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Veneto

La sedia della felicità
di Carlo Mazzacurati
Italia, 2013
Con: Valerio Mastandrea (Dino), Isabella Ragonese (Bruna), Giuseppe Battiston (Padre Weiner). E con Milena Vukotic, Roberto Citran, Katia Ricciarelli, Antonio Albanese, Maria Paiato, Raul Cremona, Natalino Balasso, Marco Marzocca, Silvio Orlando, Fabrizio Bentivoglio
Trailer del film

sedia_della_felicitàDino e Bruna non sono autoctoni del Veneto ma si trovano a lavorare dalle parti di Jesolo. Lui fa il tatuatore, lei l’estetista. Entrambi senza soldi e con legami affettivi fallimentari. Bruna viene a sapere che in una delle otto sedie appartenute a una ricca criminale è nascosto un tesoro. Si lanciano al suo inseguimento, incontrando personaggi improbabili ma a quanto pare tutti legatissimi alle rispettive sedie. Arriveranno sino alle Dolomiti, tra preti dediti al poker e orsi antropomorfi.
Commedia piacevole ma priva dello spessore esistenziale che ha caratterizzato altri film di Mazzacurati. L’avidità, certo. I cinesi che si prendono tutto, certo. L’onnipresente ‘crisi’ e i cialtroni che sempre ne approfittano, certo. Tutto è però risolto in farsa. Per fortuna ben recitata non soltanto dai protagonisti ma anche dai tanti attori amici dello scomparso regista che qui si offrono per qualche minuto di divertimento.

 

Colori / Europa

Grand Budapest Hotel
di Wes Anderson
USA, 2014
Con: Ralph Fiennes (il signor Gustave), Tony Revolori (Zero), Saoirse Ronan (Agatha), Adrien Brody (Dmitri), William Dafoe (Jopling), F. Murray Abraham (il signor Moustafa), Jude Law (il giovane scrittore), Jeff Goldblum (Kovacs), Mathieu Amalric (Serge), Edward Norton (Henckels), Tilda Swinton (Madame D.), Harvey Keitel (Ludwig), Bill Murray (il signor Ivan), Léa Seydoux (Clotilde), Tom Wilkinson (L’autore).
Trailer del film

Colori intensissimi, come quelli dei dolciumi che costellano il film. Colori, abiti, mobili, ambienti densi dell’eleganza e della gentilezza proprie di altre epoche, nelle quali non si chiedeva per lo più alle persone di essere ‘solidali, disponibili, sincere’ ma semplicemente ben educate. Epoche più realistiche e meno ipocrite sui rapporti umani, meno pretenziose e moralistiche e quindi più autentiche. Colori e sguardi colmi di malinconia per l’andare del tempo che tutto sbiadisce e rende decrepito. Colori di violenza e di guerra, che si tratti della ferocia di un sicario o di quella di interi eserciti. Colori soprattutto intrisi di ironia, costituiti dal sogno virtuale che da sempre il cinema è.
Un modo di far cinema tecnicamente sontuoso e un sogno nel quale può accadere che negli anni Venti del Novecento un profugo da lontani Paesi diventi il fattorino preferito dell’elegantissimo concierge di un albergo posto nel cuore dell’Europa e in mezzo alle montagne; che questo direttore nutra una passione sincera e interessata verso attempate ma bollenti dame; che una di loro gli lasci in eredità un prezioso quadro ma i figli di lei non ne vogliano sapere e siano ben disposti a uccidere chiunque si opponga alla loro avidità; che nella vicenda vengano coinvolti battaglioni, pasticciere, monasteri e segrete società alberghiere.
E che tutto questo venga narrato a uno scrittore -decenni dopo- dal garzone diventato adulto e ricco, l’uno ospite e l’altro proprietario del vecchio splendente albergo ormai decadente. Come decadente è l’Europa rispetto alla volgarità dei nuovi padroni. Gli attuali capi di governo del nostro Continente somigliano proprio al nuovo congierge ignorante e indifferente ai destini dell’albergo Europa.

