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Per le differenze

Alain de Benoist
L’impero interiore
Mito, autorità, potere nell’Europa moderna e contemporanea
(L’empire intérieur, 1995)
Trad. di Debora Spini e Marco Tarchi
Ponte alla Grazie, 1995
Pagine 188

Complessi, ritornanti, rizomatici sono i percorsi della storia umana, delle comunità che la vivono, delle idee che la plasmano. Dissolti in Europa gli imperi dopo la Prima guerra mondiale, in particolare con i trattati di Sèvres e di Versailles, l’idea di nazione sembrò vincere e trionfare. In effetti essa ha guidato e costituito la storia contemporanea. Ma se nel XIX la nazione avanzò sullo slancio giacobino e napoleonico – eredi del centralismo delle monarchie assolute, in particolare di quella di Luigi XIV -, nel Ventesimo e Ventunesimo secolo essa sta mostrando sempre più la propria natura oppressiva e reazionaria, non solo nei regimi totalitari dell’Italia fascista e della Germania nazionalsocialista ma anche nell’imperialismo degli Stati Uniti e delle burocrazie europeiste, le quali non condividono nulla dell’idea imperiale, rimanendo invece «nazioni che cercano solamente di dilatarsi attraverso la conquista militare, politica, economica o di altro genere, sino a giungere a dimensioni che eccedono quelle delle loro frontiere del momento» (p. 165). Esempio massimo sono gli USA, che operano indefessamente al fine di «convertire l’intero mondo in un sistema omogeneo di consumo materiale e pratiche tecno-economiche» (166).
L’imperialismo contemporaneo è da ogni punto di vista l’opposto del principio e della struttura imperiali come emergono, ad esempio, nell’Impero romano fondato su un riconoscimento e un rispetto pervasivi delle autonomie locali e delle differenze ideali: di costume, di lingua, di religione. Quest’ultimo elemento costituisce un fattore di civiltà che i monoteismi hanno combattuto, calunniato, dissolto: «L’Impero romano non si richiama a divinità gelose. Ammette quindi gli altri dei, famosi o sconosciuti, venerati dai popoli che riunisce. La tolleranza religiosa è la norma, come del resto in tutto il mondo antico» (145).

Il mito dell’impero si fonda per de Benoist nell’impero del mito. A quest’ultimo è dedicata la prima e densa parte del volume. Attraverso un’ampia disamina filosofica e storica, si argomenta la tesi per la quale «Mythos e Logos sono termini assolutamente interscambiabili» (11), tanto che molte ricerche contemporanee in settori disparati – antropologia, letteratura, filosofia, religioni, logica – mostrano la razionalità del mito. Tra gli studiosi più noti, Kurt Hübner e James Hillman. Il primo sostiene che «il mito, lungi dall’essere ‘irrazionale’ possiede al contrario la sua propria razionalità. […] L’uomo non sperimenta mai il mondo direttamente: ogni sua esperienza, compresa quella scientifica, è necessariamente mediata da un universo mentale significante. Il mito quindi forma la struttura di questo universo e niente può dimostrare che questa struttura sia meno legittima di quella proposta dalla scienza» (62-63); da parte sua, Hillman vede nella «ragione solo un’espressione particolare del mito» (63).
Il mito va molto al di là del religioso e dell’etico. Il dominio sempre più pervasivo e soffocante della morale nel nostro tempo rappresenta un sostituto assai povero di comportamenti che sono di per sé misurati poiché regolati su una misura non soggettivistica, non psicologica, non normativa. Questa misura scaturisce non dal religioso o dall’etico ma dal sacro, che è un legame profondo e immediato con la materia come κόσμος, come totalità e dunque come continuità misurata dell’umano rispetto all’intero del quale è parte. Si tratta del contrario della ὕβρις, della dismisura escludente e individualistica diffusa nel mondo mediterraneo dai monoteismi, in particolare da quello cristiano: «Il mondo a questo punto non può più essere intrinsecamente il luogo del sacro. La relazione immediata non è più quella fra l’uomo e la totalità del reale, ma una semplice relazione con qualcun altro, che associa dei soggetti ormai separati» (36).
Monoteismi che a loro volta costituiscono il frutto e insieme il rafforzamento di alcuni elementi del tutto desacralizzanti: «l’individualismo (anima individuale, salvezza individuale), la dissociazione inaugurale nel dualismo dell’essere creato e dell’essere increato, il rifiuto del tempo circolare o ciclico e l’adesione ad una concezione della storia unilineare e vettoriale» (35).
La dimensione sacrale e mitica, invece, è intessuta di una ripetizione che implica sempre la differenza. E «in questo sta il senso di ogni metafora cosmica, fondata sul regolare alternarsi di opere e giorni, delle età e delle stagioni. Il ritorno periodico della primavera è il ritorno di una forma, ma non di un contenuto: è sempre la stessa stagione, ma è sempre un’altra primavera. L’immagine chiave, in questo caso, non è tanto il cerchio quanto la spirale o la sfera, poiché la possibilità di superare nasce dalla stessa ripetizione; e la rigenerazione del tempo nasce dal ricorso a ciò che è al di là del tempo» (25).
Il principio imperiale ha soprattutto questo in comune con l’ontologia mitica: un gioco senza fine di Identità e Differenza, per il quale che si tratti di dèi o di umani «l’identità degli altri, lungi dall’essere una minaccia per la nostra identità, fa parte di ciò che permette a tutti noi di difendere le nostre rispettive identità contro il sistema globale che cerca di ucciderle» (175).

