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Et etiam rerum

Teodorico di Freiberg
DURATA E TEMPO
Sulle misure – Sulla natura e proprietà dei continui
(De mensuris – De natura et proprietate continuorum)
A cura di Andrea Colli
Edizioni di pagina, 2017
Pagine 190

L’intero essente, tutto ciò che è materico ed è pensabile, consiste in una fuga, nel divenire, nell’essere stato, nel non essere più, nel poter essere ancora. Tutto «consistit esse suum in quodam transitu» (De natura et proprietate continuorum, §5, p. 128) ma quale sia la modalità di questo passare è l’enigma.
Dietrich (Teodorico) di Freiberg (1240-1310) penetra in tale enigma cercando di coniugare l’interiorità agostiniana e la fisica aristotelica mediante le raffinate analisi di Averroè, per il quale il tempo ha una provenienza e una struttura sia intrinseca sia estrinseca. Sarebbe l’anima infatti a rendere pienamente esistente in atto il tempo che nel solo moto dei corpi fisici esiste in potenza. Sarebbe dunque la mente a produrre il tempo come significato e regola del divenire intrinseco a ogni ente. Una attualizzazione che Teodorico conduce a esiti arditi, attribuendo alla forza semantica dell’anima anche la permanenza del passato e del futuro e quindi l’esistenza reale e universale del tempo.
La spazializzazione e l’interiorizzazione del tempo sono entrambe presenti nell’elaborazione aristotelica della temporalità. Se, infatti, «tempus non est aliqua res naturae extra animam»  (Ivi, 3.6, p. 138), è anche vero «che [noi] non apprendiamo il tempo, né lo determiniamo, né misuriamo la sua estensione, che è la sostanza stessa del tempo, se non prendendo due istanti tra i quali osserviamo l’estensione, l’essenza e la quantità del tempo» (Ivi, 3.13, p. 147).
La tensione cosmologica che sempre attraversa la filosofia scolastica del tempo è riassunta da Teodorico in due diversi modi di distinguere la temporalità degli enti, di tutti gli enti: da quello divino alla miriade di entità corruttibili ed effimere. Per il primo modo l’aeternitas è ciò che non ha inizio né fine, l’aevo ha un inizio ma non subisce alcuna fine, il tempus è proprio di tutti gli enti, eventi e processi che vengono al mondo e poi si dissolvono.
Altri, invece, propongono quattro forme, che sono aeternitas, sempiternum, perpetuitas, tempus, che Teodorico così descrive: 

Per quanto riguarda la durata, l’eternità è la misura di Dio e questo per la sua anteriorità rispetto all’esistenza dell’universo. In secondo luogo, aggiungono che la misura dell’universo nella sua totalità è la sempiternità in confronto all’eternità, per il fatto che l’universo, per quanto riguarda l’inizio della sua esistenza, è secondo solo all’eternità, mentre è privo di una fine. In terzo luogo, essi considerano quelle cose che, quanto alla misura della loro durata, sono perpetue, ovvero quelle cose che, in qualunque tempo abbiano il loro essere, durano tuttavia per tutta la perpetuità dell’universo, senza fine. In quarto luogo, determinano la misura della durata degli enti quanto alla coesistenza, all’anteriorità o anche alla posteriorità degli enti stessi, in modo tale che alcune cose si dicono presenti, e reciprocamente presenti, per il fatto di essere simultanee e future, secondo la loro anteriorità e posteriorità. [Quest’ultimo lo] chiamiamo ‘temporalità’ come distinta secondo presente, passato e futuro.
(De mensuris,  2.2, pp. 73-75).

In questi trattati rigorosi, ripetitivi e faticosi come è tipico dei testi della Scolastica, si legge un brano scintillante che sembra racchiudere e sintetizzare la molteplicità temporale della filosofia greca e lo sguardo prospettico di quella moderna:

È allora chiaro che il tempo, per quanto riguarda la sua origine è riconducibile -secondo la sua sostanza- al moto celeste (in motum coeli), come a causa primaria; in secondo luogo e in modo più immediato è invece riconducibile all’atto della nostra immaginazione (in actum phantastici nostri), per mezzo della quale percepiamo di essere un ente divisibile; in terzo luogo, è invece riconducibile alla nostra stessa attività di ragione (in ipsum rationale nostrum), per mezzo della quale, in base ai diversi termini di ciò che è stato chiamato ‘ente divisibile’ (divisibilis esse) determiniamo due istanti e tra essi una qualche, per così dire, estensione della durata (quasi durationis extensionem).
(De natura et proprietate continuorum, 5.3, 6; p. 159).

E dunque Spinoza, che alla Scolastica attinse, si sbaglia quando ipotizza che tempus non est affectio rerum, che il tempo non esista se non come dato puramente mentale, poiché -come anche le analisi di Teodorico ben mostrano- è più corretto dire che tempus est affectio hominum et etiam rerum. E molto altro.

