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Finzioni

Spazio Teatro 89 – Milano
Sit – Serie in teatro – V puntata
di Lorenzo Piccolo, Elisabetta Bocchino, Federico Bertozzi
Cast
Regia di Marta Erica Arosio
Sino al 18 aprile 2013

Ingarbugliata e tragica, la vicenda gotica di Archer’s End si dipana non verso il futuro ma in direzione di un passato sempre più inquietante, le cui oscure trame coinvolgono tutti i protagonisti del dramma, escluso il Dottor Witmore che sembra la vittima sacrificale dell’intera vicenda. O diventerà l’eroe dell’ultima puntata?
Il lavoro dei due investigatori dell’agenzia Bob Holmes assume sempre più i tratti del paradosso. Il titolare Roberto -un buzzurro che quando vede un libro mette la mano alla pistola- si vede incredibilmente scavalcato nella conquista di una bella antiquaria da un bibliofilo che ha dei tratti somatici non proprio gradevoli. La sua collega sembra fare la fine della ragazza che tutti vogliono e nessuno la prende. Riuscirà la dolce Carlotta a risolvere finalmente il proprio caso? Per quello di Roberto non sembra ci siano speranze.
L’équipe chirurgica di Animals è stata tutta intera sequestrata dai pirati e sbarcata nel cuore dell’Africa, dove medici e paramedici continuano a salvare pazienti nel modo più imprevedibile. Quasi soddisfatti e rassegnati a vivere lontano dalla ricchezza ma anche dai pericoli di Milano, questi allegri chirurghi si accorgono però che malviventi e clienti non intendono proprio mollarli. Riusciranno a diventare prima o poi dei seri professionisti?

Arrivata alla sua quinta puntata (l’ultima andrà in scena il prossimo 18 aprile), la Sitcom teatrale, inventata e realizzata da alcune compagnie milanesi, sta mantenendo le sue promesse di decostruzione ironica di vari generi televisivi e di intelligente divertimento per un pubblico che voglia andare oltre il ripetuto e stanco gioco delle parti al quale si sono ormai ridotti i palinsesti. Rispetto alla finzione televisiva che spaccia se stessa per vita vera, meglio la vera vita del teatro che si presenta come finzione.

Il Partito Democratico e il senatore Berlusconi

Rasenta l’incredibile e precipita nello squallore, nell’autolesionismo, nell’irrazionalità che un tiranno mediatico e politico, un soggetto che non ha rispetto per niente e per nessuno, venga da vent’anni (vent’anni!) protetto da chi tutti i giorni riceve da lui insulti, dal Partito Democratico. Con costui il PD ha progettato di riscrivere la Costituzione (era ed è il sogno di D’Alema); gli ha garantito -come ammise una volta Luciano Violante alla Camera dei deputati- il possesso di tre reti televisive che hanno manipolato sino al midollo le coscienze e l’informazione; ha concordato e concorda con lui sugli sprechi e sulle folli spese a danno dello stato sociale, della scuola, della sanità (e cioè a danno dei ceti più deboli e di tutti noi) e a favore invece dell’acquisto dei cacciabombardieri F35 e del TAV in Val di Susa; ha accuratamente evitato di regolamentare un conflitto di interessi enorme come l’Everest; ha sistematicamente sottovalutato e giustificato iniziative golpiste delle quali l’occupazione del Palazzo di giustizia di Milano è soltanto la più recente; gli ha permesso e gli permette -con l’attivo e primario contributo di Napolitano– di sottrarsi alla legge e ai tribunali; ha governato insieme a lui nell’esecutivo del banchiere Monti.
Rasenta l’incredibile e precipita nello squallore, nell’autolesionismo, nell’irrazionalità che molti militanti ed elettori del Partito Democratico, i quali hanno tollerato per vent’anni tutto questo schifo e ancora lo accettino, si dedichino ora all’attacco sistematico e continuo di un Movimento -come il 5 Stelle- il cui programma e la cui azione intendono ampliare gli spazi di democrazia, restituire all’Italia la dignità smarrita, garantire una maggiore eguaglianza economica e giuridica tra i cittadini, difendere la Costituzione repubblicana.
Tra qualche giorno la Giunta elettorale del Senato dovrà stabilire se Berlusconi è eleggibile oppure -sulla base della legge 361 del 1957- in quanto concessionario del servizio radiotelevisivo non possa svolgere le funzioni di senatore:

«Art.10. Non sono eleggibili inoltre: 1) coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica, che importino l’obbligo di adempimenti specifici, l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o la autorizzazione è sottoposta».
I senatori del M5S si sono già espressi per il rispetto della legge e dunque per l’ineleggibilità di questo soggetto. Dal Partito Democratico il silenzio sul tiranno è stato rotto soltanto dal senatore Luigi Zanda -da poco eletto capogruppo- il quale si è detto d’accordo con il M5S. Al momento del voto su tale questione si vedrà quale partito -se il M5S o il PD- è disposto a tollerare il capo dei fascisti e dei banditi politici presenti nel parlamento italiano.

Solutus

«C’è un’emergenza democratica». Angelino Alfano ha ragione. L’emergenza democratica rappresentata da alcuni eletti al Parlamento che entrano in massa nel Palazzo di giustizia di Milano con l’intenzione di intimidire i magistrati chiamati a giudicare in nome del popolo italiano i gravissimi reati dei quali Berlusconi è accusato. L’emergenza democratica costituita da Alfano che minaccia scandendo «Stop ai processi o sarà il caos». Pur di evitare la condanna certa -in base alla legge- del loro padrone, Alfano e gli altri ben remunerati servitori sono pronti a infliggere il caos -appunto- all’Italia.
Dal PD silenzio, ancora una volta, su questa azione di marca fascista mentre invece il M5S ha espresso la sua solidarietà ai giudici così minacciati da coloro i quali «si aggrappano a un vecchio signore che perde i pezzi come a un salvagente di marmo. Non hanno del resto alternative. Sparirebbero. Lo terranno insieme fino all’ultimo come la mummia di Lenin per esibirlo nei talk show con un altoparlante nascosto “No IMU, no IMU, no IMU“» [Fonte:  L’uveite di Berlusconi e l’orchite degli italiani].
Gli eletti nel M5S hanno dichiarato che si esprimeranno contro l’eleggibilità di s.b. al Senato, illegittima in base alle leggi in vigore e da vent’anni calpestate. Che cosa faranno i parlamentari degli altri partiti? Da dove viene il pericolo per la nostra democrazia? Sino a quando come italiani dovremo  tollerare il ritorno al principio politico arcaico secondo il quale princeps legibus solutus est? Con quanta arroganza l’entità immonda e i suoi scagnozzi ululano della loro superiorità rispetto alle leggi? Democrazia non vuol dire soltanto andare a votare a intervalli di anni, significa soprattutto divisione dei poteri ed eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Il potere più pervasivo delle società contemporanee è quello dei media. Sino a quando il padrone della televisione sarà in Italia anche capo politico?
Spero che diventi davvero solutus, che costui si sciolga finalmente nella morte.

Meditazione, speculazione, figliolanza

Mente & cervello 97 – Gennaio 2013

Gran parte della sofferenza interiore che proviamo è costituita da ciò che nel gergo psicologico si chiama ruminazione, condizione nella quale «la mente è assorbita da pensieri ripetitivi e focalizzati su precise preoccupazioni» (C. André, p. 44). Uno dei significati delle pratiche meditative consiste nel liberarsi da tale condizione. Per il buddhismo, ad esempio, «la meditazione ha per obiettivo l’eliminazione della sofferenza mentale, come pensieri ossessivi o emozioni negative» in modo da raggiungere l’equanimità, «ossia la facoltà di conservare uno stato emotivo stabile» (A. Lutz, 34-35). Se, come recita un proverbio cinese, non possiamo impedire agli uccelli di volare sopra le nostre teste, possiamo però evitare che facciano il nido tra i nostri capelli. Proprio perché siamo una profonda unità psicosomatica

la riduzione dello stress attraverso la meditazione è di grande interesse per i ricercatori, perché può essere studiata anche a livello biologico dettagliato, in particolare nell’ambito della psiconeuroimmunologia, che studia le connessioni strette e reciproche tra lo stato psicologico e  l’attività del sistema nervoso e di quello immunitario, definita «medicina psicosomatica» (C. André, 45).

