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Strade

Via Castellana Bandiera
di Emma Dante
Con: Elena Cotta (Samira), Emma Dante (Rosa), Alba Rohrwacher (Clara), Renato Malfatti (Saro Calafiore)
Italia, 2013
Trailer del film

Due automobili si fronteggiano nella stradina di un quartiere popolare di Palermo. Nella prima c’è alla guida una vecchia signora che ha accanto a sé il genero e altri parenti. Stanno per arrivare a casa. Nell’altra ci sono due donne che si trovano lì di passaggio. Una delle due automobili deve fare retromarcia per consentire all’altra di transitare. Ma né l’anziana Samira né Rosa sembrano avere intenzione di lasciare il passo. Rimarranno lì, ferme, tutto il giorno e tutta la notte, osservate, incitate, accusate, sostenute dalla gente del quartiere. Sarà un western, sarà un confronto della donna più giovane con l’immagine della madre detestata, sarà una scommessa sulla quale punta il quartiere, sarà una sfida all’ostinazione più irrazionale eppure sensatissima. Sino alla morte.
Emma Dante conferma la fisicità estrema del suo teatro e della sua opera. In questo suo primo film -dopo tanti capolavori teatrali- la cinepresa sta addosso ai corpi, al sudore, alle mani, ai capelli, agli sguardi, alle spalle. Ritornano l’ossessione della madre e la famiglia come luogo di morte. Un film denso, scabro, espressionista, che raggiunge il suo acme nella scena in cui le due donne urinano confondendo i loro liquidi e nella magnifica corsa finale di tutto il quartiere verso l’auto di Samira. La cinepresa rimane fissa mentre gli umani giungono, la superano, scompaiono, lasciando sulla strada- improvvisamente larga- soltanto il volo e i suoni di alcuni uccelli.

 

La verità della finzione

Piccolo Teatro Grassi – Milano
Il teatrante
di Thomas Bernhard
Con: Franco Branciaroli (Bruscon), Tommaso Cardarelli, Valentina Cardinali, Melania Giglio, Daniele Griggio, Cecilia Vecchio,Valentina Violo
Scene e costumi di Margherita Palli
Regia di  Franco Branciaroli
Produzione CTB Teatro Stabile di Brescia – Compagnia degli Incamminati
Sino al 23 dicembre 2012

«Se fossimo onesti, rinunceremmo al teatro». Queste sono alcune delle migliaia di parole che Bruscon, attore e drammaturgo austriaco di origini bergamasche, pronuncia arrivando in uno sperduto villaggio -Utzbach- dove la sua compagnia dovrebbe mettere in scena La ruota della Storia, testo da lui stesso composto lungo decenni di lavoro. La sua compagnia. In realtà, si tratta della moglie, della figlia e del figlio. Tutti assolutamente privi di talento. E allora questo guitto colto e narcisista esalta se stesso sino all’inverosimile -«Shakespeare, Voltaire e io»- di fronte a un oste che lo ascolta pazientemente e di fronte ai suoi stessi familiari. La sua commedia vorrebbe essere la sintesi di tutti i drammi che sono stati scritti; vi compaiono come contemporanei Giulio Cesare, Churchill, Napoleone, Marie Curie, Metternich, Einstein, Stalin. In questa apoteosi dell’ambizione, Bruscon rimane profondamente e radicalmente fedele alla gratuità dell’arte, che non sempre dà pane ma che offre certamente senso.
Il testo di Bernhard (1931-1989) è feroce nello scagliarsi contro l’Austria e la sua micragneria, contro i teatranti e la loro boria, contro gli umani e la loro disperazione -«Paghiamo per tutta la vita l’insensatezza di essere nati»- ma dal cuore stesso di questa lunga invettiva emerge l’esigenza di una purezza assoluta. Un’esigenza tutta nel solco del Romanticismo e della sua contrapposizione inguaribile tra la vita e l’arte. Ma fino a che una simile contrapposizione rimarrà al centro della cultura e del suo farsi, la bellezza resterà asintotica e la vita sarà triste. Bisogna oltrepassare tutti i romanticismi, anche quello sardonico e geniale che prende vita in questo testo farsesco e tragico di Bernhard.
Dopo Don Chisciotte e Servo di scena, Branciaroli è qui al culmine del suo istrionismo. Uno spettacolo profondamente divertente.

Antigone alla Barona

Teatro Edi-Barrio’s – Milano
Antigone
Regia di Livia Rosato

Antigone non è solo Sofocle. È anche Jean Anouhil che nel 1941 riscrisse la vicenda della ragazza che si rifiuta di riconoscere un potere insensato e in questo modo lo distrugge. Sofocle/Anouhil  sono stati messi in scena da una compagnia tutta femminile, con attrici che si sono alternate nei ruoli principali  rivelando sensibilità e voci diverse. Una compagnia di non professioniste che mostra come il teatro vada molto al di là delle strutture ufficiali, della competenza attoriale, dei luoghi consacrati e sia il confronto del soggetto con se stesso mentre finge di essere altro, in questo modo giocando e ricreando la propria identità. E sia anche, il teatro, un momento nel quale una comunità sociale si riconosce. Come quella della Barona, una periferia milanese nella quale la regista Livia Rosato è riuscita a far risuonare i pensieri e il dramma di una giustizia negata ma indistruttibile.

