Skip to content


«Tutto quello che non uccide…»

Il CUDA (Coordinamento unico di docenti, ricercatori, pta e studenti dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica, libera e democratica) ha diffuso un documento che fa il punto sulla situazione dell’Università di Catania, anche alla luce delle sentenze dei tribunali amministrativi e delle recenti elezioni (5 ottobre) per il rinnovo del Senato Accademico.

============
Non è vero che il carro segua i buoi, come logica e buon senso vorrebbero. O meglio, è vero dovunque, ma non in questa splendida e “autonoma” terra siciliana, bagnata da una Giustizia Amministrativa orgogliosa della sua differenza e della sua alterità.

Veniamo ai fatti. Il TAR di Catania, con la sentenza n. 2441 del 6 ottobre c.a., ha sancito che vadano avviate le procedure per la ricostituzione degli organi statutari di UNICT, nei termini e con le modalità già fissate dal Consiglio di Giustizia Amministrativa nella decisione n. 243/2016. Nel contempo, essendo proprio tale sentenza del CGA a dir poco ambigua se non pilatesca sul punto in oggetto (elezioni o meno del Rettore, tenuto conto che a tale carica si applicherebbe, a detta del Ministero, la norma che fa salvo il mandato in corso di svolgimento, ai sensi dell’art. 2, commi 8 e 9 della legge n. 240/2010), lo stesso CGA ha fissato e più volte rimandato (prima a settembre, poi a ottobre, adesso addirittura al 16 novembre!) un’udienza di interpretazione ottemperativa, tempestivamente chiesta dall’Ateneo già ai primi dell’agosto scorso. Situazione paradossale (se non vergognosa) e tutta “siciliana”, dunque, quella di un tribunale di primo grado che invoca l’applicazione di una sentenza definitiva, la quale però, ancora, non ha per niente raggiunto la sua stabilità e definitività. A voler essere maliziosi (e noi non lo siamo) si potrebbe pensare ad una sorta di “strategia del sandwich”; blocco la decisione a valle, e poi colpisco a monte con un’ulteriore sanzione. Ovvero indebolisco l’istituzione e cerco di porla, de facto, in condizione di stallo ed emergenza. E a continuare a voler essere maliziosi (e noi continuiamo a non esserlo) si potrebbe pensare che questa strategia abbia il fine di temporeggiare, di prendere tempo, logorare e lavorare sull’usura dell’avversario.

Nel contempo infatti, di certo in modo anch’esso “autonomo”, mentre la Giustizia Amministrativa siciliana litiga all’arma bianca con il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica (perché è con questo che sta litigando, come abbiamo più volte e chiaramente illustrato), all’Università di Catania i soliti noti manovrano per fare cadere l’attuale Amministrazione, rea di essere impegnata a ripristinare trasparenza e legalità a fronte di amicizia e clientela (anch’esse ben più “autonome” e siciliane, oltre che redditizie). E i soliti noti – gli stessi che prima avevano fretta fretta fretta di fare cadere il Rettore Pignataro – adesso hanno bisogno di tempo, tempo, tempo. Perché il loro candidato, aldilà di ipotesi-civetta e poco credibili, è come la pentola Lagostina: si cerca e cerca e cerca: ma proprio non si trova!

Facciamola breve e azzardiamo una previsione finale. Il 16 novembre il CGA (nel quale siedono esimi ex docenti dell’Ateneo di Catania) scioglierà la sua riserva e chiarirà quello che ha scritto (o meglio che non ha voluto scrivere da subito e davvero) chiedendo anch’esso le elezioni del Rettore, in barba all’interpretazione del Ministero e alla ratio di legge. A quel punto si dovranno indire elezioni, ma non si potranno tenere prima di gennaio. I soliti noti cercheranno allora (estrema e disperata chance) di non fare presentare l’attuale Rettore, il quale però ha pieno diritto legale (oltre che esplicito dovere morale) a concorrere a una nuova elezione fino ai sei anni di mandato prescritti dalla Legge. Seguiranno, à la carte, polemiche, denunce, falsi scoop di organi di millantata “inchiesta”, personalizzazioni parossistiche, minacce a mezzo di atti giudiziari; la solita routine, insomma, che ormai fa anche ridere se non fosse frutto della peggiore subcultura…

Fino al voto, in gennaio. Voto che confermerà (si vedano le recenti elezioni al Senato Accademico) un concetto semplice, anche se a taluni indigesto: a UNICT indietro non si torna. E se qualcuno vuole guidare questa Università, si prepari a farlo, dal 2019; ma con argomenti nuovi, proposte per un nuovo decennio e una cultura della legalità e della trasparenza chiare e non equivocabili.

Ai colleghi e alle colleghe che stanno producendo questo parapiglia di fine anno, dopo tre anni di “strategia della tensione”, ricordiamo il detto di un filosofo, che chi conosce un po’ la vita (ma non chi vive solo di potere e denaro) può comprendere .

“Tutto quello che non uccide, fortifica.”

Qui siamo tutte e tutti in buona salute…

Abbracci e serenità

Il CUDA
============

Programmi dell’anno accademico 2016-2017

Nell’a.a. 2016-2017 insegnerò Filosofia teoretica, Filosofia della mente e Sociologia della cultura.
Pubblico qui i programmi che svolgerò, inserendo i link al sito del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania per tutte le altre (importanti) informazioni.

