Skip to content


Unict non è un’associazione a delinquere

Il Coordinamento Unico dell’Ateneo di Catania, del quale faccio parte, ha scritto, discusso e diffuso il documento che pubblico qui sotto e allego in pdf, documento che ho contribuito a redigere e che spero aiuti a comprendere la realtà effettiva dell’Ateneo rispetto alle inesattezze, banalità e vere e proprie bugie che sono state in questi giorni ripetute.
Vorrei richiamare l’attenzione soprattutto su un passaggio del documento, sulla richiesta di «fare piena luce sugli ultimi e travagliati dieci anni della vita dell’Ateneo di Catania e sugli attori che hanno realmente e drammaticamente condizionato il suo operato, tramando con i partiti – che abbiamo sempre detto dover rimanere esterni alle vicende universitarie – e sottraendosi così a precise responsabilità per colpire chi ne aveva evidenziato le trame. Chi ha sinceramente a cuore l’esistenza e la funzione di questo Ateneo e l’opera che esso svolge nel suo territorio non può che chiedere con forza che emerga veramente tutto».

=========

Versione in pdf


L’Università di Catania non è un’associazione a delinquere ma va rigenerata

Lettera aperta agli studenti

Prima che come docenti è come educatori che ci rivolgiamo alle studentesse e agli studenti della nostra Università.
L’inchiesta della Procura di Catania sui vertici dell’Università della nostra città pone molti interrogativi e lancia molte ombre.
Noi riponiamo la massima fiducia nella magistratura giudicante e ci auguriamo che la giustizia faccia il suo corso nel più breve tempo possibile.
Chi ha sbagliato, infangando il nome del nostro Ateneo, dovrà pagare per quanto può avere commesso, e per l’onta che inevitabilmente da ciò può investire tutta la comunità accademica. Ci colpisce e indigna, al di là delle responsabilità penali, il tono di alcune delle anticipazioni, per il profilo culturale ed etico che emerge, non consono a un’istituzione come quella nella quale lavoriamo e per la quale spendiamo la nostra missione educativa nel nome della formazione delle nuove generazioni e della promozione della ricerca scientifica.
Al tempo stesso dobbiamo subito e con forza mettere in guardia da alcuni toni e interpretazioni dei fatti resi noti, in cui si confondono elementi concreti con altri irrilevanti. Riteniamo che i primi approfondimenti consentiranno di chiarire diversi aspetti di ciò che oggi viene contestato. Ad esempio, quando nelle intercettazioni si parla di ’18’ e ’24’ ci si riferisce semplicemente a due articoli della Legge Gelmini (Legge che noi abbiamo criticato aspramente alla sua approvazione, che è origine di molte delle storture attuali dell’Università, ma che tale è), i cui articoli stabiliscono le diverse modalità di espletamento dei concorsi; quando si parla di 12 o più pubblicazioni ci si riferisce al limite numerico delle ricerche scientifiche che si possono presentare a un concorso: anche questo elemento è stabilito dalle leggi in vigore, è presente in molti ordinamenti europei e non è frutto di alcuna macchinazione; alcuni dei concorsi – quelli “dell’articolo 24” – sono infine riservati a candidati già in servizio nell’Ateneo che bandisce: ciò è prescritto dalla legge, la quale stabilisce che gli atenei possono utilizzare il suddetto articolo fino al massimo del 50% delle risorse disponibili destinandole agli avanzamenti locali. Dunque si applica una legge, anche quando vi è un solo candidato perché uno solo è il docente dell’ateneo abilitato in quel settore scientifico-disciplinare.

