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Pentitevi!

Una delle più gravi espressioni e conseguenze del politicamente corretto è la cancel culture, la riscrittura moralistica di secoli di conoscenza, arte, filosofia e anche eventi storici. Che naturalmente non possono essere cancellati o alla lettera riscritti tramite un’epurazione degna dei grandi regimi totalitari ma possono essere riletti, interpretati e soprattutto condannati. L’obiettivo è fare «tabula rasa della storia e della cultura occidentale, tutta colonialismo, imperialismo, razzismo, e schiavismo, praticando un’iconoclastia sconsiderata che dovrebbe spianare la strada a un futuro di armonie, di uguaglianze, reciproco rispetto, totale autodeterminazione, simbiosi con la natura e con l’intera umanità. Questo irenismo e questa tendenza all’autoflagellazione rappresentano un rischio molto serio per la nostra società» (M. Barbi, Occidente, progetto da ricostruire, in «Le Sfide», n. 9, aprile 2021, p. 6).
Un rischio che ha avuto ovviamente origine negli Stati Uniti d’America e da lì va diffondendosi ovunque: «Les États-Unis sont en proie à une hystérie morale – notre sport national – sur les questions de race et de genre, qui rend impossible tout débat public rationnel» (‘Gli Stati Uniti sono in preda a una isteria morale  -il nostro sport nazionale- sulle questioni di razza e di genere, tale da rendere impossibile qualsiasi dibattito pubblico razionale’, M. Lilla, La gauche identitaire. L’Amerique en miettes, Stock, Paris 2018, pp. 7-8).
La cancel culture ritiene infatti che la schiavitù sia stata praticata soltanto dai bianchi, i quali l’hanno certamente messa in atto ma poi l’hanno abolita mentre essa prospera tuttora in varie zone dell’Africa e dell’Asia. La cancel culture ritiene che un bianco sia geneticamente razzista, anche quando afferma il contrario. La cancel culture guarda e giudica l’intera cultura europea con la categoria della razzializzazione dei rapporti sociali, che cancella ogni altra identità e differenza. La cancel culture cancella in questo modo anche la lotta di classe, sostituita dalla lotta tra coloro che ritengono di essere maschi e femmine e quanti invece sanno (furbi come sono…) che questa identità biologica è solo un pregiudizio educativo; lotta sostituita dal conflitto tra bianchi e neri, elevati a categorie assolute in un paradossale -ma non tanto- trionfo della prospettiva razzista.
Da questa riduzione di ogni conflitto a quello di genere e di razza il capitalismo ha tutto da guadagnare, ad esempio con le tante Carte etiche da parte delle aziende che pensano in questo modo di nascondere le loro pratiche di sfruttamento. Chiunque può constatare il proliferare di pubblicità politicamente correttissime: gli spot multirazziali si moltiplicano e si arriva alla decisione della L’Oréal di eliminare dai suoi prodotti e slogan qualunque allusione alla bianchezza e alla biondezza. Ma è solo un esempio. Un altro è l’ostracismo nei confronti delle favole, nelle quali -inevitabilmente- c’è qualcuno additato come cattivo: che sia il lupo, la regina, il cacciatore, il selvaggio, il nero. In alcune favole compaiono poi addirittura dei nani, o meglio dei ‘diversamente alti’. Tranne sostituire però i vecchi cattivoni con dei cattivi nuovi di zecca, che sono naturalmente coloro che vedono e dicono quanto di insensato e pericoloso ci sia nel proibire la lettura di Shakespeare o di Dante Alighieri (succede in varie università anglosassoni) in quanto antisemiti e antislamici, per non dire bianchi e inguaribili maschilisti. Ne ha fatto le spese anche la statua di David Hume a Edimburgo, uno dei pochi nomi dei quali la Scozia possa vantarsi, reo di non aver condannato abbastanza la tratta degli schiavi, stessa omissione della quale fu colpevole tra i numerosi altri Voltaire.
Si tratta chiaramente di barbarie, di una esiziale miscela di ultramoralismo, di ignoranza e superficialità; si tratta della immersione «nell’aggressività lacrimosa, nella concorrenza vittimistica e nell’emozionalismo sensazionalistico» (A. De Benoist, Diorama Letterario, n. 361, maggio-giugno 2021, p. 20). Si tratta del riaffiorare di antiche tendenze ascetiche e penitenziali, intrise di risentimento e di odio. Tutto questo condito con l’immancabile ingrediente di ogni ferocia: il sentimentalismo, il quale «si adopra a indagare le particolarità, passioni e debolezze degli altri uomini, le cosiddette pieghe del cuore umano» (Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, trad. di B. Croce, Mondadori 2008, § 377, p. 371) e che mostra tutta la sua micidiale forza di incomprensione, equivoco e miseria nel discorso pubblico -i Social Network ad esempio– che fa costantemente appello alle esperienze di vita, ai casi concreti, al sapere che cosa si prova (ad esempio al ‘vieni in un ospedale se vuoi capire il covid’); uno psicologismo sentimentalistico che merita parole assai chiare come queste: «Quando un uomo, discutendo di una cosa, non si appella alla natura e al concetto della cosa, o almeno a ragioni, all’universalità dell’intelletto, ma al suo sentimento, non c’è altro da fare che lasciarlo stare; perché egli per tal modo si rifiuta di accettare la comunanza della ragione, e si richiude nella sua soggettività isolata, nella sua particolarità» (Ivi, § 447, p. 439).
Di fronte all’invito fondamentalista e irrazionale al Pentiti! -pèntiti di essere europeo, bianco, maschio, eterosessuale- di fronte al buio incipiente e sempre più diffuso che viene dagli Stati Uniti d’America, ribadisco con orgoglio che l’Europa è la mia casa, è mia madre, è Heimat, è ciò da cui sono sgorgato, è la mia radice, è la lingua che parlo, sono gli dèi, è la bellezza, è la filosofia.