Filosofia teoretica
Teoria generale del tempo come Identità e Differenza

Antonio Cimino, Ontologia, storia, temporalità. Heidegger, Platone e l’essenza della filosofia, Edizioni Ets 2005
Platone, Sofista (qualunque edizione con testo greco a fronte; preferibilmente l’edizione curata da Bruno Centrone, Einaudi 2008)
Martin Heidegger, Il ‘Sofista’ di Platone, Adelphi 2013, paragrafi 33-80, pp. 259-600
Alberto Giovanni Biuso, Aiòn. Teoria generale del tempo, Villaggio Maori Edizioni 2016

===========

Filosofia della mente
La mente, il corpo e il bello. Modelli greci

Alberto Giovanni BiusoLa mente temporale. Corpo Mondo Artificio, Carocci, 2009 (capp. 1 e 2, Una storia della mente – Il corpo dentro il mondo)
Bruno SnellLa cultura greca e le origini del pensiero europeo, Einaudi 2002 (Introduzione e capp. I-VIII)
Anthony A. LongLa mente, l’anima, il corpo. Modelli greci, Einaudi 2016
Friedrich W. NietzscheLa nascita della tragedia dallo spirito della musica, Adelphi
Alberto Giovanni Biuso«Abbiamo l’arte per non naufragare nella verità». Sull’estetica dionisiaca di Nietzsche, in «Koiné», Anno XIV – NN. 1-4, Gennaio/Dicembre 2007

===========

Sociologia della cultura
Social Network e dominio

Rocco De BiasiChe cos’è la Sociologia della cultura, Carocci 2008.
Guy DebordCommentari alla società dello spettacolo, in «La Società dello Spettacolo», Baldini & Castoldi 2013, pp. 185-248.
Christoph TürckeLa società eccitata. Filosofia della sensazione, Bollati Boringhieri 2012: premessa e capitolo 1 (pp. 9-97).
Renato CurcioL’Impero virtuale. Colonizzazione dell’immaginario e controllo sociale, Sensibili alle foglie 2015.
Giuseppe FrazzettoEpico Caotico. Videogiochi e altre mitologie tecnologiche, Fausto Lupetti Editore 2015, Premessa e capitoli: Playing Class Hero; Altri pianeti, altre vite; Gioco e mobilitazione della vita; Di macchine e animali; Selfie e altri punti di vista; Miti Wikipedia.
Alberto Giovanni Biuso, «La società videocratica», in L’anarchismo oggi. Un pensiero necessario – Libertaria 2014, pp. 66-71.

Paranoie

Dopo Il gioco al massacro riporto qui un nuovo documento del Coordinamento unico di docenti, ricercatori, pta e studenti dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica, libera e democratica.
Spero che questa accurata ricostruzione degli eventi serva a comprendere meglio che cosa sta accadendo a Catania.

============================

Il caos della paura e la forza del buon senso

L’Ateneo di Catania è nuovamente sotto i riflettori.
Qualcuno sembra terrorizzato dal fatto che l’attuale Rettore giunga all’esito naturale del suo mandato, ovvero il 2019. Per questo qualcuno il 2019 è troppo lontano, soprattutto troppo pericoloso, troppo fuori controllo.
Per comprendere che cosa stia accadendo sarà necessario vedere con pazienza – e per un attimo “da fuori” – dentro quale narrazione ci troviamo catapultati; e come questa narrazione, passo dopo passo, sia stata volutamente costruita nel corso degli ultimi due anni.

L’invenzione del caos

Alcuni “Organi di stampa” – in particolare uno, la testata online SUDPRESS – portano avanti da tempo e in modo martellante e ossessivo una tesi, di continuo gridata e urlata (spesso si urla e grida se si ha paura di ciò che le urla e le grida nascondono); e questa tesi – elemento importante se non fondamentale – ha una esatta data d’inizio, che corrisponde al manifestarsi del contrasto tra il dr. Lucio Maggio, allora Direttore Generale nominato dalla precedente gestione, e l’Amministrazione attuale.
In realtà, il conflitto non è né è mai stato tra il  Rettore Pignataro e il Direttore generale dott. Maggio; il contrasto è sorto invece e in modo chiaro tra l’Amministrazione con i suoi Organi rappresentativi da un lato (in primis il Consiglio di Amministrazione, salvo alcuni dei consiglieri nominati dal precedente rettore, e poi il Senato Accademico), e l’ex Direttore Generale dall’altro. L’Amministrazione, sostenuta dalla quasi totalità dei direttori di dipartimento, dei docenti, del personale tecnico-amministrativo e delle associazioni sindacali, ha ritenuto che la gestione del Maggio sia stata illegittima su alcuni specifici e significativi passaggi amministrativi (la proroga autonoma e non concordata di alcune figure dirigenziali a tempo determinato e la decisione non rispettosa del regolamento su alcuni appalti di consistente importo, tra tutte); e soprattutto la comunità universitaria ha ritenuto che tale gestione sia stata radicalmente improntata a  una concezione e una pratica autocratiche, come tale inidonee a una conduzione equilibrata del ruolo che la legge assegna al DG. Questa tesi è una persecuzione ad hominem, o è piuttosto corroborata da elementi fondati e che i lavoratori e le lavoratrici dell’Ateneo hanno sperimentato quotidianamente? Questa seconda ipotesi è facilmente dimostrabile. Nel periodo della sua gestione, infatti, il dr. Maggio compie un processo di accentramento amministrativo che rende ardua se non impossibile la fisiologica dinamica tra dipartimenti e uffici centrali, per missioni non marginali ma fondamentali come il coordinamento di didattica e ricerca (l’ateneo in quegli anni scivola, tra l’altro, agli ultimi posti nelle performance della didattica a livello nazionale); si spinge addirittura (durante la breve fase del suo reintegro, dal 1/12/2014 al 22/1/2015) a emanare direttive che inibiscono i dirigenti e i funzionari dal parlare con gli organi di governo e i direttori di dipartimento senza una previa “autorizzazione” del DG stesso. Il DG teorizza la superiorità della funzione, certo importante ma amministrativa ed esecutiva, che la legge gli assegna, rispetto al ruolo degli organi d’indirizzo democraticamente eletti  o nominati; sostanziali effetti di paralisi della gestione amministrativa stessa);  ed è curioso, a dir poco, che egli non “scopra” tale sua centralità gestionale-politica, questa sua missione di centro focale dell’universo accademico, all’inizio della sua funzione (prima di Direttore Amministrativo e poi di Direttore Generale sotto l’amministrazione Recca): ma che tale illuminazione lo colga solo all’indomani dell’elezione del candidato che Recca stesso aveva combattuto fino all’ultimo, pur non potendone impedire l’elezione quasi plebiscitaria, ovvero Pignataro… Strano, vero?
Questo quadro, certo conflittuale ma anche “fisiologico” nella vita della Pubblica Amministrazione, viene sistematicamente deformato dal suddetto “organo di stampa”.
Il mandato è: drammatizzare e personalizzare. E soprattutto dipingere la vita dell’Ateneo – complessa e difficile, come quella di tutti gli atenei italiani in età di crisi e tagli strutturali – come un girone infernale di interessi e clientele. Il che forse è stato vero un tempo (a volte si proietta il passato sul presente), ma oggi di certo non è più.
Chi può accusare di irregolarità penalmente rilevanti chicchessia senza prove inoppugnabili? Nessuno che sia corretto con se stesso e con gli altri. Se il dr. Maggio lo fa, noi non lo seguiremo. Gli ricordiamo però un unico passaggio della sua vita professionale di dirigente, semplicemente, tra i moltissimi possibili, che dovrebbe spingerlo a maggior cautela e più serena capacità di contenimento: infatti, in occasione del tristissimo scandalo del Mailgate per il quale il prof. Recca è inquisito e per il quale l’Ateneo si è costituito parte civile, almeno un’intercettazione ambientale lo vede al tavolo col past rettore e un funzionario, mentre il primo indica le azioni necessarie e utili ad addossare a taluni le responsabilità, condivise, di quell’evento nefasto. Questo è del tutto inoppugnabile, ahinoi. Non sappiamo se qualche magistrato chiederà mai al dr. Maggio di rispondere di tale evidenza; ma l’evidenza resta. Sorvoliamo su altri passaggi, dunque, e continuiamo la nostra narrazione.
Non prima però di esserci posti una domanda, che sorge spontanea: perché mai un organo di stampa, che si definisce di giornalismo d’inchiesta,  dovrebbe sposare con tale perseveranza e violenza la tesi di una parte in un conflitto tutto sommato marginale? Perché SUDPRESS diventa il megafono della difesa del dr. Maggio? A questa domanda non troviamo risposta. Ma il dato è anch’esso difficilmente oppugnabile.

