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Lettera ai docenti e agli studenti

Con una collega e uno studente del gruppo corpi e politica Monica Centanni e Giacomo Confortin – abbiamo redatto una lettera aperta sul tema della didattica virtuale, della didattica a distanza, della non didattica. È stata pubblicata lo scorso 23 aprile. La trascrivo per intero, invitando chi ne condivide intenzioni e contenuti a diffonderla, poiché si tratta di un tentativo di difendere non soltanto l’insegnamento ma anche il suo fondamento: la vita. La vita è infatti metabolismo del corpo e relazione tra i corpi.
La vita è intenzionalità e dunque è un movimento sia spaziale sia semantico da parte di enti capaci di percepire il mondo e riconoscergli ogni volta un significato plausibile, in modo da continuare a esistere in un contesto dato.
La vita è un movimento temporale, rivolto verso ciò che sta accadendo, ciò che è appena accaduto, protensione verso quanto sta per accadere; elementi che non vanno intesi come separati ma nella profonda unità che li costituisce.
La vita è società, economia, storia.
La vita è un movimento fattizio e prassico, fatto di atteggiamenti, comportamenti, abitudini, obiettivi.
Di tutta questa complessità, direi di tanta magnificenza, che cosa è rimasto nella temperie sanitaria e politica che va sotto il nome di Covid19, sotto il nome di epidemia da coronavirus?
Poco. Quasi nulla.
Tutto è stato impoverito, ridotto e cancellato anche per ragioni che non hanno a che vedere con la salute di tutti ma con gli interessi di alcuni. Da quel poco che trapela e si riesce a capire – e anche questo è un fatto inquietante – vari consulenti sanitari dell’attuale governo italiano hanno rapporti di consulenza anche con le industrie della salute. Un enorme conflitto di interessi sul quale la stampa tace anche perché si tratta di quelle stesse aziende che finanziano con la loro pubblicità i giornali (della televisione non mette conto parlare: è pura costante pervasiva menzogna). Per questi soggetti la fine o l’allentamento del controllo significa la fine o la diminuzione di vantaggi individuali e di gruppo.
Anche per evitare di chiudermi nella bara di questa autorità, compio quasi quotidianamente delle passeggiate per le vie della città nella quale mi trovo in questi mesi: Catania, un luogo bellissimo.
Qualche giorno fa ho notato che la città era più viva. Ho incontrato persino ‘assembramenti’ di 3-4 persone (!). E più della metà senza maschere mortuarie. Forse l’obbedienza perinde ac cadaver comincia a cedere. L’avranno notato però anche altri, tanto è vero che nei giorni successivi le strade sono state invece piene di forze del disordine: esercito, vigili, polizia, carabinieri. Mancavano solo i centurioni romani. E ho visto cittadini ‘discutere’ animatamente con alcuni di costoro.
Una sera ho sentito provenire dalle finestre aperte una voce meccanica – probabilmente il tizio che si chiama Conte – blaterare di «senso di responsabilità» mentre ribadiva la continuazione della cancellazione della πόλις.
Chiedo ai miei studenti di non credere mai all’autorità paternalistica, al potere che dichiara di agire «per il bene di tutti». L’autorità è sempre ideologicamente e politicamente connotata e il potere agisce in primo luogo per perpetuare se stesso. È un fatto anche semplice, anche tecnico: il gusto del comando riempie la vita e le passioni di molte persone. Pur di mantenerlo sono disposte a qualunque cosa: figuriamoci se non sono disposte a mentire.
Non credete al potere, anche se dovesse assumere l’aspetto di Biuso. Dissezionate le parole di chi comanda, la retorica che usa, i molti fatti di cui tace, i pochi che ripete all’infinito, come un disco rotto. E in questi due drammatici mesi di negazione della nostra dignità di cittadini abbiamo ben avuto modo di constatare che cosa significhi «disco rotto».
Pensate, non credete. Non fidatevi che del vostro sapere, della vostra razionalità, dei vostri errori.