L’Europa, luogo e spazio di origine di queste dinamiche, potrà sopravvivere alla sua sempre più evidente insignificanza politica e geostrategica soltanto se rispetterà le differenze tra i popoli e le comunità che la compongono e l’identità della loro storia mediterranea, se saprà dunque «tornare nella luce del mito» (74), nel chiarore della filosofia greca.

La legge del più forte

Postmoderno e diritto
Aldous, 9 ottobre 2022

Il postmoderno trionfa nella cancel culture, nella cancellazione della storia, del passato (e quindi del tempo), del reale, sostituiti da pure e semplici narrazioni contemporanee strumentali alla prosecuzione del dominio. Uno dei risultati di tali dinamiche è il capovolgimento delle parole, l’insignificanza del significato. Un altro, strettamente legato al primo, è la demonizzazione del nemico/persona/idea, che egli sia vivo nel presente o abbia lasciato tracce di sé in una storia che viene posta tutta sotto la definizione di crimine etico (razzismo, sessismo, colonialismo e così via).
Un passato condannato proprio da coloro che continuano a praticare o a essere complici di discriminazioni, guerre, imperialismi, che credono di non essere complici perché si presentano come il Bene. Dimenticando che gli oppressori si sono sempre ritenuti espressione di princìpi etici e religiosi superiori. Un’asfissia moralistica che sostituisce la comprensione della complessità e l’oggettività delle strutture politiche, sociali, culturali. In questo articolo ho cercato di presentare brevemente alcuni esempi di tale tendenza.

Pagani e cristiani

Recensione a:
Giancarlo Rinaldi
Pagani e cristiani
La storia di un conflitto (secoli I-IV)
Carocci Editore 2020, pagine 492
in Vita pensata, n. 27, settembre 2022
pagine 85-88

C’è una vicenda, fondamentale per l’Europa, nella quale il detto secondo cui ‘la storia la scrivono i vincitori’ appare con evidenza in tutte le sue pervasive e immense conseguenze. Questa vicenda è quella assai complessa che si racchiude nel termine Cristianesimo.
Studiare la genesi del modo in cui questa religione si è presentata nei secoli e continua a presentarsi oggi significa comprendere sino in fondo l’importanza della metapolitica, dell’egemonia culturale, della scrittura che sopravvive e della scrittura che si inabissa. È noto che migliaia di testi della cultura greca e romana sono andati perduti. Meno noto è che la misura di questa perdita arriva sino a novanta testi su cento, forse meno noto ancora è che gran parte di tale perdita sia stata progettata, voluta e realizzata coscientemente dai gruppi, individui, istituzioni che vanno sotto il nome di ‘Chiesa’, la quale iniziò il IV secolo dell’e.v. «come soggetto perseguitato e lo chiuse come agente persecutore», una persecuzione contro l’intera civiltà antica.