Sullo stesso tema segnalo:
Linguaggio e oscurantismi (ottobre 2019)
Contro la betîse (dicembre 2019)
Oscurantismi, censure, ortodossie (settembre 2020)
Gender (dicembre 2021)
Astrattezza e Dissoluzione (aprile 2022)
Wokismo (giugno 2023)
Surrogati (giugno 2023)

 

Storia e materia

Epilogo? – Tamas Dezsö
in Gente di Fotografia. Rivista di cultura fotografica e immagini
anno XXVII – numero 76 – maggio 2021
pagine 20-29

Nella serie del fotografo Tamas Dezsö intitolata Notes for an Epilogue la materia è fatta di animali che si indossano, di animali con i quali si convive, di animali che si temono e che si amano, di greggi e di orsi, di stormi sempre in volo sopra le discariche. Ma soprattutto di animali che si è. La materia vegetale di boschi, di acque, di campi, di verdure, di prati resi bianchi dall’inverno o fulgenti di verde come fossero diamanti. Pur nella loro bruttura di rovine dei veleni, del veleno più letale che è la speranza tradita della storia, i resti della tracotanza umana quando vengono abbandonati tendono a somigliare sempre più all’armonia, ad avvicinarsi all’intatto silenzio dei laghi, delle chiese che dai laghi spuntano, delle conifere che attendono con la medesima pazienza il raggio della luce che le inonda, il gelo della neve che le ferma. Ciminiere, campanili, alberi, tendono sempre tutti verso il cielo, dal quale si aspetta una salvezza tanto più bramata quanto invece l’orizzonte della storia è stato feroce o indifferente. E in effetti è dall’alto che viene la salvezza, dalla materia cosmica che si condensa, diventa stelle, si raffredda in pianeti, si evolve esplodendo e lanciando la propria energia nello spaziotempo, ritornando così a essere polvere che si addensa a formare nuove stelle e le galassie che le raccolgono, si formano, si dissolvono e si riformano, per sempre. Una meraviglia, la cui unica nota stonata è la sofferenza che chiamiamo ζωή, vita, è la sofferenza che chiamiamo storia. Ma è talmente insignificante da non dovercene davvero preoccupare.

Sullo stesso numero della rivista sono usciti gli articoli di altri due studiosi di Unict. Uno di Enrico Moncado: Shooting in Sarajevo, l’altro di Enrico Palma: Suite N. 5.

Fame

Piccolo Teatro Strehler – Milano
Furore
Dal romanzo di John Steinbeck
Ideazione e voce Massimo Popolizio
Adattamento Emanuele Trevi
Musiche eseguite dal vivo da Giovanni Lo Cascio
Produzione Compagnia Umberto Orsini / Teatro di Roma-Teatro Nazionale
Sino al 20 giugno 2021

