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«Perché ci siamo?»

Piccolo Teatro Grassi – Milano
Dipartita finale
di Franco Branciaroli
Con: Gianrico Tedeschi (Pol), Ugo Pagliai (Pot), Franco Branciaroli (Toto, la morte), Maurizio Donadoni (il Supino)
Regia di Franco Branciaroli 
Sino al 14 giugno 2015

Dipartita_finalePol e Pot sono forse gli ultimi due mortali rimasti sulla Terra ormai incandescente. Sono vecchissimi, sono oltre ogni età. Uno rimane sempre a letto e per lo più dorme, l’altro lo sostiene. Con loro sta il Supino, un immortale che però ha deciso di non seguire tutti gli altri Ricchi nella colonizzazione di nuovi pianeti. Tra dialoghi chiaramente beckettiani e situazioni da commedia surreale, arriva la Morte. La quale però non vuole più prendersi nessuno ma soltanto starsene tranquilla. Anzi, si sente pure male e alla fine è lei a morire. Il Supino si alza -era rimasto per l’appunto disteso lungo tutto il tempo- e fa un lungo discorso nel quale pone molte domande tra le quali quella fondamentale: «Perché ci siamo?».
Il cosiddetto Teatro dell’Assurdo è in realtà un Teatro Gnostico e questa inversione del titolo beckettiano ne costituisce una prova ulteriore. Dipartita finale è una ironica, divertente, radicale riflessione sul morire e sull’essere stati, sull’eternità e sul tempo. «Perché ci siamo?» è la domanda alla quale il testo/spettacolo risponde in modo pirotecnico e pieno di energia, disperazione e umorismo. Una risposta precisa e netta alla domanda sull’essere stati non c’è. Il significato ultimo è suggerito da una trama di linguaggio allusivo, amaro, ultraironico, in ogni caso dolente verso tutto ciò che è umano. La forma è spettacolare perché è intessuta di umorismo, di gaio turpiloquio anche, di una modalità vicina all’invito nietzscheano a ridere. A farlo in ogni caso, anche nel caso della più totale insensatezza. Dipartita finale è quindi anche un compendio di un corso di filosofia, o almeno di un seminario sull’esistenzialismo, tenuto da un teatrante -come Branciaroli- esperto e gigione, carnale e metafisico.

Beckett Beckett Beckett

 Teatro Arsenale – Milano
con: Giovanni Calò, Mario Ficarazzo, Paui Galli, Augusta Gori, Claudia Lawrence
Regia Marina Spreafico – Allestimento Pierluigi Salvadeo
Produzione Teatro Arsenale
Sino all’8 febbraio 2009

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Due anziane signore, insieme a loro una ragazza. Un medico che irrompe violentemente e poi va via. Ricordi di persone vive, di persone morte, dove non si sa bene chi sia ancora vivo e chi non ci sia più. Dialoghi banalissimi e tuttavia densi di tragica allegria. Una delle domande ripetute è proprio questa: se l’uno o l’altro dei nomi evocati sia o no «una persona che lei definirebbe allegra».

Un’altra anziana signora va per la via diretta alla stazione, dove sta per arrivare il marito cieco. Incontra degli automobilisti, uno di loro -antico spasimante- le offre un passaggio. Il treno del marito è in ritardo e non si capisce bene perché. Quando arriva, l’uomo afferma che sarebbe meglio far fuori, di tanto in tanto, dei bambini in modo da «evitare il disastro alle sue origini».

Tratto da brevi testi di Beckett, lo spettacolo di Marina Spreafico -tra le più assidue frequentatrici italiane del drammaturgo- è pensato per la particolare architettura del Teatro Arsenale (una ex chiesa neogotica) e riesce a rendere la bellezza ironica e terribile dei suoni di Beckett, il suo amore per le cose e per il linguaggio, la scarnificazione delle cose e del linguaggio alla loro essenza nuda.

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