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Venuto da altri pianeti

Starman
di John Carpenter
USA, 1984
Con: Jeff Bridges (Starman), Karen Allen (Jenny Hayden), Charles Martin Smith (Mark Shermin)
Trailer del film

Ho rivisto dopo molti anni questo film che all’epoca ebbe un grande successo (tanto da generare una serie televisiva). Racconta di un alieno la cui astronave viene distrutta e che però ha la capacità di prendere la fattezze di un umano a partire da poche tracce di DNA. Assume quindi l’aspetto e il corpo di Scott, morto qualche tempo prima, e induce la sua giovane vedova ad aiutarlo a tornare dai suoi simili, che lo riporteranno sul pianeta dal quale proviene. Pianeta lasciato proprio per accogliere l’invito a visitare la Terra lanciato nel 1977 dalla sonda interstellare Voyager 2 (che viaggia ancora negli spazi immensi e vuoti del cosmo). Solo che, una volta atterrata, questa entità diventa la preda inseguita dall’esercito statunitense, allo scopo di catturarlo, ucciderlo e vedere come è fatto. La bella vedova però, dopo un iniziale momento di stupore e paura, lo aiuterà a conseguire il suo scopo.
La trama è analoga a quella di King Kong (nelle sue tante versioni) e di altri film e romanzi dai quali emerge, al di là di ogni esplicita intenzione, la cattiva coscienza degli Stati Uniti d’America, il cui mito dell’accoglienza e delle infinite possibilità è appunto una leggenda.
Gli USA sono una potenza imperiale nata dal fanatismo calvinista, dal genocidio dei Pellerossa, dal calpestare ogni principio e ogni diritto, nel passato come nel presente. Una potenza che ha nel proprio cuore nero la distruzione, come dimostra una semplice cronologia delle guerre da essa iniziate o alle quali ha partecipato, anche limitandosi al periodo 1945-2024. Le più recenti di queste guerre sono state perdute, a partire dalla clamorosa sconfitta in Vietnam (1961-1973), ma l’imperialismo acceca i suoi portatori.
Anche un film ‘fantascientifico’ come Starman esprime dunque e documenta la difficoltà e, alla fine, l’impossibilità di accogliere il diverso – o almeno di avere con lui un rapporto di curiosità e di decenza – da parte di una potenza politica e militare cresciuta a dismisura. La storia (pochi però ormai studiano e conoscono la storia) insegna che queste strutture sono destinate naturalmente a crollare (dall’Atene di Tucidide all’Unione Sovietica del XX secolo). Accadrà anche agli USA. L’auspicio è che avvenga prima che il pianeta ne sia irreparabilmente devastato. Gli umani non hanno un altro luogo dove andare, come invece accade al protagonista di Starman, venuto da altri pianeti.

[Nell’immagine Orione e la sua Nebulosa, una delle più belle costellazioni visibili dalla Terra]

Sul genocidio dei Palestinesi

Sul genocidio dei Palestinesi
in Dialoghi Mediterranei
n. 68, luglio-agosto 2024
pagine 176-186

Indice
-Premessa. Un evento coloniale
-«It is not a war, it is murder»
-Schizofrenie imperialiste 
-Alcuni appelli
-«Né Dio né l’Idf hanno pietà dei bambini»
-Anatomia di un genocidio
-Conclusione

In questo saggio ho cercato di sintetizzare nel modo più chiaro possibile quanto so e quanto ho compreso del genocidio palestinese in atto dal 1948 al presente.
Mi sono particolarmente soffermato su quattro fonti relative a ciò che sta accadendo dal 7 ottobre 2023 a oggi:
-un documento del Ministero dell’Intelligence dello Stato di Israele – Dipartimento tematico, Documento politico: opzioni per una politica riguardante la popolazione civile di Gaza;
-il rapporto ufficiale diffuso il 25 marzo 2024 dall’ONU e stilato dal «Relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967», incarico attualmente ricoperto dall’italiana Francesca Albanese. Il documento ha come titolo:  A/HRC/55/73, Anatomia di un genocidio;
-i testi di alcuni appelli sottoscritti da centinaia di docenti e studiosi italiani in questi mesi;
-alcuni articoli e riflessioni del filosofo italiano Eugenio Mazzarella.
Una delle conclusioni è che le generazioni future si vergogneranno di un’epoca “democratica e progressista” che ha permesso il genocidio giustificando in tutti i modi i carnefici. Si chiederanno come sia potuto accadere. Troveranno le risposte nel fanatismo della storia; nel razzismo degli eletti da Dio; nella situazione geopolitica; negli interessi finanziari del capitalismo trionfante; nella menzogna sistematica dei media (tra i quali spicca il quotidiano italiano la Repubblica); nell’indifferenza diffusa tra le persone.