Dimenticare

Prefazione a:
Disobbedire alla mente errante
di Vincenzo Di Spazio
Edizioni Spazio Interiore
Roma 2021, pp. 112
Pagine 7-12

I testi dei pazienti di Enzo Di Spazio – tutti riprodotti nell’originale delle scritture di ognuno – sono espressione sia della banalità del male che intesse le vite, sia della sua così enigmatica profondità. Un enigma che da molti anni l’autore studia sulla base di una consapevolezza fondamentale: che l’umano sia tempo incarnato (embodied time) e che ogni evento di questa nostra vita si installa nel corpomente sino, a volte, a stritolare la persona, «facilitando così la malattia e infine la morte».
La dimensione temporale della psiche genera anche molta inquietudine, frutto dell’essere l’umano una wandering mind, di possedere «la capacità di spostarci a piacimento lungo il cursore del tempo lineare per tuffarci nel passato e per proiettarci nel futuro», dell’essere noi tutti una mente errante tra i ricordi traumatici che paralizzano e le angosciose attese che anch’esse paralizzano. Rompere queste paralisi e fare dell’organismo, degli arti, dell’intera corporeità una realtà dinamica è uno degli obiettivi delle diverse terapie che Di Spazio pratica e propone.
Come questo libro ben mostra, l’umano e la sua salute sono costituiti da una memoria viva che si muove nello spaziotempo dei ricordi che abitano il corpo e dagli eventi che si susseguono nel mondo. Entrambi, ricordi ed eventi, non possiedono la struttura massiccia e uniforme di una strada e del muro che la delimita, non sono rigidi e continui ma somigliano alla complessità delle isole di un arcipelago, che emergono dal mare profondo del tempo. 

Realtà / Illusione

Peter Coveney – Roger Highfield
LA FRECCIA DEL TEMPO
Viaggio attraverso uno dei grandi misteri della scienza
(The Arrow of Time. A Voyage trough science to solve Time’s greatest Mystery [1990])
Trad. di Aldo Serafini
Prefazione d Ilya Prigogine
Rizzoli, 1991
Pagine 458

Tra i non pochi paradossi che attraversano la fisica contemporanea, il più profondo ed enigmatico è probabilmente quello della irreversibilità. Esso consiste nel fatto che a livello microscopico-atomico i processi sembrano reversibili mentre a livello macroscopico-fenomenico l’irreversibilità di tutti i processi ed eventi è assolutamente evidente.
La più parte dei fisici cerca di risolvere questo fondamentale paradosso ignorandone o sottovalutandone uno dei corni, mediante strategie riduzionistiche che pongono una gerarchia metafisica tra microcosmo e macrocosmo a favore del primo. Il mondo degli atomi e delle molecole sarebbe dunque la realtà e il mondo degli enti, degli eventi e dei processi sarebbe una mera illusione soggettivistica. Salta subito agli occhi che si tratta di un dispositivo platonico, che distingue due livelli di realtà contrapponendoli in modo irriducibile e optando per il meno visibile, il più astratto, il più lontano dall’esperienza.
Gli antichi platonici e i fisici contemporanei utilizzano a questo scopo il medesimo strumento concettuale: il formalismo matematico. Tra i tanti linguaggi possibili nella descrizione dei fenomeni, essi ne assolutizzano uno soltanto, quello dei numeri. Ciò che non è riconducibile a tale linguaggio non ha valore. E tuttavia «se facciamo ricorso a dei modelli ultrasemplificati che cedono alle forti seduzioni della matematica, rischiamo di trascurare tutta la ricchezza del mondo reale; in particolare, se spogliamo le cose di certi loro aspetti esteriori, che si suppongono opachi, per mettere in luce i lineamenti “fondamentali” sottostanti, ci esponiamo al pericolo di smarrire l’essenza stessa del tempo» (pp. 315-316).

A mostrare l’errore di quanti negano il tempo è una delle leggi fondamentali della fisica contemporanea: il Secondo Principio della termodinamica. Esso descrive il comportamento degli aggregati di molecole e mostra quanto sia fallace ogni tentativo di spiegare il mondo a partire dalle sue componenti microscopiche: 

Anziché affermare che la freccia del tempo è un’illusione, dovremmo chiederci se non siano proprio le leggi ‘fondamentali’, simmetriche rispetto al tempo, a costituire delle approssimazioni o delle illusioni. In fin dei conti, sembra che esse siano applicabili soltanto a sistemi estremamente semplici (349).

L’eleganza di alcune formule matematiche è spesso un fatto estetico e non epistemologico; la semplicità delle strutture microscopiche non garantisce nulla sulla reale dinamica dei più vasti aggregati che le comprendono. Una prospettiva volta all’invisibile e che a partire da quest’ultimo definisce illusorio il divenire e il morire costituisce un pericolo assai grave per la scienza stessa, poiché la allontana dall’esperienza concreta, quotidiana, fenomenica del mondo. La realtà è incomparabilmente più complessa rispetto a qualsiasi formalismo matematico. L’irreversibilità è la più importante e pervasiva struttura della materiamondo e questo fa sì che noi umani e ogni altro ente 

viviamo in un mondo nel quale il futuro promette infinite possibilità e il passato sta irrimediabilmente alle nostre spalle. La freccia del tempo ha un’importanza essenziale per mantenere l’integrità della scienza. È il concetto creativo che ci permette di capire la vita. Solo riconoscendo tutto questo possiamo cominciare a riavvicinare intellettualmente la nostra umana esperienza e le nostre conoscenze scientifiche (350).