[La foto è stata scattata a Piazza Dante (Catania) sede del Dipartimento dove insegno] 

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Università post lockdown. Circolare del ministero e risposte
Ai docenti e agli studenti delle università italiane

di Alberto Giovanni Biuso, Monica Centanni, Giacomo Confortin
(23.4.2020)

Il primo pdf che pubblichiamo contiene le linee guida del Ministro dell’università e della ricerca (Ministro maiuscolo; università e ricerca rigorosamente minuscole: vedi carta intestata) sottoposte al parere degli organi rappresentativi delle università italiane (Crui, Cun, Cnsu). Si tratta di un documento pubblico, anche se non proprio reso pubblico, ed è bene che leggiamo tutti per tempo cosa ci aspetta; che impariamo per tempo (anche dalle – mostruose – scelte lessicali e retoriche) ciò che ha in testa il ministro sul futuro più o meno prossimo della nostra università.

Il secondo e il terzo pdf contengono la risposta del Cun e della Crui e, a parte le generiche raccomandazioni in cui risuona più che altro una petizione di principio, non pare propriamente deciso e rigoroso, e comunque risulta di fatto molto poco incisivo sulle decisioni che il ministro, evidentemente, ha in animo di prendere. Questo il quadro in cui si stanno muovendo le “Autorità competenti”.

Siamo ben oltre le peggiori previsioni, e le scelte lessicali sono spie significative: “minimizzare”, “contingentare”, “decomprimere”, “limitare”… almeno fino a gennaio 2021.

Ad alcuni colleghi pare vada bene così: si sente dire “e cos’altro si potrebbe fare?”; o anche “sto facendo tutto come prima, ma in modo diverso” – qualcun altro già dice che in fondo “è anche meglio”. C’è poi la gara ad esibire i propri “sacrifici”, imposti dalla situazione presente; mentre altri, comunque, massacrano le proprie giornate, ora dopo ora, ma senza averne in cambio neppure il conforto di aderire a un’etica del “sacrificio”, perché vivono la passione per lo studio, la didattica, la ricerca.

C’è chi si richiama alle “autorità”, al “rispetto dei ruoli”, alla fiducia – a volte ben riposta – negli organi di governo delle singole università. C’è anche chi richiama il (sempre scivolosissimo) argomento delle “competenze”, ma forse tutti, noi professori, siamo “competenti” a esprimere il nostro giudizio e il nostro pensiero, dato che ne va del regime della nostra professione ovvero, per molti di noi, della nostra stessa vita. Insomma – ognuno ha i suoi gusti etici, estetici, e financo retorici.

Alcuni dicono che “siamo pagati per insegnare e in un modo o in un altro va fatto”; c’è invece chi ha l’idea di essere “retribuito” non per “erogare” servizi, magari in forma blended (terrificante), ma anche – e anzi soprattutto – per pensare e per studiare, anche se forse il ministro non sa che ci paga per questo, e dà per scontato che diciamo tutti in coro, spegnendo ogni luce di pensiero critico su quanto stiamo subendo, “e cos’altro si può fare?”. Anzi – meglio se non diciamo proprio niente, ed eseguiamo ubbidienti le ingiunzioni che arrivano i giorni dispari in un modo, quelli pari in un altro, tutte rigorosamente, ‘scientificamente’ basate su imperscrutabili pronostici astrologici e cabale misteriosofiche. In realtà, temiamo, su precisi e ben tracciabili interessi.

Perciò, scorso il testo ministeriale, sorge lecito un dubbio di natura linguistica – lessicale, sintattica, retorica, ovvero concettuale – che il “nemico invisibile” viva due vite distinte, una vita batterica e una vita burocratica. Una volta riposta l’“autonomia” nel preambolo, infatti, c’è di seguito lo spazio per scandire le nostre “fasi” future, in una lingua surrettiziamente astratta e omertosa, del tutto impropria in un comunicato ufficiale di questi tempi di crisi.

Il problema è – anche – grammaticale: i destinatari sono trattati in termini di “singoli” o al massimo di una pluralità di individui, che prevede al limite “piccoli gruppi” – non già nei termini di una molteplicità fatta di singoli soggetti corpimente, che costituiscono però anche un corpo multiplo e collettivo.

In termini spaziali, i lunghi spostamenti e la stessa mobilità di studenti e docenti vanno ridotti, quasi che bisognasse fermarsi a metà strada. Dallo sfondo del paesaggio accademico, tristemente ammutolito per tanta parte, se non ovunque, il Ministro emerge soltanto nella veste di vigile-bidello che dirada il traffico nei corridoi.

