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El Greco

Nel labirinto di El Greco
Palazzo Reale – Milano
A cura di Juan Antonio Garcìa Castro, Palma Martìnez-Burgos Garcìa, Thomas Clement Salomon, Mila Ortiz
Sino all’11 febbraio 2024

Doménikos Theotokópoulos (1541-1614) giunge da Creta (la veneziana Candia) a Toledo, città d’elezione continuamente raffigurata nelle sue opere (la si vede nei particolari della Crocifissione – immagine di apertura – e del Laocoonte, in basso), dopo aver attraversato la grande pittura italiana del Rinascimento, da lui conosciuta, ammirata, praticata a Venezia e a Roma. Nella sua isola aveva cominciato come pittore di icone sacre. E sacra sempre rimane la sua arte. Da Tintoretto (presente in questa mostra) sugge il rosso, l’azzurro, il viola, il giallo, l’inquietudine, la distanza. Da Michelangelo apprende i corpi, l’anatomia, la densità dello spazio. Da tutti assorbe e ricrea una luce turchese, intima, intensa, metallica, cosmica.
I suoi segni e i suoi volumi disegnano lo spirito più profondo del suo tempo, di una Controriforma che del cattolicesimo fu vittoria e fasto. Nulla di questa potenza, di questa bellezza, accade nel luteranesimo e nel calvinismo, la cui miseria iconica è gemella della modestia esistenziale.
«Dentro da sé, del suo colore stesso» (Dante, Paradiso, XXXIII, 130), i suoi quadri vanno oltre il tempo che pure testimoniano in modo totale, diventano espressionismo, si fanno un’ontologia lacerata e inevitabile dalla quale molto hanno appreso nel Novecento Francis Bacon e numerosi altri artisti.
I ritratti del Greco sono sculture della vita e della morte, dell’energia che va, che si dissipa.  La forza del Greco, il suo tratto, sono inediti e sconcertanti. Testimoniano e si dirigono verso un trionfo delle forme che è l’inquietante consapevolezza di un segreto che non è possibile cogliere qui e ora.
La mostra milanese, essenziale e bella, permette di vedere e toccare quadri come l’Espolio, l’Incoronazione della Vergine, la Cacciata dei mercanti dal Tempio, il Laocoonte,. Opere nelle quali la violenza e la grazia, il trascendente e la terra si toccano.
Una fusione della materia corporale, delle rocce, della gloria.

El Greco, Laocoonte, particolare

Spagna

Nella primavera del 2020 avevo programmato dei viaggi nell’amatissima Europa. Virus, superstizioni, dispotismi e paure non li hanno resi possibili.
Ho dunque riletto gli appunti che avevo preso durante alcuni viaggi effettuati in Spagna, una terra bella e antica nella quale – a differenza della superpopolata Italia – si possono percorrere centinaia di chilometri senza incontrare un borgo ma soltanto spazi, luce e altri animali.

Madrid è ancora la capitale di un impero. L’impero che parla in tutto il mondo il castigliano. La grandeur della città è quasi pari a quella di Parigi, i suoi palazzi, le strade, i musei sono tra i più emblematici della storia del Continente.
Toledo appare esattamente come El Greco la dipinse alcuni secoli fa. Raccolta sopra un fiume, cattolica, controriformista sino al midollo urbano, in ogni caso splendida, immobile, inquietante.

Di Barcelona mi ha colpito il disordine urbanistico. Coinvolgenti, invece, l’enormità degli spazi, la persistenza del gotico, il Passeig de Gràcia una delle vie più belle d’Europa. Il modernismo di Gaudì mi lascia piuttosto freddo ma La Pedrera è una delle case più originali e interessanti che abbia visto.
Tarragona, che da Barcelona è facilmente raggiungibile, è una città romana adagiata su un mare luminoso che si può ammirare dal Balc del Mediterrani. Il Pretori romà, con l’area del circo e del Foro provinciale, dà l’impressione di entrare in un luogo ancora abitato da uomini e civiltà universali.