Se dunque la meccanica classica, la relatività e la meccanica quantistica descrivono il mondo attraverso equazioni indifferenti al segno temporale -le quali non distinguono tra la direzione verso il passato e quella verso il futuro- il Secondo Principio dimostra che in qualsiasi processo una parte dell’energia si disperde per sempre e non può più essere recuperata. Questa perdita sta alla base della freccia temporale che intride tutti i fenomeni ed essa può essere misurata con precisione mediante una grandezza definita entropia, la quale stabilisce la capacità di cambiamento di un sistema macroscopico isolato. Il Secondo Principio afferma che tale grandezza aumenta sempre e che quindi «lo stato futuro di un qualsiasi sistema isolato ha un’entropia superiore a quella del suo stato presente o del suo stato passato» (379).
Finché un sistema è in una condizione di non equilibrio dinamico l’entropia cresce. Quando essa non può più aumentare, il sistema ha raggiunto il suo stato di equilibrio termodinamico e di immutabilità, vale a dire di massimo disordine. Esso non può più mutare. Tale condizione coincide con la fine di ogni mutamento e dunque, per gli enti che sono vivi, con la morte, «quando il cadavere in decomposizione alla fine diventa polvere. La vita consiste in una molteplicità di processi (dalla divisione cellulare al battito cardiaco, dalla digestione al pensiero), ognuno dei quali può svilupparsi perché è lontano da uno stato di equilibrio» (184).

Auto-organizzazione, caos e divenire sono le condizioni stesse del mondo, dato che esso non costituisce una struttura piatta e sempre uguale a se stessa ma coincide con il divenire e il mutare di tutti gli enti dentro i processi che li comprendono e che gli enti contribuiscono a formare. In fisica il caos non significa confusione ma un diverso modo di dare ordine al divenire mediante l’imprevedibilità e la casualità, e dunque mediante una maggiore ricchezza di eventi.
L’intrecciarsi di ripetizione e imprevedibilità, di reversibilità e irreversibilità, di identità e differenza produce strutture temporali che sono insieme lineari e cicliche; dimensioni entrambe fondamentali nella struttura del tempo. Il Secondo Principio non implica nessuna ‘morte termica’ ma consente quella vera e propria ‘evoluzione creatrice’ della quale ha parlato anche Bergson. Il ‘perfetto stato di equilibrio termodinamico’ è bilanciato infatti dagli effetti gravitazionali, i quali implicano -dopo un tempo molto lungo- l’innescarsi di nuovi processi di non-equilibrio, i quali allontanano il sistema da ogni uniformità/identità per distendersi invece nella molteplicità/differenza.
Perché tutto questo ha a che fare con la termodinamica, vale a dire con la scienza che studia i rapporti tra calore e lavoro? Perché a causa dei processi dissipativi «quando il calore si riconverte in lavoro, esiste sempre uno spreco di energia. Una parte di esso si disperde» e questo «implica che tutte le trasformazioni dell’energia sono irreversibili» (174) e che dunque i processi naturali sono temporali. La crescita dell’entropia coincide con la stessa struttura temporale che intesse la materia, con il suo movimento in avanti, con la netta ed evidente differenza tra il passato e il futuro degli oggetti, dei fatti, della coscienza intrisa di ricordi di quanto è già accaduto e di attesa di quanto deve ancora accadere.
Il Secondo Principio afferma dunque la piena realtà dell’esistenza di tutte le cose, che coincide con la loro struttura temporale, poiché senza l’irreversibilità gli enti non potrebbero neppure esserci ed essere concepiti; il Secondo Principio garantisce anche la plausibilità di uno dei fondamenti dell’intera fisica, compresa quella relativistica, vale a dire il principio di causalità. «Solo in un mondo irreversibile», infatti, «le cause sono diverse dagli effetti, in modo da rendere possibile una narrazione logica degli avvenimenti» (346).
Al di là della matematizzazione relativistica e della meccanica quantistica, la quale nega la realtà oggettiva di tutto ciò che non può essere misurato -rischiando così di cadere in una forma di solipsismo matematizzante-, la realtà esiste come tessuto spaziotemporale del quale i singoli enti sono forma ed espressione. «L’esistenza obbiettiva della freccia del tempo non può essere negata. Se quest’idea esige una revisione di alcune nozioni scientifiche tradizionali, ben venga questa revisione» (307). In effetti, prendere sul serio una tesi che nega l’esistenza del tempo sarebbe come prendere sul serio una tesi che nega che io esisto.
Il contributo più importante del Secondo Principio alla comprensione del mondo e della materia è il superamento di uno dei dualismi che impediscono di cogliere la radice unitaria della realtà, il dualismo tra reversibilità e irreversibilità. La prima appartiene alla dinamica, la seconda alla termodinamica ma esse 

sono due facce della stessa medaglia. […] La struttura generale del mondo è assai più ricca di quanto il nostro linguaggio sappia esprimere e il nostro cervello sia in grado di comprendere. […] Il paradiso è retto da equazioni dinamiche reversibili e ‘atemporali’: il loro carattere semplice ne garantisce l’eterna stabilità. L’inferno è più vicino al mondo reale, nel quale regnano le fluttuazioni, l’incertezza e il caos. È un mondo instabile, che degrada verso l’equilibrio e la morte (332-333). 

