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La democrazia e i suoi nemici

Sia in ambito politologico sia nella quotidiana e concreta organizzazione dei governi, il tramonto di ciò che viene ancora e per inerzia chiamato democrazia è ormai evidente. Tra le tante prove e testimonianze possibili, si possono scegliere due dati elettorali, il caso catalano e la struttura dell’Unione Europea, vale a dire il vero e proprio tradimento -ogni altra parola appare eufemistica- attuato dalle sinistre europee nei confronti della loro identità storica e politica.

Il primo dato elettorale è quello che emerge dall’elezione di Emmanuel Jean-Michel Frédéric Macron alla presidenza della Repubblica francese. Non mi riferisco a programmi, intenzioni, azioni di governo ma al semplice dato numerico per il quale questo presidente è stato eletto al ballottaggio del 2017 da molto meno della metà dei francesi aventi diritto di voto, esattamente da 20.703.631 elettori su 47.552.183. Quasi due terzi del popolo francese non ha dunque espresso la volontà di avere questa persona come presidente. E si tratta della Francia, vale a dire di una nazione che ha sempre espresso percentuali di voto assai alte.
Il secondo dato elettorale concerne quanto sta avvenendo in Italia, dove una variegata coalizione formata da Partito Democratico, Forza Italia, seguaci di Angelino Alfano e Lega Nord, con l’attiva complicità del governo Gentiloni e della presidente della Camera Boldrini, impone una legge elettorale che ha l’esplicito e antidemocratico obiettivo di neutralizzare la forza del Movimento 5 Stelle e di eliminare ciò che resta della sinistra. Una legge elettorale imposta con il voto di fiducia da e a un Parlamento eletto con una legge dichiarata dalla Consulta incostituzionale è il fascismo del XXI secolo.

Struttura e funzionamento dell’Unione Europea sono affidate a un’oligarchia di funzionari, tecnocrati e banchieri che nessuno ha mai eletto ma che impongono la loro ideologia ultraliberista e le loro decisioni tecnico-amministrative a tutti i governi dell’Unione. Il processo di integrazione europea mostra in tal modo la propria natura antidemocratica e antieuropea, tanto che Pierre Dardot e Christian Laval in Guerra alla democrazia. L’offensiva dell’oligarchia neoliberista (DeriveApprodi, Roma 2016) affermano con chiarezza che è necessario dissolvere la cornice dell’Unione europea per salvare l’Europa politica. Un caso emblematico è quanto sta accadendo nella Spagna/Catalogna, dove l’insofferenza verso i poteri che rispondono soltanto al centralismo finanziario mostra allo stesso tempo le difficoltà di una cornice obsoleta quale è ormai lo Stato-nazione e la determinazione di quest’ultimo a sopravvivere a qualunque costo. Per quanto diversi siano nel tempo, nello spazio e nelle fondamenta, sembra che il crollo dell’Impero Austro-Ungarico e quello dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche abbiano insegnato poco ai decisori politici. In ogni caso, il libro di Dardot e Laval enuncia tesi fondamentali sul tradimento della democrazia operato da governi che non rispondono più ai popoli ma alle aristocrazie tecnocratiche.
Riassumendo e commentando le loro tesi, Massimo Virgilio (Diorama letterario, n. 338) scrive parole chiare e del tutto condivisibili: «A sostenere gli enormi costi della crisi, in particolare quelli relativi al salvataggio del sistema bancario, sono stati chiamati esclusivamente i lavoratori dipendenti e i pensionati. In questo modo il sistema capitalistico ha fatto della crisi un vero e proprio modo di governo, che sfrutta ‘le armi disciplinari dei mercati finanziari’ per punire severamente chiunque respinga il programma neoliberista di riduzione dei salari, liberalizzazione del mercato del lavoro, privatizzazione delle imprese pubbliche e tagli al welfare. […] L’obiettivo di questo potere è uno, l’accumulazione illimitata della ricchezza» (pp. 36-37).