La paranoia penale 

La “strategia di pressione” del dr. Maggio – di cui ci sfugge la logica etica e istituzionale – non è tanto, francamente, importante in sé. Essa diviene piuttosto importante in quanto parte di una strategia ancor più complessiva di pressione sull’ateneo e  sul Rettore, attraverso una vera e propria forma di bombardamento mediatico. Questa strategia è viziata da una nemmeno tanto sotterranea paranoia penale e inquisitoriale. Chi vive una tale paranoia, chi concepisce un tale rapporto con il suo luogo di lavoro e i suoi colleghi, tradisce una realtà nemmeno troppo difficile da capire: egli nutre tremendi dubbi non sull’incolumità degli altri (su cui vorrebbe scatenare folgori e pestilenze e  distruzioni), ma su di sé, sulla sua sicurezza, sulla sua stessa incolumità. Ognuno ha i suoi fantasmi, ha anche diritto di averli e coltivarli; ma nessuno è titolato a trasferirli sugli altri né, soprattutto, sulle istituzioni che operano per il bene comune.
Questa “strategia” è dunque dettata dalla paura patologica di chi la ordisce e persegue. E ciò è psicologicamente semplice da capire quanto eticamente triste e difficile da accettare.
Il medesimo schema narrativo viene oggi utilizzato per la vicenda dello Statuto. Lo stesso Rettore che ha creato il vulnus istituzionale dello Statuto illegittimo per il MIUR (nel 2011) usa la vicenda per tentare la vendetta giudiziaria nei confronti del suo avversario.
Il copione è il medesimo. Recca si fa passare quale paladino della legalità, esempio positivo e difensore della legittimità costituzionale (dopo aver fatto quello che ha fatto).
Il Rettore Pignataro viene additato come già decaduto (con grave ma consueta confusione tra desideri e realtà) e come esempio negativo di renitenza all’applicazione di sentenze esecutive e inoppugnabili (anche quando non lo sono).
Infine, la natura del conflitto giudiziario viene drammatizzata e personalizzata in modo infantile. Infatti, la vicenda del contenzioso sullo Statuto non è un conflitto, come caricaturalmente rappresentato, tra un singolo rettore e il Consiglio di Giustizia Amministrativa; la natura vera di quel conflitto è altra, del tutto, ed è quella di un conflitto tra MIUR e CGA sull’applicazione e sugli esiti della Legge 240, generato come polpetta avvelenata dalla passata gestione di Recca, e utilizzato dall’entourage recchiano per ottenere un capovolgimento giudiziario dell’elzione democratica di questa amministrazione (torneremo su questo punto).
C’è un ultimo aspetto. Il dr. Maggio, con grande tempismo, fa sfornare al suo esercito di avvocati (si vede che ha i mezzi per sostenerne le spese), quasi ogni settimana ormai, minacce di denunce o denunce penali vere e proprie contro il Rettore Pignataro. E – fatto davvero inconsueto! – sono gli stessi avvocati a produrre e divulgare dei comunicati stampa. La prima di queste, con una memoria di 1200 pagine (!!!), invero archiviata – supponiamo nel ludibrio degli organi inquirenti – accusa il Pignataro addirittura di “maltrattamenti familiari”; e ancora querele per diffamazione, denunce per danno psicologico, mobbing, inadempienza alle sentenze… manca solo una denuncia per terrorismo internazionale (ma confidiamo che sia in preparazione).
Perché tutta questa enfasi sulle denunce penali?
Vediamo due obiettivi, oggettivamente comprensibili (da un certo punto di vista): il primo è  tenere alta la pressione mediatica tentando di convincere l’opinione pubblica locale (molto distratta, ahinoi, anche nelle sue testate giornalistiche più “titolate”) che la quantità sia qualità. Convincere anzi della qualità attraverso la quantità. Ma avere il bancone pieno di merce è inutile, se la merce è falsa. Siamo ormai consumatori accaniti e smagati, un po’ tutti…
Un secondo obiettivo è però più sottile: ovvero quello di ottenere una qualche forma di inibizione penale in caso di nuove elezioni del rettore (auspicate da qualcuno che fa male i conti, ma di molto). Questo secondo obiettivo ci pare ben lontano dal raggiungersi, ma, se questa seconda ipotesi fosse vera, sarebbe una semplice mascalzonata, che nessun docente dell’ateneo è disposto a sopportare e di cui ogni cittadino avvertito del nostro territorio dovrebbe essere cosciente.

