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Enciclopedia

Aa. Vv.
Enciclopedia Einaudi
Volume 15 – SISTEMATICA
Einaudi, 1982
Pagine XXIII – 1146

«Il libro conservò a lungo, genericamente, un carattere magico» (J. Le Goff, Sacro/profano, p. 558).  E tale carattere continua a possedere, se magia significa anche vedere l’invisibile attraverso dei segni impressi sulla carta o altrove. Una magia che l’Enciclopedia Einaudi ha rinnovato creando tra gli anni Settanta e Ottanta un’opera da leggere e non soltanto da consultare, nonostante il suo impianto alfabetico e sistematico. Non nel senso di un sistema del sapere che immobilizza il fluire della conoscenza ma di una sistematica che si propone e tenta di fare da guida dentro il labirinto di ciò che ignoriamo, attraverso la guida di quello che sappiamo.
Una conoscenza quindi antica e rinnovata. Antica perché dialettica, anche nel senso platonico di «analisi dei concetti e delle loro relazioni» (D. Marconi, Dialettica, 174); rinnovata perché questa Enciclopedia ha inventato e prefigurato la Rete digitale prima ancora che essa vedesse la luce. Il volume dedicato alla Sistematica ben lo dimostra con i suoi continui rimandi interni, veri e propri link contenuti in due grandi sezioni: Sistematica locale e Ricoprimenti tematici.
L’Enciclopedia mostra anche quanto superficiale sia diventato l’approccio al sapere negli ultimi decenni, che hanno visto il riemergere mediatico di un realismo tanto plausibile quanto banale, che sembra ignorare secoli di complessità. Perché è certamente vero che la realtà materica è indipendente da chiunque la osservi ma filosofia è anche ed esattamente indagare il modo nel quale individui e culture guardano, intendono, interpretano e dunque vivono. Un esempio soltanto, riferito a una delle tesi più importanti di Peirce: «Un segno (un significante, una espressione) può essere interpretato solo da altri segni, ma non una volta per tutte, bensì all’infinito -una idea che può essere rintracciata in Abelardo e persino in Aristotele, dove continuamente si sospetta che la definizione possa non essere una e una sola» (U. Eco, Segno, 571-572).
I segni si stratificano nella memoria, negli enti, negli eventi. E in tal modo l’esistere umano diventa ciò che è perché diventa tempo, diventa un «mettersi in rapporto, sempre restando nel presente, con il passato, a seconda dei casi, esclusivamente con il proprio, con quello della specie, con quello degli altri individui» (K. Pomian, Memoria, 389). Sul fondamento di tale memoria, l’esistere dà senso al presente e apre al futuro individuale e collettivo. «Materiale fondamentale della storia è il tempo» (J. Le Goff, Storia, 629). il quale intesse i corpi, il loro agire, i loro ricordi e l’essere stesso di tutte le cose. Il tempo, questo «oggetto paradossale che è contemporaneamente invisibile e misurabile, e che si incomincia con il riconnettere ad altri oggetti invisibili» (K. Pomian, Tempo/temporalità, 654). L’interazione senza sosta dei moti visibili della materia e dei moti invisibili della mente produce una stratificazione la quale costruisce «un’architettura temporale che non è solo una creazione della ragione, perché è incorporata nelle azioni umane, nelle istituzioni sociali, negli strumenti e nelle tecniche; essa pertanto s’impone a ogni individuo come un dato su cui egli può influire molto poco. Quest’architettura temporale, prodotto dell’interazione tra l’uomo e l’ambiente, è insieme ‘soggettiva’ e ‘oggettiva’ o, più precisamente, dipende dalle caratteristiche biologiche e storiche dell’uomo come pure da quelle proprie delle cose» (Ivi, 655).
L’approfondirsi e l’intrecciarsi delle questioni antropologiche, mentalistiche, fisiche, cosmologiche, va dimostrando con sempre maggiore forza che fare a meno del tempo nella comprensione del mondo è cosa del tutto illusoria. Simmetrie e squilibri, cicli e irreversibilità, costituiscono insieme l’essere e il divenire di tutte le cose. «È infatti la temporalità a consentire, al contrario di una unilaterale ed esclusiva spazialità, di scorgere l’unità profonda pur sempre dall’interno del campo qui delineato, di fenomeni apparentemente eterogenei e di chiarire, senza dissolverlo, il loro specifico paradosso» (E. Garroni, I  paradossi dell’esperienza, 895).

Pur nell’impianto illuministico -dal quale nessuna pensabile enciclopedia può uscire- l’Enciclopedia Einaudi riconosce la presenza e la potenza dell’irrazionale dal quale sgorga anche ciò che chiamiamo ragione: «Nozione di razionalità, intesa come un tipo di conoscenza che presenta i caratteri dell’universalità, della necessità e dell’obiettività: i suoi contenuti sono cioè comprensibili, almeno in linea di principio, da tutti gli uomini, sono vincolanti in virtù della loro stessa intelligibilità e presumono di svelare aspetti della realtà naturale e umana. La conoscenza razionale della realtà è, infatti, solo una delle componenti della cultura occidentale, anche se per certi aspetti ne è la componente caratteristica; essa ha sempre dovuto, oggi come nel periodo delle origini, cimentarsi e confrontarsi con le concomitanti esigenze rappresentate dalla conoscenza empirica e dalla conoscenza religiosa; sempre risorgenti e mai sopite o controllate in modo totale. Si spiega così come la conoscenza razionale non sia mai stata un dato acquisito una volta per sempre. […] E si spiega anche come nella civiltà greca sia esistita, e sia rimasta in modo concomitante e parallelo alla conoscenza razionale, la dimensione irrazionale della conoscenza. Le radici del razionalismo e dell’irrazionalismo occidentale ed europeo emergono da un medesimo humus culturale. […] La peculiarità che la cultura occidentale manifesta fin dall’inizio, quella di essere profondamente divisa e dilacerata; questo fatto, lungi dall’essere un elemento di debolezza, è la ragione principale della sua straordinaria fecondità ed efficacia» (G. Micheli, Natura, 436).
Va dunque superata anche la contrapposizione tra Mythos e Logos, va oltrepassata la dualità «tra una psiche fondamentalmente razionale e un corpo sostanzialmente carico di desideri contingenti, di emozioni labili, di bisogni caduchi e marcescibili» (G. Trentini, Soma/psiche, 602), come vanno superati altri dualismi, in modo da comprendere che ciò che chiamiamo essere, realtà, mondo, è un insieme complesso, stratificato e molteplice di differenze che vivono nella identità di un comune fondamento.