Programmi 2022-2023

Nell’anno accademico 2022-2023 insegnerò Filosofia teoretica, Epistemologia e Filosofia delle menti artificiali. Pubblico i programmi che svolgerò, inserendo i link ai pdf della piattaforma Syllabus del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania, sulla quale i docenti  ‘caricano’ i loro programmi. In questi pdf si trovano tutte le altre (importanti) informazioni relative ai miei corsi.
I link che compaiono qui sotto nei titoli dei libri in programma portano a presentazioni e recensioni dei testi o, nel caso dei saggi in rivista, ai pdf dei testi stessi.

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Filosofia teoretica
LA STORIA, IL PRESENTE

-Alberto Giovanni Biuso, Sullo statuto del presente: ontologia e storia, in Vita pensata, n. 23, novembre 2020 (pp. 24-30)

-Friedrich W. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale, Adelphi 2015

-Friedrich W. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, Adelphi 1974

-Eugenio Mazzarella, Nietzsche e la storia. Storicità e ontologia della vita, Carocci Editore 2022

-Alberto Giovanni Biuso, Disvelamento. Nella luce di un virus, Algra Editore 2022

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Epistemologia
SUL METODO

-Alberto Giovanni Biuso, Epistemologia e filosofia della scienza, in Vita pensata, n. 25, luglio 2021 (pp. 94-96)

-John Losee, Filosofia della scienza. Un’introduzione, Il Saggiatore 2016

-Paul Feyerabend, Contro il metodo, Feltrinelli 2021

-Alberto Giovanni Biuso, Sul realismo, in L’invenzione della realtà. Scienza, mito e immaginario nel dialogo tra psiche e mondo oggettivo, ETS, Pisa 2022 (pp. 125-135)

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Filosofia delle menti artificiali
MENTE, INTELLIGENZE ARTIFICIALI E LIBERO ARBITRIO

-Anthony A. Long, La mente, l’anima, il corpo. Modelli greci, Einaudi 2016

-Naief Yehya, Homo cyborg. Il corpo postumano tra realtà e fantascienza, Elèuthera, nuova edizione 2017 (la recensione si riferisce alla prima edizione, 2004)

-Aa. Vv., L’algoritmo pensante. Dalla libertà dell’uomo all’autonomia delle intelligenze artificiali, Il Pozzo di Giacobbe 2020

-Alberto Giovanni Biuso, Il libero arbitrio tra neuroscienze e filosofia, in Aa. Vv., «Kαλλὸς καί ἀρετή. Bellezza e virtù», Bonanno 2015 (pp. 801-817)

Elezioni politiche 2022

Per chi rifletta sulle imminenti elezioni politiche italiane senza ripetere quanto televisioni e giornali dicono e cercando invece di ragionare con un minimo di oggettività su quanto è accaduto nella Legislatura che si chiude, la prima decisione consiste nel non votare – non poter votare – le forze politiche che hanno sostenuto il Governo Draghi: Partito Democratico, Lega, Movimento 5 Stelle, Forza Italia e altre formazioni minori. Né è possibile votare per l’unica forza parlamentare che apparentemente non ha sostenuto tale governo, vale a dire Fratelli d’Italia, la cui opposizione è stata inconsistente e il cui programma si propone di rafforzare l’elemento centrale che ha guidato l’azione dell’ultimo Governo: la subordinazione in ogni campo alle decisioni degli Stati Uniti d’America, il rafforzamento della NATO, la continuazione della guerra contro la Russia.
Infatti la sottomissione totale agli USA e la continuazione del conflitto tra NATO e Russia in territorio ucraino costituiscono il culmine di un’azione volta a danneggiare l’Europa per eliminare un competitore economico ancora forte in un momento nel quale la potenza statunitense mostra consistenti segni di cedimento rispetto alla Cina, all’India e alla sempre più chiara insofferenza del continente latino-americano nei confronti del suo tradizionale padrone.
Anche quanto accaduto con la vicenda Sars-Cov2 si inscrive in una dinamica di progressivo asservimento del corpo collettivo; di sottrazione di autonomia rispetto alle fonti di informazione governative; di attacco alle libertà della persona; di tramonto dello spirito critico rispetto all’accadere; di trasformazione dell’atteggiamento scientifico nell’atteggiamento opposto, con la ripetizione omiletica di dogmi, prescrizioni, terrori.
Uno degli effetti di questo attacco alle libertà e alla critica è stato l’accoglimento quasi unanime di una guerra le cui motivazioni «democratiche» e di principio sono chiaramente risibili e sono invece strumentali all’impoverimento dell’Europa e dell’Italia. Un Paese in ginocchio a causa del Covid ma al quale si sottraggono risorse finanziarie, si impone l’aumento dei costi dell’energia, si infliggono chiusure di aziende, si impoveriscono scuole e università, si prospetta un inverno di fame e di freddo pur di finanziare il Governo dell’Ucraina con miliardi di euro provenienti dall’Italia sotto forma di armi, donazioni, cooperazione, prestiti a fondo perduto. Viene così inflitto alla società italiana un danno enorme, qualcosa di veramente inaudito.
In poche parole: il Governo Draghi è stato ed è un nemico dell’Italia; ogni sua continuazione sotto altri nomi e sigle – come quelli del Partito Democratico o di Fratelli d’Italia e i loro rispettivi alleati – sarebbe una sciagura che gli italiani pagheranno con l’impoverimento economico e culturale più consistente dalla Seconda guerra mondiale in avanti, mediante l’aggravarsi – ad esempio – del dissesto idrogeologico (con le relative catastrofi ‘naturali’); con la mancata manutenzione e ricostruzione delle aree compromesse e distrutte; con gli stipendi e le pensioni al limite della sopravvivenza; con la gravissima situazione sanitaria, con ospedali chiusi o ridimensionati e dove in un Pronto soccorso si può attendere per decine di ore prima di essere visitati.
Per chi intende votare, è dunque necessario rivolgersi a liste e a proposte politiche che non sono state complici del recente disastro. La più convincente tra queste formazioni a me sembra Italia sovrana e popolare. Me lo fanno pensare la partecipazione ad alcune sue manifestazioni a Milano, la modalità di comunicazione – che non attacca altre forze alternative ma si volge contro i partiti dell’attuale Governo – e soprattutto un’attenta lettura dei suoi programmi.