È come se del visibile, di tutta la realtà vibrante sotto le carte intestate, ci si occupasse allo stesso modo dell’invisibile, del virus di cui vanno tracciati gli effetti sui nostri corpi. È come se qualcuno confidasse nel sospetto del contagio, per non dover operare distinzioni nel suo contenimento. Non pare proprio che al Ministero abbiano chiara la vita della quale necessita l’Università in Italia, come ovunque nel resto del mondo: perché “limitare” i corpi, fino a data da destinarsi, significa fare altrettanto con le menti che vi sono contenute, farne entità separate e in quanto tali innocue.

Una delle espressioni più gravi della perdita di vita collettiva che stiamo subendo, d’altronde, è la rinuncia di fatto a insegnare. Insegnare è infatti un’attività e una sfida che consiste nell’incontro tra persone vive, tra corpimente che occupano lo stesso spaziotempo non per trasmettere nozioni ma per condividere un mondo. Insegnare significa costruire giorno dopo giorno, saluto dopo saluto, sorriso dopo sorriso una relazione profonda, rispettosa e totale con l’Altro, in modo da riconoscersi tutti nella ricchezza della differenza.

Insegnare significa abitare un luogo politico fatto di dialoghi, di conflitti, di confronto fra concezioni del mondo e pratiche di vita. Insegnare non significa erogare informazioni ma scambiare saperi.

A distanza tutto questo è semplicemente impossibile perché l’università non è un servizio amministrativo, burocratico, formale, che possa essere svolto tramite software; l’università è un luogo prima di tutto fisico, dove avviene uno scambio di totalità esistenziali.

Senza relazione tra corpi, tra sguardi, tra battute, tra sorrisi, tra esseri umani, e non tra piattaforme digitali; senza le persone vive nello spaziotempo condiviso, non esiste insegnamento, non esiste apprendimento, non esiste università.

Soprattutto, è vero il fatto, estetico carnale filosofico, che non esistiamo per noi stessi; che veniamo quotidianamente alla nostra conoscenza attraverso lo sguardo di un altro. Lo sguardo di un docente su di noi, che ricambiamo quasi con l’affetto o con la rabbia che porta un figlio; e lo sguardo cui non rispondiamo di uno studente, per fretta o pudore di essere incompresi. Ma questi e gli altri sguardi complessi e irriducibili, che sono il cuore e la sostanza della didattica, nessuno sarà mai possibile a distanza.

C’è da chiedersi allora quali interessi – perché non può trattarsi soltanto di cialtroneria, pressapochismo e irresponsabilità – muovano il Ministro dell’università e della ricerca a prendere decisioni così gravi – addirittura prima che siano stati presi i provvedimenti generali dal governo, decise le date, valutata la curva dell’epidemia. Prima che nulla si sappia davvero, il Ministro sa già cosa sarà dei nostri corpi.

Qualcuno sta calcolando il regalo che stiamo facendo non solo alle piattaforme private, pronte a garantire la nostra ‘telepresenza’ (bell’ossimoro…), volteggiando come rapidi avvoltoi sul cadavere di quella che fu l’università italiana, ma anche alle ben 11 università telematiche parificate (un monstrum mondiale) che punteggiano il paesaggio universitario italiano?

Non possiamo permettere che degli schermi riducano la conoscenza ad alienanti giornate dietro e dentro un monitor. La vita trasformata in rappresentazione televisiva o digitale diventa finta, si fa reversibile nell’infinita ripetibilità dell’immagine, nel potere che l’icona possiede di fare di se stessa un presente senza fine. Abituandoci a sostituire le relazioni del mondo degli atomi con la finzione del mondo dei bit, rischiamo di perdere la nostra stessa carne, il senso dei corpi, la sostanza delle relazioni. Non saremo più entità politiche ma ologrammi impauriti e vacui.

Studenti e docenti non siamo pixel su un monitor ma umani nello spazio e nel tempo.

Veritas

Quid est veritas? Ermeneutica e prospettivismo
in Siculorum Gymnasium. A Journal for the Humanities
Anno LXXI / n. IV – 2018 (ma uscito nell’ottobre 2019)
Verità e post-verità. Forme della comunicazione e costruzione di immaginari
Pagine 113-119

Indice
1 Verità
2 Gadamer
3 Disseminazioni

Abstract
Τί ἐστιν ἀλήθεια; Post-nietzschean civilization, and not just philosophy, is under the sign of Pilate’s question. However, perspectivism is not the legitimation of any affirmation, is not the so-called post-truth, but constitutes the awareness that every truth is plural. This is the heart of hermeneutics, the game between Gegenstand and Bedeutung. It is on this foundation that Heidegger and Gadamer have transformed hermeneutics from a methodology into an ontology that is rooted in temporality.