Un equilibrio e un morire che si aprono sempre a nuove rinascite, poiché la materia è eterna; la materia è incomparabilmente più complessa di quanto le nostre ipotesi, equazioni, principi possano intendere; la materia è senza un inizio e una fine; la materia è l’Intero.

[L’immagine rappresenta una zona della nostra galassia a 25.000 anni luce dalla Terra]

Termodinamica

Ilya Prigogine
Dall’essere al divenire

Tempo e complessità nelle scienze fisiche
(From Being to Becoming. Time and Complexity in the Physical Sciences [1978])
Traduzione di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti
Einaudi, 1986
Pagine XIII-276

La potenza del pensiero matematico e idealizzante della tradizione platonica è stata interamente acquisita  e riverberata dalla fisica galileiana e newtoniana e pervade di sé anche i paradigmi -opposti a quello di Newton pur se incompatibili tra di loro- della fisica dei quanti e della relatività. L’ideale di un universo statico e senza tempo è tuttora un modello condiviso da molti fisici, sia che esso riguardi la struttura infinitesimale della materia sia che si riferisca alla struttura illimitata del cosmo. «Quando ci si avvicina alle scale relative ad oggetti molto piccoli (atomi, particelle ‘elementari’) o ad oggetti iperdensi (come le stelle di neutroni o i buchi neri), avvengono dei nuovi fenomeni. Allora la dinamica newtoniana viene sostituita dalla meccanica quantistica (che prende in considerazione il valore finito di h [costante di Planck]) e dalla dinamica relativistica (che comprende c). Tuttavia queste nuove forme di dinamica, in sé estremamente rivoluzionarie, hanno ereditato dalla fisica newtoniana il suo ideale di un universo statico, un universo di essere senza divenire» (p. 15).
Meccanica classica e meccanica quantistica non sono errate ma parziali. Esse costituiscono infatti forme e formule idealizzate rispetto sia all’effettivo divenire della natura sia ai processi termodinamici che la intessono. Nel mondo che osserviamo, nel mondo empirico, nel mondo naturale che possiamo indagare e che indaghiamo con una varietà molto complessa di strumenti, la natura è asimmetrica rispetto al tempo. L’irreversibilità è la regola, la reversibilità è l’eccezione. La termodinamica ipotizza e mostra che tale stato di cose non è frutto soltanto delle modalità con le quali una mente consapevole guarda e misura la materia ma è anche intrinseca alla materia stessa e dunque che «l’esistenza di leggi orientate rispetto al tempo, quali l’aumento di entropia verso il futuro, implica per questi sistemi l’esistenza di stati orientati rispetto al tempo» (224). L’irreversibilità è una legge della termodinamica poiché il tempo è una condizione stessa della materia.
Secondo Eddington le leggi primarie controllano il comportamento di singole particelle elementari, le leggi secondarie si applicano invece a insiemi di atomi e di molecole. Ma questa distinzione è corretta se viene intesa nel senso che «la struttura delle equazioni del moto, con la ‘casualità’ al livello microscopico, emerge allora come irreversibilità al livello macroscopico» (183) e non nel senso che l’entropia sia da limitare soltanto alla dimensione macroscopica. Non è dunque vero che l’irreversibilità emerge a livello macroscopico da dinamiche del livello fondamentale della natura che sarebbero invece reversibili. La seconda legge della termodinamica costituisce piuttosto una delle più efficaci e potenti manifestazioni dell’unità della natura, la quale produce grandi differenze ma sempre sul fondamento di alcune strutture profondamente unitarie. Le cosiddette ‘particelle elementari’ sono in realtà oggetti complessi, nei quali il tempo svolge un ruolo molto significativo e «profondamente radicato nelle fluttuazioni del livello microscopico, dinamico» (8). E questo anche perché il tempo non è un semplice parametro, come presupposto dalla dinamica, ma è anche un operatore, esattamente al modo di quelli che nell’ambito della meccanica quantistica descrivono le quantità. La distinzione tra la natura non umana -caratterizzata da processi reversibili- e quella umana, fatta di irreversibilità, è l’ennesima espressione di un antico dualismo, che una comprensione più ampia e unitaria cancella.
L’unità della natura e l’unità della scienza che la studia coincidono in gran parte con l’unità dei processi temporali che pervadono sia la materia, sia la parte di materia che indaga se stessa: noi. «La seconda legge della termodinamica esprime la nostra appartenenza a un universo in evoluzione» (XIII). Il tempo spiega le dinamiche psicologiche come quelle cosmologiche, le strutture sociali e le strutture molecolari. Tutti i sistemi viventi, anche i più semplici, possiedono una direzione del tempo. Essi si sviluppano, decadono e muoiono. La teoria delle strutture dissipative contribuisce a indagare le diverse modalità con cui questo avviene. Ma questo avviene, appunto. La direzione del tempo si trova «nelle stesse basi della fisica e della chimica. A sua volta questo risultato giustifica in maniera autoconsistente il senso del tempo che noi possediamo. Il concetto di tempo è molto più complesso di quanto pensassimo» (7), per meglio dire di quanto metafisici atemporali e fisici sia classici sia relativistici abbiano immaginato.
La seconda legge della termodinamica mostra la realtà del mutamento, distingue il passato dal futuro, fa del tempo una variabile intrinseca dei sistemi fisici. Si tratta di una legge molto complessa, scoperta in ambito chimico (da Boltzmann) come misura del disordine molecolare e quindi  come crescita della disorganizzazione nei sistemi. In ambito biologico e sociale -dove il ruolo dei processi irreversibili è fondamentale e palese- la seconda legge conduce invece a un aumento della complessità e quindi dell’ordine. L’attività degli enzimi nei composti non è un’evoluzione verso il disordine molecolare ma il contrario. L’esistenza di collettività umane -di qualunque misura- non sarebbe possibile senza un aumento di complessità associato alla crescita dell’organizzazione. Se siamo in grado di attribuire un’età -approssimativa, certo, ma non implausibile- agli individui come ai luoghi è perché non nei singoli elementi di un corpo o di una città ma dal loro insieme unitario emerge l’elemento temporale. E questo è possibile soltanto perché la struttura interna della nostra percezione e del nostro essere e la struttura esterna della materia naturale e artificiale condividono alcuni processi fondamentali, che sono processi  temporali.
Biologia e geografia sono espressioni di una temporalità che è insieme sia corporea sia coscienzialistica, sia naturale sia culturale. Ecco il problema, la cui stessa formulazione è densa di implicazioni metafisiche:

L’interpretazione classica della seconda legge era che essa esprimesse l’aumento del disordine molecolare. Nella formulazione di Boltzmann, l’equilibrio termodinamico corrisponde allo stato di massima ‘probabilità’. In biologia e in sociologia, però, il significato fondamentale dell’evoluzione era esattamente l’opposto: essa descriveva delle trasformazioni che portavano a livelli di complessità sempre maggiore. Come si possono mettere in relazione questi vari livelli del tempo? Il tempo moto usato in dinamica, il tempo connesso all’irreversibilità della termodinamica, il tempo storia della biologia e della sociologia? Chiaramente non è cosa facile. Eppure viviamo in un unico universo. Se vogliamo ottenere una visione coerente del mondo in cui siamo inseriti, dobbiamo trovare qualche strada per passare da una descrizione all’altra (4).

Se l’irreversibilità è un dato pervasivo della materia e se la distinzione tra passato e futuro è un precategoriale, «un tipo di concetto primitivo in un certo senso antecedente all’attività scientifica» (190), allora per comprendere come è fatto il mondo e come ci appare, bisogna transitare da una fisica e una metafisica dell’essere a una fisica e una metafisica del divenire. Già Aristotele aveva ben compreso che il tempo -come l’essere- si può dire in molti modi. Il tempo è certamente kinesis, movimento reversibile formulabile nel linguaggio della dinamica, ma è anche metabolé, movimento irreversibile di trasformazione formulabile con il linguaggio della termodinamica. L’uno non esclude l’altro, che invece si impiccano reciprocamente perché la complessità della natura va molto oltre il potere formalizzante dei linguaggi scientifici e filosofici. «Il caos dà origine all’ordine» (132), la maggior parte dei sistemi sufficientemente complessi costituiscono delle strutture non soltanto statiche e non soltanto divenienti ma metastabili, nel senso che in esse convivono reversibilità e irreversibilità, determinismo e probabilità, tempo ed eternità.
La fisica e la metafisica non sono più i saperi dell’immobilità, del nunc stans, della verità logica opposta alle apparenze, ma vanno sempre più diventando i saperi capaci di coniugare il tempo come divenire -χρόνος- – e il tempo come eternità -αἰών, poiché il tempo è anche l’unità degli opposti, è il coniugare le differenze mantenendole come differenze. La questione cosmologica è il luogo -alla lettera- nel quale la complessità del tempo si manifesta in tutta la sua ricchezza anche come durata del presente, che non è affatto il non-luogo della tradizione agostiniana e neppure soltanto il pur importante Specious Present di Clay e James ma è anche e soprattutto la materia densa di strutture molecolari della termodinamica:

Vediamo come è mutata drasticamente la descrizione del tempo se la si paragona con la rappresentazione tradizionale in cui si riteneva che il tempo fosse isomorfo a una linea retta (cfr. figura 10.8) precedente dal lontano passato (t → -∞) al lontano futuro (t → +∞). Il presente corrisponde allora a un unico punto che separa il passato dal futuro. Il presente viene fuori, per così dire, dal nulla e scompare nel nulla. Inoltre, essendo ridotto a un punto, esso è infinitamente contiguo al passato e al futuro. In questa rappresentazione non v’è distanza fra passato, presente e futuro. Al contrario, nella nostra rappresentazione, il passato è separato dal futuro da un intervallo misurato dal tempo caratteristico tc : possiamo parlare della durata del presente. È interessante come molti filosofi -Bergson, Whitehead- abbiano sottolineato la necessità di attribuire al presente una durata incomprimibile di tal genere. L’uso della seconda legge come principio dinamico porta precisamente a questa conclusione, e porta pure a una nuova non-località dello spazio. (213-214).