Pubblico dunque qui sotto il pdf del programma di questo partito, con le mie evidenziazioni e anche qualche perplessità.

Italia Sovrana e Popolare / Programma politico

Provo comunque a riassumere le proposte più convincenti, indicando in quale dei 10 punti del documento si trovano:

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  • Chiediamo il ripristino del principio di autodeterminazione al trattamento sanitario da parte del paziente e della libertà terapeutica in scienza e coscienza da parte del medico.
  • Chiediamo il ritorno in ogni settore lavorativo e in ambito scolastico a condizioni normali di operatività, con l’abbandono di tutte le misure straordinarie introdotte all’insegna dell’emergenzialismo sanitario (punto 2).

Il sistema sperimentato col green pass deve restare un ammonimento a futura memoria su ciò che non deve mai più accadere.

  • Chiediamo di imporre il divieto assoluto per le banche e i gestori di portafogli elettronici di chiudere i conti dei clienti o rendere indisponibili i loro fondi, se non in seguito a un’ordinanza della magistratura.
  • Chiediamo un’attenta valutazione, e un freno, a tutti i processi di estensione della sorveglianza sulla popolazione attraverso l’accesso ai dati su internet e in generale nella rete delle telecomunicazioni (punto 5).
  • Chiediamo la riconversione degli allevamenti intensivi perché forieri di farmacoresistenza, grave inquinamento, carni di bassa o nulla qualità, maltrattamento animale (punto 8).

La scuola non dev’essere un’azienda e non deve formare né consumatori né ingranaggi sociali, ma cittadini.

    • Chiediamo l’abbandono del modello di scuola-azienda, la fine della cosiddetta “autonomia scolastica” che ha supportato tale modello aziendale, e l’abolizione della figura del dirigente scolastico-manager.
    • Chiediamo l’abbandono della “didattica per competenze” e dell’alternanza scuola-lavoro, che sottrae sterilmente (quando non pericolosamente) centinaia di ore alla didattica e allo studio.
    • Chiediamo la sburocratizzazione del lavoro degli insegnanti, scolastici e universitari, chiamati sempre di più a compiti organizzativi ed amministrativi e con sempre meno risorse da dedicare a studio e didattica. Abolizione dell’Invalsi.
    • Rivendichiamo fermamente la libertà d’insegnamento, come da dettato costituzionale, libera dai condizionamenti delle pressioni economiche e dai dettami del politicamente corretto (punto 9).
    • Promuoviamo una cultura ancorata alla natura e alla storia, che respinga agende di ispirazione transumanista, relativistica e nichilista, che prenda le distanze da progetti di ingegneria genetica quanto di ingegneria sociale (punto 10).

