e però si comportano come il più ingenuo militante o il più cinico carrierista politico, costoro sono i peggiori. «Tutti i peccati saranno perdonati ma il peccato contro lo Spirito, questo non avrà perdono» (Mc, 3, 28-29).

Ma non sono bastati. Non sono bastati la potenza mediatica, il ricatto ideologico, le risorse pubbliche impiegate per ragioni di parte. Non sono bastati la sopraffina tecnica dell’imbonitore, del vannamarchi, delle trecarte nei cunicoli delle stazioni, del truffatore professionista. Il quale tenta ora l’azzardo supremo di rimanere al potere mentre dichiara solennemente di volersene andare. L’ennesimo colpo di dadi che gli riuscirà se il suo compare Berlusconi penserà di poterne trarre vantaggio. Alla correttezza dei ‘supremi poteri dello Stato’ non credo proprio. Basti ricordare le modalità e gli effetti di tale supremazia quando ha avuto il nome di Giorgio Napolitano .

Vedremo. Intanto mi sembra un razionale miracolo che, in tutto questo, milioni di italiani abbiano percepito l’inganno tramato ai loro danni, dei loro figli, del futuro, e abbiano detto no agli avventurieri che giocano con le vite, con il lavoro, con l’istruzione, con la salute, con le libertà e i diritti delle persone.

Anche per questo voto NO

4.12.2016
Per rimanere un cittadino e non diventare un suddito di Renzi, di Berlusconi o di chiunque altro, al Referendum Costituzionale ho votato NO.

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2.12.2016

La riforma costituzionale elimina di fatto la divisione dei poteri tra Governo e Parlamento, vale a dire uno dei fondamenti della democrazia. Anche per questo voto NO.
Il Senato continuerebbe a esistere ma non più eletto dai cittadini e composto invece da consiglieri regionali e da sindaci, i quali nel migliore dei casi svolgerebbero malissimo uno o entrambi i loro ruoli, nel peggiore sarebbero cooptati dalla casta politica romana per godere dell’immunità parlamentare. Anche per questo voto NO.
Con il nuovo Senato le modalità di lavoro delle due camere sarebbero complicate, lunghe, confuse. Esattamente il contrario di quanto sostiene la propaganda governativa. Anche per questo voto NO.
I nuovi senatori avranno in ogni caso diritto a un «rimborso spese» per i loro soggiorni a Roma e questo renderà ancora più finto e inconsistente il presunto risparmio, tanto strombazzato dalla menzogna del governo. Anche per questo voto NO.
Nel programma elettorale del Partito Democratico non si parlava per nulla di una Riforma della Costituzione. Anche per questo voto NO.
Il governo spende 23 miliardi di euro per le armi e poi chiacchiera di ‘risparmi’ a spese della Costituzione. Anche per questo voto NO.
Con la Costituzione di Renzi e Verdini l’Italia diventa una Repubblica fondata sulla massoneria e sul crimine. Anche per questo voto NO.
Il governo Renzi si gioca tutto a spese della Costituzione e per questo è senza scrupoli. Una vergogna per riscattare la quale voto NO.
Renzi e i suoi complici -le Banche d’affari Goldman Sachs e JP Morgan, Verdini, Alfano, le forze economiche e politiche più reazionarie- sono gli stupratori della Costituzione. Anche per difenderla voto NO.
Per Napolitano e altri esponenti del Partito Democratico il suffragio universale è «un pericolo per la civiltà occidentale». Anche per questo voto NO.
Gli slogan utilizzati dal Partito Democratico di Renzi sono pura e semplice «pubblicità ingannevole»; sono slogan bugiardi e grotteschi. Ad esempio: «Io voglio bollette più leggere, e tu? Io voglio leggi più semplici, e tu? [Lo dice chi ha reso illeggibili e incomprensibili le norme della legge fondamentale: la Costituzione] Con il Sì strade più sicure; Con il Sì valorizzi  la cultura; Con il Sì soldi alle ferrovie». E così via, in un parossismo di affermazioni che nulla hanno a che fare con la riforma della Costituzione. Anche per questo voto NO.
In realtà giorno per giorno il governo Renzi-Alfano sottrae risorse pubbliche alla sanità, alla scuola, all’Università, ai trasporti. Anche per questo voto NO.
Le menzogne di Renzi superano persino quelle di Berlusconi. Incredibile ma vero. Anche per questo voto NO.
In materia costituzionale i governi -parte in causa- dovrebbero astenersi a favore di un’assemblea costituente o di un parlamento. Invece questa è una riforma voluta a tutti i costi proprio da un governo. Anche per questo voto NO.
Anche per liberarmi da un analfabeta in Costituzione e in ogni cosa, da un imbonitore massone che frequenta messe e lancia battute da guappo, per liberarmi dai cortigiani dell’informazione, anche per questo voto NO.
Il facitore di questa riforma è diventato un incubo. Renzi ha occupato ogni spazio mediatico, superando persino il suo maestro Berlusconi. Anche per questo voto NO.
Dalla Costituzione di Calamandrei si precipita in quella voluta dalla casta dei politici-banditi. Questa riforma dà infatti un potere assoluto a pochi, ai professionisti del potere. Anche per questo voto NO.
Chi non condivide questo disastro è definito da Renzi ‘gufo’, alla stessa maniera con la quale il Duce definiva ‘disfattisti’ quanti guardavano alla realtà e non agli slogan mussoliniani. Anche per questo voto NO.
La verità è che questa trasformazione radicale dell’assetto istituzionale della Repubblica è voluta, scritta, imposta dalle forze più ultraliberiste e antisociali. Anche per questo voto NO.
La modifica di 47 articoli sui 139 che compongono la Costituzione Italiana avrebbe richiesto un’Assemblea eletta a questo scopo, che rappresentasse gran parte del Corpo sociale. Una Costituzione deve unire, non dividere. E invece questa riforma è stata approvata da un Parlamento eletto con una legge incostituzionale e con una serie di voti di fiducia (per l’esattezza, con il cosiddetto metodo ‘Canguro’). Il risultato è una Costituzione autoritaria e di parte. Anche per questo voto NO.
Chi ama la libertà, la decenza, la cultura, ha in questo momento il dovere di essere ancora più libero, per tentare di compensare almeno un poco il servilismo imperante, la menzogna, l’ignoranza generale e politica. Anche per questo difendo la divisione dei poteri, l’equilibrio dei controlli, i contrappesi al potere esecutivo, la politica sociale. Anche per questo voto NO.

