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Expo è morto, viva Expo!

La dinamica politica più importante degli anni Dieci del XXI secolo è il totalitarismo soft che si va estendendo come una forma di leucemia sociale. Un evento quale è stato l’Expo milanese del 2015 è un significativo rivelatore delle dinamiche politico-economiche che vedono come protagonisti la finanza, le multinazionali, la pletora di partiti criminali che sempre più va governando anche i Paesi euro-americani e non più soltanto quelli africani e del Vicino Oriente.

Un articolato documento della Rete NoExpo descrive con lucidità quanto è avvenuto negli scorsi mesi a Milano e in Italia e che cosa avverrà proprio a partire dall’evento Expo: «Se guardiamo dalla prospettiva più vicina a quella più lontana, politicamente Expo ha rappresentato soprattutto tre cose: la ridefinizione dei rapporti sociali, urbani e proprietari dentro la città di Milano e il territorio circostante; la sperimentazione di un modello emergenziale di governance che si fa sistema a livello nazionale (non solo Job’s Act e SbloccaItalia, ma anche Decreto antiterrorismo…importante precedente per le prossime sospensioni della democrazia, come il Giubileo e le possibili Olimpiadi romane); la liberalizzazione delle terre e dell’agricoltura a livello europeo, ponendo le basi attuative dei nuovi trattati commerciali internazionali, in primis l’euroamericano TTIP. Ovvio: Expo da solo non ha fatto questo, non siamo paranoici, ma ha rappresentato un tassello ed un passaggio importante di meccanismi e processi più generali che sono poi quelli del capitalismo della crisi dettato da FMI, BCE, mercati finanziari, accordi di libero scambio, COP, interessi delle potenze economiche e militari e delle grosse Corporations» (p. 4).

L’incremento dei posti di lavoro non c’è stato ma -al contrario- sono dilagati precariato e schiavizzazione; la struttura emergenziale -costruita ad arte- ha rappresentato un modello per decretare anche formalmente la fine delle istanze partecipative e democratiche; il tema Nutrire il pianeta si è capovolto nel grottesco trionfo delle multinazionali che avvelenano il pianeta. È del tutto evidente che «Expo è stato e sarà un furto di risorse pubbliche e beni comuni ai danni della collettività. Expo non ha redistribuito ricchezza, al contrario ha generato limitatissimi ritorni economici, mentre ha prodotto enormi plusvalenze per pochi soggetti collocati ai vertici; Expo infine è stata la vittoria della logica emergenziale, violenta e privatistica che domina l’economia, e, più in generale, i rapporti sociali in questa fase di crisi» (p. 9).

Il significato culturalmente più pregno di tutto questo è che una simile dinamica non avrebbe potuto realizzarsi e non potrebbe continuare senza l’attiva presenza e complicità delle strutture informative: televisione, radio, stampa, associazioni della società civile, siti Internet. «In questo ambito, occorre riconoscerlo, ha dato una grossa mano il contribuito di (pare) circa 50 milioni elargito dalla società [Expo S.p.a.] alle maggiori testate d’informazione, e giustificato alla voce ‘comunicazione istituzionale’» (p. 6). Molto più dei cannoni, delle carceri, della polizia armata, di una esplicita ideologia, il totalitarismo soft è difeso e imposto dai media. Si tratta di un’egemonia culturale asfissiante, impoverente, liberticida. Expo dunque non finisce. Expo è morto, viva Expo, un evento che si nutre del sangue e della vita dell’intero corpo sociale. Come fa ogni parassita.

[Pdf del documento Nonostante Expo, la realtà ]