Che l’Università abbia bisogno di rinnovamento – a partire dal regime dei concorsi sancito dalla Legge Gelmini e che ha forti patologie di sistema in tutta Italia – è fuori di ogni dubbio, lo denunciamo da anni proponendo, insieme ai movimenti nazionali per la riforma universitaria, soluzioni concrete: come il ruolo unico della docenza per il ricambio generazionale – quella italiana è l’Università più vecchia e meno finanziata d’Europa a partire dal diritto allo studio – e la valutazione paritaria e permanente dei docenti, della didattica e della ricerca. Paradossalmente però, occorrerà vigilare affinché questa vicenda non riporti l’orologio indietro ma contribuisca al rinnovamento nel segno della trasparenza e del merito.
Al di là del tremendo danno di immagine, il pericolo che fronteggia oggi il nostro Ateneo – per l’ennesima volta decapitato nei suoi vertici politici – è che la sua attività venga rallentata, i concorsi bloccati, le discipline non erogate.
Le vittime prime e ultime di tutto questo non saranno solo le persone indagate, e tra loro anche colleghi della cui correttezza siamo convinti, che ci auguriamo e riteniamo verranno sollevati da accuse i cui contorni lasciano molto perplessi, annegate come sono nell’ipotesi dell’associazione criminale.
Le vittime prime e ultime non saranno i docenti già incardinati, che continueranno a fare il loro lavoro: bene chi già lo svolgeva bene e male chi già lo svolgeva male.
Le vittime di tutto questo non saranno i soggetti più discutibili e oscuri che da troppi anni condizionano l’Università di Catania.
Le vittime di tutto questo saranno gli studenti siciliani e catanesi, le loro lauree, i dottorati, la ricerca, le loro speranze di futuro e benessere.

Speriamo che nei prossimi giorni il quadro appaia più definito e concreto. E speriamo che la magistratura giudicante possa celermente accertare la validità o meno dell’intero impianto probatorio annunciato. In ogni caso, qualunque cosa accada, noi proseguiremo nel nostro lavoro con il rigore e la competenza di cui siamo capaci, ancor più motivati a bene operare e convinti delle moltissime professionalità di cui l’Ateneo è forte e da cui oggi deve ripartire. Ma anche con l’orgoglio di appartenere alla nostra Università. Un’Università che vanta eccellenze scientifiche, didattiche e culturali e che non elegge certamente i Rettori con i “pizzini”(come qualcuno, con sboccata analogia, afferma).
Una Università che è giusto criticare per ciò che non funziona (e noi lo facciamo, da anni, richiamando spesso inascoltati le esigenze di un’etica pubblica nuova e avanzata); ma anche difendere come istituzione da accuse generiche e generalizzate.
L’Università di Catania è un bene comune, un grande e insostituibile valore pubblico del nostro territorio. Invitiamo per questo la città e la sua opinione pubblica a vigilare affinché non si alzi un polverone in cui buoni e cattivi, vittime ed “eroi”, vengono tragicamente confusi. Non sarebbe la prima volta a Catania; e lo sappiamo tutti molto bene.

Proprio per questo auspichiamo che il Ministero dell’Università – che di certo dovrà intervenire – invii un’ispezione che possa fare piena luce sugli ultimi e travagliati dieci anni della vita dell’Ateneo di Catania e sugli attori che hanno realmente e drammaticamente condizionato il suo operato, tramando con i partiti – che abbiamo sempre detto dover rimanere esterni alle vicende universitarie – e sottraendosi così a precise responsabilità per colpire chi ne aveva evidenziato le trame.
Chi ha sinceramente a cuore l’esistenza e la funzione di questo Ateneo e l’opera che esso svolge nel suo territorio non può che chiedere con forza che emerga veramente tutto. Solo così l’Università di Catania potrà ripartire, svincolata dalle tare del passato e forte del suo patrimonio di comunità fatta di donne e uomini liberi.

Catania, 1 luglio 2019 

CUDA

(Coordinamento Unico dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica, libera, aperta e democratica)

Manifesto per la Filosofia

Sono tra i ‘primi firmatari’ del Manifesto per la Filosofia, proposto da Marco Ferrari e Gian Paolo Terravecchia, docenti di filosofia nei Licei.
Invito i colleghi, gli studenti e tutti coloro che hanno compreso quanto prezioso e necessario sia il sapere filosofico a sottoscrivere il Manifesto.
Lo possono fare in due modi:
-se docenti o professionisti inviando una mail all’indirizzo
manifestoperlafilosofia@gmail.com, indicando nome, cognome, professione o sede universitaria;
-se studenti sottoscrivendo qui il documento: bit.ly/firmaxlafilosofia

Le motivazioni (pdf)

I primi firmatari (pdf)

Accademia

Qualche tempo fa un amico mi ha segnalato il seguente testo, trovato in Rete:

============
«Perché così tanta compassione per i bambini? «I morti sono un centinaio, tra cui dieci bambini». La distinzione, senza individuazione, è fatta esclusivamente per quegli anonimi piccoli dieci, ma sotto il lenzuolo ce ne sono altri novanta. «Tra le macerie, tre bambini». E chi era con loro, prima che la casa crollasse?
Qui il pensiero soggiacente è la nostra, tutta moderna, ossessione biologica per la specie. Il bambino ucciso o straziato dalle ferite ha più peso e avrebbe più diritto alla compassione in quanto a lui è stato affidato l’immaginario dovere di seminare nuova sventura umana nel criminale e stupido procedere dell’inumana Storia!
Tutto il nostro puntuale impietosimento va ad ovaie e a testicoli promettenti ma immaturi, non a un Giovannino o a una Angelica in quanto persone.
Nel cono di luce violenta l’asilo infantile bombardato si beve l’intero compianto; l’ospizio con una trentina di Alzheimer, di crocifissi alle carrozzine con le loro infermiere, decine di corpi mostruosamente ustionati o sepolti sotto macerie, accende un tacito sollievo.
Nell’invisibile non ci sono ovulazioni.
============

L’autore sarebbe, e certamente è, Guido Ceronetti (da Insetti senza frontiere).
È un testo molto intenso e del tutto condivisibile. Ho chiesto quindi gli esatti riferimenti bibliografici ma sembra che l’autore del sito nel quale il testo compare non inserisca i riferimenti perché ‘non vuole fare dell’accademia’. Un’affermazione che è caratteristica delle dinamiche di Internet. Con il pretesto di «non voler fare accademia» trovo infatti aforismi, affermazioni, pensierini attribuiti con certezza a Shakespeare, Platone, Nietzsche e che costoro non si sarebbero mai sognati non dico di scrivere ma neppure di pensare da ubriachi. E tuttavia circolano in modo virale e centinaia di migliaia di persone sono convinte che il bacetto perugina che hanno appena letto sia stato scritto da Platone perché sotto il bacetto compare questo nome.
Si tratta di un fenomeno che disprezzo. Sfornare citazioni senza indicare la fonte è nel caso migliore indice di superficialità, nel peggiore un imbroglio. Il pensiero e la conoscenza non sono un giochino di società, sono il senso stesso del mondo. Senza la fonte non è ad esempio possibile discutere le parole di Ceronetti con l’esattezza che meritano, non è possibile confrontarsi con esse in un modo che non sia soltanto soggettivo e impressionistico ma rigoroso e condiviso. A questo serve la probità del metodo, a questo serve l’«Accademia», il resto è sentimentalismo o aggressione. Le due facce complementari dei Social Network.

[Photo by Roman Kraft on Unsplash]

Sul tempo: dialogo con un fisico

L’Università è un comunità viva di studiosi. Tra i colleghi con i quali mi vado confrontando sul tema del tempo c’è Alessandro Pluchino, Professore di Fisica teorica nell’Ateneo di Catania. Elemento del confronto è stato anche lo studio di un suo libro dedicato a Tempo, cosmologia e libero arbitrio. I tre argomenti complessi e fondamentali che danno il titolo al  testo vengono affrontati con una metodologia aperta e con una scrittura sempre vivace.
Metodologia ‘aperta’ nel senso che Pluchino coniuga teoremi matematici, istanze epistemologiche e intuizioni mistiche provenienti dalle culture orientali e sempre più condivise da numerosi fisici e cosmologi contemporanei. Alessandro ha voluto pubblicare la nota che ho scritto sul volume. Questa la sezione del suo sito dalla quale è possibile scaricare il pdf:  Altri scritti.