Immagini della dissoluzione

Immagini della dissoluzione
il Pequod
anno V, numero 9, giugno 2024
pagine 87-89

Di fronte all’orgia di distruzione che dappertutto causano gli Stati Uniti d’America, vedere per due ore vittima della dissoluzione la potenza che continua a infliggere ovunque morte mi ha fatto pensare: ‘Peccato che sia soltanto un film’. E questo per la semplice ragione – documentata dalla sistematica violenza che gli USA esercitano da ottanta anni sul mondo – che una prospettiva di pace ha come condizione il ridimensionamento dell’imperialismo statunitense. Data la potenza militare degli Stati Uniti, soltanto una implosione interna, una guerra civile appunto, potrà rendere realtà questo auspicio.

Sovranità limitate

Sorvegliare e punire nel XXI secolo
Aldous, 5 aprile 2024
Pagine 1-2

La dottrina brezneviana dei «Paesi a sovranità limitata» è ampiamente descrittiva dell’Europa contemporanea. E questo anche perché una delle dinamiche più caratteristiche del primo quarto del XXI secolo è il progressivo indebolimento degli Stati e dei loro apparati politici, i quali mettono le proprie strutture amministrative e le riserve economiche al servizio dei poteri globali e multinazionali.
A offrire totale sostegno politico alle dinamiche liberticide  è ‘la sinistra neoliberale’ che dà il titolo alla traduzione italiana di un libro di Sahra Wagenknecht, dirigente per alcuni anni del partito tedesco Die Linke (La Sinistra), libro che nell’originale porta la più efficace denominazione Die Selbstgerechten, che si può tradurre come ‘gli arroganti, gli ipocriti, i presuntuosi, gli autocompiaciuti’, plastica descrizione dell’idealtipo politico-antropologico che transita dall’internazionalismo ‘comunista’, ripudiato con orrore, all’internazionalismo ultraliberista di un capitalismo (da sempre) senza patria e senza identità, nel quale trionfa l’ontologia flussica e indeterminata di un essere umano che privandosi dell’identità nega anche la differenza, un umano esistente soltanto come luogo di passaggio puramente volontaristico e privo di radici territoriali, culturali, biologiche.

Universalismo

Universalismo
Aldous, 5 gennaio 2024
Pagine 1-3

L’universalismo liberale dell’Occidente non si fa scrupoli ad agire in base a principi etnocentrici e razziali quando essi diventano funzionali alla sua politica di potenza. Conseguenza di tale universalismo etnocentrico è un sempre più esteso e capillare controllo delle opinioni critiche rispetto agli eventi (che si tratti di epidemia, di Ucraina, di Palestina), una sempre più chiara imposizione di slogan autoritari, un pericoloso tramonto della libertà di espressione.
In questo modo l’universalismo liberale si mostra in realtà per quello che è, una forma della volontà di potenza, un’espressione del rifiuto delle differenze e della molteplicità a favore di un’identità imperiale.