 Ognuno risponde delle sue azioni

Immaginate di essere un genitore la cui figlia o il cui figlio sta per compiere la scelta della vita: l’iscrizione ad un corso universitario, il bivio del proprio futuro lavorativo ed esistenziale. Immaginate che la giovane o il giovane si vogliano iscrivere all’Università di Catania. Come potrà farlo, con serenità, dinanzi ad una rappresentazione mediatica che espone l’Ateneo alla gogna quotidiana? “Tutti contro tutti”, “Muro contro muro”, “Organi azzerati”, “Caos all’Università di Catania”…
Chi guadagna (pochissimi) e chi perde (tutti noi) da questa rappresentazione apocalittica del caos viziata da una paranoia e da una paura “penali” profonde?
Il danno è oggettivo. Crediamo sia venuto il momento di chiedere conto di questo danno, come degli altri che si sono verificati in passato. Il tempo del silenzio è finito. Per questo riteniamo si tratti di valutare l’opportunità di controdenunce e di azioni penali collettive volte a tutelare la vita e l’immagine del nostro Ateneo; che è il nostro luogo di lavoro e la nostra missione sociale.
Quando il prof. Recca era Rettore, noi del CUDA lo abbiamo contrastato apertamente. Abbiamo denunciato le sue scelte e criticato gli atti della sua amministrazione: le linee guida per i provvedimenti disciplinari; i provvedimenti disciplinari stessi; la politica delle lauree honoris causa; la scelta di fare il rettore e insieme il presidente regionale del partito di Cuffaro, con un conflitto di interessi inopportuno  ed essendo dunque politicamente vicino all’allora Presidente della Regione Sicilia nel periodo in cui maturavano gli esiti che avrebbero condotto alla condanna di questi per concorso esterno in associazione mafiosa; lo scandalo Mailgate, gravissimo; le scelte sul mancato pagamento dei ricercatori per la didattica frontale; e potremmo continuare…
Abbiamo criticato e contrastato Recca. Ma l’abbiamo contrastato A VISO APERTO; candidandoci nelle elezioni degli organi, venendo isolati e additati, fregandocene dei servi , dei pavidi e degli opportunisti (che allora fiorivano) della prima e della seconda ora, ma continuando a metterci la faccia, senza spostare mai la contesa dal piano politico a quello giudiziario, salvo denunciare e motivare pubblicamente quello che non ci convinceva se non ci convinceva.
Abbiamo condotto una battaglia politica.
Chi sposta immotivatamente e sistematicamente il confronto sulle scelte amministrative sul piano del complotto o della vendetta giudiziaria si pone di fatto fuori dal sistema fisiologico di funzionamento di una comunità. E, soprattutto, mostra debolezza e paura.
Ci chiediamo allora: paura di cosa? Cosa si teme?
Che qualcosa del passato venga alla luce? Che scelte, procedure di appalto, sistemi di controllo magari pressati da interessi privati passino al vaglio degli organi competenti? Accadrà, quando accadrà, inevitabilmente. Se ne faccia ciascuno una ragione. Noi continuiamo a pensare alla vita dell’università; la magistratura penserà al resto, vogliamo credere e confidiamo, con imparzialità e rigore.
La risposta della comunità universitaria catanese di fronte alla “crisi” di questi giorni è stata ed è compatta: si vedano i documenti, le prese di posizione di tutti i direttori (meno uno…), di varie sigle sindacali.
Crediamo però che – per il futuro del nostro ateneo – si debba ragionare ancor più a fondo di come si è fatto finora sugli effetti della passata gestione, su ciò che è accaduto e su come è accaduto, senza mettere la testa sotto la sabbia, senza tacere la realtà delle paure e delle pavidità colpevoli, perché il presente è figlio del passato; e riteniamo che si debbano ampliare gli spazi di riflessione, dibattito e dialogo aperto e franco sull’università e sui suoi problemi, locali e nazionali. Solo così si potrà con ancora più forza non solo difendere un presente, ma rilanciare la nostra università e costruire un futuro di fisiologico confronto e di reciproco rispetto, senza padrini né padroni, in una comunità di ricercatori liberi, responsabili della loro funzione in questo contesto che di libertà e cultura ha bisogno vitale; e consapevoli della possibilità unica, loro offerta, di promuovere benessere morale e materiale delle nuove generazioni.
Dire tutto questo, oggi, senza paura, senza ipocrisia, è già investire su un futuro migliore. Ne abbiamo bisogno, anzi dobbiamo farlo.

IL CUDA

Il gioco al massacro

Nel febbraio del 2013 l’Università di Catania elesse un nuovo Rettore -Giacomo Pignataro- con una percentuale di voti che non lasciava dubbi sulla volontà del corpo accademico di segnare una discontinuità con la precedente amministrazione. La quale però non si è rassegnata a tale risultato e ha operato in molti modi per capovolgerlo. L’episodio più recente è raccontato nel documento del CUDA che riporto per intero, condividendone i contenuti e le intenzioni. È bene che soprattutto gli studenti sappiano come si intende paralizzare la vita della loro Università, con grave danno per tutti.