Incipit
Τί ἐστιν ἀλήθεια; «Che cos’è verità?» (Gv 18,38). Nietzsche riteneva che questa domanda di Pilato fosse l’unica parola del Nuovo Testamento ad avere valore, e che di quel libro fosse la critica più puntuale, il suo stesso annientamento ‒ «seine Kritik, seine Vernichtung selbst» (Der Antichrist, § 46). Si tratta, in effetti, di una domanda che è nello stesso tempo l’orizzonte della filosofia e il suo sorgere. Che cosa sia verità è infatti una delle tre questioni con le quali e attraversando le quali l’indagine filosofica definisce se stessa, il proprio oggetto, il proprio statuto. Le altre due domande riguardano l’essere e il tempo. 

Fenomenologia del tempo

Edmund Husserl  è tra i punti di riferimento fondamentali del mio tentativo di pensare. E tuttavia non ho dedicato molti scritti a questo filosofo. Di recente ho però avuto la possibilità di analizzare, in modo sintetico ma spero plausibile, il cammino husserliano dentro la questione del tempo, che coincide con il cammino stesso della fenomenologia. Un saggio pubblicato sul numero 19 (luglio 2019) di Vita pensata ha infatti per titolo «La fenomenologia come ontologia del tempo».
Il testo è diviso nei seguenti paragrafi:
-Fenomenologia è temporalità
-I C-Manuskripte
-Husserl / Heidegger
-Spaziotempo
-Il futuro della fenomenologia

Gli ultimi manoscritti di Husserl sulla costituzione del tempo si chiudono in una maniera per questo filosofo inconsueta, su una tonalità cosmica:
«Ich in strömender Lebensgegenwart, Quelle der für mich geltenden Welt, Quelle auch der Idee der Wahrheit und der Wissenschaft als Vorhabe und der für mich seienden Anderen etc. – ‘Quelle’.
Das Absolute, verharrend in Ewigkeit im ewigen Wandel seiner Modi, zunächst durch gewöhnliche Geburt der Tod -aber auch Geburt und Tod von Menschheit etc.; Identität der Strukturform (invariante), die Form der absoluten Zeitlichkeit, die Form der absoluten Koexistenz, deren Symbol der Raum ist; aber auch die räumliche Verteilung der getrennten, entstehender und sterbender Gestirmenschheiten und Generationssysteme von ‘animalischen’ Spezies; Gestirn, Milchstraßensysteme. Das Invariante: stehen-bleibende Form. Das Unbewusste in seinen verschiedenen Stufen, Unwachheit, Assoziation als universale Synthesis (aus Intentionalität)».
«Io nel presente vivente, nel suo flusso, origine per me del senso del mondo, origine anche dell’idea della verità e della scienza come comprensione e fonte dell’esistenza dell’Altro ecc. – ‘Fonte’.
L’Assoluto, che rimane costante nell’eternità del continuo mutamento dei suoi modi, anzitutto mediante il comune nascere e morire – ma anche nel nascere e morire dell’umanità ecc.; Identità della struttura (invariante), la forma della temporalità assoluta, la forma della coesistenza assoluta, il cui simbolo è lo spazio; ma anche la distribuzione nello spazio dell’agire umano che si separa, che si genera e che si dissolve e il modo universale nel quale si generano le specie animali; le stelle, le galassie. L’invariante: la forma permanente. L’inconscio nei suoi diversi stadi, l’inconsapevolezza, l’associazione come sintesi universale (fuori dall’intenzionalità)»

Späte Texte über Zeitkonstitution (1929–1934). Die C–Manuskripte
(Ultimi testi sulla costituzione del tempo 1929–1934); Husserliana – Materialen Band VIII, herasusgegeben von  Dieter Lohmar, Springer, Dordrecht 2006, p. 446.