Bruto è n’ommo d’onore

Cesare deve morire
di Paolo e Vittorio Taviani
Italia, 2012
Con i detenuti del carcere di Rebibbia
Regia teatrale di Fabio Cavalli
Trailer del film

Il colore del teatro. Il bianco e nero del carcere. Un bianco e nero raffinato e splendido. Un colore vibrante di rosso, di passione, di sangue. Uomini abituati alla violenza si immergono nel Giulio Cesare, sprofondano in se stessi, nelle loro vite perdute ma ancora appassionate. Scandendo quelle parole antiche ne scoprono l’assonanza con le proprie esistenze, con le relazioni, gli eventi, il furore che li ha condotti in carcere. Ciascuno pronuncia i versi nella propria parlata, nel dialetto madre. Il testo non ne viene per nulla dissolto e anzi acquista tutta la potenza che è intrinseca al suo senso e alle intenzioni di chi lo scrisse. I corpi inquieti, cupi, feriti, temibili e rassegnati degli attori criminali sono i più consoni a restituire i movimenti, gli strappi, la calma e il dolore del capolavoro shakespeariano.
Ma senza lo sguardo dei fratelli Taviani non avremmo potuto scorgere nulla di questa potenza. Le inquadrature sono studiate sin nei minimi dettagli ed è il montaggio a costruire la storia. Puro cinema che transita nei secoli e attraversa il tempo. Pura invenzione dell’occhiomente intriso di conoscenze letterarie ma capace di vedere la poesia anche tra le alte mura di un carcere che il grandangolo moltiplica a dismisura. I volti di questi uomini sono figura del male, della sua ineluttabilità. «Da quando ho conosciuto l’arte, questa cella è diventata una prigione». Sono le parole sulle quali il film si chiude. Parole pronunciate da un detenuto la cui condanna dice «fine pena mai». Un verso degno di Shakespeare.

The Dresser

Piccolo Teatro / Teatro Grassi – Milano
Servo di scena
di Ronald Harwood
(The Dresser, 1980)
Trad. di Masolino D’Amico
Scene e costumi di Margherita Palli
Con Tommaso Cardarelli (Norman), Luisa Galantini (Milady), Melania Giglio (Madge), Franco Branciaroli (Sir Ronald), Valentina Violo (Irene), Daniele Griggio (Geoffrey Thornton), Giorgio Lanza (Mr. Oxenby)
Regia di Franco Branciaroli
Teatro Stabile di Brescia e Teatro degli Incamminati
Sino all’11 dicembre 2011

Londra, 1942. Sotto le bombe tedesche la vita continua, compreso il teatro. Norman è the Dresser, il factotum che assiste in ogni incombenza Sir Ronald, anziano e celebre attore shakespeariano. Il quale ha appena subito un collasso ma esce dall’ospedale, seppur indeciso su cosa fare. La moglie e la direttrice di scena vorrebbero annullare l’esordio del Re Lear. Norman però insiste affinché si reciti e convince il suo padrone/attore. Prima dell’inizio Sir Ronald alterna momenti di lucidità ad altri di oblio, atteggiamenti di convinta forza e altri di rassegnata rinuncia. Dopo i primi momenti assai incerti lo spettacolo va benissimo. Le tensioni però non si sciolgono, sino al finale davvero teatrale, drammatico.

Teatro nel teatro. Ma non per allontanarsi dal tessuto della vita bensì per entrarvi più a fondo. Harwood conosce benissimo i segreti e i sentimenti della scena, le fragilità e l’egocentrismo assoluto degli attori, il cui corpo sul palco è l’unico reale momento di esistenza. Il resto è preparazione alla finzione, che è la verità dei rapporti umani. Di tale finzione è parte l’intreccio di humour britannico e di tragedia universale che percorre il testo e che la recitazione di Tommaso Cardarelli restituisce assai bene. Branciaroli si trova nel suo elemento istrionesco e palesemente attoriale, che gli consente di dare il meglio di sé. Molto efficace la divisione della scena in due piani. In basso i camerini degli attori, il loro via vai, le gelosie, le ambizioni, le miserie e soprattutto l’ambiguo trasporto di Norman verso Sir Ronald, fatto di ammirazione e di disprezzo, di amore filiale e di odio di classe. In alto lo spazio dove recitare la verità della finzione, la retorica dei grandi sentimenti. The Dresser è un trattato sul teatro, sulla sua magica tristezza.

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