[L’articolo è uscito anche su Sinistrainrete]

Morire per Washington

Marco Tarchi è professore emerito di Scienza della politica nell’Università di Firenze. Le sue analisi sono molto attente a conservare un approccio scientifico, separando quanto più possibile la valutazione politica personale da un’analisi oggettiva delle circostanze e degli sviluppi degli eventi politici. È l’approccio ‘avalutativo’ di Max Weber ai fenomeni sociali.
Tra le riviste dirette da Tarchi c’è Diorama Letterario, un bimestrale al quale collaboro da più di vent’anni, uno spazio sempre rigoroso ma con caratteristiche anche di intervento critico sul presente. Pubblico il pdf dell’editoriale del numero 377 della rivista (gennaio-febbraio 2024), dedicato alla situazione geopolitica, all’Occidente e alle sue guerre.
Si tratta di una riflessione sintetica, drammatica e assai lucida, che condivido per intero e alla quale non aggiungo dunque altro se non richiamare l’attenzione sulla chiusa del testo, volta a ricordare che, nonostante tutto, è necessario «cercare di infilare nell’ingranaggio belligeno dell’occidentalismo anche il fatidico minuscolo granello di sabbia. È l’unica via di uscita che ci rimane. Altre non ne esistono».
Anche le pagine di questo sito e i suoi lettori, pochi o molti che siano, vorrebbero costituire parte di tale granello di sabbia. 

Svizzera

Al centro dell’Europa. Lontano dal mare ma pronta a raggiungerlo verso il sud dell’Italia e verso il Nord della Francia/Germania. Disegnata da confini naturali sui quali ha costruito la propria identità, a conferma che i confini esistono, al di là di tutte le astrattezze no borders e analoghe spinte verso un’identità che tende a uccidere le differenze. Confini che per la Svizzera sono molto evidenti nel caso della catena alpina su tutto il versante meridionale e altrettanto netti tramite i molti laghi e le valli che essa condivide con i Paesi confinanti: Italia, Austria, Germania, Francia (e Lichtenstein).
Confini e identità/differenza già delineati in epoca romana, poi inglobati in gran parte nel Sacro Romano Impero e infine sempre più marcati a partire dai due momenti chiave che hanno generato la Svizzera: la pace di Noyon del 1516 con la quale questo territorio e le sue città dichiarano la propria neutralità rispetto alla guerre tra Stati e dinastie, fermando in questo modo la propria stessa espansione. Da allora la politica comune dei cantoni svizzeri venne stabilita da una Dieta che di solito prendeva (e prende) all’unanimità le sue decisioni. Subito dopo ebbe inizio la Riforma che nella Confederazione elvetica trovò ampio seguito sino a fare di Ginevra una teocrazia calvinista.
L’altra data fondamentale è quella del Congresso di Vienna, 1815, che stabilì la perpetua neutralità della Svizzera e in seguito al quale entrano definitivamente nella Confederazione il Vallese, Ginevra e Neuchâtel, delineando sostanzialmente gli attuali confini.
La neutralità sarà ribadita in due altre occasioni: la fondamentale pace di Vestfalia del 1648 e la Seconda guerra mondiale. Persino l’adesione all’ONU, che pure a Ginevra ha la sua sede europea, è assai recente, nel 2002, così come la nuova Costituzione del 1999 «amplia le garanzie per i profughi ma ne limita la durata di accoglienza» (Aa. Vv., Svizzera, Touring Club Italiano, 2019, p. 38), smentendo il luogo comune di una Svizzera che accoglie per principio indiscriminatamente, cosa che non è mai accaduta e mai potrà accadere, pena la dissoluzione del delicato equilibrio sul quale politica, società e religione elvetiche si reggono.
Anche per queste scelte politiche, per i suoi confini naturali, per l’etica calvinista, la Svizzera è oggi «tra i paesi più ricchi e più solidi del mondo, nonostante la conformazione del territorio, poco adatto all’agricoltura, e la mancanza di risorse minerarie. La sua prosperità deriva soprattutto dalle scelte politiche: la neutralità l’ha resa una nazione stabile e finanziariamente sicura» (Ivi, p. 31). E anche per questo è uno dei luoghi più lindi e più corrotti del pianeta.

