L’antica struttura medioevale di Stoccolma, i suoi quartieri contemporanei, i grandi palazzi del potere edificati tra Cinque e Settecento, si incontrano a formare una capitale imponente e insieme rilassante, fredda e luminosa, felice di se stessa e dei propri limiti. Visitarla con il battello che attraversa le sue isole, vederla dall’alto della torre di Kaknastornet, percorrerla a piedi fra le stradine di Gamla Ston o i grandi viali dei nuovi quartieri oppure passeggiando lungo il lago Malarstrand, significa attraversare uno dei luoghi forse meno celebrati ma più belli d’Europa.
La Svezia profonda, quella che punta verso il grande Nord comincia ad affiorare al di là della capitale. Ad esempio: Steninges slott, un palazzo settecentesco sul lago Malaren; Sigtuna, la più antica città svedese, il suo museo, i ruderi delle chiese, il cimitero, la chiesa gotico-luterana, le pietre runiche, il piccolo municipio, la Stora Gatan; e soprattutto Uppsala con il suo castello, la cattedrale alta e grandiosa, i bei palazzi che compongono le sedi di una delle più importanti città universitarie del Nord Europa.
Gli svedesi, infine, appaiono un popolo ben organizzato, tranquillo, capace di trarre il meglio dal luogo che abita. Una grande storia alle spalle (dai Vichinghi alla regina Cristina, dai Vasa a Olof Palme) contribuisce ad accogliere con gentilezza chi visita gli ampi spazi di questa terra.
Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza
(En Duva Satt På En Gren Och Funderade På Tillvaron)
di Roy Anderson
Svezia, 2014
Con: Holger Andersson (Jonathan), Nisse Vestblom (Sam), Lotti Törnros (L’insegnante di flamenco), Charlotta Larsson (Lotta, la Zoppa), Viktor Gyllenberg (Carlo XII), Jonas Gerholm (Il colonnello solitario), Ola Stensson (Il capitano-Il barbiere), Oscar Salomonsson (Il ballerino), Roger Olsen Likvern (Il custode)
Trailer del film
La cinepresa è immobile. Ritrae 39 storie legate tra di loro da due figure il cui mestiere consiste nell’«aiutare la gente a divertirsi». Vendono denti di vampiro, bombolette-risate e maschere di Zio Dentone. Lo fanno in maniera lugubre e metodica. I piani sequenza si alternano in una perfezione formale che stride con la miseria degli ambienti.
Roy Anderson compone dei veri e propri quadri-immagine, la cui grana visiva è quella delle fotografie degli anni Sessanta, il cui stile è una mescolanza di Hopper, Bosch e realismo magico, il cui tessuto è onirico, la cui antropologia è devastante. Ambienti, abiti, oggetti appartengono alla metà del Novecento ma i personaggi utilizzano dei cellulari. In due delle scene ambientate in un bar di periferia irrompe il giovane sovrano di Svezia Carlo XII che va in guerra contro i russi e ne ritorna sconfitto nella sua arroganza di ragazzo.
Il film si apre con tre momenti i cui personaggi muoiono all’improvviso nella solitudine o nel gelo degli astanti. Si conclude con la sezione Homo sapiens, feroce e plastica descrizione delle torture che gli umani infliggono ai loro simili e agli altri animali.
In molte delle scene i protagonisti parlano al telefono e ripetono quasi la stessa, unica frase: «Sono contento che stiate tutti bene».
Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza è un’opera che innesta sulla cupezza luterana del cinema svedese il surrealismo mediterraneo e la poetica beckettiana; fa emergere i fantasmi dell’angoscia umana riconducendoli alla loro reale misura di nullità; fa del cinema uno smagliante movimento della mente. E di nient’altro.
Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve
(The 100-Year-Old Man Who Climbed Out the Window and Disappeared )
di Felix Herngren
Svezia, 2013
Con Robert Gustafsson (Allan Karlsson), Iwar Wiklander (Julius Jonsson), David Wiberg (Benny), Mia Skäringer (Gunilla), Ralph Carlsson (il detective Aronsson)
Trailer del film
Durante la guerra di Spagna combatte dalla parte dei repubblicani ma diventa amico di Franco; dà un contributo fondamentale alla costruzione della bomba atomica; viene rapito dai sovietici e finisce in Siberia ma poi diventa una loro spia; è però anche al servizio della CIA; contribuisce alla decisione di smantellare il muro di Berlino. Adesso sta per compiere cento anni di vita e fugge dalla casa di riposo in cui si trova; ruba casualmente un’enorme somma di danaro a una banda di criminali; viene aiutato da un ferroviere quasi in pensione, da uno studente universitario che ha dato decine di esami senza però ancora laurearsi, da una ragazza che vive in compagnia di un’elefantessa.