Democrazia degli antichi e dei moderni

Nel mondo antico fu soltanto in Grecia che venne compresa e riconosciuta l’origine umana e non divina dell’autorità e la conseguente legittimità delle diverse opinioni e interessi in lotta tra di loro per l’acquisizione e la gestione del potere. La democrazia ateniese rappresenta non soltanto un unicum nella storia delle costituzioni politiche ma è per molti versi più avanzata delle democrazie contemporanee. Se infatti un suo duplice limite è costituito dalla schiavitù e dalla esclusione delle donne, tale limite è comune agli antichi ateniesi e ai fondatori della democrazia moderna. Anche i coloni inglesi che diedero vita agli Stati Uniti d’America e i rivoluzionari francesi difendevano infatti la schiavitù ed escludevano le donne dall’esercizio del potere.
La democrazia ateniese è più radicale di quella moderna per il fatto che non si limitava alla rappresentanza. Era una forma di democrazia diretta che prevedeva il sorteggio delle cariche tra tutti i cittadini maschi e liberi. «Solo poche magistrature, per le quali erano richieste competenze specifiche, erano elettive. Tutte le altre funzioni pubbliche erano affidate a persone non elette, ma estratte a sorte fra tutti i cittadini. Inoltre, le leggi proposte dalla Boulé dovevano essere votate dall’assemblea di tutti i cittadini (ecclesía)» (Lucio Russo, Perché la cultura classica. La risposta di un non classicista, Mondadori 2018, p. 27).

La democrazia ateniese è una delle tre grandi eredità del mondo antico. Le altre due sono il metodo dimostrativo euclideo e il primato del diritto pubblico.
La perdita della terza eredità -il diritto publico- è diventata estremamente pericolosa per i destini delle democrazie contemporanee. Si tratta di un elemento giuridico ben compendiato nei principi delle Institutiones giustinianee, le quali distinguevano quattro tipi di beni: res divini juris; res communes omnium; res pubblicae; res privatae. Vale a dire, i beni che riguardavano direttamente la sfera del sacro, i beni appartenenti a tutti gli umani in quanto tali, i beni di proprietà del popolo romano, i beni delle singole persone.
Ebbene, nel mondo romano soltanto queste ultime, le res privatae, potevano essere acquistate, vendute, fatte oggetto di transazioni commerciali. Il resto, tutto il resto, era proprietà collettiva che né i consoli, né il senato e neppure la figura autocratica dell’imperatore avrebbero potuto toccare, scambiare, privatizzare. Un rispetto per la proprietà comune, e per le esigenze fondamentali dell’umano, che è stato dissolto dal capitale e dalle sue vittoriose propaggini liberiste contemporanee, che tendono invece con successo a privatizzare, sfruttare, esaurire le risorse indispensabili alla collettività come -prima di tutte- l’acqua, le coste, i fiumi. E dunque «l’ideologia neoliberista attualmente dominante, che ha liberato il mercato da qualsiasi limite o regola e non concepisce beni che non siano merci, per imporsi ha dovuto operare una frattura con la tradizione del diritto romano» (p. 186).

Questi tre elementi fondamentali -il metodo dimostrativo perfezionato durante l’ellenismo, la democrazia greca, il diritto romano- costituiscono un patrimonio vitale, che soltanto una vera e propria barbarie sta progressivamente ma tenacemente eliminando sia dalle scuole europee -«divenute sempre più generici luoghi di intrattenimento e socializzazione. In Europa questo processo è stato agevolato dall’atteggiamento assunto dai partiti tradizionalmente ‘di sinistra’» (p. 109)- sia dalla Università, con una serie di motivazioni molto diverse ma tendenti tutte -che ne siano consapevoli o meno- alla dissoluzione di ciò che a partire dal VI secolo aev è stato il nostro continente.
Tralasciare o cancellare lo studio dei testi greci e romani, nelle loro lingue, non costituisce soltanto una perdita di conoscenze filologiche o erudite ma significa anche e soprattutto non comprendere più i contenuti fondamentali della vita collettiva, produttiva, simbolica del XXI secolo. L’intera nostra concezione del mondo si è formata infatti «attingendo in modo essenziale a fonti classiche, spesso non riconosciute, ed è poco comprensibile a chi le ignora» (p. 12).
Non si tratta dunque di difendere i Greci o di proporre la salvaguardia di una qualche forma di classicismo, si tratta di garantire le condizioni minime della nostra autocomprensione e della conseguente capacità di agire in modo equilibrato, consapevole e fecondo, invece che come marionette in mano ai modi di produzione dominanti.
Anche per questo la distinzione ontologica tra saperi cosiddetti ‘scientifici’ e saperi cosiddetti ‘umanistici’ non ha senso. Si tratta di una dicotomia non soltanto del tutto artificiosa e «che sarebbe certo impossibile da spiegare a un intellettuale dell’antica Grecia» (p. 5) ma anche di una separazione che rende poi difficile agire sia nell’ambito della scienza -come si vede dal crollo delle capacità argomentative diverse dall’urlo televisivo o facebookiano- sia nell’autocomprensione del nostro collettivo e quotidiano stare al mondo.