Non a caso Francisco Varela -più volte citato in questo numero di Mente & cervello ha coniugato in modo argomentato ed efficace il buddhismo e le neuroscienze. Il buddhismo, infatti, «non invoca l’esistenza di un essere supremo o di una trascendenza. Si propone piuttosto di rimediare alla sofferenza umana attraverso una conoscenza migliore dell’Io e praticando regole semplici e universali» (F. Rosenfeld, 28), le quali sembra abbiano un effetto positivo anche sui telomeri, probabilmente perché queste strutture vengono danneggiate dallo stress, che la meditazione contribuisce invece a tenere sotto controllo. In ogni caso, come la filosofia, «in realtà la meditazione non deve servire a niente» (Id., 31) se non a vivere con misura e a pensare con radicalità.

Esattamente il contrario di ciò che succede nel trafelato, ossessivo e idiota stile di vita di molti contemporanei, tra i quali spiccano i brokers, gli umani che investono e speculano nelle Borse di tutto il mondo. Uno studio neuropsicologico dei loro comportamenti mostra sino a che punto siano dettati da irrazionalità, tanto da confermare l’ipotesi «che gli alti e bassi della borsa sono correlati alla logica della nostra mente più che ai dati economici» (M. Reiter, 81). Hanna e Antonio Damasio hanno scoperto che pazienti con danni permanenti nella corteccia orbitofrontale -e quindi assai meno soggetti alle emozioni- sono capaci di prendere decisioni finanziarie più vantaggiose rispetto agli individui sani. Le crisi che investono le borse sono quindi anche crisi di panico e non soltanto tecnico-economiche. E il panico, si sa, è contagioso. Un celebre esperimento di Salomon Asch dimostrò quanto sia forte il condizionamento del gruppo -anche temporaneo- del quale si fa parte. Se vi chiedono a quale delle tre linee di destra corrisponda la lunghezza di quella di sinistra nella figura qui accanto, nessuno dubiterà che si tratti della n. 2. E tuttavia se alcuni nostri compagni di esperimento -segretamente d’accordo con lo sperimentatore- dichiarano più volte e senza esitazioni che la risposta corretta è la 1 o la 3, molti di noi alla fine concorderanno con questa risposta, per quanto contrasti in modo clamoroso con l’evidenza: «È grave che un singolo operatore prenda decisioni sbagliate […]. Ma in più, seguendo l’istinto del branco, gli investitori miopi, che vendono in preda al panico, si contagiano a vicenda. Un esperimento classico dello psicologo sociale Salomon Asch aveva indicato già nel 1951 che è difficile resistere a una forte pressione dei pari» (Id., 85).

Pressione che costituisce parte del senso di fallimento che molte persone provano per non aver avuto dei figli, tanto da affidarsi in modo totale alle diverse tecniche di fecondazione artificiale e a cadere «in una sindrome ossessivo-compulsiva che induce chi ne è affetto a organizzare tutta la propria vita intorno al tentativo di procreare» (D. Ovadia, 74). Uno dei più gravi nodi psicologici ed esistenziali legato a questa condizione è la vera e propria «perdita di senso della vita. L’idea di invecchiare senza un figlio rende il trascorrere del tempo acutamente doloroso. Solo chi riesce a riconoscere l’importanza del proprio contributo sociale indipendentemente dalla presenza di un bambino può superare questo che sembra essere lo scoglio più duro» (Id., 76). Si tratta dell’ennesima dimostrazione che l’evento del procreare ha ben poco a che fare con l’amore verso l’altro, il nascituro, ed è radicato piuttosto in una forma biologica di amore di sé, di proiezione psichica del proprio narcisismo in un figlio, di esistenziale paura di dover morire per sempre senza lasciare i propri geni in giro per il mondo.