Tra i non molti intellettuali di sinistra capaci di formulare analisi realistiche e non edulcorate sul sistema economico vigente, Dardot e Laval sostengono che «se il capitale e il blocco oligarchico neoliberale che lo rappresenta hanno potuto affermare la loro volontà con tanta facilità, la responsabilità è per intero della sinistra di governo. Quest’ultima da diversi anni ha fatto sua la teoria di una fine della storia che si risolve in un capitalismo senza fine, senza regole e senza confini. Ha accettato l’idea che in un mondo dalle risorse limitate e in via di esaurimento, la crescita illimitata della produzione di beni e servizi sia indispensabile ad assicurare benessere e felicità all’umanità. […] Evidentemente, sovvertire il sistema capitalistico non è più l’obiettivo di una sinistra che ormai si limita solo a proporre un capitalismo dal volto umano che nella realtà non esiste né potrà mai esistere. Come può avere un volto umano un sistema che consente a soli 62 individui in tutto il pianeta di possedere la stessa ricchezza di 3,6 miliardi di persone, ossia la metà più povera della popolazione mondiale?» (pp. 37-38).
Democrazia non vuol dire soltanto andare a votare ogni 4-5 anni per delegare qualcuno che amministri la cosa pubblica. Democrazia significa effettiva divisione dei poteri, che oggi sono invece subordinati a quello finanziario; significa la libertà di scrivere e manifestare il proprio pensiero, sempre più limitata da censure ideologico-governative e dal flagello del politicamente corretto che sottomette al diritto penale persino le opinioni storiche e filosofiche; significa libertà dal bisogno economico e non soltanto la libertà di dei diritti civili.
È dunque evidente come il neoliberismo sia «ormai così compenetrato nello Stato che chiunque abbia davvero a cuore la sovranità del popolo non può fare altro che agire contro lo Stato esistente, contro tutto ciò che nello Stato sorregge la dimensione oligarchica» (p. 38).

Come europei

Le reazioni al referendum britannico che ha sancito l’uscita dall’Unione Europea sono state davvero disvelatrici della struttura ormai radicalmente oligarchica della politica occidentale. Per i ceti dirigenti -vale a dire per i decisori politici- e per chi gode degli enormi vantaggi economici e simbolici della globalizzazione, la democrazia si riduce a «un sistema in cui al popolo è concessa soltanto la libertà, condizionata, di approvare le linee di condotta decise ‘da chi sta in alto’» (M. Tarchi in Diorama Letterario 332, p. 3). Decisori politici che sono privi, tra le tante altre cose, di una delle condizioni necessarie a far politica: imparare dagli eventi. E invece, «terrorizzati come dei conigli investiti dalla luce dei fari, i dirigenti dell’Unione europea si leccano le ferite ma rifiutano di mettersi in discussione: l’unica lezione che trarranno da questo voto è che bisogna decisamente far di tutto per impedire ai popoli di esprimersi» (A. de Benoist, 6). Quello che sta accadendo e che accadrà sempre più è che «dappertutto, i popoli si rivoltano contro un’oligarchia transnazionale che non sopportano più» (Ibidem). L’arma più potente per tenere sotto controllo questa rivolta è naturalmente l’informazione. I commenti e le analisi successive al Brexit sono davvero esemplari di tale intenzione. Tarchi così le riassume:

Le hanno tentate davvero tutte, per frenare il processo di separazione fra Regno Unito e Unione europea. Mesi di assillante campagna psicologica interna e internazionale incentrata sulla visione apocalittica dei disastri che si sarebbero abbattuti su un intero continente in caso di abbandono delle istituzioni di Bruxelles (e poi si ha il coraggio di sostenere che a puntare sul ‘voto di pancia’ e sulla paura del futuro sono soltanto i movimenti populisti…). Discesa in campo del grande fratello d’Oltreoceano, pronto a rincarare la dose. Manovre pilotate dei ‘mercati’ -ovvero, come nessuno ha ormai il coraggio di negare, dei grandi speculatori che fanno indisturbati il bello e il cattivo tempo delle Borse, piegando ai propri voleri le classi politiche dell’intero pianeta. […] Senza timore di cadere nel ridicolo, insigni studiosi hanno perfino proposto, se non di privarli [i cittadini più anziani] totalmente del diritto di voto, quantomeno di decurtargliene una considerevole quota. […] Su queste elucubrazioni, e soprattutto sul loro sottofondo psicologico, ci sarebbe molto da dire. […] Sarebbe però, in questa sede, un esercizio ozioso, dal momento che a neanche tre settimane dal voto britannico un documentato articolo del ‘Guardian’, che scarsa eco ha trovato fuori dai confini nazionali, ha smentito in pieno la leggenda dei vecchi cattivi (pp. 1-2).

