Tommaso
di Abel Ferrara
Italia, 2019
Con: Willem Dafoe (Tommaso), Cristina Chiriac (Nikki), Anna Ferrara (DiDi)
Trailer del film
Ad Abel Ferrara non manca certo il coraggio. Film forti e perturbanti come The Addiction (1994), Il cattivo tenente (1992), The Funeral (1996) lo dimostrano. Questi tre titoli compensano ampiamente le eventuali successive cadute. In Tommaso il coraggio consiste nel mettere in scena le proprie difficoltà, i fallimenti, le debolezze. E farlo in modo esplicito e poco compiaciuto.
Il Tommaso di Dafoe è infatti marito di Nikki e padre di Didi, che sono interpretate dalla moglie e dalla figlia di Ferrara. Vivono a Roma, dove Tommaso progetta un film, cerca di imparare l’italiano, continua a frequentare un gruppo di alcolisti anonimi che raccontano le loro vite e l’uscita dalla addiction del bere, diventa molto geloso della giovane moglie, sino ad alcune violente scenate di gelosia. E infine, in due delle scene/metafora del film, offre il proprio cuore a un gruppo di africani e si fa crocifiggere davanti alla stazione Termini.
Termini, l’ingresso di Roma, città che ha evidentemente ammaliato il regista newyorchese (come accadde per il cuore nero e pulsante di Napoli), che in questo film ha la capacità di offrirne un ritratto singolare, lontano sia dalla magnificenza estetica sia dal degrado incombente; radicato invece nel quotidiano movimento tra le strade, tra i negozi del quartiere, i cortili, i balconi, gli ascensori. Ed è forse la cosa più suggestiva di Tommaso.
Artisti, filosofi, teologi, sociologi, fisici, parlano sempre anche di sé, qualunque sia il grado di oggettività delle loro opere. Già la scelta di diventare regista, pittore, filosofo, astronomo, giurista, è una dichiarazione autobiografica che testimonia in modo evidente del proprio sguardo sul mondo, della teleologia che l’esistere si ritiene abbia o non abbia, della propria tonalità caratteriale. Quando poi si prende la penna, la cinepresa, il pennello, uno strumentario tecnologico, in essi e attraverso essi riverbera immediatamente il senso che si vuole dare al tempo che si è. Il valore di un’opera d’arte o d’intelletto consiste anche nell’essere intramata da questa potenza della persona e però conseguire ed esprimere elementi, esiti, concetti universali, collettivi, condivisi.
Qui Ferrara mette in comune la propria vicenda di persona e il proprio sguardo di regista cinematografico. Con un candore che è da apprezzare, con una forse raggiunta saggezza rispetto al male del mondo che si esprime chiaro e inquietante in The Bad Lieutenant, The Addiction, The Funeral.
Nel primo emerge un mondo svuotato, una ferocia senza direzione, l’oscillare tra perdizione e redenzione, altari, santini, prime comunioni, tutto immerso in un radicale pessimismo antropologico. Un film freddo e appassionato, duro e coraggioso, una vera e propria discesa nell’inferno dell’abiezione umana.
Il secondo coniuga con naturalezza vampirismo e filosofia in una metafora dal significato evidente: l’umanità corrotta moltiplica il male moltiplicando se stessa. In una delle discussioni metafisiche che intessono il film (numerose citazioni da Sartre, Heidegger, Kierkegaard, e perfino un brano musicale di Nietzsche) si afferma che «gli uomini non sono peccatori perché commettono dei peccati ma commettono peccati perché sono peccatori. L’umanità non è malvagia poiché compie il male ma compie il male perché è malvagia».
Il terzo è un’opera funebre e geometrica, intessuta anch’essa di simboli cattolici: preghiere, statue, dottrine. La vicenda e i dialoghi confermano la natura gnostica della visione di Ferrara, che condanna l’uomo e con lui il suo malvagio demiurgo.
Tali cupe verità sono in Tommaso trasformate al fuoco degli affetti, dei desideri e dei ritmi quotidiani. Non vengono certo negate – il cuore estratto dal petto e la crocifissione ce le ricordano– ma sono espresse con il disincanto sull’orrore che la vita alla fine insegna.