Come avevo già accennato su questo sito, tra le espressioni del conformismo la società dello spettacolo ne amplifica alcune in modo radicale e patologico. Varie serie televisive non soltanto durano anni e decenni ma entrano nella vita di milioni di persone come parte reale e decisiva della loro identità. «Legioni di adolescenti, professionisti, casalinghe, impiegati, persone di ogni età e senza caratteristiche particolari» incontrano «parte dei loro amici -della loro famiglia allargata, si potrebbe dire- all’interno della tv o del computer», tanto che «la fine della propria serie tv preferita può scatenare sintomi depressivi e un senso di angoscia e smarrimento simile a quella generata dalla fine di un amore» (P.E. Cicerone, 88 e 93). L’articolo che ne parla indulge un po’ troppo in un paragone tra serie televisive come le soap opera o fiction quali Lost, Sex and the City, Dr. House e la grande letteratura epica e romanzesca. Un’analogia insensata poiché per la nostra specie l’attenzione visuale, lo scorrere passivo delle immagini che attraversano il nostro orizzonte, è pura natura; il leggere è attività costruttiva della mente, è cultura diventata natura. Anche per questo la lettura costituisce un livello evolutivo assai superiore rispetto alla dipendenza televisiva, la cui essenza è quindi pre-umana e subumana.

Realtà / Simulacro

Quanti pensano che si dia una realtà del tutto autonoma dalla semantica e dalla comunicazione non comprendono che il virtuale e lo spettacolare delle società contemporanee costituiscono  «il capitale a un tale grado di accumulazione da diventare immagine» (Guy Debord, La société du spectacle, Gallimard, 1992 [1967], § 34). Per parafrasare Horkheimer e Adorno, la terra tutta virtuale splende all’insegna di sventurata realtà. La vita è diventata riproduzione di figure dietro e dentro le quali non si dà nulla se non la perpetuazione del dominio di chi possiede gli strumenti della rappresentazione rispetto a chi non li detiene. Perché «lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra persone, mediatizzato da immagini»; soggetti ed eventi che non si fanno spettacolo è come se non esistessero, e questo fa sì che lo spettacolo non sia «un supplemento del mondo reale, la sua decorazione sovrapposta. È il cuore dell’irrealismo della società reale» (Ivi, §§ 4 e 6). La fine dell’illusione produce un mondo di immagini nel quale non c’è niente da vedere, un mondo di informazioni in cui non c’è nulla da sapere.

È rimuovendo la realtà/simulacro che diventa possibile comprendere la potenza della realtà materiale e semantica dentro la quale si dà l’accadere. Se la regola dello scambio è di restituire sempre più di quanto si è ricevuto, allora rendere il mondo un po’ più libero significa anche renderlo più inintelligibile di quanto non ci sia stato dato; significa sostituire alla realtà della comunicazione servile l’irrealtà di progetti che esistono tra il già e il non ancora; significa fare dell’interpretazione un luogo di invenzione trasformatrice che dissolva la realtà; significa, in un parola, non rassegnarsi. In questo modo il costruzionismo e l’ermeneutica mostrano la propria natura libertaria e più anarchica di qualunque ideologia realista, progressista e politicamente corretta, il cui umanitarismo è l’evidente gemello dell’oppressione, la cui volontà di delicatezza nasconde a stento la ferocia della realtà: «Ogni destino negativo dev’essere ripulito da un trucco ancora più osceno di quel che vuole nascondere», in modo da legittimare nella propria compiaciuta tranquillità interiore «tutti coloro che fanno abbronzare la loro coscienza tranquilla al sole della solidarietà» (Jean Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà, Raffaello Cortina Editore 1996 [1995], pp. 143 e 137). È anche su questi ex rivoluzionari, che hanno barattato le loro giovinezze radicali con la solidarietà caritatevole dei clericali di ogni chiesa, che il potere fa affidamento e gongola tranquillo.