Prigogine riconosce in modo esplicito il contributo che alcuni filosofi -Bergson, Whitehead e Heidegger- hanno dato alla descrizione del cosmo e della materia come strutture in divenire, intrise di spaziotempo che produce materia e dalla materia è generato. Una temporalizzazione dello spazio per la quale ogni ente è anche un evento, ogni struttura è anche un’attività. Al pari di molte posizioni metafisiche, anche la fisica ha abbandonato ogni ingenuo realismo e si è data il compito di indagare e descrivere la complessità della quale quale siamo parte e che ci oltrepassa. La non-commutatività che rende impossibile uno stato nel quale la coordinata q e la quantità di moto p posseggano valori contemporaneamente ben definiti ha contribuito «a scuotere i fondamenti galileiani della fisica. Essa ha distrutto la convinzione che la descrizione fisica sia realistica in un senso ingenuo» (53).
Il mondo è diventato ai nostri occhi molto più incerto, fluttuante, diveniente, probabilistico, irreversibile. Il paradigma eleatico per il quale tutto è immobile nella sua perfezione, il paradigma platonico per il quale il gorgo del tempo è immagine mobile di un modello atemporale, costituiscono delle magnifiche costruzioni della mente razionale. Che però in quanto razionale deve anche misurarsi con l’esperienza empirica, biologica, sociale delle costruzioni individuali e collettive. Esperienza insieme psichica e materica, alla quale la termodinamica e il divenire offrono tutta la potenza di un mutamento inscritto nelle molecole, di un tempo che coincide con l’essere di tutte le cose possibili e pensabili. 

Labirinti

Mescolanze di sensi tra le parole filosofiche e quelle letterarie
il manifesto
26 febbraio 2021
pagina 11

Filosofia e letteratura costituiscono modi tra i più profondi di indagare il nostro abitare il mondo, mantenerlo pulito, renderlo forte rispetto alle intemperie che inevitabilmente si infrangono sul vivere.
Lo spaesamento è una delle cifre della letteratura contemporanea, un sentimento verso la vita fatto di timore ma anche di venerazione, di potenza e di bellezza, di una misura che ci oltrepassa ma proprio per questo ci avvolge e ci affascina. È anche questa tonalità dell’essere e del vivere che la più radicale e illuminante filosofia del Novecento ha cercato di pensare: «la tematizzazione della strutturale estraneità dell’uomo contemporaneo al mondo che lo circonda, elaborata peculiarmente dal pensiero esistenziale, la Heimatlosigkeit, l’‘assenza di patria’: venuta meno la stabile terraferma dell’ontologia tradizionale, non resterebbero che il riconoscimento dello ‘spaesamento’ come modo originario e fondamentale di ‘essere-nel-mondo’» (Pio Colonnello, Sinestesie e anamorfofismi. Tra filosofia e letteratura, Mimesis 2021, p. 70).

Il vuoto

Maurizio Consoli – Alessandro Pluchino
Il vuoto: un enigma tra fisica e metafisica
Aracne Editrice, 2015
Pagine 174

