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Storia e specchi

Storia e specchi
Aldous
, 11 dicembre 2024
Pagine 1-2

In questo articolo ho cercato di mostrare quanto feconda sia la critica di Friedrich Dürrenmatt ai poteri politici e al dogmatismo culturale, come essa si esprime anche nell’ultimo testo drammaturgico da lui creato: Achterloo (1983). Un’affermazione quale «oggi siamo in grado di costruire una gabbia da cui è impossibile evadere» è molto più vera per il presente virtuale/digitale del XXI secolo che per gli anni Ottanta del Novecento, così come l’intuizione dei processi futuri – e oggi presenti – di ibridazione tra il corpomente umano e i computer: «Il computer, liberato dall’uomo suo creatore, è il senso ultimo dell’uomo; in esso l’uomo trova il suo perfetto compimento. […] Il rosso sanguigno del tramonto verso il quale, divenuta ormai superflua, l’umanità si avvia barcollando, per dissolversi in esso, è nello stesso tempo il rosso di un’alba da cui, come da un bagno di fuoco, sorgerà la nuova umanità, l’umanità dei cervelli artificiali».
Ho posto queste tesi del drammaturgo svizzero a confronto con le analisi di uno dei più attenti sociologi contemporanei, secondo il quale l’ontologia della Rete consiste nel fatto che «le macchine IA non ‘pensano’, operano» (Renato Curcio, Sovraimplicazioni. Le interferenze del capitalismo cibernetico nelle pratiche di vita quotidiana, 2024) e questo significa «che ciò che il dispositivo comunque e in ogni caso non può fare è proporre una risposta ‘intelligente’. E cioè una risposta creativa, non prevista o non desiderata nei magazzini in cui sono stoccati i suoi dati di riferimento o nei cloud di computo, assemblaggio e d’indirizzo. Una risposta che nasca da associazioni non consuete, improbabili, proiettate a suggerire un mutamento del sistema» e non a ribadire l’ineluttabilità dell’esistente attraverso il crisma algoritmico.
Strumento molto utile per ottenere tale passività del pensare (e dunque dell’agire) è la linguistica computazionale, la quale cerca di rimodellare e tradurre i linguaggi ordinari delle persone umane in linguaggi comprensibili e manipolabili dai software, in questo modo interferendo con i linguaggi e con i comportamenti che ne scaturiscono. Un esempio è il linguaggio politicamente corretto, definito da Curcio «l’ipocrisia istituzionalizzata», linguaggio che ha l’obiettivo di riprodurre l’esistente e rendere impossibile immaginare e organizzare «prospettive aperte, creative e istituenti».
I controlli linguistici che le piattaforme politicamente corrette operano contro parole, espressioni e concetti non coerenti con l’ideologia dominante del liberismo flussico costituiscono una delle più evidenti espressioni della società della sorveglianza nella quale siamo da tempo immersi.

Sottomissione

Sabato 11 maggio 2024 alle 19.00 nell’Aula consiliare del Palazzo di Città di Palazzolo Acreide (Siracusa) insieme a Cristina Santacroce dialogherò con  Davide Miccione a proposito del suo libro più recente: Quando abbiamo smesso di pensare. Scritti di fenomenologia dell’emergenza (2020-2023) (Transeuropa Edizioni 2023, pagine 146).
Questo libro spiega come sia stato possibile in pochi decenni, dal 1989 a oggi, passando per l’evento chiave del 2001 (le torri di New York), trascorrere da una società e una mentalità intrise di consistenti tendenze libertarie alla sottomissione, da parte degli stessi soggetti, alle parole d’ordine in gran parte insensate delle autorità. Il neoliberalismo va mostrando con sempre maggiore chiarezza gli impulsi autoritari che lo attraversano, la «spinta liberticida in atto», i tabù, le parole d’ordine, i capovolgimenti linguistici che si riassumono nel politicamente corretto come forma suprema di obbedienza all’autorità costituita nelle sue forme concettuali, mediatiche e politiche.

 

Fenomenologia dell’emergenza

Venerdì 19 aprile 2024 alle 18.00 alla libreria Feltrinelli di Catania dialogherò con Davide Miccione a proposito del suo libro più recente: Quando abbiamo smesso di pensare. Scritti di fenomenologia dell’emergenza (2020-2023) (Transeuropa Edizioni 2023, pagine 146). L’evento è organizzato in collaborazione con l’Associazione Studenti di Filosofia Unict (ASFU).
È vero: «die Philosophie ihre Zeit in Gedanken erfaßt» (Hegel), la filosofia (è) il proprio tempo appreso e colto nel pensiero e con il pensare, o almeno è anche questo. E dunque il denso disegno che Davide Miccione traccia del nostro tempo è del tutto filosofico. Alcuni suoi riferimenti sono Günther Anders, Ivan Illich, Pier Paolo Pasolini, ma il disegno è del tutto originale ed è costituito da una intelligenza del presente e da una chiarezza analitica che descrivono con lucidità i nostri anni più recenti e il tempo nel quale siamo immersi.
Giustamente centrale nell’analisi critica di Miccione è il linguaggio. La lingua infatti non rappresenta un elemento tra gli altri delle comunità sociali, non è soltanto un raffinato strumento ma costituisce il mondo stesso degli umani. Adottare una modalità linguistica piuttosto che altre è sempre anche una scelta (o una non scelta) politica. È anche nel linguaggio e tramite il linguaggio che brilla evidente la schizofrenia ‘progressista’ che fonda principi, teorie e azione su ciò che proviene dagli Stati Uniti d’America, vale a dire dal luogo dell’imperialismo, del potere, della repressione di ogni autentica emancipazione sociale e collettiva. La schizofrenia imperialista di una ‘sinistra’ defunta che però ancora cammina, la sinistra-zombie, è uno degli elementi centrali della fenomenologia dell’emergenza, uno dei capisaldi degli anni Venti del XXI secolo. 