Allan Karlsson attraversa tutto questo con la calma imperturbabile di Chance the Gardener, difeso dal potente scudo che sempre la stupidità rappresenta di fronte alle insidie della vita umana. Un film divertente e assolutamente lieve -in pratica una serie di scene comiche una dopo l’altra- ma che ha la capacità di fare del suo inossidabile protagonista un disvelatore dell’idiozia dei potenti: dal detective ispettore capo Aronsson -un autentico cretino- ai dittatori e ai criminali che incontra lungo il suo cammino secolare. I criminali fuorilegge li fa fuori uno dopo l’altro, i criminali che sono la legge li vede transitare e tramontare mentre lui sta lì a godersi infine il mare di Bali.
Io sto con la sposa
di Antonio Agugliaro, Gabriele Del Grande, Khaled Soliman Al Nassiry
Italia-Palestina, 2014
Trailer del film
Io sto con la sposa è un documentario che narra la vicenda di cinque profughi siriani arrivati in Italia -rischiando ovviamente la vita in mare- e da qui aiutati a raggiungere la Svezia, Paese a quanto sembra più generoso nel concedere asilo politico. Ad aiutarli ci sono degli italiani, compreso un palestinese che da poco ha ottenuto la nostra cittadinanza. Per attraversare l’Europa da Milano a Malmö -passando per Marsiglia, Lussemburgo, Bochum, Copenaghen- la comitiva finge un matrimonio. Ospitati da vari amici, tutti arrivano a destinazione. Lungo il tragitto i migranti narrano le loro vite, la tragedia, i progetti.
Un film come questo -al di là del suo specifico argomento- dice molto sui meccanismi della comunicazione contemporanea. Anzitutto la questione della sposa; in realtà la vicenda avrebbe potuto farne a meno e non sarebbe cambiato nulla. Non vediamo infatti mai la carovana del ‘matrimonio’ giustificare il proprio viaggio davanti a qualche polizia con la motivazione della sposa. Si è dunque trattato di un’idea funzionale non allo scopo del viaggio ma alla realizzazione del film.
Poi: tutte le frontiere vengono attraversate senza controlli poiché il Trattato di Schengen non li prevede. E però nel passaggio dall’Italia alla Francia invece di utilizzare l’automobile -come accade sempre nelle successive tappe-, si vedono la sposa -con il suo abito bianco- lo sposo e tutti gli altri inerpicarsi lungo i sentieri dei vecchi contrabbandieri, molto scomodi naturalmente. Anche questa sembra una scelta funzionale al film e non all’obiettivo di raggiungere la Svezia.
Infine: il film si concentra -legittimamente- sulle vicende personali dei profughi e delle loro famiglie rimaste in Siria. Non si entra quasi mai nelle questioni politiche che hanno generato quella guerra. E tuttavia parlare degli effetti misconoscendone le cause lascia l’impressione che in Siria ci sia una guerra condotta da dei resistenti contro un dittatore. Gli amici della sposa che combattono in Siria vengono infatti da lei definiti con l’espressione Esercito libero. Si tace completamente sul fatto che la tragedia siriana è analoga a quella irachena, libica e ucraina. Paesi la cui società multietnica e multireligiosa è stata distrutta dall’intervento della Nato e degli USA per ragioni geostrategiche ed economiche. Il risultato è stato guerra civile, massacri, ferocia, distruzione. Ed è stato la nascita dell’ISIS, del ‘califfato’ islamista ultrafanatico e armato da quegli stessi Paesi -Stati Uniti e loro alleati- in funzione antisiriana. Assad è certamente un dittatore, come lo erano Saddam Hussein e Gheddafi. Ma dittature sono anche quelle dei Paesi arabi alleati degli USA, a cominciare dall’Arabia Saudita, una monarchia feudale-petrolifera dove non esistono libertà politiche e civili; dove non vi è alcun diritto per le donne, per gli omosessuali, per i dissidenti, per i credenti di religioni diverse da quella musulmana; dove è prevista la pena di morte per apostasia dall’Islam. Ma sono buoni amici degli americani.
