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Das Ganze

Sguardi siciliani. Fotografie di Arturo Patten
Spazio dell’Ottagono – Fattoria dell’Arte – Santo Stefano Quisquina (AG)
A cura di Angelo Pitrone
Sino al 30 settembre 2019

A poca distanza dal Teatro di Andromeda, lo Spazio dell’Ottagono conserva al piano terra le opere di Lorenzo Reina, il creatore della Fattoria dell’Arte, intessute di una forza simbolica che punta senza esitazioni alla vita, alla morte, al tempo.
Sino al 30 settembre 2019 il primo piano ospita otto ritratti del fotografo statunitense Arturo Patten (1939-1999), che della Sicilia era innamorato e ai siciliani dedicò alcuni memorabili ritratti, che sono fotografie, sì, ma sono anche sculture che del marmo conservano il colore: bianco, nero, grigio. E in questo chiaroscuro sanno restituire degli umani l’εἶδος.
Topazia Alliata guarda in un indefinito altrove; Letizia Battaglia sorride allo strumento che la raffigura e che lei ben conosceva; di Andrea Camilleri emergono «ogni sfumatura d’emozione, di rimpianto», come lui stesso ebbe a dire (Catalogo della mostra, p. 10); Gaetano Testa appare irosamente calmo, pronto a scattare verso il mondo; Luca Lo Iacono è una testa trecentesca; il volto di Elvira Sellerio sembra andare oltre lo sguardo di chi guarda. Ma è in due altre immagini che l’espressione umana  e siciliana viene colta nella sua inquietante potenza. Vincenzo Consolo è il ritratto non di una persona ma di un’intelligenza disincantata e però mai rassegnata. Gesualdo Bufalino (qui a destra) è il calco vivente di un morto, una sorta di imperatore romano in giacca e cravatta; è un profilo secco, plastico, ombroso, rilucente.
Insieme alle altre fotografie e più ancora delle altre, questo ritratto conferma l’irrazionalità di ogni riduzionismo fisicalista. Nessun particolare di queste teste è la persona -non le labbra, non il mento, non le gote e neppure gli occhi–, la persona è l’intero. Il tutto è la forma, come ben sanno sia Aristotele sia i fondatori della Gestaltpsychologie: ‘Das Ganze unterscheidet sich von der Summe seiner Teile’, il tutto è diverso (non superiore o migliore ma semplicemente diverso) dalla somma delle sue parti. È questa differenza che Arturo Patten raffigura.

Sikania

Σικανία era uno degli antichi nomi dell’Isola di luce. Il toponimo si limitò poi alla parte centro-occidentale, quella abitata da genti puniche e difesa prima contro i Greci e poi contro Roma che la conquistò, unificandola.
Avevo toccato qualche anno fa queste terre visitando Sambuca di Sicilia e ora mi sono immerso in esse a partire dal luogo visionario che Lorenzo Reina ha creato a poca distanza da Santo Stefano Quisquina, nell’agrigentino.
Il Teatro di Andromeda ha la struttura di un ovile ma dentro le sue mura e attraversando le sue porte si entra nella raffigurazione della galassia, con l’ovale della forma, il nucleo della scena, le stelle a fare da sedili per gli spettatori che guardano verso Occidente, là dove il declinare del Sole infiamma le pietre e  trova un proprio simbolo nel cerchio che sovrasta la porta a Ovest, dietro la quale si slargano i monti, i fiumi, le gole, le città e il mare lontano che ci bagna, che bagna questa terra posta al centro geometrico del Mediterraneo e dunque al centro della storia.
Un lago è infatti il nostro mare rispetto alla misura sconfinata degli oceani ma intorno a questo lago sono nati gli Egizi, i Greci, i Romani, i Siciliani, noi.
Accanto al Teatro si trovano statue, teste, simboli eclettici di diverse credenze e religioni. Vicina sta un’altra struttura di sassi disposti a ellissi con al centro una grande pietra in verticale. E poi intorno colline abitate da asini allo stato brado, dallo spazio, dal silenzio. Il Teatro di Andromeda è un luogo recente nella realizzazione ma millenario nelle radici e nel sogno, vicino a un borgo –Santo Stefano– piccolo ed elegante, con una bella e assai fruita Villa comunale dalla quale ancora lo sguardo si dipana verso l’oltre.

Le colline e i monti non lontani ospitano eremi di sante, borghi con piazze dove due chiese contrapposte si congiungono nella splendida fontana che sta loro in mezzo, formando una quinta teatrale quasi predisposta per l’epopea western e per altre forme dell’invenzione cinematografica. Questo luogo si chiama Palazzo Adriano, uno dei borghi albanesi di Sicilia, ed è stato infatti scelto da molti registi. Il paesino è posto in basso; sopra di esso sta Prizzi, una casba medioevale intessuta di chiese, edificata davanti alla Montagna dei Cavalli, che conserva nel proprio cuore l’antico abitato di Hippana, uno dei più importanti centri della Sicania, assai antico e sopravvissuto sino al 241 a.e.v., quando la conquista romana cambiò le sorti dell’Isola. Nella strada più importante del paese ha sede il Museo Archeologico ‘Hippana’, ospitale e ricco di ciò che nella Montagna dei Cavalli è stato ritrovato, trafugato e a volte restituito: lamine d’oro e d’argento, una ricca collezione di monete, statuette di vario soggetto, preziosi vasi -lekane, pissidi, alabastron– che raffigurano scene di vita quotidiana e miti dionisiaci.
In questa terra gli dèi sono ovunque e accompagnano l’andare.

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