 

Gente di studio e di rapina

Smetto quando voglio
di Sidney Sibilia
Italia, 2013
Con: Edoardo Leo (Pietro), Stefano Fresi (Alberto), Valeria Solarino (Giulia), Pietro Sermonti (Andrea), Valerio Aprea (Mattia), Lorenzo Lavia (Giorgio), Paolo Calabresi (Arturo), Libero de Rienzo (Bartolomeo), Neri Marcorè (Murena)
Trailer del film

Smetto quando voglioPietro è un assegnista di ricerca alla Sapienza. Quando l’assegno non gli viene più rinnovato decide di mettere a frutto le proprie competenze di neurobiologo mettendo insieme una banda composta da un chimico, un antropologo culturale, due latinisti, un archeologo e un economista; tutti precari della ricerca e tutti senza prospettive. L’obiettivo è sintetizzare una nuova droga a partire da molecole legali, distribuirla e guadagnarci. Pietro e il chimico sono molto bravi e riescono a produrre delle pasticche senza confronti. In breve tempo la capitale è piena della nuova sostanza e il gruppo è pieno di soldi. Troppi soldi. Lo scontro con la polizia e con le bande rivali è inevitabile.
Commedia molto italiana nei pregi e nei difetti. Tra i primi il ritmo; la simpatia degli interpreti; la bizzarria di personaggi che parlano in latino mentre compiono rapine utilizzando armi da museo; il susseguirsi di situazioni paradossali. Tra i difetti le tante banalità a proposito della gente che studia, dell’Università, degli studenti; l’eccesso caricaturale; lo squilibrio tra la prima parte e il finale accelerato. Per fortuna non c’è lieto fine (ma anche niente di drammatico, naturalmente). Il film è un dessert senza pretese, annaffiato con un liquore dal retrogusto amaro.

 

«Un'entrata di felicità»

Novantacentodieci
di Filippo Scuderi
Giuseppe Maimone Editore, 2013
Pagine 74

Layout 1«E da qui di nuovo scuro nella mia modesta vita» (pag. 16). Così definisce la propria vita il Narratore, aggiungendo sempre “modesta” al sostantivo. Modesta come il voto di laurea che dà il titolo al libro, obiettivo raggiunto con tenacia al culmine di una dura esistenza. Un flusso di coscienza quasi ininterrotto -scandito da molte virgole e da pochi punti- ripete ancora una volta le figure archetipiche simili a quelle che abitano i romanzi di Elsa Morante: la Madre amata, morta quando il protagonista ha soltanto due anni; il Padre che si risposa con la Matrigna alcolizzata, pazza e gelosissima, perché «lei lo sapeva come era fatto mio padre in fatto di gonne, se c’era da alzarne una non perdeva tempo, ma la cosa che mordeva la sua coscienza era la conoscenza e la consapevolezza che quando la mia povera mamma si trovava in ospedale a combattere tra la vita e la morte, mio padre se la spassava con lei» (63-64); i Nonni, casalinga e pescatore, affettuosi, rigorosi e determinati, che lo educano alla complessità del mondo. Una costellazione familiare e antropologica con la quale il Narratore si sente una cosa sola e che tuttavia è da lui distante per quel barlume di conoscenza che sempre lo accompagna, per quella «curiosità di approfondire, e di cercare di sapere il più possibile» (51) che fa di questo personaggio un Odisseo candido e proletario.
«Mentre io ho letto più di trecento libri a casa mia non leggeva nessuno, nemmeno le bollette del telefono» (70). Un umorismo spesso surreale intride le pagine del romanzo: la professoressa di italiano che non porta a termine la lettura dell’Alchimista di Coelho e per questo viene deplorata poiché «nemmeno una professoressa di chimica (senza offesa) si comporterebbe così» (49); un’estate trascorsa «in una colonia estiva, una specie di collegio per gli sfigati» (51); la scoperta di botto e in una sola volta di una miriade di fratelli e sorelle, frutto dell’incessante attività copulatoria del padre; il rimprovero al figlio e agli adolescenti di essere tutti uguali, tanto da dire alla moglie «se ne portiamo un altro a casa alla fine è uguale» (22). L’ironia, spesso involontaria, si coniuga con una dolente comprensione della vita che «non la si gioca contro un avversario ma contro se stessi» (58). La scoperta, da adulto, della filosofia.
E tutto ciò in un linguaggio che è la vera sorpresa di questo romanzo: una lingua plebea e spesso sgrammaticata ma sempre lucida nel descrivere il mondo. Il Narratore sa benissimo che l’italiano è per lui «una seconda lingua […] una lingua difficile con una grammatica veramente tosta» (49) ma una lingua che questo flusso di parole sa piegare, tra anacoluti ed eccessiva creatività nella punteggiatura, a dipingere il dolore e l’insensatezza del mondo. È come se il Rabito di Terramatta fosse riuscito a prendere lui la laurea e non i suoi figli. Dire dello zio che «quando arrivava lui, per noi era festa, perché portava un’entrata di felicità» (27) significa aver trovato un modo luccicante per comunicare l’istante della gioia.
Le ultime pagine sono dedicate alla scoperta di un’amicizia profonda e al lutto per il padre. L’amicizia con Black, il cane che -dopo aver per caso incrociato da lontano gli occhi di Filippo- lo sceglie come suo padrone e al quale viene dato quel nome «per dimenticare i momenti neri che ha avuto tutti i giorni che è stato per strada da solo» (69). Anche il protagonista è stato per lungo tempo e tante volte lasciato per strada da solo. Lasciato da quel padre, odiato e amato, al quale è rivolta l’ultima relazione umana del testo, una lettera in cui, ormai adulto e consapevole, Filippo riconosce che «siamo stati gettati in questo universo, viviamo da spettatori o da protagonisti l’importante è vivere intensamente il tempo che passiamo, perché il tempo siamo noi» (68).