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È, questa, soltanto una selezione di argomenti, quelli più vicini alla mia sensibilità e ai miei interessi. Invito a leggere il programma per intero, un testo peraltro breve e assai chiaro.
Il 25 settembre mi troverò in Sicilia e le attuali leggi non mi permettono di votare fuori dalla città di residenza. Invito dunque i miei amici e i lettori che condividono almeno in parte quanto qui ho scritto a votare anche per me. Grazie.

«Il proprio tempo appreso nel pensiero»

È vero: «die Philosophie ihre Zeit in Gedanken erfaßt» (Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, prefazione), la filosofia (è) il proprio tempo appreso e colto nel pensiero, o almeno è anche questo. E dunque il breve e denso disegno che Davide Miccione traccia del nostro tempo è del tutto filosofico. Intelligenza del presente e chiarezza analitica descrivono infatti esattamente ciò che accade e la direzione che si sta cercando di imprimere alla vita collettiva, ovunque.
Il testo è uscito su Aldous il 10.9.2022, con il titolo Il nominabile attuale.

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Qualora fosse umanamente possibile, la campagna elettorale aumenta la confusione. Questioni gravi e questioni irrilevanti, problemi reali e capziosità, paure vere e chiamate alle armi di sessant’anni fa ritirate fuori oggi alla bisogna, si accavallano senza sosta. “L’innominabile attuale”, il presente incomprensibile entro cui seguiamo o persino pretendiamo di guidare gli altri (come nella bruegeliana parabola dei ciechi) si fa ancora più confuso, aumentano gli slogan e i distinguo, le false bandiere e i distrattori. Diventa allora necessario, accettando preventivamente il giudizio di superficialità e di indebita semplificazione che sempre ci si attira, provare a definire gli elementi essenziali del nostro (lungo e perdurante) presente politico. Posto in bell’ordine il catalogo è questo:

  1. I ricchi diventano e devono diventare sempre più ricchi.
  2. I ricchi devono “potere” sempre più, dunque sempre meno devono essere gli aspetti della vita sulla terra non riducibili nella sua interezza al valore e al potere del denaro (per farsi un’idea degli aspetti descrittivi si vedano i lavori di Michael Sandel).
  3. Lo Stato si può impoverire o indebolire se ciò è utile al punto 1 o può acquisire importanza se ciò è utile al punto 1. Si veda a tal proposito la demolizione del welfare in questi decenni e viceversa il potentissimo Stato ambulatoriale di questi tre anni.
  4. Le procedure democratiche devono diventare irrilevanti in modo da non disturbare lo sviluppo dei punti 1, 2 e 3.
  5. Le procedure democratiche possono essere momentaneamente enfatizzate se servono allo sviluppo dei punti 1, 2 e 3.
  6. Quasi tutti i prodotti ideologici o culturali passati (dai sumeri al Novecento), fatto salvo qualche sparuto aspetto della ragione liberale, si pongono, anche senza volerlo o saperlo, come forme di resistenza allo sviluppo dei punti 1 e 2 perlopiù per un loro implicito non mettersi pienamente a disposizione. Dunque vanno sottoposti a character assasination (Islam, comunismo ad esempio), o a indebolimento, svuotamento eccetera, con moto uniformemente accelerato.
  7. Il processo dei punti 1 e 2 viene chiamato capitalismo, mercatismo, finanzcapitalismo, turboliberismo eccetera sebbene a volte si incarni in grandi organismi internazionali (ovviamente non eletti) o Stati.
  8. Quando alcuni attori che perseguono il punto 1 e il punto 2 hanno necessità di agire attraverso i governi o vi si identificano momentaneamente ciò viene chiamato geopolitica.
  9. Il processo dei punti 1 e 2 è necessario venga visto come irreversibile da tutti e come l’unico pensabile e non sostituibile da altro (vedi il compianto Mark Fisher).
  10. Per mantenere inimmaginabile qualsiasi altro tipo di mondo non basato su 1 e 2 va eliminata la storicità come categoria di giudizio del reale e la conoscenza del passato. L’operazione (già a buon punto) viene portata avanti per omissione (indebolimento dell’insegnamento della storia e degli aspetti storici di ogni disciplina) e attivamente con la promozione di quell’aborto concettuale che è la cancel culture, concezione che dell’alterità fa un medesimo difettoso da emendare e da condannare in quanto non uguale a noi.
  11. Per mantenere inimmaginabile un altro tipo di mondo non basato su 1 e 2 va eliminata la filosofia o va sostituita con una filosofia settoriale e procedurale (ben si attaglia dunque la filosofica analitica) che non pensi di poter descrivere e valutare l’interezza del reale.
  12. Per mantenere inimmaginabile un altro tipo di mondo non basato su 1 e 2 va eliminata la Grande Letteratura e la sua capacità di violare la “moralina” che ogni presente pensa di incarnare pienamente.
  13. Il politicamente corretto, la cultura woke, creando una perenne preoccupazione per le offese arrecabili a individui, è un ottimo “spengipensiero” e devia l’attenzione di chi dovrebbe essere di sinistra (dunque contrario ai punti 1 e 2) verso questioni meramente linguistiche e di dettaglio. Essendo fondata sulla libera decisione dei soggetti di sentirsi offesa, la cultura woke può riprodursi ed espandersi all’infinito.
  14. Le forme attuali dell’arricchimento del punto 1 abbisognano di un uomo sempre più sbilanciato verso una pseudovita telematica e sempre meno in grado di vivere esperienze libere, corporee, amicali. Per questo la digitalizzazione è diventata sempre un bene, anche contro ogni evidenza sociologica.