Lodevole nella testimonianza personale, un po’ ripetitivo nei risultati, Io sto con la sposa è dunque soprattutto un’operazione di mascheramento, che narrando la tragedia di alcune persone sostiene coloro che a quella tragedia hanno dato inizio. In questo film la realtà si fa finzione e la finzione diventa realtà: «Dans le monde réellement renversé, le vrai est un moment du faux» (Debord, La Société du Spectacle, Gallimard 1992, § 9).
Millennium. Uomini che odiano le donne
(The Girl with the Dragon Tattoo)
di David Fincher
USA, 2011
Con: Rooney Mara (Lisbeth Salander), Daniel Craig (Mikael Blomkvist), Stellan Skarsgård, (Martin Vanger), Christopher Plummer (Henrik Vanger)
Trailer del film
David Fincher gira un film che non è certo un semplice remake della precedente opera di Niels Arden Oplev (2009). Entrambi seguono la trama del romanzo di Stieg Larsson ma Fincher imprime sulle immagini un sigillo destinale, una profondità estetica che fa emergere ancora di più il viluppo di sadismo individuale, di ferocia familiare, di tragedia storica che rappresenta la cifra del romanzo. I volti sono come scavati in quella terra dura e splendida che è la Svezia, sineddoche dell’umanità. Impulsi irrefrenabili, segreti sepolti, violenze dei padri sulle figlie. Uomini e donne che odiano se stessi.
Sul numero di aprile della rivista del Touring Club Italiano leggo (pp. 22-23) che Stoccolma si è classificata prima tra le città più verdi d’Europa per il 2010. L’obiettivo dell’amministrazione svedese è diventare entro il 2050 «indipendente da petrolio e affini». Uno dei quartieri della città –Hammarby Sjöstad– è costruito in questo modo: «coibentazione delle facciate, doppi vetri, illuminazione a basso consumo, caldaie a biogas, energia solare trasformata in energia elettrica e utilizzata per il riscaldamento dell’acqua, riutilizzo della pioggia, impianto di trattamento delle acque, spazzatura raccolta con una rete pneumatica nel sottosuolo (niente cassonetti!), rifiuti organici trasformati in biogas utilizzato sia dai nuclei familiari sia come combustibile per i mezzi pubblici. E poi, verde, metropolitana elettrica per il centro città, piste ciclabili, car sharing»…Una foto del quartiere illustra con efficacia tutto questo.
Qualcuno dirà: “sì, va bene ma gli svedesi sono tristi e per mesi non hanno luce sufficiente”. L’inverno è buio, vero, ma la tristezza mi sembra un luogo comune. A me Stoccolma è parsa una capitale imponente e insieme rilassante, fredda e luminosa, felice di se stessa e dei propri limiti. Visitarla col battello che attraversa le sue isole, vederla dall’alto della torre di Kaknastornet, percorrerla a piedi fra le stradine di Gamla Ston o i grandi viali dei quartieri contemporanei o passeggiando lungo il lago Malarstrand, significa conoscere uno dei luoghi forse meno celebrati ma più belli d’Europa.
Le altre finaliste al concorso sono state Amburgo, Amsterdam, Bristol, Copenaghen, Friburgo, Münster e Oslo. Nessuna città italiana, ovviamente e tragicamente. Siamo noi a essere tristi.
di Lars Norén
Traduzione di Annuska Palme Sanavio
Teatro Studio – Milano
Regia di Carmelo Rifici
Con Giovanni Crippa, Elena Ghiaurov, Francesco Colella, Melania Giglio, Gianluigi Fogacci, Silvia Pernarella
Produzione Piccolo Teatro di Milano
Sino al 27 febbraio 2010
Svezia. Due coppie. Le loro esistenze durante il decennio 1989-1999, vissute tra viaggi, aeroporti, case editrici, ville toscane. Borghesi agiati e colti ma irrimediabilmente soli. Le due donne alla ricerca di una maternità che dia senso, i due uomini che oscillano tra indifferenza e avventure. Una follia sottile o conclamata li sfiora o li afferra. Sullo sfondo l’Europa e le sue guerre. Il tutto narrato e quasi fotografato in 30 scene, 30 dettagli di tempo.
La regia di Carmelo Rifici e le scene di Guido Buganza disegnano quelli che Marc Augè ha definito “non luoghi”, spazi aperti e sempre uguali nei vari continenti. Gli interpreti sono molto bravi e dediti completamente ai loro non facili personaggi. E tuttavia il testo rimane troppo didascalico, senza riuscire a cogliere l’epicità tragica dei modelli -Strindberg, Bergman-, preferendo uno stile piatto, un grigiore uniforme.