============

Questa storia narra di un ateneo presso il quale la parola legalità faticava a far rima con realtà, giustizia e legittimità.
C’era un rettore che aveva dato corso a una legge solo nelle parti in cui gli piaceva. Questa legge gli imponeva di adottare uno statuto raccordandosi con altri attori istituzionali (il MINISTERO). Ma lui niente: lo statuto è mio e me lo faccio come voglio io; anzi, lo approvo “a prescindere”. E se qualcuno si lamenta, vada a raccontarlo ai giudici. Io me ne infischio; anzi, me ne frego.
Nel 2011, questo rettore manda tanti saluti al Ministero e fa approvare uno statuto “fai da te”.
In quegli stessi anni, questo rettore che non amava tanto essere disturbato, e che si segnala anche per il conferimento di laurea honoris causa a un signore – un uomo d’onore, direbbe Shakespeare – che l’ha, ci dicono, successivamente riposta nel poco spazio lasciato libero dagli incartamenti di tutte le pendenze giudiziarie che lo riguardano, questo rettore, amante delle regole, amante del confronto pacato con tutti, si segnala per aver promosso un’azione disciplinare contro un preside, uno tra i pochi docenti del Suo ateneo a farlo in verità, che osa biasimare, ah ingeneroso!, la sua gestione amministrativa.
In quegli stessi anni, il medesimo rettore, uso a discutere ragionevolmente con quanti non riescono a vedere i sacrifici che fa ogni giorno per mandare avanti la baracca, pensa bene di lanciare in politica la moglie di un suo sottoposto. Ma nel farlo si affida, poveruomo, alla collaborazione di maldestri esecutori che gli combinano un guaio con risvolti penali.
Sempre negli stessi anni lo stesso rettore si segnala, nella sua azione politica indefessa, per un esilarante doppio incarico che evidenzia l’ateneo come indiscussa anomalia nel panorama nazionale: presidente regionale dell’UDC – partito dell’allora presidente della Regione Cuffaro Totò – e immarcescibile rettore…
Ora, diciamo noi, ma è possibile che un tale lavoratore indefesso debba anche tollerare che i soliti sfascisti, gufi e rosiconi facciano commenti su tutte le cose buone che fa. Per di più disprezzandole, non cogliendone la bellezza, la purezza, il disinteresse. Ma la libertà di pensiero può mai divenire libertà di scassare i cabbasisi a un santo? No, e infatti arrivano le linee guida comportamentali in caso di azioni disciplinari, incostituzionali e illiberali, tanto da scatenare una polemica nazionale.
Le vite dei santi, genere letterario importantissimo, ispirano una sequela della santità, fanno proseliti. Oggi ci pare che questo esempio di difensore delle regole abbia giuridicamente ispirato una collega, già componente del Cda, che si è accorta che c’era del marcio a Catania.
Menomale. Menomale che ha caricato la sveglia, dato fiato alle trombe, fatto suonare le campane.
C’è un giudice a Berlino, anzi a Palermo, e finalmente c’è, dopo una parentesi di oscurantismo e notte e nebbia, un po’ di luce anche a Catania (dove nel frattempo ricorso-fotocopia è stato presentato, proprio dal già rettore, con perfetto tempismo e pervicace attivismo giudiziario…).

A conclusione di questa doverosa, lunga e ricca (ma di povertà) premessa storica – perché la tendenza a dimenticare è una tentazione diffusa nel nostro Paese e dalle nostre cuffariane parti in ispecie – ecco il punto. Proprio da parte di chi ha creato un vulnus grave e dunque una condizione di potenziale ingovernabilità e stallo istituzionale (con l’approvazione dello Statuto “a prescindere”) viene oggi agitato quel vulnus, per dire che l’attuale amministrazione è illegittima, non ha titolo, e che un rettore votato da  oltre l’80% dell’ateneo è abusivo. Addirittura, in un’ultimissima esternazione a mezzo stampa, avente per oggetto niente di meno che “elezioni del nuovo rettore”, il prof. Recca, in abborracciato blasone istituzionale, dichiara “grande soddisfazione” per la sentenza del CGA che a suo dire azzererebbe tutte le cariche dell’ateneo (Rettore compreso) e si lancia come suo solito in accuse incontrollate e ardite nei confronti dell’attuale Rettore (mentre allestisce già gazebi elettorali agostani e lancia prevedibili candidature civetta). Scorda, il Recca (o finge di scordare e ignorare), che la stessa sentenza del CGA da lui osannata lo censura gravemente, ribadendo testualmente (come già la sentenza di primo grado) che “male ha fatto il rettore Recca” (si veda p. 12, rigo  7 e seguenti della stessa) ad avviare un contenzioso così pernicioso per l’Ateneo approvando lo Statuto in conflitto con MIUR e TAR.
Ma oggi il prof. Recca – con ennesima e metamorfica giravolta –  si erge a paladino della “legalità”! Fantastico! Abbiamo avuto notizia che alcuni colleghi, appena ricevuta la sua esternazione, l’hanno prontamente stampata e incorniciata, ponendola in bella mostra tra una foto di Totò e una di Dario Argento…
E dunque, e veniamo al punto, c’è da chiedersi: perché tale accanimento nei confronti della presente amministrazione? Un’amministrazione che noi abbiamo sostenuto ma con franchezza e libertà criticato su alcuni aspetti, anche rilevanti, della sua azione (tra questi la composizione troppo gerarchica e poco rappresentativa del SA [Senato Accademico] nel nuovo Statuto, o la posizione contraria assunta nella protesta sullo Stop VQR [Valutazione Qualità della Ricerca]); ma un’amministrazione che – non dimentichiamolo – ripristinando forme fisiologiche di confronto e dibattito (prima inimmaginabili), ha ereditato e affrontato, con importanti risultati, una crisi fortissima del nostro ateneo nella didattica e nella ricerca (nel settennio precedente altre erano le priorità), che ha  ripristinato modalità trasparenti di gestione degli appalti, che si è costituita parte civile nell’avvilente affaire del mailgate, che ha affrontato situazioni gravi e complesse – segnalandole  a tutti gli organi competenti – come la lievitazione esorbitante dei costi della Torre biologica e del contratto Global Service stipulato in precedenza dall’ateneo (solo per citare alcune delle azioni “sensibili” di questa amministrazione)?
Siamo in presenza di un gioco al massacro? Ovvero di un gioco in cui chi non ha nulla più da guadagnare nell’attuale situazione, ma tutto da perdere nel perdurare di azioni di trasparenza amministrativa, gioca il tutto per tutto, il “la va o la spacca”, il “muoia Sansone con tutti i Filistei”?
Calma, calma, con le illazioni. Diciamo calma a tutte le colleghe e i colleghi (circa un migliaio) che si stanno ponendo questa esatta domanda in queste settimane e in questi giorni.
E in attesa che si stabilizzi il contenuto – invero non chiaro e talora sibillino – della recente sentenza del CGA (si chiede il rinnovo degli organi statutari escluso o compreso il rettore? La prima ipotesi sembrerebbe ben più probabile a rigor di legge e di logica…), ci pare di potere dire una cosa, con serenità.
A chi ha ispirato, sostenuto, incoraggiato, promosso le recenti azioni giudiziarie vorremmo dire che noi non abbiamo MAI avuto paura delle regole né di chi le applica in un determinato momento. Se non ci piacciono le rispettiamo, ma cerchiamo di cambiarle e anche di cambiare chi le fa e le applica (se democraticamente eletto).
Il passato non ritorna mai uguale a prima e noi siamo ancora qui.
Pensiamo, dunque, che il  nostro ateneo non possa più di tanto stare al palo a farsi indebolire da interessi obliqui e giochi al massacro. Se l’incertezza dovesse perdurare, in assenza di un’interpretazione autentica della sentenza, aggravata anche da un gioco di rimpalli giuridici e di  indignazioni tanto strillate quanto interessate, c’è – in extrema ratio – un modo semplice per risolvere la questione. Tornare  a votare. E se (in questo ipotetico scenario) il Rettore Pignataro vorrà ricandidarsi e presenterà un programma condivisibile, lo sosterremo convintamente come abbiamo fatto la volta passata, per dare sia serenità e continuità alla gestione amministrativa quanto per migliorarla e rafforzarla dove possibile e necessario: ciò che riteniamo sia nell’intendimento della stragrande maggioranza dell’ateneo, docenti, personale amministrativo e studenti. Perché – come ricorda Machiavelli nei suoi Discorsi – “la malignità non è doma dal tempo né da alcuno dono”. Ma la volontà collettiva, serena e vigile, può sanare e correggere storture che il tempo lascia in eredità. Ma non per sempre.