L’unica potenza rimasta a dominare il mondo induce a questo tipo di comportamenti. L’altra, sconfitta nella Guerra fredda, rimane per molti europei un enigma, sul quale cerca di fare un po’ di luce il libro di Paolo Borgognone Capire la Russia. Correnti politiche e dinamiche sociali nella Russia e nell’Ucraina postsovietica (Zambon, 2015). Ne riferisce Archimede Callaioli, mostrando come nel decennio di ultraliberismo seguito al 1991 «la Russia esce dalla condizione di diffusa povertà in cui aveva trascorso gli ultimi decenni (e non solo) della sua storia sovietica, per conoscere la vera e autentica miseria, mentre meno dell’1% della sua popolazione può avere accesso al paradiso del consumismo occidentale» (25). Per quanto riguarda le decisive questioni geostrategiche, Callaioli osserva che ci siamo abituati a ritenere «normale che nessun paese ritenga di poter influenzare quello che accade in un altro, tranne uno, e che non ci risulta che la Russia, la Cina, il Venezuela, l’Iran, Cuba, il Vietnam, e tutti gli altri Stati del Medio Oriente, dell’Africa e dell’America Latina abbiano mai tentato di influenzare la politica degli Stati Uniti, mentre il contrario è sempre avvenuto» (Ibidem).
Rispetto a tale pervasivo e gravissimo monopolio interventista degli Stati Uniti d’America, dovremmo come europei essere più rispettosi nei confronti della Russia, una nazione difficile certo da comprendere ma che «non ha mai approfittato delle sue vittorie militari (e ne ha avute parecchie, nel corso della storia, da Ivan il Terribile in poi) per sottometterci a sé. Nel confronto e nello scontro, ci ha sempre rispettato, ha sempre rispettato la diversità che ci distingueva, cosa che vorremmo molto poter dire di altre nazioni» (28).
Dalle vicende storiche e culturali dovremmo come europei imparare a riconoscere da dove vengono i reali pericoli per le nostre economie e per la nostra cultura. Vengono da Ovest.

Brexit

Premessa

Quanto accaduto in Gran Bretagna il 23 giugno 2016 è fondamentale. I risultati del referendum britannico sulla permanenza o meno nell’Unione Europea vanno infatti al di là del merito politico-economico della questione e mostrano più di ogni altro evento la struttura totalitaria del Capitalismo finanziario. Totalitaria in senso tecnico, nel significato individuato da Guy Debord e da molta parte della storiografia del Novecento, per la quale totalitario è un regime fondato sull’adesione delle masse alle decisioni dei capi ottenuta mediante il dispiegamento massiccio e propagandistico delle tecnologie dell’informazione.
Si è visto dunque e si sta vedendo che cosa intendono per democrazia e per libertà i portavoce politici e mediatici della finanza. Intendono la servitù volontaria alle parole d’ordine del potere. Questo è la democrazia del Parlamento Europeo, questa è la libertà dei suoi giornalisti e intellettuali organici, del mainstream mediatico che si è scagliato con toni isterici conto il risultato della consultazione britannica.
Tanto più significative e importanti sono le voci discordanti, le voci che per democrazia e libertà intendono il diritto di ogni cittadino a non condividere ciò che il potere presenta come ovvio. Raccolgo qui un’antologia di tali voci, invitando caldamente a leggere con calma queste riflessioni nella loro interezza (cliccando sui loro titoli).

Alcune parole sensate sull’evento Europa

Brexit: è la rabbia dei popoli contro un’ Europa che non è democratica, di Carlo Formenti
«Il senso più profondo della vittoria della Brexit riguarda il fatto che il terrorismo politico mediatico non riesce più a condizionare la rabbia popolare contro quell’istituzione profondamente antidemocratica che è la UE: una struttura burocratica non eletta, strumento di dominio del capitale globale e delle élite ordoliberiste»

Gli Spitfire sono spuntati dalle urne, di Giorgio Cremaschi, Contropiano
«Minoranze oscurate dai mass media, ma che sono state determinanti. Il popolo della sinistra britannica ha chiarito che sinistra ed europeismo oggi sono incompatibili e che la battaglia contro la UE delle banche è stata egemonizzata finora da forze di destra perché la sinistra ufficiale ha abbandonato il suo popolo».

Ci siamo sbagliati, fateci rivotare”. La petizione truffa contro la Brexit, di Marco Santopadre, Contropiano
A proposito della petizione-imbroglio ‘per ripetere il referendum’: «In realtà una truffa bella e buona utile a sminuire la legittimità del voto dei popoli della Gran Bretagna. Complimenti ai tanti ‘giornalisti’ che hanno abboccato alla becera iniziativa di propaganda del fronte sconfitto del ‘Remain’ senza verificare la natura dell’iniziativa» .

Brexit? Tutta colpa dei vecchi e dei poveri…, di Giorgio Cremaschi – Paola Pellegrini, Contropiano
«Avremo tempo per analisi più approfondite del voto britannico e delle sue conseguenze. Permettetemi qui di esprimere il mio disgusto per la campagna razzista contro i poveri, gli operai e perché no gli anziani, colpevoli di aver votato la Brexit».