The Grapes of Wrath, è il titolo del romanzo di John Steinbeck (1939). Un titolo biblico, naturalmente: «L’angelo gettò la sua falce sulla terra, vendemmiò la vigna della terra e gettò l’uva nel grande tino dell’ira di Dio» (Apocalisse, 14,20; traduzione CEI).
I grappoli dell’ira, dell’odio e del furore maturavano come frutto acre della polvere e della siccità, delle alluvioni e della catastrofe che colpirono negli anni Trenta del Novecento il cuore degli Stati Uniti d’America, spingendo masse di contadini rovinate e miserabili verso il sogno della California. Dove trovarono «prima compassione, poi disgusto, infine odio», trovarono altra miseria. L’ira, l’odio, il furore furono tuttavia il frutto amaro non della natura ma del capitalismo. Furono infatti le banche ad accaparrarsi le terre espellendo i contadini; furono i mercati a distruggere quantità enormi di frutta e ortaggi in California proprio mentre i contadini morivano di fame; furono i proprietari terrieri e immobiliari a diffondere volantini invitando i contadini ad andare in California, in modo da abbattere i salari e trasformare i vecchi e nuovi lavoratori in schiavi. Non la polvere e le bufere ma l’esercito industriale di riserva produsse la rovina, l’odio, il furore. Una lezione marxiana che i sedicenti ‘progressisti’ non imparano mai, auspicando oggi l’arrivo in Europa di lavoratori dall’Africa e dal Vicino Oriente, disposti a qualunque salario pur di giungere e rimanere, rovinando in questo modo i lavoratori europei e moltiplicando i profitti delle piccole e grandi aziende. Il capitalismo è borderless, è senza patria, è senza confini. Come senza limiti è la rovina prodotta dai buoni sentimenti che ignorano la complessità delle strutture antropologiche e politiche delle società umane.
Nel caso dei contadini americani, poi, si vide all’opera anche la potenza della Nέμεσις contro i contadini bianchi e protestanti che avevano sterminato i pellerossa distruggendo le loro vite, cancellando le loro culture, appropriandosi delle terre che poi le banche sottrassero loro.
Il frutto di tutto questo male -del genocidio, dell’avidità, del capitalismo- fu la fame, semplicemente e orrendamente la fame. Che la vocalità, le posture, gli sguardi, le pause, i toni di Massimo Popolizio e le percussioni di Giovanni Lo Cascio restituiscono nelle sue radici antiche, nella sua immediata potenza, nella sua estensione a ogni attimo della vita e del tempo. La fame che arriva con la polvere; che arriva con i trattori delle banche che spianano le terre e persino le case dei contadini; che arriva con i falò delle masserizie abbandonate; che arriva con le automobili incolonnate lungo la Route 66 (Illinois, Missouri, Kansas, Oklahoma, Texas, Nuovo Messico, Arizona, California); che arriva con le stesse auto in panne, guaste, rabberciate, abbandonate; che arriva con i decreti (anche sanitari!) e i fucili delle autorità californiane; che arriva con la disperazione, come disperazione. La fame, la radice vera della storia umana come storia di mammiferi acculturati.
«How can you frighten a man whose hunger is not only in his own cramped stomach but in the wretched bellies of his children? You can’t scare him – he has known a fear beyond every other».
(The Grapes of Wrath, The Modern Library, New York 1939, cap. 19, p. 323)

Virus e politica

«Torture numbers, and they will confess to anything»
(Gregg Easterbrook: ««Our Warming World», New Republic, 11.11.1999, vol. 221, p. 42)

Propongo una selezione di alcuni miei recenti interventi su twitter

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Detesto gli anacronismi storici ma devo arrendermi all’evidenza: è in atto nel mondo un’ondata di #neonazismo politico-sanitario.

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Un gravissimo invito alla #delazione. Il #virus come strumento della dissoluzione del corpo sociale.

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I #bambini vogliono vivere, i ragazzi vogliono vivere, la #scuola vuole vivere. E invece i maghi sedicenti #virologi e i politici che ai maghi si sono affidati cercano ogni giorno di soffocare con un cuscino bambini, ragazzi, scuola. La marca del cuscino è  #Dad.

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Nessuna pietà verso i #bambini, i #ragazzi, i più fragili tra i #giovani. Nessuna pietà: #isolamento, #autolesionismo, #anoressia, #bulimia, #suicidi. Nessuna pietà. In nome del #Covid19, in nome del #lockdown miracoloso, superstizioso.


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6 ore al giorno dietro un monitor a casa propria, a non imparare nulla e ad alienarsi, non è per #Toti e per gli altri un «grosso disagio». Il disagio, in effetti, è l’esistenza di questi personaggi. 

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«Non comporta grossi disagi trattandosi di ragazzi più grandi». Questa frase è una degna epigrafe della totale ignoranza #didattica e della cialtroneria esistenziale che guida #Toti come gli altri criminali -della #Lega, #ForzaItalia, #PD– che amministrano la cosa pubblica.

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Almeno sono #ragazzi vivi, nello spazio, nella #festa. Non chiusi nel torpore di un #televisore, di uno schermo, del vuoto #virtuale. Accanto a mammina e a papà. Sono ribelli. Li apprezzo.

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Davvero inquietante.
Gli #ospedali non vengono rafforzati.
I #vaccini sono un disastro.
Nessuna #cura contro il #Covid19.
L’ineffabile #Speranza e l’intero #GovernoDraghi brancolano nel buio.
La «soluzione» è sempre la stessa: la #repressione, la guerra contro i #cittadini che vogliono solo #vivere.