Al centro dell’Europa, dunque, della quale la Svizzera è una sintesi. Anche per questo va centellinata, gustata come un vino di qualità con le sue città gotiche, rinascimentali, barocche, neoclassiche, contemporanee; con le sue montagne ovunque; con i suoi magnifici laghi.
In tempi diversi ho visitato prima la Svizzera italiana, con una Lugano adagiata sul suo lago e fatta di viuzze antiche; con Bellinzona e il suo castello a dominare valle, case, cielo.
Poi ho incontrato Nietzsche nel Cantone dei Grigioni a Sils-Maria, dove si trova la casa (ora museo) nella quale il filosofo trascorse le sue estati dal 1881 al 1888 e sulle rive del cui lago – di Silvaplana – concepì la filosofia di Zarathustra. Dei Grigioni è celebre Sankt Moritz. Dopo averla visitata anni fa in estate, e averla vista dunque nel pieno del suo verde, ho rivisto  lo scorso dicembre la linda (e costosissima) località mondana immersa in un bianco totale, con il suo piccolo lago ghiacciato e il suo paesaggio alpino interamente innevato.

Sankt-Moritz. Museum Engiadinais

Ho anche visitato la Schiefer Turm, una torre pendente che è quanto rimane di una chiesa antica; la chiesa protestante del 1787, adibita in gran parte a sala da concerti; il Museum Engiadinais, una ricca dimora che racconta con il calore del legno di pino e l’onnipresenza delle stufe in ceramica i modi di vivere, nutrirsi, dormire delle comunità dell’Engadina.

Ginevra. Il lago con il Jet d’eau

Un Cantone e una città che della Svizzera rappresenta una sintesi è Ginevra/Genéve, che ho visitato negli ultimi giorni del 2023. Dal lago sul quale venne edificato il nucleo conquistato da Cesare, si alza dal 1891 il Jet d’eau, una potente torre d’acqua che raggiunge i 140 metri e che è visibile da tutta la città. Ginevra si estende in ampi boulevards che sulla rive gauche del Rodano diventano il nucleo medioevale nel quale (al numero 40 della Grand-Rue) il 28 giugno 1712 nacque Jean-Jacques Rousseau. Un tessuto di viuzze medioevali-settecentesche conduce da questa strada alla Cattedrale di St-Pierre.

Ginevra. Cattedrale di St.Pierre

L’antica chiesa gotico-cattolica divenne il tempio della città stato teocratica governata da Giovanni Calvino. L’edificio è da allora spoglio di qualunque immagine, icona, statua. E questo lascia trasparire la bellezza e armonia della sua architettura. Anche l’abside è vuota. Un tavolo ovale in cima alla navata principale ospita un leggio con una copia aperta della Bibbia. Lì accanto si trova la sedia sulla quale Calvino interpretava il testo sacro e consolidava la riforma luterana.

Ginevra. Cattedra di Calvino

Il cattolicesimo è sparito da Ginevra, sostituito anche oggi da numerosi ‘templi’ delle tante chiese protestanti, non solo calviniste, che ho trovato tutte rigorosamente chiuse, con avvisi relativi ai momenti di lettura biblica non più frequenti di una volta alla settimana, con i nomi e a volte le foto di sorridenti signore bionde, alcune vestite con paramenti sacri, che sono le parroche e le arcivescove delle diverse sette. Luoghi architettonicamente miseri e, appunto, sempre chiusi.
Se Nietzsche ebbe ragione ad accusare «il monaco fatale», Lutero, di aver fatto risorgere in Europa il cristianesimo che stava morendo nella potente, ricca, corrotta Roma dei papi, l’eterogenesi dei fini ha tuttavia condotto, certamente a Ginevra e ovunque nell’Europa protestante, al tramonto della fede cristiana. Nel loro fanatismo biblico, infatti, Lutero, Calvino e gli altri padri della Riforma (raffigurati in forme grandiose nel Monument de la Réformation – il cui motto è «Post tenebras Lux» – che costeggia la promenades des Bastions [immagine di apertura]) pensavano che affrancati dalle ‘distrazioni’ artistiche e dai sacramenti, i cristiani potessero rivolgere tutta la loro cura alla fede che lo Spirito Santo avrebbe soffiato nelle loro interiorità. Ma un simile ascetismo capace di fare a meno dei simboli, delle icone, dei santi, delle statue, delle immagini, può valere soltanto per i filosofi, per gli studiosi, per coloro che sono ricchi di una vita interiore. La più parte degli esseri umani, e dunque dei fedeli cristiani, ha bisogno invece di immagini alle quali rivolgersi, di statue della Madonna da invocare come le antiche divinità mediterranee, di icone da venerare e davanti alle quali piangere (come accade durante le grandi feste cattolico-pagane). Se privata di tutto questo, la fede cristiana muore. E infatti a Ginevra è morta.
Dal lato opposto rispetto al Monumento alla Riforma si trova la sede centrale dell’Università ginevrina. Ho visitato la Biblioteca, aperta anche durante le feste dalle 10 alle 22, a scaffali aperti, linda e accogliente.
Tornando al luogo/cattedrale, sotto il tempio si estende una zona archeologica molto vasta che documenta il progressivo formarsi della città, mentre sopra il tempio una vorticosa salita di centinaia di gradini conduce alle due torri, dalle quali si apre il magnifico panorama sull’intera Ginevra,tra i cui musei ho visitato naturalmente il Patek Philippe Museum, un luogo che conserva migliaia di orologi fabbricati dal Settecento a oggi, molti dei quali di un’impressionante bellezza . Qui ne mostro soltanto due, il primo raffigura il dio del tempo [a sinistra], il secondo è uno dei più complessi orologi fabbricati a mano, un vero e proprio osservatorio astronomico in miniatura [a destra].