Una lettura

Ringrazio l’équipe del fotografo Franco Carlisi che ha ripreso e montato con rigore ed empatia la lettura del racconto Di stelle e di buio, in occasione della presentazione del volume di Carlisi ll valzer di un giorno al Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania il 9 novembre 2018. L’elemento per me più interessante è costituito -oltre che dalle immagini iniziali dello splendido Monastero dove lavoro- dai volti degli ascoltatori, con le loro espressioni sorprese, attonite, divertite, attente. Tra questi volti, numerosi miei studenti che ringrazio ancora una volta per la presenza affettuosa e partecipe.

 

Παιδεια

Per la παιδεία
in Koiné, anno XXV – 2018
«Per una scuola vera e buona»
pagine 91-101

In questo testo ho ripreso alcune delle analisi formulate in due contributi pubblicati sulla rivista «Punti Critici»: Educazione e antropologia (1999) e Sulla «Grande Riforma» della scuola italiana (2001).
I non pochi anni che ci separano da quelle riflessioni hanno confermato la plausibilità e attualità di quanto vi avevo argomentato. E questo è in gran parte un dramma poiché significa che è continuato il processo di dissoluzione delle conoscenze in astratte e sterili competenze; significa che è proseguita l’imposizione alle scuole e alle università di un lessico finanziario fatto di crediti e di debiti formativi; significa che la conoscenza è diventata un carico di merci da scambiare secondo le regole di un capitalismo non si sa se più arcaico o postmoderno.
L’Università disegnata da tali paradigmi è frutto di un riformismo artificioso e semplicistico. Un riformismo omologante nel suo ignorare completamente la diversa evoluzione storica degli istituti di formazione; perdente nell’adottare modelli che nei Paesi anglosassoni hanno fallito; indifferente ai contenuti e alle finalità dell’insegnamento e tutto giocato sul piano istituzionale-organizzativo; americanizzante nei suoi presupposti ideologici e nelle sue concrete articolazioni.
Tutto questo è coerente con la tendenza alla globalizzazione dell’economia: costruire una società di esecutori dotati di diplomi di bassa qualità, lasciando che a decidere il modello di sviluppo e a gestirlo sia un’élite di tecnocrati. Per tutti gli altri è sufficiente il luccichio del nulla televisivo, l’aggressiva superficialità dei social network, la patetica commedia dei Corsi Zero.
A questo degrado oppongo il significato e la viva attualità della παιδεία, della relazione viva, libera, rigorosa e feconda tra l’allievo e il maestro. La struttura del fatto educativo è socratica, sempre. Nessun docente può garantire alcun risultato se in chi lo ascolta non c’è predisposizione all’apprendere e volontà di riuscirci. L’educatore non è onnipotente; l’educando non è una macchina plasmabile in qualsivoglia forma; l’educazione è rapporto fra persone, è incontro di libertà sempre dinamiche, sempre in movimento. Movimento e divenire è infatti l’insegnamento, poiché se «i greci esistevano nel discorso» come è evidente sia nel Gorgia di Platone sia nella Retorica di Aristotele, allora «insegnare significa parlare a un altro, rivolgersi all’altro nel modo del comunicare. L’essere proprio di un insegnante è: stare davanti a un altro e parlargli, per la precisione in modo tale che l’altro, ascoltando, lo segua. Si tratta di un nesso ontologico unitario determinato dalla κίνησις» (Heidegger, I concetti fondamentali della filosofia aristotelica [1924], trad. di G. Gurisatti, Adelphi 2017, § 13, p. 140 e § 28, p. 353).

Il testo è articolato nei seguenti paragrafi:
-Scuola e politica
-Conoscenze e competenze
-Socratismo e comportamentismo
-Marketing e analfabetismo
-Europa e παιδεία

Vai alla barra degli strumenti