Brexit: ecco le dichiarazioni più incredibili, di Marco Mori, Sollevazione
«L’UE oggi è un ordinamento di carattere spiccatamente imperialista che punta a sottomettere chiunque non si pieghi al proprio volere, che poi non è altro che quello della grande finanza. In sostanza, come ho riferito al Parlamento Europeo davanti al gruppo EFDD, l’UE è il primo totalitarismo finanziario della storia».

Giovani contro vecchi? Il vecchio gioco delle “voci del padrone”, della redazione di Contropiano
«Petizioni fasulle, dove possono ‘firmare’ anche i non britannici (quindi esclusi dall’improbabile ‘ri-voto’), anche più volte (basta avere più account mail, o farseli alla bisogna)…
Centinaia –a volersi tenere bassi– di articoli incentrati sul tema ‘questi bastardi dei vecchi che non pensano al futuro dei loro figli e nipoti che stanno nel programma Erasmus’…
Notissimi tromboni della ‘sinistra riflessiva e ironica’ che improvvisamente calano la maschera della tolleranza e inveiscono come novelli Marchesi del Grillo, offesi nel profondo da fatto che in democrazia – la loro democrazia – il voto di un ignorante, plebeo, operaio disoccupato o pensionato preoccupato, valga davvero quanto il loro… Proprio una testa un voto, dove andremo a finire, signora mia…
Come questo, per esempio [di Michele Serra, e in generale della Repubblica, un quotidiano ormai chiaramente reazionario]»

Il popolo-colesterolo, quello buono vota bene, quello cattivo è zozzone, di Alessandro Robecchi, il Fatto Quotidiano
«Ma resta il problema: ammesso e non concesso che il 52 per cento dei britannici sia incolto, burino, razzista, ignorante, stupido ed egoista, quale democrazia matura mantiene più della metà del suo popolo in condizione di incultura, burinaggine, razzismo, ignoranza stupidità ed egoismo? E’ una specie di equazione della democrazia: se i poveri sono ignoranti bisognerà lavorare per avere meno poveri e meno ignoranti. Questo significa welfare e riduzione delle diseguaglianze, mentre invece da decenni – in tutta Europa e pure qui da noi – si è ridotto il welfare e si è aumentata la diseguaglianza. La sinistra dovrebbe portare il popolo alla Tate Gallery, non sputargli in un occhio dicendo che è diventato razzista. Eppure».

Perché è necessario un populismo di sinistra, di Gianpasquale Santomassimo, il manifesto
«È accaduto per altre grandi Utopie novecentesche, sta accadendo ora per l’ideale europeistico, che è stato il più grande investimento delle classi dirigenti del continente in un arco ormai lunghissimo di anni. Era stato fin dall’inizio un matrimonio di interessi, ma si volle che sbocciasse anche l’amore tra i sudditi, e si organizzò la più massiccia opera di indottrinamento mai perseguita dalle élites, dalla culla alla bara, come si conviene a ogni idea totalitaria: dai mielosi temi per gli alunni delle elementari al martellamento quotidiano di politici, giornalisti, mezzi di comunicazione di massa.
[…] Ma da Maastricht in poi il potere delle élites europee ha proceduto con spietata determinazione a smantellare le fondamenta dello Stato Sociale europeo, vale a dire la creazione più alta che i popoli europei avevano conseguito nella seconda metà del Novecento, distruggendo quindi quello che era ormai l’elemento caratterizzante della stessa civiltà europea
[…] Sono populismi, si dirà con quella punta di disprezzo delle ‘folle’ che ormai caratterizza il linguaggio delle sinistre come delle élites. Ma in realtà avremmo bisogno di un serio populismo di sinistra, capace di parlare alle masse e di opporsi alle politiche dell’establishment.
[…] E ormai la mitica Generazione Erasmus è sommersa dalla Generazione Voucher, che sperimenta sulla sua pelle l’incubo della precarietà in cui si è convertito il ‘sogno’ europeo.
Nell’immane campionario di frasi fatte che costituisce il nerbo dell’ideologia europeistica, accanto all’affermazione ipocrita sull’Europa che avrebbe impedito 70 anni di guerre (la guerra alla Serbia è stata fatta probabilmente dagli esquimesi), spicca anche l’asserito superamento degli Stati-nazione. Si tratta con ogni evidenza di una illusione ottica, perché gli stati nazionali esistenti (e quelli che si aggiungeranno, a partire dalla Scozia per finire probabilmente con la Catalogna) sono l’unica realtà in campo, e ciò che chiamiamo Europa è il risultato della mediazione di interessi ed esigenze tra essi».