 

 

 

 

 

 

Ho poi visitato il Musée d’Art et d’Histoire che ospita opere dal Paleolitico al Novecento. La sezione più interessante è quella archeologica con opere provenienti dall’antico Egitto, dalla Grecia cicladica e classica, dall’epoca romana. Qui sotto tre teste di divinità: Ade, Serapide e Asclepio .
Il Musée d’Etnographie è stato rinnovato nel 2014 e da allora la sua sede è un edificio che ha la forma di una capanna di vetro e cemento aperta alla luce. Al suo interno si trovano alcune testimonianze di cultura materiale veramente uniche, provenienti da tutti i Continenti e che nel loro splendore estetico e simbolico confermano ancora una volta come le società umane e i loro membri abbiano bisogno di toccare il sacro per cercare di dare un significato cosmico alle loro vite, un significato che le affranchi da ciò che Hegel chiamava  il  «travaglio del negativo» e la «furia del dissolvimento».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Saggezza antropologica che ancora una volta il protestantesimo ignora, facendo di Ginevra una città calvinista, antropologicamente fredda, elegante e distante.

Il treno che mi ha riportato a Milano alla stazione di confine di Brig/Brigue/Briga (subito prima della galleria del Sempione) si è riempito di centinaia di persone raccolte in tribù familiari che sono salite senza aver prenotato il posto e con bagagli da trasferta definitiva. Né prima né dopo questa fermata ho visto un solo controllore chiedere passaporto o carta d’identità (la Svizzera formalmente non appartiene all’Unione Europea) e neppure il biglietto. Nessun controllo di alcun genere in un treno (svizzero!) ridotto a un vagone merci. Contrariamente a quanto la propaganda globalista e universalista dei telegiornali (italiani ma non solo) va raccontando in modo ossessivo e fasullo, basta viaggiare un poco per capire come sia sufficiente arrivare in qualunque modo sul territorio europeo per transitare senza particolari difficoltà in tutto il Continente. L’Europa è diventata terra di nessuno anche perché è diventata una colonia culturale e politica. Le sue città, compresa Ginevra, conservano ancora le testimonianze della storia d’Europa, mentre la sua popolazione va diventando inesorabilmente asiatica, sudamericana, africana (anche a Ginevra).
Una civiltà che non sa e non vuole più difendersi merita di dissolversi. La storia d’Europa è tuttavia intrisa di pensiero e colma di bellezza, come anche la Svizzera ancora testimonia.

Ginevra. Notturno da un ponte sul Rodano

[Le foto sono state scattate da me; cliccando su ciascuna di esse l’immagine si aprirà nella sua dimensione originale]

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