Lo spettacolo si rivela come una forma economica che «non canta gli uomini e le loro armi, ma le merci e le loro passioni» (La société du spectacle, § 66), una forma nella quale non troviamo ciò che desideriamo ma desideriamo ciò che ci inducono ad acquistare. Condizionati sin nell’intimo del loro pensare, inconsapevoli d’essere condizionati, vaganti tra illusioni, luccichii e menzogne, gli spettatori/consumatori sono il soggetto politico amorfo e passivo che Debord definisce con estrema chiarezza: si tratta di «morti che credono di votare» (Opere cinematografiche, Bompiani, 2004, p. 135), una morte che è consustanziale alle immagini che sopravvivono assai più a lungo di ciò che rappresentano. Ed è anche per questo che «lo spettacolo in generale, come inversione concreta della vita, è il movimento autonomo del non-vivente» (La société du spectacle, § 2). In questa società di zombie la democrazia è un simulacro. Il suffragio universale è diventato «il primo dei mass-media» in cui «propaganda e pubblicità si fonderanno sul medesimo marketing e merchandising di oggetti o di idee-forza», nel quale le differenze tra programmi e progetti si annullano mediante la distribuzione statistica del 50% per ogni coalizione, tanto che «il voto rassomiglia al moto browniano delle particelle o al calcolo delle probabilità, è come se tutti votassero a caso, è come se votassero delle scimmie. A questo punto, poco importa che i partiti in causa esprimano storicamente e socialmente checchessia –bisogna anzi che non rappresentino più nulla: il fascino del gioco, dei sondaggi, la coazione formale e statistica è tanto maggiore» (Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Feltrinelli, 2007 [1976], pp. 77 e 81). Baudrillard sintetizza tali dinamiche della politica contemporanea nella formula dura ma efficace «della leucemizzazione di tutta la sostanza sociale: sostituzione del sangue con la linfa bianca dei media» (Ivi, p. 79). Coinvolti in questa leucemizzazione, i partiti e i sindacati “rappresentanti dei lavoratori” sono in realtà diventati i loro nemici mentre –a livello di economia universale- il segno monetario si disconnette «da qualsiasi produzione sociale: esso entra allora nella speculazione e nell’inflazione illimitata» (Ivi, p. 35). È esattamente quanto sta accadendo -anche con l’euro- negli anni Dieci del XXI secolo.

Teleaddiction

Alcune serie televisive non soltanto durano anni e decenni ma entrano nella vita di milioni di persone come parte reale e decisiva della loro identità. «Legioni di adolescenti, professionisti, casalinghe, impiegati, persone di ogni età e senza caratteristiche particolari» incontrano «parte dei loro amici -della loro famiglia allargata, si potrebbe dire- all’interno della tv o del computer», tanto che «la fine della propria serie tv preferita può scatenare sintomi depressivi e un senso di angoscia e smarrimento simile a quella generata dalla fine di un amore» (P.E. Cicerone, «Maniaci seriali», in Mente & cervello, n. 97 – gennaio 2013, pp. 88 e 93). L’articolo che ne parla indulge un po’ troppo in un paragone tra serie televisive come le soap opera o fiction quali Lost, Sex and the City, Dr. House e la grande letteratura epica e romanzesca. Un’analogia insensata poiché per la nostra specie l’attenzione visuale, lo scorrere passivo delle immagini che attraversano il nostro orizzonte, è pura natura; il leggere è attività costruttiva della mente, è cultura diventata natura. Anche per questo la lettura costituisce un livello evolutivo assai superiore rispetto alla dipendenza televisiva, la cui essenza è quindi pre-umana.
Una conferma arriva da quanto leggo in merito alla presenza di s.b. in un programma televisivo di ieri sera (10.1.2013). Sia per il cinico conduttore Santoro sia per l’immondo suo ospite l’importante è stato non il contenuto di ciò che veniva detto ma l’audience, la capacità di tenere legati alla visione milioni di cittadini ridotti al rango di spettatori di uno scontro subumano. La vittoria non poteva che arridere al più rozzo, il quale -invece d’essere venuto a noia- dopo vent’anni domina ancora il mezzo televisivo.

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