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Primo maggio Noexpo. Una cronaca.

noexpo_1.5.2015Alle 14,00 in piazza XXIV maggio, accanto alla nuova Darsena di Milano, si raccolgono migliaia di persone. Un corteo colorato, vivace, duro contro le politiche del governo italiano e della finanza internazionale, deciso ad attraversare la città per far capire ai milanesi che l’Expo è una luccicante vetrina del malaffare, dello sfruttamento, del nulla spettacolare. Ma l’obiettivo non doveva essere raggiunto, non poteva essere raggiunto. E infatti all’incrocio tra via Carducci e corso Magenta l’aria diventa acre di lacrimogeni e vediamo colonne di fumo alzarsi da auto incendiate e da uffici bruciati. Alcuni momenti di panico ci inducono a retrocedere. Poi riprendiamo. Lungo le strade vetrine spaccate, non soltanto di banche e di negozi ma anche delle fermate dei bus, quelle utilizzate dalla gente che non ha l’automobile privata o che -come me- preferisce servirsi dei mezzi pubblici.
Intorno al corteo migliaia di poliziotti e altre forze, un vero e proprio esercito. Che però lascia fare. A chi lascia fare? Ai teppisti, certamente, a coloro per i quali che si tratti di noexpo o di una partita di calcio non fa differenza, ciò che conta è l’adrenalina della mazza. Ma non solo teppisti, anche infiltrati che hanno il preciso compito di impedire a cinquantamila persone di manifestare contro l’Expo e ciò che esso significa.
Dal G8 di Genova il messaggio diventa sempre più chiaro: scendere in piazza è possibile soltanto se le manifestazioni sono organizzate da partiti e sindacati che siano espressione del governo e del potere. Se a manifestare sono movimenti e realtà alternative al modello ultraliberista dominante deve essere chiaro che si rischia, e si rischia grosso. Meglio rimanere a casa, davanti al televisore, ad ascoltare le parole di Renzi o del fantoccio pro tempore, a sorbirsi la profonda ipocrisia e l’immensa stupidità di chi comanda.
Ma la responsabilità più grave non è quella del governo che tollera e che organizza la violenza, mostrando così di essere inefficiente e complice. La responsabilità più grave non è dei gruppi di teppisti che insieme ad automobili e negozi distruggono la protesta popolare. La responsabilità maggiore dello scempio che è l’Expo e dello scempio che è la sterile guerriglia urbana è dei milioni di italiani che continuano a non capire e a voler non capire, che continuano a credere a qualunque verità venga ammannita dalla neolingua delle varie Pravda in mano al governo e alle banche, che continuano a recarsi alle urne per votare a favore del Partito Democratico, di Forza Italia, dei loro satelliti.
La responsabilità più grave è del cittadino che si fa gli affari suoi; che non si interessa di politica se non lo stretto indispensabile per eleggere corrotti, ladri, traditori, criminali; che crede a tutto ciò che televisione e grande stampa gli propinano. E che stasera se la prenderà con i manifestanti noexpo e dunque anche con me. Come vedi, cittadino, la responsabilità è invece tua.

Una donna meravigliosa

L’amore bugiardo – Gone Girl
di David Fincher
Con: Ben Affleck (Nick Dunne), Rosamund Pike (Amy Dunne), Carrie Coon (Margot Dunne), Kim Dickens  (il detective Ronda Boney)
Usa, 2014
Trailer del film