Aggiungo il link a un mio precedente intervento sul tema, nel quale ho riportato un testo di Raniero La Valle, e segnalo infine alcuni articoli che in maniera sufficientemente sintetica ma argomentata espongono altre ragioni a difesa della Costituzione repubblicana.

Referendum, perché diciamo NO (Micromega)

Referendum costituzionale, 10 semplici motivi per dire NO (Marco Politi, il Fatto Quotidiano)

No a una ‘riforma’ che ammazza la democrazia (Eugenio Mazzarella, il sussidiario.net)

Le gravi conseguenze della Riforma costituzionale sull’Università e sulla libertà di ricerca (Roars)

Una Costituzione da cambiare o da attuare? (Elio Rindone, Cronache Laiche)

Referendum costituzionale, occhio alla rimonta (Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano)

Referendum: il vero interesse di Renzi (Don Paolo Farinella, Micromega)

Una lezione di Filosofia della mente

Alcuni degli studenti che frequentano le lezioni sono soliti registrarle. Di tanto in tanto mi chiedono se desidero avere i relativi file. E così qualche giorno fa mi è capitato di ascoltare per caso -attraverso la funzione random del cellulare- la seconda parte di una lezione di Filosofia della mente svolta il 4 maggio del 2015 nel Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania. Invece che passare a un altro brano -come di solito faccio- ho ascoltato per intero la lezione e…non mi sono annoiato.
Ho dunque pensato di rendere disponibile questa lezione per chiunque fosse interessato a seguirla. Mi sembra una buona sintesi di come cerco di praticare la Filosofia della mente e la Filosofia in generale. Vi si parla del caso, della necessità, del dolore, del morire, dei Greci, del tempo, del senso che tentiamo di dare al nostro stare in questo mondo. Cerco anche di rispondere alle domande degli studenti, sempre molto attenti e partecipi.
La durata della registrazione è di 40 minuti.