CUDA (Coordinamento unico di docenti, ricercatori, pta e studenti dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica, libera e democratica)

«Rasenta l’umiliazione»

L’Assemblea odierna dei docenti dell’Ateneo di Catania ha confermato la volontà di proseguire nella rivendicazione dei diritti calpestati dall’attuale governo e di difesa del futuro dell’Università italiana, della sua esistenza.
Sullo stesso argomento il filosofo Eugenio Mazzarella ha pubblicato sul Corriere della sera di sabato 30.1.2016 una lettera aperta al Presidente Sergio Mattarella. La ripropongo qui perché mi sembra particolarmente efficace nel descrivere le ragioni della nostra mobilitazione.

==========

Illustre Presidente Mattarella,
mi rivolgo a Lei su una questione dell’università italiana, che, per i motivi che Le illustrerò, rasenta l’umiliazione.
Questione che conosce, per una lettera a Lei firmata da oltre quattordicimila docenti. Prima di arrivare al punto più dolente, riepilogo la situazione. La Pubblica Amministrazione, nella crisi del Paese, ha fatto sacrifici importanti: un pressoché generale blocco del turn over e un altrettanto pressoché generale blocco degli stipendi dal 2010. In concreto si è percepito per sei anni gli stessi emolumenti. Con l’ultima Legge di stabilità questa stagione di “fermo immagine” al 2010 per il pubblico impiego si spera si avvii a chiudersi, riattivando una fisiologia della dinamica salariale che chi vive di reddito fisso sa quanto pesi.
I sacrifici fatti sono stati consolidati, con senso di responsabilità dei diretti interessati: di un quinquennio di arretrati neanche l’ombra, ma solo il riconoscimento giuridico, agli effetti economici del quinquennio di blocco, ai fini del ricalcolo retributivo. Ma non per tutti. Ne sono esclusi i professori universitari. Per loro lo sblocco salariale non comporta riconoscimento giuridico del quinquennio trascorso. I danni che ne derivano sulla prospettiva di una carriera media dei docenti sono quantizzabili sulle due voci a più di 90.000 euro netti (il calcolo è su un professore che abbia adesso 55 anni). La maggior parte dei docenti dovrà peraltro aspettare fino alla fine del 2017, quasi due anni, per l’aumento previsto, che si avrà scaglionato nel tempo: mediamente 105 euro mensili invece dei circa 365 se fosse riconosciuto giuridicamente il periodo 2011-2015; una perdita di 260 euro mensili.
Oltre al danno la beffa: nello stesso tempo gli stessi docenti devono impegnarsi in una procedura di valutazione del loro lavoro­ –per gli addetti VQR, valutazione qualità della ricerca– per un quinquennio che agli effetti giuridici ed economici non esiste! Più che uno schiaffo economico e giuridico, è uno schiaffo morale a studiosi, docenti e ricercatori, già decimati dai tagli all’università.
Ma il peggio è il motivo per cui mi sono risolto a scriverLe. Per far valere le loro ragioni, migliaia di docenti hanno scelto il rifiuto di sottoporsi alle procedure di valutazione scientifica. È sembrato essere lo strumento di pressione meno penalizzante terzi incolpevoli (studenti). Che cosa sta succedendo? Poiché ai dati della VQR è legata la ripartizione delle risorse agli atenei, e quindi il budget per assunzioni e progressione delle carriere, si è creata la seguente situazione, più o meno chiaramente proposta negli atenei: “se volete, potete non fornire i dati della ricerca, però così rischiate di danneggiare voi stessi e i vostri allievi”. Come ricatto fattuale e morale, che vanifica ogni dialettica negoziale negli atenei, non c’è male.
La cosa è talmente indecente che il Presidente della CRUI ha scritto al Ministro perché si diano risposte al malessere dei docenti. Presidente, Lei è stato un autorevole docente universitario. Sa di che cosa si parla. Usi la sua moral suasion perché il Parlamento metta riparo ad un’ingiustizia che i professori universitari italiani non meritano.

Eugenio Mazzarella

 

Assemblea

Non si tratta dei professori, che hanno il lavoro in ogni caso assicurato.
Non si tratta di non volersi fare valutare: la maggior parte di noi svolge infatti ricerca qualificata e pubblica molto.
Non si tratta di soldi.
Si tratta di voi.
Voi studenti, ai quali stanno rubando il futuro.
Voi studenti del Sud d’Italia, in particolare, ai quali stanno sottraendo interi Corsi di Laurea.
Voi studenti le cui prospettive di ricerca, di studio, di lavoro sono drammaticamente negate da insensati tagli alla Scuola e all’Università.
Si tratta di voi e delle vostre famiglie.
Si tratta dell’intero corpo sociale.
Per discutere di tutto questo i docenti dell’Ateneo di Catania si riuniranno lunedì 1.2.2016.
Siete invitati.