Tra i concetti più antichi, enigmatici, pervasivi del pensare, sempre attuali pur nel mutare delle concezioni fisiche e filosofiche, il vuoto si delinea sempre più come un altro nome dell’essere. Vuoto è infatti la condizione del movimento, del divenire, del tempo. Non soltanto nel banale e semplice senso che qualcosa per muoversi e diventare deve farlo in un elemento libero, spazialmente occupato e temporalmente non ancora compiuto ma anche e soprattutto in un significato assai più radicale, che questo importante libro indaga in una molteplicità di direzioni: dal rigore delle equazioni che intessono un intero capitolo (il settimo) ai riferimenti esatti e costanti alla storia della filosofia e alle tradizioni metafisiche orientali.
Il fecondo paradosso che attraversa tutto il testo è che il vuoto non è ‘vuoto’ ma consiste, usando il linguaggio della fisica contemporanea, nello «stato di minima energia» (p. 166); è il ground state, lo stato fondamentale che riempie uniformemente lo spazio e con il quale alla fine coincide. Il vuoto può dunque essere anche la forma oscura di materia ed energia che non è percepibile o misurabile (almeno con i nostri strumenti) ma che interagisce gravitazionalmente, determinando la struttura stessa della materia, la sua origine, il suo evolversi.
I nomi e le forme che questa potenza del vuoto ha assunto nelle differenti culture, tradizioni e paradigmi sono diversi, radicali e fondanti: l’ἄπειρον di Anassimandro, l’indifferenziato che consente l’esistenza e il dinamismo di tutti gli elementi nel tempo; la materia del Taoismo, dell’Induismo e del Buddhismo, non il mero nulla – anche qui – ma l’unità degli opposti; la χώρα platonica, «un elemento primordiale oscuro, informe ed invisibile» (p. 68); il Sein di Heidegger come trasparenza che fa vedere, attrito che fa muovere, intero che rende possibile la parte.
Un altro nome del vuoto è, infine, l’etere della millenaria tradizione fisica e metafisica, vale a dire la sostanza che pervade tutto l’universo e dentro la quale si muovono i corpi, compresa la luce. È sull’etere che questo libro formula ipotesi e propone interpretazioni di grande significato sia per la storia della scienza sia per l’epistemologia. Dall’indagine condotta in queste pagine emerge infatti come non sia vero che la relatività abbia definitivamente cancellato l’etere. Non soltanto perché, come si disse sin da subito, nella teoria einsteiniana dell’invarianza (o della relatività) l’etere continua a rimanere centrale prendendo il nome di spazio, ma per numerose altre ragioni sia sperimentali sia matematiche.
Lo stesso Einstein fu sulla questione molto più aperto di quanto di solito si pensi. Nel Manoscritto Morgan del 1920 e in una lezione tenuta a Leida  lo stesso anno, affermò infatti che «nel 1905 ero convinto che non fosse più permesso di parlare di etere in fisica. Tuttavia questa opinione era troppo radicale. Secondo la relatività generale, lo spazio è dotato di proprietà fisiche. In questo senso, un etere esiste…Si può perciò dire che l’etere è risuscitato nella teoria della relatività generale, anche se in una forma più sublimata. A differenza della materia ordinaria, esso non è pensabile come composto di particelle che possano essere seguite individualmente nel tempo» (qui citato alle pp. 100-101).
Consoli e Pluchino mostrano in modo documentato che se questa posizione non venne dallo scienziato tedesco ulteriormente sviluppata fu per ragioni che non hanno a che fare con la fisica ma con la sociologia della conoscenza e con la situazione storica della prima metà del Novecento. Di fatto oggi si assiste a un ritorno dell’etere «sotto altre specie, tramite la nozione di un condensato che pervade uniformemente lo spazio e fa da sfondo ai processi fisici osservabili. Peraltro […] il campo di Higgs non  è l’unica forma di etere che viene introdotta» (17).
Il vuoto non è il nulla, l’etere non è il nulla. Vuoto ed etere sono il vacuum condensation, la condensazione del vuoto, tanto che  diversamente «dallo spazio-tempo banalmente vuoto che Einstein aveva in mente nel 1905, il vuoto della fisica di oggi andrebbe piuttosto pensato come permeato da diversi condensati di quanti elementari» (140).
A partire da questa complessa e ricca fondazione epistemologica, Consoli e Pluchino conducono una duplice operazione: interpretano in modo diverso – rispetto alla vulgata – il significato e i limiti degli esperimenti di ottica effettuati da Michelson-Morley nel 1887; analizzano e riproducono tali esperimenti su base matematica. Mostrano in questo modo che i residui di quegli esperimenti – il cui obiettivo consisteva nell’osservare il moto della Terra nell’etere e stimarne la velocità – conducono a un valore di 370 km al secondo, che è esattamente quello confermato dallo studio della Cosmic Microwave Background (CMB, radiazione cosmica di fondo). La loro indagine suggerisce quindi di rivalutare alcuni elementi di quegli esperimenti che risultano compatibili con l’esistenza dell’etere, non riducendoli per intero a errori strumentali ma anzi mostrando che «possono anche essere consistenti con il modello stocastico di ether-drift che abbiamo discusso» (124). Si tratta di un risultato assai fecondo, dato che «riuscire a rivelare in laboratorio un ‘ether-wind’ (vento d’etere) finirebbe con il modificare sostanzialmente il nostro modo di concepire la realtà» (10).
I primi esperimenti di Michelson-Morley, e i numerosi che seguirono nei decenni successivi, se da un lato non diedero i risultati che ci si attendeva per poter confermare l’ipotesi dell’esistenza dell’etere, dall’altro diedero però dei risultati con essa compatibili. Riformulati con metodi matematici, questi risultati «differentemente dall’interpretazione tradizionale, che tende a considerarli come puri effetti strumentali, potrebbero invece acquistare un significato fisico ed indicare un debole flusso di energia, associato al moto cosmico della Terra, che induce correnti convettive in sistemi debolmente legati come i gas ed una conseguente leggera anisotropia della velocità della luce» (140-141). Ricordo che con anisotropia si indica quella proprietà per la quale il valore di una grandezza fisica dipende dalla direzione che il fenomeno studiato assume. Questo implica che un punto di riferimento conta nell’accadere e nei risultati del fenomeno studiato e che quindi siano possibili riferimenti assoluti.
Un altro elemento favorevole a questa ipotesi è una delle più interessanti interpretazioni della meccanica quantistica, vale a dire la teoria dell’onda-pilota di de Broglie-Bohm: «Nella sua formulazione più semplice, vengono introdotte due entità distinte: un corpuscolo materiale localizzabile ed un’onda che lo guida, la funzione d’onda Ψ che compare nell’equazione di Schrödinger. L’onda ha un diretto significato fisico ed andrebbe interpretata come una reale eccitazione di un etere sottostante, cioè del vuoto. Essa viene provocata dal corpuscolo ma, nello stesso tempo, lo ‘pilota’ nel senso che ne determina il momento spaziale P tramite la relazione P = −h∇S, dove S è la fase di Ψ = |Ψ|eiS» (164). In questo modo non soltanto si supera il dualismo onda/particella ma l’etere acquista lo stato di ipotesi ancora ben presente e ben plausibile all’interno della fisica contemporanea, un’ipotesi radicata nell’intera scienza e metafisica, non soltanto europee, e coerente con la meccanica quantistica.
L’etere può costituire l’ἄπειρον come campo/energia nel quale la materiatempo fluisce, si condensa, sta e accade. In termini generali, l’etere può rappresentare lo spaziotempo assoluto la cui esistenza non è affatto esclusa ma anzi è implicata da alcune delle teorie cosmologiche più recenti.
Il fatto che la meccanica quantistica conduca «a una visione della realtà come un tutt’uno profondamente interconnesso» (52) conferma il significato e la fecondità del pensiero greco arcaico, da cui matematica e fisica sono sorte e del quale – come si vede anche in questo libro appassionante – rimangono eredi.