 

Finzioni

Spazio Teatro 89 – Milano
Sit – Serie in teatro – V puntata
di Lorenzo Piccolo, Elisabetta Bocchino, Federico Bertozzi
Cast
Regia di Marta Erica Arosio
Sino al 18 aprile 2013

Ingarbugliata e tragica, la vicenda gotica di Archer’s End si dipana non verso il futuro ma in direzione di un passato sempre più inquietante, le cui oscure trame coinvolgono tutti i protagonisti del dramma, escluso il Dottor Witmore che sembra la vittima sacrificale dell’intera vicenda. O diventerà l’eroe dell’ultima puntata?
Il lavoro dei due investigatori dell’agenzia Bob Holmes assume sempre più i tratti del paradosso. Il titolare Roberto -un buzzurro che quando vede un libro mette la mano alla pistola- si vede incredibilmente scavalcato nella conquista di una bella antiquaria da un bibliofilo che ha dei tratti somatici non proprio gradevoli. La sua collega sembra fare la fine della ragazza che tutti vogliono e nessuno la prende. Riuscirà la dolce Carlotta a risolvere finalmente il proprio caso? Per quello di Roberto non sembra ci siano speranze.
L’équipe chirurgica di Animals è stata tutta intera sequestrata dai pirati e sbarcata nel cuore dell’Africa, dove medici e paramedici continuano a salvare pazienti nel modo più imprevedibile. Quasi soddisfatti e rassegnati a vivere lontano dalla ricchezza ma anche dai pericoli di Milano, questi allegri chirurghi si accorgono però che malviventi e clienti non intendono proprio mollarli. Riusciranno a diventare prima o poi dei seri professionisti?

Arrivata alla sua quinta puntata (l’ultima andrà in scena il prossimo 18 aprile), la Sitcom teatrale, inventata e realizzata da alcune compagnie milanesi, sta mantenendo le sue promesse di decostruzione ironica di vari generi televisivi e di intelligente divertimento per un pubblico che voglia andare oltre il ripetuto e stanco gioco delle parti al quale si sono ormai ridotti i palinsesti. Rispetto alla finzione televisiva che spaccia se stessa per vita vera, meglio la vera vita del teatro che si presenta come finzione.

Ridentem

Spazio Teatro 89 – Milano
Sit – Serie in teatro
Di Lorenzo Piccolo, Elisabetta Bocchino, Federico Bertozzi
Cast
Regia di Marta Erica Arosio
Sino al 18 aprile 2013

Sempre più avvincente. Nella terza puntata (7 marzo 2013) di questa Sitcom teatrale il Dottor Witmore, aiutato da un ambiguo dandy, si rende conto che l’intrico di casa Archer  è veramente inquietante, con la comparsa di sorelle in realtà mai scomparse e di un servitore deforme, brutale ma anche dotato di talento artistico; l’agenzia Bob Holmes prosegue nell’inconcludente ricerca di cani smarriti e di figlie mai nate; nella clinica Villa Santa Adelaide dopo l’ultimo e surreale intervento di chirurgia estetica risolto da un bambino-calamita, il primario Dott. Carolis è impazzito e crede di vivere nella saga del Signore degli Anelli, tanto che i suoi collaboratori sono indecisi se sedarlo o sopprimerlo.
L’ultima di queste tre storie è irresistibile, scritta con autentico talento comico e recitata con evidente divertimento dagli attori.
Si fa sempre più chiaro l’imponente sforzo creativo e produttivo che sta dietro e dentro Sit- Serie in teatro. È anche di questo che ha bisogno la drammaturgia contemporanea: non soltanto la riproposizione dei classici senza tempo, non soltanto l’invenzione di nuove forme e linguaggi, ma anche la capacità di contaminare i generi, di osservare la vita quotidiana, di ridentem dicere verum, come insegna Orazio (Satire,  I, 1, 24) che dell’umorismo fu maestro.

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