L’inglese se n’è gghiuto, di Franco Berardi Bifo, Alfabeta2
«L’Unione europea non è (e non è mai stato) altro che un dispositivo di impoverimento della società, precarizzazione del lavoro e concentrazione del potere nelle mani del sistema bancario
[…] L’Unione europea è una trappola finanzista da Maastricht in poi.
[…] Ma nei prossimi anni credo che dovremo ragionare solo su questo. Non su come salvare l’Unione europea, che il diavolo se la porti. Non su come salvare la democrazia che non è mai esistita. Ma su come trasformare la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria. Pacifica e senz’armi, se possibile. Guerra dei saperi autonomi contro il comando e la privatizzazione».

Dopo le rabbiose reazioni alla Brexit, la soluzione: senza I-Phone e Facebook niente più voto, di Francesco Erspamer (Harvard University), L’antidiplomatico
«Aspettatevi presto proposte di legge (probabilmente da sinistra) per togliere il voto agli anziani, ai malati e a chi è troppo povero o ignorante. In fondo hanno poco da vivere e comunque vivono male, e siccome non hanno soldi contribuiscono poco alla crescita economica; molti, pensate, manco usano lo smartphone e non vanno su facebook, cosa campano a fare? Di certo non dovrebbero avere una voce, un peso politico: sono solo parassiti, che con le loro assurde pretese di welfare, assistenza medica, pensioni, ostacolano l’ascesa dei rampanti.
Le rabbiose reazioni a Brexit hanno rivelato gli effetti profondi della deregulation morale e culturale praticata dal liberismo (e dai lib-lab): tanti giovani europei pensano che il mondo sia loro e solo loro; che tutto sia loro dovuto per ragioni anagrafiche; che anche la democrazia sia un diritto generazionale.
Siamo regrediti di un secolo, a livello della guerra igiene del mondo esaltata dai futuristi, anch’essi dei rottamatori del passato e dei grandi promotori di sé stessi.
Volevano bruciare i musei, ricorderete; e naturalmente sono tutti finiti nei musei.
Naturalmente dietro ci sono la finanza globale e i suoi media. Che alimentano e cavalcano l’insoddisfazione dei giovani come alimentano e cavalcano le paure e la disperazione degli anziani. Negli Stati Uniti la grande maggioranza dei teenager e ventenni americani ha votato per Bernie Sanders ma nessun giornale ha considerato un “tradimento generazionale” la nomina di Hillary Clinton. Come mai? Perché alle multinazionali Clnton va benissimo. Invece Brexit gli va male ed eccoli allora scatenare i media con motivazioni agghiaccianti ma che troppo gente accetta.
Divide et impera: è l’unica frase latina conosciuta da questa plutocrazia avida e ottusa; e purtroppo in tanti ci cascano: abbandonata ogni aspirazione alla solidarietà, si incarogniscono l’uno contro l’altro, nicchia contro nicchia, per avere diritto agli ossi e agli iPhone concessi dal potere».

Contro la “sinistra” elitaria, di Aldo Giannuli
«Sta venendo fuori tutta l’anima ferocemente classista, elitaria, antipopolare di questa sinistra dei salotti.
[…] Lo confesso, questa sinistra al chachemire, la sinistra delle terrazze romane, ebbene si, mi fa schifo non solo politicamente, ma più ancora moralmente ed umanamente, perché la “sinistra” neoliberista ed elitaria non esiste: è solo una ignobile truffa. Il Pd? E’ più spregevole della Lega e dell’Ukip, credetemi».

Brexit, effetto domino sulla UE, di Dario Guarascio, Federico Bassi, Francesco Bogliacino, Valeria Cirillo, Sbilanciamoci
«A questo punto, con un possibile effetto domino alle porte e ulteriori tensioni sulla strada dell’integrazione rimangono due sole strade possibili. Una maggiore integrazione, ancora una volta fondata su presupposti neoliberali e con la capital union a fare da perno; o un arretramento del medesimo processo di integrazione, con gli Stati membri a recuperare parte della loro sovranità politica ed economica. Nel primo caso, le garanzie che una maggiore integrazione non soffra degli stessi problemi di disegno istituzionali denunciati finora sono oggettivamente nulle. Politicamente, questo rischierebbe anche di favorire in modo sostanziale la crescita dell’estrema destra come le ultime elezioni hanno dimostrato.
Nel secondo caso, potrebbe aver luogo un accordo di cooperazione politico-economica, teso ad arretrare rispetto al processo di integrazione stesso, rimettendo in discussione, ad esempio, la libera circolazione dei capitali».