Inizia e si conclude quasi con le stesse parole: «Quando penso a mia moglie, penso sempre alla sua testa. Immagino di aprirle quel cranio perfetto e srotolarle il cervello in cerca di risposte alle domande principali di ogni matrimonio. ‘A cosa pensi?’ ‘Come ti senti?’ ‘Che cosa ci siamo fatti?’».
Nick e Amy vivevano a New York ma hanno perso il loro (assai remunerato) lavoro e si sono trasferiti in provincia. Nick discute con la sorella gemella su che cosa regalare alla moglie nel giorno del loro quinto anniversario di matrimonio. Quando torna a casa, però, Amy è sparita. Tracce di sangue, forse un rapimento. Cominciano le ricerche e cominciano anche i sospetti verso il marito. Arrivano da New York gli insostenibili genitori di Amy, due marpioni molto per bene che hanno fatto soldi raccontando e assai abbellendo l’infanzia-adolescenza della figlia, diventata protagonista di una serie di sdolcinati romanzi. Le tv reality (tipo quelle di Barbara D’Urso e Bruno Vespa, per intenderci) si scatenano, creano colpevoli, si intrufolano dentro le esistenze, tolgono respiro.
Così la prima ora, molto televisiva, molto americana e molto noiosa. Poi comincia un altro film, che disseziona il matrimonio, non quello dei due personaggi ma il matrimonio in quanto tale, attraverso la struttura del doppio. Doppio film; doppia identità -Amy somiglia alla donna che visse due volte di Hitchcock-; doppia parentela -Nick è un gemello-; doppio legame -«Siamo complici».
Anche rispetto al suo banale marito, Amy è una donna determinata, intelligente, spietata, bella, ingenua, perfida, lamentosa, finta, ossessiva, sensuale, gelida. Una vera donna, insomma. Un personaggio perfetto per la società dello spettacolo, che di tali meraviglie si nutre.
«L’amore come fatum, come fatalità, cinico, innocente, crudele -e appunto in ciò natura! L’amore che nei suoi strumenti è guerra, nel suo fondo è l’odio mortale dei sessi!»
(F. Nietzsche, Il caso Wagner, in «Opere», vol. VI/3, Adelphi 1975, § 2, p. 9).
«Ciò che si oppone alla simulazione non è il reale, che ne costituisce solo un caso particolare, è l’illusione»
(J. Baudrillard, Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, Cortina Editore 1996, p. 21)

Genitori / Figli

I nostri ragazzi
di Ivano De Matteo
Italia, 2014
Con: Alessandro Gasmann (Massimo), Luigi Lo Cascio (Paolo), Giovanna Mezzogiorno (Clara), Barbara Bobulova (Sofia), Rosabell Laurenti Sellers (Benedetta), Jacopo Olmo Antinori (Michele), Lidia Vitale (Giovanna), Roberto Accornero (l’insegnante)
Trailer del film

i_nostri_ragazziDi ritorno da una festa, i cugini sedicenni Benedetta e Michele massacrano di botte e uccidono in mezzo alla strada una donna senzatetto, proseguendo poi il loro cammino e la loro vita con serenità e indifferenza. L’unico dispiacere, semmai, è di non potersene vantare, il rimpianto è di non averla bruciata.
La ragazza è figlia di un facoltoso avvocato, il ragazzo di un pediatra che si dedica con slancio ai suoi piccoli pazienti. Benedetta e Michele sono l’esatto frutto della miseria di questi due fratelli e delle loro compagne. Tutti pronti a giustificare, a legittimare, a nascondere, a lasciar dominare i propri figli, il loro immenso narcisismo, il loro volere e ottenere tutto. Soprattutto la madre di Michele, la madre che è quasi sempre l’origine della sciagura degli umani, con la sua avvolgente protezione, con la sua patologica proiezione, con il suo non saper vivere senza il figlio. Dei due fratelli il più ipocrita (e ancor peggio) si rivela naturalmente l’altruista, il medico, il buono.
Queste persone non pranzano insieme, stanno tutte davanti al televisore, di fronte a un monitor; i due ragazzi con in mano un perenne e totalizzante cellulare. Insomma soggetti oggi normalissimi, identici a quelli che ci passano accanto tutti i giorni, identici a noi; normali e proprio per questo rivoltanti nel loro vuoto senza scampo, senza luce. Lo squallore di tali soggetti -genitori e figli- non suscita pietà alcuna, alcun compatimento. Soltanto schifo.