Per l’Europa, contro l’Occidente

Che cosa accadrebbe se una qualsiasi potenza politica massacrasse centinaia di bambini con le loro madri, distruggesse le loro case e città, li rinchiudesse dietro e dentro un muro con scarsa acqua, pochi farmaci, nel totale abbandono? Ma se a fare tutto questo -un genocidio- è Israele, la stampa ‘occidentale’ minimizza, nasconde, sopisce e tronca.
Che cosa sarebbe accaduto sulla stampa italiana -e in genere filostatunitense- se più di quaranta persone fossero state bruciate vive in Ucraina da militanti filorussi? Ma poiché a compiere un simile massacro sono stati dei «sostenitori del governo di fatto ucraino -che, caso strano, nessun giornalista definisce ‘di destra’, malgrado il colore di chi lo sostiene politicamente o con le armi, per non pregiudicarne la reputazione presso la componente più progressista della schiera dei ‘difensori dei diritti dell’uomo’», questi e altri eventi sono stati «sottaciuti, relegati a breve di cronaca» (M. Tarchi, in Diorama letterario 319, 2014,  p. 3).
Un evento così atroce sul quale si è steso il silenzio dimostra quale sia il livello di autonomia della ‘libera stampa occidentale’, un livello quasi nullo. Quando qualcuno si rallegra che alcuni giornali chiudano -e io sono tra costoro- è perché una stampa asservita sino a questo punto non è inutile, è dannosa. Essa dà infatti l’illusione di una libertà che non esiste. E in Occidente non esiste poiché in realtà la Guerra fredda non è mai finita: «La fine del sistema sovietico non ha minimamente modificato i dati fondamentali della geopolitica. Li ha, viceversa, resi più evidenti. Dal 1945 in poi, gli Stati Uniti hanno sempre cercato di impedire l’emergere di una potenza concorrente nel mondo» (A. de Benoist, p. 4). E a tale fine stanno accerchiando quanto più possibile la Russia. La guerra civile in Ucraina -voluta e finanziata dalla Nato, vale a dire dagli USA- è funzionale al disegno di «un mondo unipolare soggetto all’ideologia dominante rappresentata dal capitalismo liberale» (Ibidem).
In questo quadro l’Europa non esiste più. L’Europa è completamente asservita agli interessi degli USA e della loro economia. Emblematico è il cosiddetto Trattato di Partenariato Transatlantico su commercio e Investimenti (TTIP), del quale la stampa si guarda bene dal parlare e che rappresenta invece l’evento economico e sociale più importante per il presente e il futuro dell’Europa.
Per un europeista come me è doloroso leggere che «Putin sa che l’Unione europea non ha alcun potere, alcuna unità, alcuna volontà. […] Putin sa che l’Europa è in decadenza, che ormai è capace solo di gesticolazioni e provocazioni verbali e che gli stessi Stati Uniti la considerano un’entità trascurabile (‘Fuck the European Union!’ come ha detto Victoria Nuland)» (Id., p. 5).
L’unica strategia della quale gli Stati Uniti d’America sono capaci è la guerra tecnologica, vale a dire la guerra che a loro non costa vite umane e agli altri porta sterminio. Tale guerra è ammantata -e qui la funzione della comunicazione giornalistica e televisiva è fondamentale- da ideali umanitari, dietro i quali stanno sia il più esasperato cinismo sia le più fanatiche convinzioni etico-politiche. Rispetto alle Paci di Vestfalia (1648) che hanno posto fine alle guerre di religione con un nuovo jus ad bellum il quale «ammetteva che anche chi era combattuto poteva avere le sue ragioni. Era il nemico ma non era il Male», la guerra umanitaria inaugurata negli ultimi decenni del XX secolo ha posto il nemico fuori dall’umanità legittimando in tal modo ogni ferocia, ogni distruzione, ogni macello.

A partire dal 1945, essendo stata di nuovo posta fuorilegge la guerra di aggressione, ci si è affrettati a trovare dei modi per aggirare quel divieto. Una delle astuzie cui si è ricorsi è stata il concetto di «legittima difesa preventiva», di cui gli Usa e Israele si sono fatti teorici. Ma la trovata più importante è stata decretare che è lecito fare la guerra quando le motivazioni sono di ordine eminentemente morale: ristabilire la democrazia, salvare le popolazioni civili, eliminare una dittatura. (Id., p. 23)

Si dispiega così un Occidente che è il nemico dell’Europa. Un Occidente fatto di danaro e basta, l’Occidente del pensiero unico e del libero scambio senza limiti a vantaggio dei più forti: «Ex Oriente lux, ex Occidente luxus» (Stanislaw Jerzy Lec, p. 25). Persino Allan Greenspan -per lungo tempo presidente della Federal Reserve– in una deposizione del 2008 al Congresso USA ha ammesso i limiti e gli errori del modello liberista: «Ho trovato una pecca nel modello che consideravo la struttura di funzionamento cruciale che definisce come va il mondo. […] Proprio per questo sono rimasto sconvolto, perché per oltre quarant’anni ho creduto vi fossero prove inconfutabili che funzionasse eccezionalmente bene» (cit. da G. Giaccio, p. 31). E invece funziona eccezionalmente male.

 

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