Brexit, uno spettro si aggira per l’Europa: la democrazia, di Carlo Formenti, Micromega
«Non ha funzionato la campagna del terrore orchestrata da partiti di centrosinistra e centrodestra, media, cattedratici, economisti, “uomini di cultura”, esperti di ogni risma, nani e ballerine per convincere gli elettori a chinare la testa ed accettare come legge di natura livelli sempre più osceni di disuguaglianza, tagli a salari, sanità e pensioni, ritorno a tassi di mortalità ottocenteschi per le classi subordinate e via elencando.
In entrambi i casi la sconfitta è stata accolta con rabbia e ha indotto l’establishment a riesumare le tesi degli elitisti di fine Ottocento-primo Novecento: su certi temi “complessi”, che solo gli addetti ai lavori capiscono, non bisogna consentire alle masse di esprimere il proprio parere, se si vuole evitare che la democrazia “divori se stessa”. Ovvero: così ci costringete a imporre con la forza il nostro punto di vista».

La Brexit di porta Pija, pesa e ripensa a casa, di Pasquale D’Ascola
D’Ascola ha colto anzitutto la natura terroristica dei commenti conformisti che dilagano ovunque, come se fosse l’Apocalisse stessa, dall’Erasmus a Ryanair, dai passaporti al calcio.
A indurre politici, funzionari e giornalisti a parlare è la paura di perdere la greppia alla quale tanti attingono da tanto, da troppo. Hanno avuto però il cattivo gusto, la maleducazione e l’imprudenza di escludere da tale desco i popoli (uso apposta tale impegnativa parola), confidando nella loro atavica dabbenaggine e obbedienza. Calcolo non privo di basi -altroché- ma nel caso specifico portato all’estremo dei bambini greci che muoiono di fame e dell’impressione di masse che arrivano. A quel punto anche il popolo si mette all’erta. E appena può dice che non è vero, no che Tout va très bien, madame la Marquise!.
Il secondo elemento della sua analisi -del tutto corrispondente alla realtà- è che la miserabile Europa della quale parliamo non è affatto l’Europa ma una montecarlo nella quale giocano le «cravatte globaliste di Dragomiro Draxit con tutti i suoi Junker». Mi permetto di dire che il dominio di costoro non è neppure «Οἰκονομία, economia, amministrazione della casa, da οἶκος, dimora e νόμος», ma è ciò che Aristotele chiamava crematistica, vale a dire semplice interesse personale se non proprio truffa.
Ma il dominio della crematistica non può reggere a lungo, come D’Ascola giustamente afferma.
In Europa comandano per l’appunto Draghi (che ha tradito gli insegnamenti del suo maestro Federico Caffè) e altri banchieri, i quali da nessuno sono stati eletti ma che decidono per tutti. L’UE non è una struttura democratica. Anche questo la uccide.
«Nessuno ci ruberà la nostra Europa» tuona il ministro degli esteri tedesco Steinmeier. L’hanno infatti già rubata queste indegne classi dirigenti, le quali tenteranno ancora la filastrocca: «Mais à part ça, madame la Marquise / Tout va très bien,tout va très bien ! » La risposta però questa volta potrebbe essere diversa: Fuck you James!

Consiglio infine la consultazione regolare del sito di Marino Badiale e Maurizio Tringali che da molti anni documentano e analizzano la politica economica dell’Unione Europea.