Filosofia della mente – Lezione del 4 maggio 2015

Per l’Università

L’Università italiana subisce da alcuni anni un attacco sistematico proveniente sia dalle istituzioni sia dai media.
Il MIUR (Ministero dell’Università, dell’Istruzione e della Ricerca) invece di favorire, finanziare, sostenere gli Atenei italiani, li sta progressivamente privando delle risorse economiche; li sta costringendo a incombenze burocratiche sempre più ramificate e sempre più insensate; sta umiliando in tutti i modi il loro lavoro e la loro funzione.
Stampa e televisioni invece di informare sulle attività, i meriti e i limiti dell’Università, lanciano campagne scandalistiche alle quali non corrisponde spesso la realtà dei fatti, come Roars mostra di continuo con ampia e rigorosa documentazione.
Si crea così una tenaglia che ha lo scopo di ridimensionare, e in prospettiva eliminare, uno dei pochi ambiti della vita sociale ancora istituzionalmente autonomi e culturalmente critici.
L’Università italiana ha naturalmente le sue zone oscure, le sue grandi responsabilità, disfunzioni, complicità, ma i provvedimenti legislativi e la disinformazione sistematica invece di contribuire a fare luce e a migliorarla producono una delegittimazione complessiva che serve soltanto al potere, che priva di risorse la ricerca, che ruba il presente e il futuro ai nostri figli.
Soltanto in questo contesto è stato possibile immaginare un Decreto che invece di sostenere l’intera Università si propone di arruolare 500 professori senza sottoporli alla valutazione delle rispettive comunità scientifiche ma delegando la chiamata alla Presidenza del Consiglio. I membri delle Commissioni nominate direttamente dal governo -formate da sole tre persone per ogni Settore Scientifico- percepiranno ben 160.000 € (Fonte: Il pdf del decreto Natta: compensi fino a 160.000 euro per singola commissione).
Come sempre accade, e contrariamente al fiume di bugie, i soldi ci sono. La questione è come vengono utilizzati. Quello previsto dal Decreto Natta è un uso del tutto politico e non scientifico, che nulla ha a che fare con il merito ma soltanto con il controllo sulla ricerca e con la ‘sistemazione’ degli amici di chi sta al governo
Un breve ma lucido e argomentato testo di Eugenio Mazzarella (Professore ordinario di Filosofia teoretica alla Federico II di Napoli) chiarisce il retroterra, il significato, gli scopi di questa operazione, che sta per fortuna suscitando le critiche e l’opposizione di molti Atenei e Società scientifiche. Mazzarella indica con chiarezza l’assoluta gravità di ciò che sta accadendo. È bene che i cittadini italiani ne siano consapevoli.

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[Versione pdf -quindi più comodamente leggibile- del testo di Mazzarella]

«Tutto quello che non uccide…»

Il CUDA (Coordinamento unico di docenti, ricercatori, pta e studenti dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica, libera e democratica) ha diffuso un documento che fa il punto sulla situazione dell’Università di Catania, anche alla luce delle sentenze dei tribunali amministrativi e delle recenti elezioni (5 ottobre) per il rinnovo del Senato Accademico.

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Non è vero che il carro segua i buoi, come logica e buon senso vorrebbero. O meglio, è vero dovunque, ma non in questa splendida e “autonoma” terra siciliana, bagnata da una Giustizia Amministrativa orgogliosa della sua differenza e della sua alterità.