Gli autori del libro – che si può scaricare in pdf – ne hanno scritto un altro, molto più tecnico, pubblicato nel 2018 in lingua inglese con la World Scientific.
Le loro ipotesi sulle relazioni tra l’etere e la radiazione cosmica di fondo erano state anche sintetizzate in forma semplificata e per un più vasto pubblico in un articolo in lingua italiana, inizialmente preso in considerazione da una rivista di divulgazione scientifica ma che poi per varie traversie non è stato pubblicato. Ne pubblico qui il pdf (con le mie evidenziazioni).
Si tratta di pagine che possono aprire un dibattito fecondo, anche nel caso si volesse respingere i loro contenuti. Significativa è la conclusione del testo, che indirizza alla questione della complessità. Se un articolo così fecondo non è stato ancora pubblicato è perché, oltre i meccanismi di censura e rifiuto analizzati magistralmente da Kuhn e Feyerabend, in questi casi agisce anche la consueta antropologia del branco, tesa a respingere i membri della comunità che mostrino troppo coraggio. Un coraggio che rischierebbe di mettere in pericolo l’identità e la forza della comunità stabilita. Insomma, che siano fisici, matematici, filosofi o altro, gli umani rimangono una comunità di primati. È bene che lo sappiano per non incorrere nella ὕβρις antropocentrica. Tanto più apprezzo chi, come Pluchino e Consoli, ha il coraggio e la curiosità di muoversi su territori non dogmatici e realmente scientifici.

[La fotografia raffigura il nostro pianetino, con la Luna che gli gira intorno, come si vede da Saturno;  a una distanza di circa un miliardo e mezzo di km, che corrispondono a 90 minuti luce]

Patrick Cerutti su Tempo e materia

Patrick Cerutti
Recensione a Tempo e materia. Una metafisica
in Revue philosophique de la France et de l’étranger
2021/1 (Tome 146), Janvier-Mars 2021, pp. 135-136

La Revue philosophique de la France et de l’étranger è una delle più importanti e antiche riviste filosofiche del mondo (fu infatti fondata nel 1876). La recensione che vi è apparsa del mio libro riesce in poco spazio a dar conto del volume in modo ricco e corretto, con precisi riferimenti alle pagine del testo. L’autore rivolge al libro molti elogi e una sola riserva, che accolgo come stimolo per i miei ulteriori studi. Lo faccio tanto più volentieri in quanto il conclusivo accenno critico al «neoeleatismo contemporaneo» accoglie proprio la definizione da me proposta a proposito di alcune tesi della fisica e della cosmologia odierne, come quelle di Barbour e Greene.

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Il faut dire, avec Alberto Biuso dans cet essai très stimulant, que la différence du passé, du présent et du futur n’est pas une illusion, sauf à confondre ontologie et épistémologie, être et connaître. […]
Il faut dire fortement que le « déjà » et le « pas encore » sont des structures cosmologiques et pas simplement des Stimmungen humaines (p. 76). La première force et la première originalité de ce livre sont de chercher dans la thermodynamique ce qui donne leur réalité objective au temps et au présent. […]
Une autre originalité de ce livre est alors de prendre au sens strict cet énoncé : l’homme est le temps incarné, pour en faire dériver une somatique du temps et situer très précisément dans l’animalité ce qui nous met en rapport à la temporalité et nous arrache à la solitude ontologique dans laquelle on nous enferme depuis l’humanisme. […]
Une métaphysique du temps est aussi une métaphysique qui n’attribue plus à l’homme d’autarcie ontologique ou de privilège axiologique […].
La fin de l’ouvrage reste malheureusement assez programmatique et répétitive et se limite à des remarques plus convenues sur le kairos, entendu comme moment où une chose se réalise pleinement et point maximal d’équilibre entre l’être et le devenir. La tragédie est très justement définie comme la conscience de l’irréversibilité et de l’historicité au sein d’une physis faite de cycles temporels sans fin (p. 117). Mais une confrontation plus franche avec le néoéléatisme contemporain de Brian Greene et Julian Barbour aurait sans doute donné plus d’ampleur encore au propos.

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