Cervello / Tempo

Recensione a:
Dean Buonomano

Il tuo cervello è una macchina del tempo.
Neuroscienze e fisica del tempo
(Your Brain Is a Time Machine. The Neuroscience and Physics of Time, 2017)
Bollati Boringhieri, 2018
Pagine 332
in Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia
Anno 10 – Numero 2/2019
Pagine 228-230

Non è possibile comprendere la mente senza comprendere il tempo. La coscienza umana è una funzione temporale del corpomente; il suo indispensabile ruolo consiste nel rielaborare enti, eventi e processi che accadono nel mondo per adattarsi quanto meglio possibile al loro divenire.
Il mondo è fatto di enti temporali, di eventi che accadono, di processi che fluiscono. Basta aprire gli occhi, basta osservare gli spazi e le situazioni –un suono, il cenno di una mano, le onde che si infrangono a riva, l’appuntamento con l’amato, l’ora di lezione prevista per domani, il sorgere e il tramontare dell’astro sull’orizzonte, la luce di una stella, le rughe sulla fronte, il fluire di un corso d’acqua, e così all’infinito–, basta esistere per essere immersi nel tempo, per essere tempo in atto. 

Programmi 2019-2020

Nell’anno accademico 2019-2020 insegnerò Filosofia teoretica, Filosofia della mente e Sociologia della cultura. Pubblico i programmi che svolgerò, inserendo i link al sito del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania per tutte le altre (importanti) informazioni relative ai miei corsi.
I link che compaiono nei titoli dei libri in programma portano a presentazioni e recensioni dei testi o, nel caso dei saggi in rivista, ai pdf dei testi stessi.

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Filosofia teoretica
ERACLITO

Aa. Vv., Eraclito: La luce dell’oscuro, a cura di Giuseppe Fornari, Olschki 2017

-Martin Heidegger, Eraclito, Mursia 2017 (Corso del semestre estivo 1943, pp. 5-119, e Corso del semestre estivo 1944, § 6a, pp. 194-201)

-Alberto Giovanni Biuso, Aiòn. Teoria generale del tempo, Villaggio Maori Edizioni 2016

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Filosofia della mente
MENTI ANIMALI

-Alberto Giovanni Biuso, La mente temporale. Corpo Mondo Artificio, Carocci, 2009 (capp. 1 e 2: Una storia della mente – Il corpo dentro il mondo; pp. 17-137)

-Jacques Derrida, L’animale che dunque sono, Jaca Book 2018 (pp. 62-68; 103-114; 149-166; 199-222)

-Roberto Marchesini, Contro i diritti degli animali? Proposta per un antispecismo postumanista, Edizioni Sonda 2014

-Gianfranco Mormino, Raffaella Colombo, Benedetta Piazzesi, Dalla predazione al dominio. La guerra contro gli animali, Libreria Cortina 2017

-Alberto Giovanni Biuso, 1) Dialettica dell’umanesimo, in Liberazioni. Rivista di critica antispecista, Anno IX / n. 34 / Autunno 2018, pp. 26-37 – 2) Siamo già sempre una differenza animale. Derrida e Heidegger, in Liberazioni. Rivista di critica antispecista, Anno IX / n. 36 / Primavera 2019, pp. 90-94

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Sociologia della cultura
PAGANESIMI E DIFFERENZA

-Rocco De Biasi, Che cos’è la Sociologia della cultura, Carocci 2008

-Maurizio Bettini, Elogio del politeismo, il Mulino 2014

-Catherine Nixey, Nel nome della croce. La distruzione cristiana del mondo classico, Bollati Boringhieri 2018

-Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò, Einaudi 2015

-Alberto Giovanni Biuso, 1) Anarchismo e paganesimo, in «Nel nome di nessun dio – Libertaria 2016», pp. 132-151; 2) Le persecuzioni contro i pagani, in «Vita pensata», n. 18, febbraio 2019, pp. 5–12

Ontocronia

Jean Greisch
ONTOLOGIE ET TEMPORALITÉ
Esquisse d’une interprétation intégrale de
Sein und Zeit