Il vincitore

Due parole di commento ai risultati delle elezioni europee 2014.
Sono assolutamente contento del mio voto, che come hanno già mostrato questi risultati -e sempre più mostrerà il futuro- è l’unico voto di opposizione alle dinamiche di corruzione e di distruzione messe ogni giorno in atto dalle strutture partitiche, finanziarie e mediatiche.
Si conferma che chi possiede il controllo delle televisioni -chi insomma sta più tempo in tv e diventa oggetto positivo e ossessivo dei telegiornali- controlla l’intera società. Questa regola vale per Renzi come è valsa per Berlusconi e come varrebbe per chiunque. Da quanto mi dicono e da quello che posso intuire, la presenza di Matteo Renzi in video somiglia a quella del Caro Leader nella Corea del Nord.
Il Movimento 5 Stelle ha commesso errori di comunicazione anche gravi. È un Movimento che non è composto da politici ‘professionisti’, e si vede. Dicono sempre «sì, sì», «no, no», chiamano le cose con i loro nomi o con metafore che sono state facilmente distorte e strumentalizzate da un sistema mediatico attentissimo a propagandare tutto ciò che può nuocere al Movimento. Tenuto conto di tali fattori, che 5.807.362 persone (il 21,15 % degli elettori) abbiano votato per il M5S a me appare ancora straordinario.
Mi dispiace non tanto per me o per i miei coetanei quanto per il mio nipotino (di tre anni) e per i miei studenti. Affidarsi ancora mani e piedi all’ultraliberismo del Partito Democratico, al suo massacro sociale e alla sua corruzione amministrativa significa privare di qualunque futuro le nuove generazioni. Quando molti genitori lo capiranno sarà tardi, a meno che -naturalmente- tali famiglie appartengano alle varie categorie di ‘clienti’ del sistema politico.
Berlusconi è finalmente tranquillo. Il partito di Renzi, come già quello di D’Alema o Violante, costituisce la miglior garanzia per la prosperità delle sue aziende e per il mantenimento della sua influenza (Il PD lo ha chiamato a riscrivere insieme la Costituzione della Repubblica). Ciò che non perdono agli elettori del Partito Democratico è non aver capito questo, a meno che lo abbiano capito troppo bene e abbiano votato PD sapendo che continuerà a ‘collaborare’ con il mafioso evasore.
Sono contento del risultato del partito di Tsipras in Grecia: un chiaro no alle politiche della Troika finanziaria, un no alla svendita della società e dell’economia elleniche alle banche. Ciò che troppi italiani non hanno compreso.
In Europa la situazione delineata dai risultati è comunque assai dinamica. Per quanto riguarda l’Italia, si conferma ciò che penso da tempo: senza violenza questo Paese non cambierà. Il Partito Democratico vince infatti nettamente quando diventa indistinguibile (in pensieri, parole, opere e omissioni) dal berlusconismo. Mi sembra questo il risultato più significativo del voto italiano alle elezioni europee del 2014.

 

Esilio

Sino a qualche decennio fa era possibile rinunciare alla cittadinanza di un Paese europeo e assumere la condizione di apolide. Nietzsche, ad esempio, non fu più tedesco e non prese la cittadinanza svizzera. Era diventato un senza patria, un apolide per l’appunto. Il processo di burocratizzazione degli Stati successivo alla Prima guerra mondiale ha reso progressivamente impraticabile tale condizione.
Fosse ancora possibile, non vorrei essere più un italiano. Non vorrei appartenere alla nazione più corrotta d’Europa, nella quale basta scavare un poco per toccare vivo il malaffare. Non soltanto nelle grandi opere / grandi appalti, come il TAV Torino-Lione o l’Expo milanese del 2015, autentici verminai gestiti dai gruppi finanziari, dalle aziende, dagli enti locali legati al Partito Democratico, a Forza Italia e ai loro satelliti. Strutture, queste ultime, che succhiano il danaro pubblico e se lo spartiscono con le mafie, privando di risorse e di ossigeno i cittadini e le imprese che non entrano nel loro giro di tangenti, di complicità, di rapina e di violenza. Non è solo questo. Basta controllare i conti di qualunque Comune e appalto, di qualunque ente pubblico, del mio stesso Ateneo sino a quando abbiamo cacciato via coloro che ne hanno devastato le risorse; basta questo per accorgersi che l’Italia è senza speranza e che soltanto una svolta totale potrebbe salvarla. Una svolta che si affranchi dalla subordinazione ai nemici dell’Europa -la finanza ultraliberista che non conosce confini- e ai loro portavoce politici -i partiti liberali, democristiani e socialisti. Una svolta che faccia tabula rasa del ceto politico italiano, assolutamente incapace e indegno.
Un modo di essere apolide, una maniera di stare in esilio, l’ho però trovata. Mi sono affrancato dalla più pervasiva forma di cittadinanza italiana, dall’identità di telespettatore. Mi accorgo infatti che ignoro i riferimenti di molte conversazioni e di numerosissimi interventi che leggo sulla Rete. Non so chi siano centinaia di soggetti che appaiono del tutto familiari a tante persone, anche assai vicine a me. Non conosco nomi, personaggi, situazioni, programmi televisivi. E quando mi accade di incrociare uno schermo acceso sulla tv italiana, sento un senso di profonda estraneità, oltre che di autentica repulsione. Proprio come se stessi osservando degli stranieri dei quali so poco o nulla. Il mio esilio consiste nel non avere un televisore e nel non guardare la televisione. Decisione che presi ormai tanti anni fa e che benedico ogni giorno. Decisione che consiglio a tutti (è più facile di quanto si immagini). Decisione che ha purificato la mia mente dalle scorie della stupidità (rimane, eventualmente, quella mia naturale), dai veleni della menzogna, dal nichilismo profondo di un non luogo nel quale ciò che si vede non esiste ma che milioni di telespettatori credono essere reale. Felice esilio.

 

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