Riflessioni conclusive

Se Merkel e i burocrati di Bruxelles stanno facendo la faccia feroce contro la Gran Bretagna è soprattutto allo scopo di minacciare e avvertire altri che volessero uscire. Un atteggiamento chiaramente fascista. La cosa più triste è comunque vedere il tramonto della sinistra, diventata in molti suoi esponenti una serva del Capitale che sostituisce alla lotta di classe la lotta tra ‘vecchi e giovani’. Una lotta che sta solo nella propaganda di tali servi, anche perché -nota giustamente Gabriel Galice- «les discours sur ‘les jeunes britanniques  pro-européens’ omettent que 64% des 18-24 ans et 42% des 25-34 ans se sont abstenus, ce qui ramène les partisans effectifs du IN, pour chaque groupe d’âges, à 26% et 36%» (Les peuples, l’impératrice et les roitelets ).
Molti di questi giovani sono nati nell’epoca della finanziarizzazione trionfante, sono a essa abituati, rassegnati, sottomessi. Sembra che neppure si rendano conto che si tratta di una forma di gestione dei beni radicalmente insensata, politicamente rovinosa, esistenzialmente iniqua. Come ha scritto Santomassimo, la ‘Generazione Erasmus’ è ormai la ‘Generazione Voucher’ -vale a dire una generazione senza diritti sul lavoro e senza garanzie- che accetta come naturale lo sfruttamento e la precarietà. È esattamente questo uno degli elementi di vittoria del Capitale finanziario.
La Brexit ha svegliato molti da tale sonno dogmatico. Senza il risultato del referendum britannico tutto questo non sarebbe stato detto, non sarebbe emerso. Avendolo compreso, sono stato subito favorevole all’esito del referendum.
Ha quindi ragione Jacques Cotta a scrivere che «l’union européenne n’est pas réformable, c’est du moins l’histoire qui nous l’enseigne. Dans ce contexte, seule une position claire et sans ambiguïté, pour la sortie de l’union européenne peut être compréhensible et soulever une perspective d’avenir. […] A l’union européenne, construction politique faite pour servir le capital financier, étrangère à l’Europe des peuples, la Grande Bretagne pourrait ouvrir la voie à une Europe des nations libres, décidant librement entre elles des coopérations, des échanges, des projets communs» (Le Brexit ouvre la voie).
Amo l’Europa come la mia stessa madre. Mi sento in ordine: europeo, siciliano e italiano. Sono nemico dell’Europa della Banca Centrale, del Fondo Monetario Internazionale, dei mandarini dell’Unione perché sono amico dell’Europa di Canetti, Shakespeare, Goethe, Nietzsche.
In ultimo: come anarchico non posso difendere gli interessi del Capitale finanziario, non posso sostenere le politiche dei nazisti di Bruxelles.

American Way

Gramsci ha ragione: i popoli e gli stati si conquistano soprattutto con l’elemento in parte immateriale costituito dalle idee, dalle parole, dalle culture. L’american way of life è stato imposto all’Europa non con le armi vittoriose della Seconda Guerra Mondiale ma con gli strumenti dello spettacolo: fumetti, oggetti d’uso quotidiano, cinema, televisione. Lo stile di molti film hollywoodiani è fatto di una «frenesia visuale [che] ha il vantaggio di inibire ogni difesa immunitaria, in questo caso ogni forma di spirito critico, cosicché il messaggio ideologico viene distillato in modo subliminale, il che ne facilita l’interiorizzazione» (de Benoist in Diorama letterario 329, p. 11). Allo stesso modo, molti Social Network costituiscono un pensiero della trasparenza fatto di «uno scatenamento narcisistico che va sempre più verso il denudamento. Il gusto per la confessione intima, la tele-realtà, l’architettura di vetro, la moda degli abiti leggeri, l’instaurazione dell’ ‘open space’ nelle imprese vanno nella medesima direzione. Voyeurismo e esibizionismo si alimentano reciprocamente mentre i poteri pubblici registrano i dati. C’è in ciò qualcosa di osceno, nel senso proprio del termine. Quando non si nasconde niente, c’è pornografia. L’esibizione di sé, così come l’ingiunzione a non ‘celare’ mai niente, è una forma di pornografia. […] Così come il segreto è uno degli attributi della libertà, l’opacità è la condizione stessa della vita privata. […] La tirannia della trasparenza si avvicina allora alla polizia del pensiero» (Id., p. 17). Ben al di là delle sue forme e apparenze amicali e coniuganti, tutto questo esprime l’estensione del dominio liberista della lotta «a tutte le età della vita e a tutte le classi sociali» (Zavaglia, ivi, p. 31) poiché consiste in un lavoro gratuito a favore delle grandi aziende informatiche, lavoro del quale i suoi workers non sono neppure consapevoli.
Stadio contemporaneo della guerra di tutti contro tutti, l’economia digitale è una delle strutture dominanti del capitalismo globalizzato, a proposito del quale vale sempre più la questione «della progressiva sconnessione tra il sistema capitalista e la vita umana» (de Benoist, 14). La globalizzazione ha distrutto il progetto europeo, facendolo diventare una struttura soltanto mercantile e ‘umanitaria’, umanitaria in quanto mercantile. Dato che «la creazione dello spazio Schengen presupponeva che l’Unione europea assicurasse il controllo delle proprie frontiere esterne» e questo non è accaduto -sia per la forza dell’impatto dei flussi migratori sia per l’interesse del capitale ad avere un esercito industriale di riserva-, il risultato attuale è che «lungi da proteggere gli europei dalla globalizzazione, l’Unione europea è così diventata uno dei suoi principali vettori» (Id., 12), generando le spinte populiste alla difesa dell’identità europea. La necessaria opposizione al TTIP –Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti– costituisce il vero criterio di demarcazione attuale tra quanti operano per un sistema equo di distribuzione della ricchezza e quanti optano per gli interessi delle classi dirigenti ultraliberiste.
Epifenomeno di tutto questo è la dissoluzione della sinistra italiana nel Partito della Nazione il quale, anche se non esiste ancora come sigla, di fatto governa nelle opzioni politiche ed economiche dell’attuale esecutivo. Probabilmente non sarà neppure necessario «cambiare nome a un partito che, nelle sue strutture di comando a vari livelli [Renzi] ha forgiato a propria immagine e somiglianza: senza un’identità, disancorato dalla sinistra ma ancora in grado di contare sia a livello parlamentare che fra gli elettori su una cospicua pattuglia di ‘fedeli alla sigla’ -essendo la ‘linea’ perduta da un pezzo- che, pur tra infiniti tormenti, mai e poi mai rovescerebbero la barca che continua a trasportare i loro sogni di gioventù» (Tarchi, ivi, p. 20).

