La caduta
Gli ultimi giorni di Hitler
(Der Untergang)
di Oliver Hirschbiegel
Germania, 2004
Con: Bruno Ganz (Adolf Hitler), Alexandra Maria Lara (Traudl Junge), Juliane Köhler (Eva Braun), Heino Ferch (Albert Speer), Christian Berkel (Ernst-Günter Schenck), André Hennicke (Wilhelm Mohnke), Matthias Habich (Werner Haase), Ulrich Noethen (Heinrich Himmler), Michael Mendl (Helmuth Weidling), Ulrich Matthes (Joseph Goebbels), Corinna Harfouch (Magda Goebbels)
Trailer del film
Nel 1942 la ventiduenne Traudl Junge venne assunta come segretaria da Adolf Hitler. Nell’aprile del 1945 Traudl è ancora segretaria nel bunker della Cancelleria, mentre l’intera Germania e la città di Berlino vivono il tempo della disfatta, della distruzione, della morte data che ora viene loro restituita.
E la morte è la vera protagonista di questo film, più ancora del Führer. La più parte dei suoi personaggi è infatti pronta a morire insieme a Hitler, e lo fa. Chi non agisce per il capo del Partito Nazionalsocialista resiste in ogni caso per la Germania. Anziani generali e ragazzini da poco arruolati vedono nella morte l’unica soluzione onorevole per se stessi e per il popolo del quale sono parte. Popolo che alla fine Hitler reputa imbelle e quindi indegno di sopravvivere.
La moglie di Goebbels addormenta con un sonnifero e poi avvelena a uno a uno i suoi sei figli, prima di uccidersi insieme al marito. La festa organizzata da Eva Braun per il compleanno di Hitler è intrisa di una angosciosa sensazione della fine. Che si realizza quando il Führer rinuncia al suo delirio strategico -che immagina Divisioni e Generali che non esistono pronti a sferrare un attacco ‘definitivo’ contro le truppe sovietiche- senza però accettare di arrendersi e decidendo quindi di porre fine ai propri giorni, ordinando di bruciare il corpo suo e di Eva Braun, in modo da non essere mai trovati dai nemici. Cosa che accadrà il 30 aprile del 1945.
La caduta racconta tutto questo privilegiando le memorie di Traudl Junge ma assumendo di volta in volta la prospettiva dell’uno o dell’altro dei personaggi coinvolti. Nella plurale e straordinaria interpretazione di Bruno Ganz Hitler appare per quello che probabilmente fu negli ultimi giorni della sua vita: una mescolanza di fantasmi, rimpianti, ira, rancori, rassegnazione, odio, disperazione: «Già da domani milioni di persone mi malediranno, ma è così che ha voluto il destino». Hitler rimase sempre convinto di aver operato al meglio possibile per la Germania. Un Paese, certo, nel quale c’erano le condizioni -l’esito della Prima guerra mondiale, l’umiliazione della Pace di Versailles, la Repubblica di Weimar- per trasformare della gente comune in attivi agenti della distruzione propria e altrui; ma da quella esperienza si dovrebbe anche capire quanto profonda sia la tenebra nel cuore della nostra specie, quanto in ciascun umano e in ogni corpo collettivo sia pronto a esplodere un ancestrale desiderio di sopraffazione, il trasformarsi da un giorno all’altro in attivi complici dell’oppressione, una volontà di dominio e di fanatismo, una metamorfosi del corpo sociale nel latrato della maggioranza contro chi dissente. Ciò che Tomás Ibáñez chiama biototalitarismo.