Magnano San Lio e Sichera su «AIÓN»

Lo scorso 23 novembre nella Sala Rotonda del Coro di Notte del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania Giancarlo Magnano San Lio e Antonio Sichera hanno presentato AiónLo hanno fatto con parole che spero il libro meriti e in ogni caso penetrando magistralmente nei contenuti e nelle intenzioni del testo. Ringrazio di cuore Giancarlo, Antonio e i tanti colleghi e studenti che hanno partecipato a questo incontro.
Pubblico qui la registrazione dei due interventi.

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Giancarlo Magnano San Lio e Antonio Sichera su Aión. Teoria generale del tempo
(Il file audio impiega qualche secondo prima di partire, anche perché dura 50 minuti)

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L’ordine del Tempo

Tito Schabert – Matthias Riedl (a cura di)
Das Ordnen der Zeit
Eranos, 10 / 2003
Königshausen & Neumann, 2003
Pagine 213

ordnen_der_zeitIl Tempo come Gabe [dono]; il Tempo che per Spinoza è un modus imaginandi, un’illusione; il Tempo come divinità livellatrice di ogni differenza, celebrato da Sofocle nell’Elettra; il Tempo come inseparabilità di otium e punctum; il Tempo della Gnosi nel quale «die Unendlichkeit des Äon» [l’infinità dell’Aion] si concentra tutta  «in diesem Augenblick» [in questo istante] (J. Thomas, p. 155), la cui gustata potenza può indifferentemente aprire all’ascesi come alla dissolutezza, poiché ciò che gli umani sperimentano non è neppure la platonica “immagine mobile dell’eternità” ma proprio una sua Zerrbild, una sua “caricatura” (Id., 153).
Di tali e di altre numerose rappresentazioni del Tempo (precolombiana, mistico-cristiana, islamica, ebraica) questo volume di Eranos dà conto in modo raffinato e molteplice. Poiché se l’uomo antico, come scrive ancora Thomas, è certo più di quello contemporaneo «eingebunden in die Rhythmen des Cosmos und im Einklang mit ihnen» [immerso nei ritmi del Cosmo e nell’armonia con esso] (135), in ogni caso anche per noi il Tempo è una sorta di sottile e impalpabile Wasserzeichen [filigrana] che attraversa «Bewuβtsein und Wissen» [coscienza e sapere] (G. Zarone, 167).
Thomas individua nel mondo classico tre diverse e fondamentali rappresentazioni del Tempo: ciclica, lineare, a spirale. Quest’ultima è simbolo «der unendlichen Wandlung und Metamorphose» [di un’infinita trasformazione e metamorfosi] (136). E non è quindi casuale che il volume si apra e di fatto anche si chiuda sulla metafora eraclitea che più di ogni altra ha espresso, nascosto e svelato la struttura cosmica e insieme interiore –duplice e a spirale- del Tempo: αἰὼν παῖς ἐστι παίζων πεσσεύων• παιδὸς ἡ βασιληίη, il Tempo è un fanciullo che per gioco sposta le pedine sulla scacchiera: sovrano potere di bimbo (DK, B52). Se il Tempo va distinto dalle sue figure, il Tempo è colui che gioca mentre le figure sono ciò con cui egli gioca, le pedine appunto.
Si muore, quindi, perché la struttura biologica che siamo non ci permette di giocare all’infinito le figure temporali. È probabilmente quanto aveva intuito il medico pitagorico Alcmeone citato da Aristotele in Problemata, 916 a33, per il quale gli uomini muoiono poiché sono incapaci di congiungere l’inizio e la fine. Di che cosa? Del loro corpo pulsante, della materia temporale che sono.
Così conclude con esattezza il suo saggio Zarone: «Wir kennen Aion und Chronos, Kairos und Anache, Linie und Zirkel, Kreislauf und Ereignis, durée und évenement, hazard und necessité, Eschaton und Geschichte, Augenblick und Ewigkeit…Aber wohl kaum ein Bild der Zeit kann sich der Anmut des heraklitischen Aion entziehen, der Faszination des mit den Schachfiguren spielenden Kindes –das wir uns dort vorstellen, an der sonnigen Küste des anatolischen Meeres» (173).
[Noi conosciamo Aion e Chronos, Kairos e Ananke, Linea e Circolo, Ritorno ed Evento, durée e évenement, hazard e necessité, Escatologia e Storia, Attimo ed Eternità…Ma quasi  nessuna immagine può esprimere la Grazia dell’Aión eracliteo, il fascino del Fanciullo che sposta i pezzi della scacchiera sulle coste assolate del mare anatolico].

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