Dove il cuore antico della Spagna emerge in tutta la sua forza è l’Andalusia.
Percorrere le città di questa regione significa entrare nel sogno, nei secoli, nella convivenza e nelle guerre, nell’arte, nella luminosità.
Sevilla è una città estesa e varia, dal cuore antico, colma di storia. I Reales Alcàzares e i Jardines del Alcàzar sono uno spazio musulmano dentro la mura, una fortezza che era in realtà un luogo di delizie, un labirinto di silenzi, un incrocio di ombre e di piaceri. Patii (cortili interni), fontane, colonne arabescate, soffitti d’oro, padiglioni rinascimentali, bagni turchi. Sevilla meriterebbe una visita solo per entrare in questo spazio di magie.
La Catedral della città è la più grande chiesa gotica del mondo, è un edificio di culto ma non solo. È un memoriale, è una piazza, è un museo di oggetti d’oro e di ceramiche, con un enorme retablo nel suo centro. Dal suo interno si sale alla Giralda, il minareto trasformato in campanile. Dentro la cattedrale si trova il Patio de los Naranjos, un aranceto al cui centro sta una fontana visigota che serviva alle abluzioni che precedono la preghiera musulmana.
La Casa de Pilatos è una residenza privata degna di un sovrano, con cortili, mosaici, pareti di azulejos, che scandiscono lo stile mudejar, la contaminazione fra l’arte cristiana e quella moresca.
L’antica Fàbrica de Tabacos è oggi sede dell’Università, è un grande rettangolo rinascimentale posto accanto al Parque de Maria Luisa, un giardino esteso, vario, verde e pieno di acque, sul quale dà la Plaza de Espaňa, vasto emiciclo solcato da ponti, circondato da torri, adornato con azulejos che descrivono città e regioni di tutta la  Spagna.
Nella Plaza de los Refinadores Sevilla ha eretto una statua a uno dei suoi miti, a quel Don Juan che nacque e visse qui, in un’aria spessa di piaceri, dove i colori e la luce stessa sono intrisi di un erotismo lento perché sicuro del proprio compimento, un luogo in cui godere non è un peccato per la semplice ragione che l’intera città è uno spazio di seduzione.
Nel Barrio de Santa Cruz si può visitare l’Hospital de los Venerables e la Torre del Oro, dalla quale parte il viaggio in battello lungo il Grande Fiume, il Guadalquivir. Osservata dalle acque la città diventa uno spettacolo.
Anche Cordoba è adagiata sulle rive del Guadalquivir, un luogo di scambi, di guerra e di incontro fra le tre religioni monoteiste. La Mezquita, la moschea trasformata in cattedrale cristiana è uno di quegli spazi per i quali ogni descrizione fallisce. Quasi novecento colonne sormontate da archi bianchi e rossi disegnano a perdita d’occhio un luogo di culto e di studi. I cristiani abbatterono alcune di queste colonne per costruire il Crucero, una chiesa dentro la grande moschea. Non contenti, aggiunsero ai lati dell’enorme perimetro alcune cappelle. E tuttavia questo spazio davvero unico non ha perduto la sua impronta orientale, ancora evidente nella qibla, il muro orientato verso la Mecca nel quale si trova il mihrab la nicchia in cui veniva conservato il Corano. È questo l’angolo più illuminato di tutto l’edificio; osservarlo da dentro una chiesa-moschea dà la sensazione di che cosa dovesse essere Cordoba quando musulmani, ebrei e cristiani la abitavano insieme. Nel patio, nel grande cortile accanto alla moschea – dove Averroè teneva le sue lezioni –  scorrono ancora le acque delle antiche abluzioni.
L’Alcàzar de los Reyes Cristianos è un altro labirinto di acque, di luci e di verde. Il Puente Romano, dal quale si gode una vista del Guadalquivir ancora intatto nei suoi argini, conduce alla Torre de Calahorra, una fortezza oggi adibita a piccolo museo della cultura islamica, i cui testi illustrativi degli ambienti sono stati scritti dal filosofo Roger Garaudy, che da cristiano convinto divenne un altrettanto convinto musulmano.
Nel quartiere giudaico rimangono la Sinagoga, lo spazio artigiano e commerciale dello Zoco, la Casa Andalusí di impronta ancora musulmana.
Nel Palacio de Lebrija una contessa raccolse un numero considerevole di reperti classici, arabi, mudejar. Il piano alto racchiude un esempio di abitazione nobiliare con ambienti diversi e tutti ricchi di suggestioni.
Il Barrio de la Macarena con la sua chiesa dominata dalla Madonna addolorata che sembra una Grande Madre pronta alla vendetta è un quartiere popolare nel quale il bello e il plebeo, l’antico e il nuovo, gli schiamazzi e i silenzi, confermano la natura onirica di questa terra: il sogno sensuale di un dio della Luce.
Nella Plazuela del Potro si trova la locanda descritta da Cervantes nel Don Chisciotte. La Plaza de la Corredera è molto simile alla Plaza Mayor di Madrid; salendo da questa piazza si incontrano i resti del Templo Romano e ancora più su il Convento dei Cappuccini con il Cristo de los Faroles, un crocifisso circondato da lampioni. Un luogo che al crepuscolo illumina come di malinconia Cordoba, questa città-bellezza nel cuore dell’Andalusia.

Di un più recente viaggio (2018) nei Paesi Baschi, in particolare a Bilbao e a Donostia/San Sebastián, ho parlato a più riprese: Bilbao / Donostia; Heidegger a Bilbao; Arroyo e il Cardinale.

Viaggiando nel nostro Continente si può cogliere l’identità che lo costituisce nella ricchezza delle differenze, delle lingue, del modo peculiare con il quale ogni popolo ha modulato la comune matrice. È la conferma di quanto è stato scritto nel Preambolo della Costituzione europea, dove si dice che l’Europa rappresenta la «grande avventura che fa di essa uno spazio privilegiato della speranza umana».
Di città europee ne ho visitate molte e ogni volta ritorno con la stessa sensazione espressa da Elias Canetti, lo scrittore ebreo sefardita nato in Bulgaria e vissuto in vari Paesi del nostro continente: «C’è chi vorrebbe andar via dall’Europa, io – se potessi – vorrei entrarvi ancora di più». Spero, trascorsa l’ondata funerea e digitale dell’epidemia, di poter continuare a visitare e percorrere queste terre con il corpomente e nello spazio reale, libero dalla finzione virtuale. I luoghi sono materia e la materia è tutto. Anche quella costruita dagli umani, anche le città.

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