=========================

Parliamo dello STOP VQR: una questione di dignità per i docenti italiani?

Con migliaia di adesioni personali e centinaia di mozioni di dipartimenti e di Senati Accademici in tutta Italia, i docenti universitari italiani hanno chiesto al governo di restituire all’università del nostro paese  – per una volta – il maltolto.

L’Italia infatti figura ormai da tempo ultima dei Paesi OCSE per i fondi destinati all’Università e alla ricerca con un misero 1% del PIL. Il rapporto docenti/studenti è il peggiore d’Europa, la docenza la più anziana e peggio pagata. Le tasse d’ iscrizione sono cresciute negli ultimi 7 anni del 51%: il più elevato incremento a carico di studenti e famiglie verificatosi a livello mondiale. Oggi l’accesso all’istruzione universitaria italiana è il più costoso d’Europa, dopo quello di UK e Olanda; inoltre da noi il diritto allo studio è stato di fatto smantellato: solo il 7% degli studenti riceve una borsa di studio a fronte del 27% della Francia e del 30% della Germania. Negli ultimi 5 anni il 97% delle giovani leve è emigrato all’estero, mentre è drammatico il generale calo delle immatricolazioni che assume le dimensioni di un crollo al Sud: nel 2012 -16% rispetto al 2000-2001 in Sicilia, -19,8% in Calabria, -21,9 in Sardegna.

In questo clima il blocco stipendiale ha creato una situazione insostenibile, soprattutto per i giovani docenti e le nuove leve della ricerca (che hanno perduto oltre 100.000 euro nell’intera carriera, senza considerare il danno nel trattamento pensionistico a regime).

Abbiamo chiesto perciò al governo ciò che ci spetta, ovvero:

– Lo sblocco stipendiale dal 2015

– Il riconoscimento del quadriennio 2011-2014 ai fini della ricostruzione della carriera

– Un recupero del turn-over e dei pensionamenti,  per non chiudere i corsi di laurea, non contrarre l’offerta formativa, non deprimere ancor più la ricerca tra le nuove generazioni.

Alle richieste dell’Università il governo non si è nemmeno degnato di rispondere, come se l’università non avesse dignità e diritto di parola. Sarebbe bastato, forse, prendere in considerazione almeno una tra queste richieste. Non lo si è voluto fare (ma ci si è ostinati a imporre la misura assurda, rischiosa e demagogica dei 500 superprofessori “ministeriali”). Con l’università, dunque, non si parla, non si ragiona, non si “tratta”. L’università non esiste, è solo una voce nel budget dello Stato da tagliare o un argomento demagogico da sollevare quando fa comodo. Anche la Crui è stata presa a pesci in faccia. Oggi intendiamo riprendere la nostra dignità e il nostro diritto di parola, aldilà degli annunci demagogici della politica.

Le risorse già insufficienti destinate all’alta formazione sono oggi  attribuite sulla base di due parametri: il costo standard necessario alla formazione di ciascuno studente sul territorio nazionale, un parametro del tutto inappropriato quando si deve finanziare la crescita culturale del paese, e la qualità della ricerca stimata attraverso il parametro VQR (Valutazione della Ricerca), un elefantiaco sistema di valutazione che ha creato una situazione di confusione montante e di conflittualità. Tra l’altro a questo metodo di valutazione sono sottoposti docenti sottopagati e del tutto privi, da anni, di fondi per la ricerca, cioè delle risorse minime per ottenere i risultati per i quali sarebbero valutati. Il risultato di queste politiche è stato la penalizzazione di risorse, di aree disciplinari, di atenei e territori, soprattutto (ma non esclusivamente) al Sud.

Chiariamo subito che siamo per la valutazione, una valutazione seria che non guardi a numeretti (IF e citazioni) su cui molti organismi internazionali hanno seri dubbi, ma alla qualità reale della produzione.

La protesta STOP VQR intende porre un punto di svolta e di non ritorno.

Non è vero che sia responsabile implementare un sistema che non valuta ma punisce.

Per scegliere insieme le forme di protesta e proporre un’azione comune che sia efficace è convocata una

ASSEMBLEA  DEL  PERSONALE  DOCENTE

E  TA  DELL’ATENEO DI CATANIA

LUNEDI’ 1 FEBBRAIO ALLE ORE 17,00 PRESSO L’AULA 3 DEL PALAZZO CENTRALE

USPUR – SEZIONE DI CATANIA

RETE29APRILE – NODO DI CATANIA

CUDA – COORDINAMENTO UNICO DI UNICT PER UN’UNIVERSITA’ PUBBLICA LIBERA, APERTA E DEMOCRATICA

Per l'Università

I colleghi del Dipartimento di Chimica dell’Università di Catania hanno inviato al Rettore una lettera che mi è sembrata chiara nelle motivazioni, rispettosissima nel tono, giustamente attenta a rilevare la natura temporanea e non irreversibile del nostro rifiuto di indicare i testi da sottoporre a valutazione, ferma nel sottolineare che si tratta di una questione di giustizia (anche nel confronto con altre categorie) e di dignità. La pubblico qui anche per offrire agli amici che frequentano il sito qualche informazione in più sulla situazione dell’Università italiana (informazioni difficili da trovare sulla stampa).
Sullo stesso tema si possono leggere inoltre:
– la Mozione del Senato Accademico dell’Università di Catania sui tagli alla ricerca
–  un vivace documento dal titolo #VQRStaiSerena