Addendum: una grandissima parte delle parole e degli slogan che sentirete in questa campagna elettorale è solo una forma di subspeciazione artificialmente creata per simulare una differenza e una dialettica tra forze egualmente devote all’obbedienza dei primi due punti dell’elenco. A meno che il lettore non faccia parte dei ricchissimi o di coloro che ragionevolmente pensano di poterli parassitare per un tempo sufficientemente lungo (giornalisti, operatori finanziari, apparatčik di organismi internazionali, deputati) votare per partiti che non avversano lo sviluppo dei punti 1 e 2 (e degli altri 12 di supporto) potrebbe non essere la cosa più razionale da fare, né per sé né per il mondo.

[L’articolo è stato ripubblicato anche da Sinistrainrete]

Il muro

200 metri
di Ameen Nayfeh
Palestina, Giordania, Qatar, Italia, Svezia, 2020
Con: Ali Suliman (Mustafa), Lana Zreik (Salwa), Anna Unterberger (Anne), Motaz Malhees (Kifah)
Trailer del film

Un muro di lastre di cemento e di reticolato lungo 730 chilometri separa da vent’anni Israele dalla Cisgiordania. Per entrare nello stato israeliano i palestinesi devono sottoporsi a controlli, permessi, continue vessazioni. Mustafa abita appunto in Cisgiordania. La moglie e i figli in Israele. Sono dirimpettai perché li separa una distanza fisica di soli 200 metri, tanto che possono accendere e spegnere le luci del terrazzo per salutarsi mentre parlano al cellulare. La distanza politica e simbolica è invece enorme. Quando il figlio di Mustafa subisce un incidente stradale e il padre non ha ancora un permesso valido, si rivolge a dei contrabbandieri di corpimente che in cambio di denaro percorrono centinaia di chilometri, caricano i ‘clandestini’ nel bagagliaio di automobili con targa israeliana e cercano di condurli dall’altra parte del muro. Molte cose però vanno storte e il viaggio si rivela uno stillicidio di tempo, di tensione, di dolore.
Come ci sono umani e umani, come ci sono guerre e guerre, così esistono muri e muri. Quello che divideva la città di Berlino era lungo 155 chilometri e venne condannato con virulenza dall’Occidente democratico; l’esistenza del muro israelo-palestinese è invece ritenuta dalle stesse potenze giusta e necessaria. Del primo si è festeggiata la caduta nel 1989, di quello palestinese non si vede la fine. Un muro che spezza le vite, che crea angoscia e disagio, che tiene prigioniere intere popolazioni in campi di detenzione a cielo aperto, che favorisce la corruzione e che accresce l’odio. Ma neppure il cemento è dappertutto uguale. C’è anche il cemento eticamente e politicamente buono.
Tra i film dedicati alla questione palestinese, 200 metri è forse il più bello e coinvolgente che abbia visto.

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