Conoscenza / Libertà

Conoscenza è libertà
Introduzione a:
Quando abbiamo smesso di pensare
Scritti di fenomenologia dell’emergenza (2020-2023)
di Davide Miccione
Transeuropa Edizioni 2023, pagine 146
Pagine 5-11

Con intelligenza illuministica e con ironia meridionale Davide Miccione descrive esattamente ciò che accade e la direzione che si sta cercando di imprimere alla vita collettiva, ovunque. Una direzione che trova nella parola «emergenza» una sintesi, un significato, un grimaldello, una spiegazione.
La direzione di un progressivo ma implacabile restringimento delle libertà civili – la libertà di non essere d’accordo con la maggioranza – e dei diritti sociali – il diritto al lavoro, a una vita dignitosa. Il grimaldello di una esigenza securitaria davanti alla quale ogni obiezione, dubbio, ironia assumono la figura del crimine.
E invece il peccato contro lo spirito è la duplice potenza della sottomissione e della stupidità. Potenza in questi anni vincente ma fondata su basi assai fragili. Nulla di solido, fecondo e bello può infatti essere costruito sulla stupidità e sul servilismo.
Anche questa fenomenologia di Davide Miccione, la sua stessa possibilità ed esistenza, costituisce una dimostrazione della forza indistruttibile dello spirito, vale a dire della libertà e della conoscenza

Come tutti

Gustave Flaubert
Dizionario dei luoghi comuni – Album della marchesa – Catalogo delle idee chic
(Dictionnaire des idées reçues)
Trad. di J. Rodolfo Wilcock
Adelphi, 1988
Pagine 190

Lavorando a Bouvard et Pécuchet – romanzo, enciclopedia, immondezzaio – Flaubert raccolse una mole imponente di documenti, citazioni, appunti, note, da cui trasse il Dictionnaire des idées reçues. Al Dizionario questa traduzione Adelphi aggiunge altri due testi dello scrittore: un breve catalogo/riassunto delle idee chic e un terrificante Album che raccoglie numerose citazioni dolciastre e patetiche di alcuni anche ammirati scrittori francesi: da Michelet a George Sand, da Balzac a Sainte-Beuve, da Cousin ai fratelli Goncourt. Di Alfred Assolant è una delle citazioni più banali: «La bellezza era il minore dei suoi incanti; ella univa il canto dell’usignolo alla flessibilità del boa constrictor» (p. 124).
Il Dizionario di Flaubert aiuta a comprendere come e perché Emma Bovary  costituisca il suicidio del Romanticismo. L’eccesso del sentimento ci rende infatti sciocchi, incapaci di capire e di ragionare. Per Emma «pensare» – come recita la voce del Dizionario – è «increscioso. Le cose che ci costringono a farlo vengono di solito accantonate» (91).
Se Bouvard et Pécuchet costituisce il romanzo del sapere impossibile è anche perché i due scrivani sono vittime e insieme protagonisti attivi del più integrale conformismo, del luogo comune elevato a metodo, dell’omologazione al pensiero e all’etica dominanti, della rassicurazione che dà il parlare come parlano tutti, il condividere i valori sostenuti dalla maggioranza del corpo collettivo. Vale a dire di ciò che oggi trionfa  in televisione, sui giornali, nella quasi totalità delle pagine di Internet e nel moralismo totalitario che attraversa il corpo sociale.
Per contrasto e paradosso, la libertà che traspare dal Dizionario di Flaubert è invece persino lancinante. Negli sparsi frammenti vince la potenza dell’idiozia ma emerge anche la via d’uscita più immediata: la riflessione, la critica, la sobrietà, il silenzio, la distanza.
«Vedere la stupidità umana e non poter più tollerarla» (Bouvard e Pécuchet, Einaudi, p. 182) è l’impressione che a volte afferra osservando la vita, semplicemente la vita. Bisogna ammettere, con un uomo assai equilibrato e da Nietzsche sino all’ultimo venerato, che «sulla terra è la volgarità che è immortale» (Jacob Burckhardt, Sullo studio della storia, Boringhieri 1958, p. 214).
Una volgarità interiore che è l’altro nome, il nome gemello, il vero nome, della stupidità.