Veniamo ai fatti. Il TAR di Catania, con la sentenza n. 2441 del 6 ottobre c.a., ha sancito che vadano avviate le procedure per la ricostituzione degli organi statutari di UNICT, nei termini e con le modalità già fissate dal Consiglio di Giustizia Amministrativa nella decisione n. 243/2016. Nel contempo, essendo proprio tale sentenza del CGA a dir poco ambigua se non pilatesca sul punto in oggetto (elezioni o meno del Rettore, tenuto conto che a tale carica si applicherebbe, a detta del Ministero, la norma che fa salvo il mandato in corso di svolgimento, ai sensi dell’art. 2, commi 8 e 9 della legge n. 240/2010), lo stesso CGA ha fissato e più volte rimandato (prima a settembre, poi a ottobre, adesso addirittura al 16 novembre!) un’udienza di interpretazione ottemperativa, tempestivamente chiesta dall’Ateneo già ai primi dell’agosto scorso. Situazione paradossale (se non vergognosa) e tutta “siciliana”, dunque, quella di un tribunale di primo grado che invoca l’applicazione di una sentenza definitiva, la quale però, ancora, non ha per niente raggiunto la sua stabilità e definitività. A voler essere maliziosi (e noi non lo siamo) si potrebbe pensare ad una sorta di “strategia del sandwich”; blocco la decisione a valle, e poi colpisco a monte con un’ulteriore sanzione. Ovvero indebolisco l’istituzione e cerco di porla, de facto, in condizione di stallo ed emergenza. E a continuare a voler essere maliziosi (e noi continuiamo a non esserlo) si potrebbe pensare che questa strategia abbia il fine di temporeggiare, di prendere tempo, logorare e lavorare sull’usura dell’avversario.

Nel contempo infatti, di certo in modo anch’esso “autonomo”, mentre la Giustizia Amministrativa siciliana litiga all’arma bianca con il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica (perché è con questo che sta litigando, come abbiamo più volte e chiaramente illustrato), all’Università di Catania i soliti noti manovrano per fare cadere l’attuale Amministrazione, rea di essere impegnata a ripristinare trasparenza e legalità a fronte di amicizia e clientela (anch’esse ben più “autonome” e siciliane, oltre che redditizie). E i soliti noti – gli stessi che prima avevano fretta fretta fretta di fare cadere il Rettore Pignataro – adesso hanno bisogno di tempo, tempo, tempo. Perché il loro candidato, aldilà di ipotesi-civetta e poco credibili, è come la pentola Lagostina: si cerca e cerca e cerca: ma proprio non si trova!

Facciamola breve e azzardiamo una previsione finale. Il 16 novembre il CGA (nel quale siedono esimi ex docenti dell’Ateneo di Catania) scioglierà la sua riserva e chiarirà quello che ha scritto (o meglio che non ha voluto scrivere da subito e davvero) chiedendo anch’esso le elezioni del Rettore, in barba all’interpretazione del Ministero e alla ratio di legge. A quel punto si dovranno indire elezioni, ma non si potranno tenere prima di gennaio. I soliti noti cercheranno allora (estrema e disperata chance) di non fare presentare l’attuale Rettore, il quale però ha pieno diritto legale (oltre che esplicito dovere morale) a concorrere a una nuova elezione fino ai sei anni di mandato prescritti dalla Legge. Seguiranno, à la carte, polemiche, denunce, falsi scoop di organi di millantata “inchiesta”, personalizzazioni parossistiche, minacce a mezzo di atti giudiziari; la solita routine, insomma, che ormai fa anche ridere se non fosse frutto della peggiore subcultura…

Fino al voto, in gennaio. Voto che confermerà (si vedano le recenti elezioni al Senato Accademico) un concetto semplice, anche se a taluni indigesto: a UNICT indietro non si torna. E se qualcuno vuole guidare questa Università, si prepari a farlo, dal 2019; ma con argomenti nuovi, proposte per un nuovo decennio e una cultura della legalità e della trasparenza chiare e non equivocabili.

Ai colleghi e alle colleghe che stanno producendo questo parapiglia di fine anno, dopo tre anni di “strategia della tensione”, ricordiamo il detto di un filosofo, che chi conosce un po’ la vita (ma non chi vive solo di potere e denaro) può comprendere .

“Tutto quello che non uccide, fortifica.”

Qui siamo tutte e tutti in buona salute…

Abbracci e serenità

Il CUDA
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