Presses Universitaires de France, 2004
Pagine VI-522

Sein und Zeit è una costruzione imponente, le cui fondamenta poggiano sul cantiere fenomenologico che Heidegger tenne aperto dal 1919 al 1928, in particolare sui corsi tenuti a Marburgo. Se dal 1928 il termine ‘fenomenologia’ viene progressivamente sostituto nel titolo dei corsi da quello di ‘metafisica’, questo conferma sia la pervasività dell’impianto fenomenologico di Essere e tempo sia la relazione profonda che nel pensare di Heidegger la fenomenologia intrattiene con la metafisica. Heidegger affermò che «die Augen hat mir Husserl eingesetzt»1Ciò che Heidegger vide andò poi oltre quanto Husserl pensava esistesse ma il suo sguardo rimase sempre il vedere di un fenomenologo.
Fenomeno è per Heidegger una struttura duplice: esso è il mostrarsi di ciò che è così come è e come appare, ma può essere anche apparenza che si dispiega. Che il vedere possa diventare illusione è una possibilità che affonda nel fenomeno come struttura rivelativa, nel fenomeno come forma della verità. A questo impianto fenomenologico Sein und Zeit deve quasi tutto.
La questione dell’essere come differenza tra il concetto volgare dell’ente e quello fenomenologico di essere dell’ente, scaturisce dalla riduzione fenomenologica husserliana e dalla possibilità a essa correlata di un’intuizione categoriale delle essenze.
Il visto, il percepito -e dunque ancora il fenomeno- non si lascia descrivere (né in Husserl né in Heidegger) come qualcosa di semplicemente obiettivo, che ‘sta lì’ e viene riflesso nella e dalla mente. No, il percepito è sempre costruito, è una struttura semantica che Husserl definisce fenomeno e Heidegger chiama Ereignis, evento appropriante.

Husserl e Heidegger rifiutano entrambi di ricondurre e ridurre la filosofia a un’antropologia e a un’etica.  L’efficace sintesi che Greisch formula di tale rifiuto potrebbe ben valere anche per Husserl: «Le refus intransigeant de confondre la philosophie avec une vision du monde, et pourtant, le rejet de toute conception qui ferait du philosophe un gourou qui se sentirait investi d’une mission de direction spirituelle. On notera toutefois que la proposition ne vise pas seulement les visions du monde religieuses ou non religieuses, mais qu’elle comporte un autre aspect remarquable : l’analytique existentiale n’a rien d’un ‘discours de sagesse’, qu’il s’agisse des sagesses traditionnelles préphilosophiques, véhiculées par le Tao te king ou par le livre de la Sagesse biblique, ou d’une sagesse encore à venir, qu’il appartiendrait à une métaphysique future de promouvoir»2Come il Bene platonico non ha nulla a che vedere con qualunque concetto moderno, cristiano e kantiano di ‘valore’ ma è piuttosto la scaturigine, il fine ultimo e il senso di tutto ciò che è -l’essere e l’al di là dell’essere-, così in generale la filosofia è comprensione di ciò che è come esso è, prima e al di là di qualunque giudizio morale o visione del mondo.