=============

Magnifico Rettore,

lo scorso 25 giugno alcuni di noi hanno chiesto di incontrarLa per informarLa dell’iniziativa che era in corso in tutta Italia contro il blocco delle classi e degli scatti stipendiali della Docenza Universitaria rimasto in vigore per tutto il quinquennio 2011-2015.
Lei ci ha gentilmente accolto, mostrando comprensione per il nostro disagio.
Come Lei sa, la CRUI, in una lettera del 23 luglio ha chiesto alla Ministra Giannini di porre rimedio a questa ingiustizia, che vede noi Docenti Universitari unica categoria della pubblica amministrazione ad avere gli scatti stipendiali bloccati anche per il 2015.
Il movimento per lo sblocco degli scatti stipendiali ha inviato, in data 30 settembre 2015, una lettera al Presidente della Repubblica, firmata da 14.044 Docenti, pubblicata, con i nomi dei firmatari, sul sito:

https://sites.google.com/site/controbloccoscatti/home/lettera-al-presidente-della-repubblica-2015

Il Presidente della Repubblica, il Chiar.mo Prof. Sergio Mattarella, ci ha cortesemente risposto (la relativa lettera è sullo stesso sito). Ci ha comunicato che, sebbene non possa intervenire non essendo nelle sue prerogative influire in materie  di competenza del Governo (circostanza a noi nota, ma contavamo su sue azioni di persuasione morale), “in ragione della rilevanza delle questioni esposte  ha trasmesso tutto al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per le valutazioni di competenza” (parole testuali).
Come Le sarà noto, oggetto della nostra richiesta non sono aumenti, ma solo l’adeguamento stipendiale che ci sarebbe spettato in virtù del “contratto” stipulato con lo Stato quando ciascuno di noi è stato assunto: chiediamo lo sblocco degli scatti a partire dal 1° gennaio 2015, come tutte le altre categorie del pubblico impiego, e il riconoscimento giuridico del quadriennio 2011-2014 (un quadriennio della nostra attività altrimenti cancellato per sempre!), anche questo ottenuto dalle altre categorie del pubblico impiego.
Il movimento per lo sblocco degli scatti stipendiali ha da tempo  deciso d’intraprendere un’azione incisiva per sollecitare la Ministra e il Governo a sanare questa situazione.
L’azione è molto semplice: temporaneamente non aderiamo alla VQR, in attesa che venga rimosso il blocco degli scatti stipendiali nei termini anzidetti.
Concretamente non  selezioneremo le pubblicazioni per la VQR, non caricheremo i prodotti in formato .pdf e  non daremo la nostra disponibilità a fare da valutatori. Inoltre, chi non ha ancora il codice ORCID non lo richiederà e chi lo ha già (molti lo hanno già da anni) non effettuerà l’associazione ORCID-IRIS, o la cancellerà.
Riteniamo che questa forma di protesta, anche per la sua natura temporanea e non irreversibile, molto civile e  composta. In un primo momento sono state considerate anche altre azioni di protesta, quali il blocco dell’attività didattica, degli esami,  della discussione delle tesi, ma queste sono state scartate poiché, nell’immediato, avrebbero creato grandi disagi soprattutto agli studenti  ed alle loro famiglie (che non hanno responsabilità alcuna), piuttosto che al nostro diretto interlocutore (il Ministero e il Governo). E teniamo a sottolineare che proseguiamo regolarmente anche la nostra attività scientifica.
Precisiamo inoltre che la valutazione della ricerca non è l’oggetto della nostra protesta: l’astensione temporanea dalla VQR è solo un modo per vedere riconosciuto il nostro diritto negato.

È anche una questione di dignità, per cui non possiamo accettare di essere discriminati rispetto ad altre categorie del pubblico impiego.
La protesta sta crescendo in tutta Italia, con singoli, Dipartimenti, Senati accademici che stanno via via esprimendosi a favore. Ad oggi si contano  102 delibere di Consigli di Dipartimento, 25 delibere di Senati Accademici, 21 mozioni, 9 lettere ai Rettori, 1 delibera di Consiglio di Amministrazione. Su Sua richiesta possiamo  fornirLe tutti i riscontri oggettivi di questi dati.
Non potranno essere trascurati gli aspetti di alterazione della validità della VQR nel caso in cui la Ministra e il Governo volessero malgrado tutto portarla in porto egualmente. Aspetti che potrebbero arrivare a coinvolgere anche il corretto confronto fra gli Atenei, ma soprattutto la validità di un esercizio di Valutazione della Qualità della Ricerca Italiana tanto vantato, con ripercussioni a livello internazionale e in particolare sui rapporti con l’Unione Europea.
Contiamo e sollecitiamo una Sua richiesta forte, esercitata direttamente di persona (l’invio di messaggi ci sembra poco incisivo e verrebbe quasi sicuramente ignorato) presso la Ministra dell’Università e della Ricerca, di tutti i Ministri coinvolti, fino al Presidente del Consiglio, che si aggiunga alla nostra per aiutarci a far comprendere al Governo che tutto potrà proseguire normalmente a condizione che si trovi un punto di equilibrio, soddisfacente per tutti, tra le nostre richieste e quanto (assai poco) ci è stato concesso nella legge di stabilità. Riteniamo che un Suo intervento, in appoggio alla nostra protesta, possa risultare ancora efficace per favorire l’accoglimento delle nostre richieste in provvedimenti successivi alla legge di stabilità, come il classico decreto “milleproroghe” di fine anno (che deve ancora essere convertito in legge) o provvedimenti “ad hoc” successivi. Quindi non è tardi per un Suo intervento insieme a noi. E contiamo anche su sue prese di posizioni sulla stampa locale e nazionale, oltre a quanto Lei vorrà mettere in atto di Sua iniziativa.

Infine, teniamo a sottolineare che siamo Docenti attivi in tutte le attività accademiche e pertanto ci riserviamo di adire tutte le azioni, anche legali, nei riguardi di chiunque volesse classificarci come “docenti inattivi”, così come ci riserviamo di adire analoghe azioni nei riguardi di chiunque effettuasse per nostro conto azioni lesive delle nostre prerogative o azioni che le attuali procedure della VQR riservano a noi, quali la scelta delle pubblicazioni da sottoporre alla VQR.
La ringraziamo per l’attenzione e, qualora lo ritenesse utile, saremmo lieti di incontrarLa per chiarire ulteriormente  le ragioni della nostra iniziativa.

Cordiali saluti,
segue elenco dei firmatari

Vai alla barra degli strumenti