Vita e morte di Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi ha dato un contributo fondamentale alla trasformazione definitiva della politica in spettacolo. E non soltanto in Italia.
È dunque stato del tutto coerente e conseguente che la politica diventata spettacolo ne abbia glorificato il cadavere e la memoria in ogni forma, sino a proclamare tre giorni di lutto nazionale e a ordinare i solenni funerali di stato, celebrati nel Duomo di Milano il 14 giugno 2023.
Della politica-spettacolo anche la cosiddetta ‘sinistra’ è componente e parte attiva. E questo perché Berlusconi in trent’anni ha plasmato l’immaginario, il linguaggio, i riferimenti sia polemici sia convergenti di questa ‘sinistra’, ponendosi in tal modo al di là delle dicotomie politiche, nonostante le sue continue dichiarazioni a favore di qualcosa che chiamava ‘centro-destra’.
L’essenza della socialità berlusconiana va infatti al di là delle divisioni politiche e partitiche novecentesche e consiste nella ipnotica manipolazione delle folle; nell’utilizzo spregiudicato, autoritario e totale dei media e delle loro tecnologie; nel successo finanziario come obiettivo di ogni azione, di ogni comportamento, di ogni pensiero; nella diffusione di un narcisismo di massa tanto infantile quanto divisivo delle realtà collettive; nella completa integrazione di vita politica e strutture criminali, in particolare quelle mafiose e quelle massoniche.
Della Loggia segreta Propaganda due (P2) – definita da una Commissione parlamentare di inchiesta «organizzazione criminale ed eversiva» – Berlusconi ha chiesto e ottenuto la tessera n. 1816, codice E.19.78, gruppo 17, fascicolo 0625, data di affiliazione 26 gennaio 1978.
Che le enormi somme di danaro necessarie all’inizio della carriera di palazzinaro e di  imprenditore dei media siano arrivati da Marcello Dell’Utri e dunque dalla mafia siciliana [contro ogni (auto)propaganda del sedicente self-made man] è un dato di fatto che il legato testamentario di 30 milioni di € per il faccendiere ed ex-senatore palermitano non fa che confermare.
E soprattutto Berlusconi ha operato una vera e propria trasformazione antropologica degli italiani in videosudditi, pronti a qualunque obbedienza comportamentale, psicologica, politica, sanitaria, mediatica, se enunciata, ripetuta e imposta dalle televisioni sue e di stato. Videosudditi che in questi decenni colonizzati dalle televisioni commerciali, massima espressione dell’americanismo, vanno sempre più mostrando una pervasiva e distruttiva stupidità,  il dominio della bêtise.
L’essenza del berlusconismo intride tutte le forze politiche presenti nell’attuale parlamento italiano, nelle amministrazioni pubbliche, nelle strutture dell’informazione, tutte ormai esemplate sul «Piano di rinascita democratica» di Licio Gelli.
È stato dunque consequenziale che le istituzioni dello stato italiano abbiano reso gli omaggi più imponenti e sfarzosi a questo loro eccellente rappresentante in occasione della sua «purtroppo tardiva dipartita», per usare l’espressione con la quale sul numero dell’ottobre 1976 di A Rivista anarchica (p. 3) Luciano Lanza si riferì alla morte di Mao Zedong, al quale con il passare degli anni e dopo innumerevoli ritocchi il volto di Silvio Berlusconi somigliava sempre più.

Dotti, medici e sapienti

Edoardo Bennato
Dotti, medici e sapienti
da «Burattino senza fili»
(1977)

La solennità del barocco fa da ironico fondamento a questa ribelle e divertente messa alla berlina dei medici asserviti all’autorità, ai costumi, al conformismo.

«Al congresso sono tanti,
dotti, medici e sapienti,
per parlare, giudicare,
valutare e provvedere,
e trovare dei rimedi
per il giovane in questione» 

Eh sì, al congresso della televisione trasformata in sede di primari e luminari della medicina asservita a Pfizer e alle altre aziende farmaceutiche; al congresso di un Parlamento ridotto a un insieme di automi obbedienti agli ordini dei conti e dei draghi; al congresso della malafede o, peggio, di una pura e immedicabile stupidità e creduloneria, si sono riuniti in tanti. In tanti sono stati e in tanti continuano a essere.
Non soltanto medici ma anche dotti e sapienti di ogni disciplina, rettori universitari, giornalisti che hanno «toujours un maître, parfois plusieurs» (Debord, Commentaires sur la société du spectacle, Gallimard 1992, § VII, p. 31). E insieme ai dotti, medici e sapienti, al congresso dell’irrazionalismo e del servaggio si è unita gran parte del corpo collettivo, milioni di persone.
Ora si viene a sapere che stanno morendo in tanti, e ancor più si stanno ammalando sistematicamente e periodicamente, che gli effetti si sentiranno sul lungo periodo, che tanti giovani e ragazze rimarranno sterili (benedetto vaccino!)
Di fronte a tale spettacolo di sciocca obbedienza al male contro se stessi, rivendico di essere rimasto l’anarchico che ero a 17 anni, di essere rimasto «questo giovane malato» che «so io come va curato / ha già troppo contagiato / deve essere isolato».
Meglio da solo, infatti, che in una compagnia così triste.

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