Su questo atteggiamento e sostanza della vita filosofica Husserl e Heidegger concordano pienamente. Lo scarto si origina dallo sforzo heideggeriano di coniugare ciò che Husserl aveva separato: l’atemporalità dei significati logici e la prassi temporale della vita. I concetti fondamentali della ontocronia sono gli esistenziali dei quali discute Sein und Zeit. In particolare: la gettatezza come fatticità e immersione nel tessuto quotidiano degli affetti; l’angoscia come stare al mondo in quanto tale, non per ciò che si fa, dunque, ma per ciò che si è, per il fatto stesso d’esserci; da cui lo Schuldigsein, l’essere in debito/colpa; l’essere nel mondo come immersione totale, che mostra l’insensatezza della questione della ‘dimostrabilità’ di un mondo esterno e rende sterile ogni dualismo tra un ‘soggetto’ e un ‘oggetto’, i quali sono parte della medesima struttura ontologica; la trascendenza come modo di stare al mondo in quanto parte che non si limita a questo stare ma è intrisa di intenzionalità, vale a dire di futuro e quindi di tempo. L’intenzionalità della coscienza è infatti radicata nella temporalità estatica del Dasein, aperto al mondo e al tempo. Il tempo del mondo –Weltzeit– è dunque lo stesso tempo della coscienza –Ichzeit– in quanto entrambi sono espressione del tempo del Dasein che parte da e va verso l’In-der-Welt sein. Questo ‘verso’ (um-zu) è il movimento semantico dell’intenzionalità, un movimento fenomenologico, un movimento temporale, un movimento fattizio e prassico, il movimento in cui consiste la vita.
Vita che è esistenza del corpo, la cui mancata tematizzazione in Sein und Zeit è certo grave ma che Heidegger giustificò dicendo a Medard Boss -che gliene chiedeva conto- di ritenere la corporeità il tema più difficile da affrontare e per il quale nel 1927 non aveva ancora strumenti. Lo gnosticismo di Heidegger si declina dunque non come rifiuto dualistico della corporeità -nulla di simile è rintracciabile nella sua opera- ma come chiamata da parte dell’Essere alla pienezza del proprio conoscere e quindi del proprio consistere, nonostante la condizione di gettatezza che il venire al mondo comporta per ciascuno.
È anche qui che l’ontocronia mostra tutto il proprio tessuto metafisico, quello per cui la filosofia o è una scienza originaria che viene prima di ogni particolare sapere o non è; una scienza che si chiede, con  Leibniz, perché mai ci sia qualcosa piuttosto che il nulla; domanda spesso ripetuta da Heidegger, il quale nel seminario estivo del 1928 (dedicato appunto a Leibniz) afferma che la filosofia è la messa in atto centrale e totale dell’essenza metafisica dell’esistenza.
Già nel testo di abilitazione all’insegnamento (1915) Heidegger affermava che «die Philosophie kann ihre eigentliche Optik, die Metaphysik, auf die Dauer nicht entbehren»3.
Da quel testo a Essere e tempo, dagli altri libri fondamentali all’intervista postuma che sostiene come «soltanto un dio» ci possa salvare, «Heidegger ne cesse d’affirmer que le chantier de problèmes ouvert avec Sein und Zeit reste toujours nécessaire à titre de chemin, ce qui n’exclut pas, mais exige au contraire, des modifications considérables de la manière d’aborder les problèmes»4.

Note

1. «Husserl mi ha aperto gli occhi» (Ontologie. Hermeneutik der Faktizität, «Gesamtausgabe», Vittorio Klostermann, Franfurt am Main 1988, Band 63, p. 5).
2. «L’intransigente rifiuto di confondere la filosofia con una visione del mondo, e quindi il rifiuto di ogni concezione che farebbe del filosofo un guru che si sentisse investito di una missione di direzione spirituale. Va notato, tuttavia, che l’affermazione non si rivolge soltanto alle visioni del mondo religiose o non religiose, ma ha anche un altro notevole aspetto: l’analitica esistenziale non ha nulla a che fare con un “discorso di saggezza”, che si tratti delle tradizionali saggezze preteoretiche, trasmesse dal Tao te Ching o dalla saggezza biblica, o di una saggezza di là da venire, che sarebbe parte di una futura metafisica da promuovere» (J. Greisch, Ontologia e temporalità. Saggio di una interpretazione integrale di Sein und Zeit, p. 501).
3. «La filosofia non può rinunciare a lungo alla sua prospettiva più propria, cioè alla metafisica» (Die Kategorien- und Bedeutungslehre des Duns Scotus [La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto], «Gesamtausgabe», Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1978, Band 1, p. 406 [348]; il corsivo è di Heidegger).
4. «Heidegger afferma di continuo che il cantiere dei problemi aperti con Sein und Zeit è ancora indispensabile come cammino, ma questo non esclude -al contrario implica- delle importanti modificazioni nel modo di affrontare i problemi» (J. Greisch,  Ontologia e temporalità, p. 425).


 

Sul tempo: dialogo con un fisico

L’Università è un comunità viva di studiosi. Tra i colleghi con i quali mi vado confrontando sul tema del tempo c’è Alessandro Pluchino, Professore di Fisica teorica nell’Ateneo di Catania. Elemento del confronto è stato anche lo studio di un suo libro dedicato a Tempo, cosmologia e libero arbitrio. I tre argomenti complessi e fondamentali che danno il titolo al  testo vengono affrontati con una metodologia aperta e con una scrittura sempre vivace.
Metodologia ‘aperta’ nel senso che Pluchino coniuga teoremi matematici, istanze epistemologiche e intuizioni mistiche provenienti dalle culture orientali e sempre più condivise da numerosi fisici e cosmologi contemporanei. Alessandro ha voluto pubblicare la nota che ho scritto sul volume. Questa la sezione del suo sito dalla quale è possibile scaricare il pdf:  Altri scritti.

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