Tra Chicago e la miseria

Capire l’economia non è facile. Un articolo di Archimede Callaioli -pubblicato sul numero 309 di Diorama letterario, pp. 1/5- aiuta a comprendere meglio gli scenari macroeconomici del presente. Non tutto in questo testo è convincente, a partire da un eccessivo apprezzamento per il modello economico tedesco e dalla distinzione tra i lavoratori cinesi che lavorerebbero dieci ore al giorno per tutta la vita mentre quelli occidentali non aspetterebbero che di diventare “rentier”, godendo per molti anni di una pensione. Liquidazioni e pensioni non sono un regalo dei governi o delle aziende ma soldi che i lavoratori -soprattutto dipendenti- sono obbligati a versare proprio in vista della cessazione dell’attività lavorativa. Non solo: alla stregua di redditieri sarebbero da considerare tutti i salariati e gli stipendiati, tesi semplicemente bizzarra.

Al di là di questi limiti, l’analisi di Callaioli si rivela molto accurata e capace di spiegare bene ciò che sta accadendo all’economia globalizzata. L’Autore riferisce che il capo della Federal Reserve, Ben Bernanke, è uno dei maggiori studiosi delle politiche rooseveltiane, che si propone di ricalcare per uscire dalla crisi attuale. Una differenza clamorosa è però che mentre il New Deal impose la separazione tra le banche commerciali e quelle di investimento, i presidenti statunitensi da Reagan in poi hanno prima depotenziato e poi ufficialmente abolito tale distinzione, lasciando campo libero al dominio della speculazione finanziaria. Ma la differenza principale rispetto agli anni Trenta consiste nel fatto che «fu l’inflazione il vero fulcro dell’azione rooseveltiana, quella che permise di minimizzare i debiti e di ripartire praticamente da zero: le politiche espansive, la guerra e la ristrutturazione industriale ebbero effetto solo in quanto la loro ricaduta fu l’inflazione», la quale azzera i debiti ma anche le rendite. Proprio per questo essa non è più praticabile, poiché la massa dei percettori di rendite -pur se minime- è ormai tale che un loro azzeramento comporterebbe una catastrofe sociale: «una ondata inflattiva getterebbe sul lastrico quasi tutti i pensionati (decine di milioni di persone), con effetti che si possono facilmente immaginare, e che dobbiamo sforzarci di tenere presenti perché questo irresolubile dilemma è un ulteriore indizio del fatto che la crisi è la crisi  definitiva di un sistema».

Importante è anche la critica che l’Autore rivolge al culto tributato al Prodotto Interno Lordo -che è «il valore monetario dei beni e dei servizi finali -consumi, investimenti fissi, variazioni sulle scorte, esportazioni- prodotte in un anno sul territorio nazionale al lordo degli ammortamenti», il quale «può forse misurare la ricchezza prodotta da un paese ma non è una rappresentazione attendibile del suo benessere. Infatti, se aumentano gli ammalati di malattie gravi che richiedono cure costose, aumenta il Pil, ma il benessere generale probabilmente diminuisce». In sistemi dove la sanità e i servizi essenziali sono a carico dei singoli, come quelli anglosassoni, il Pil risulta dunque sovrastimato e per essi «vale il noto aforisma che l’eroe del Pil americano è un malato di cancro che sta divorziando, probabilmente non l’immagine migliore di una persona felice».

Callaioli descrive due modelli assai diversi per uscire dalla crisi attraverso il cosiddetto “rigore”: quello statunitense e quello tedesco. Il primo è dogma della troika costituita dai responsabili dell’Unione Europea, della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale, a proposito del quale «memorabile resta l’invettiva di Hugo Chávez: “su Marte c’era vita, poi ci ha pensato il Fondo Monetario Marziano”».

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