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«Messa la #salute al primo posto». Che concetto miserabile, infimo, riduzionistico, hanno costoro della salute. Salute è relazioni, #lavoro, #affetti, sole, aria, luce. Salute è la #vita. Quella del #GovernoDraghi è la salute degli #zombie.

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Pensare che la ricerca scientifica -e in particolare quella farmacologica- sia autonoma dal potere politico ed economico significa vivere a Disneyland o fare finta di viverci (oltre che, ovviamente, ignorare Kuhn, Feyerabend e l’intera #epistemologia).

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Il rifiuto della discussione su tematiche che riguardano la #vita, le #libertà, il #corpo collettivo, è segno della pulsione autoritaria di #Zaia e di troppi politici e amministratori. Questo oggi è il #fascismo, una #DittaturaSanitaria rozza, magica, televisiva, isterica.

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Naturalmente non è cambiato nulla: #GovernoConte o #GovernoDraghi a imperversare sono sempre gli stregoni cromatici che si riuniscono intorno a #Speranza, il cui obiettivo è continuare a ballare -sino a che sarà possibile- la danza macabra del #Covid19.

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E però ciò che conta è la «#salute». Miserabili cinici dal reddito garantito definiscono tutto questo «business». Che cos’è la salute per #Speranza, per i suoi presunti #virologi, per il #CTS? Soltanto #virus? Un riduzionismo degno del più rozzo positivismo.

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«#Variante», una parola magica, terribile e insieme confortante. In modo che la potenza del corpo collettivo venga prostrata ancora e ancora dal terrore. Il gioco si fa sempre più scoperto, l’utilizzo politico del #Covid19 deve proseguire.

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«#Lockdown per ripartire…» è una delle più limpide formule che siano state trovate dalla #neolingua dei sudditi orwelliani. Da un anno non funziona, da un anno viene ripetuta dall’#informazione come fosse risolutiva. Anche questo è la #DittaturaSanitaria.

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È una sindrome ormai nota: si chiama “#stupidità e isteria indotta da #Sars2”. Sta anche nei manuali di #psichiatria politica.

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#BastaCoprifuoco
perché da emergenza è diventato struttura (come era prevedibile e previsto). 

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Basta con questa misura profondamente antidemocratica, inutile, vessatoria, sciocca. #BastaCoprifuoco 

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Marcosebastiano Patanè@mspatane · 19 apr
Chiudere ora per salvare il natale.
Chiudere a natale per aprire a gennaio.
Chiudere ora per salvare la Pasqua.
Chiudere a Pasqua per riaprire ad aprile.
Chiudere ad aprile per salvare l’estate.

[Mio commento]
E poi:
Chiudere l’#estate per salvare l’inizio dell’anno scolastico.
Chiudere le #scuole per salvare il natale.
E si ricomincia…
L’eterno ritorno dell’#irrazionalità, dell’#isterismo, della #follia, della cupezza.
L’eterno ritorno del vuoto.

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Sempre più sincere ed esplicite le venature nazistoidi: «Qui non entrano i non vaccinati [i meridionali, i negri, gli ebrei]»

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Di fronte all’orrore della vita collettiva che si spegne, si può sperare in questo: in una ribellione selvaggia, chiunque la pratichi.

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Non ne usciremo più non per il #virus biologico ma per il virus politico.

Rigodon

Con la Trilogia del Nord si conclude il ciclo di quest’anno dedicato a «Filosofia e letteratura».
L’evento è organizzato dall’Associazione Studenti di Filosofia Unict.
L’appuntamento è per venerdì 16 aprile 2021 alle 15.30 nella sede del Centro Studi di via Plebiscito 9, a Catania. L’incontro è a numero chiuso. Le richieste di partecipazione vanno inviate all’indirizzo dell’Associazione: assocstudfilunict@gmail.com.

Nonostante la nostra specie «infila, genera, stronca, squarta, si ferma mai da cinquecento milioni di anni…che ci sono uomini e che pensano…storto e di traverso, vai a capire, ma forza! copulano, popolano, e braoum! tutto esplode! e tutto ricomincia!» come accade a «Hannover…dei fuochi di resti di case…bisogna avere visto…ogni casa giusto nel mezzo…tra ciò che erano i suoi quattro muri, una fiamma che ruota, gialla…viola…turbina…fugge!…alle nuvole!… danza … scompare… riprende… l’anima di ogni casa…una farandola di colori, dalla prime macerie a tutto là in fondo…»,  nonostante la storia e la ferocia degli umani, «c’è del buon cuore dove che sia, non si può dire che tutto è crimine…».
Quel qualcosa di buono che pur esiste va prima visto per poter essere poi anche vissuto. E «non vediamo che quel che guardiamo e non guardiamo se non quello che abbiamo già in mente…».
Tutti, alla fine, andarono in soccorso del vincitore (Flaiano): «ci fosse stato qui per esempio l’Hitler a vincere, c’è mancato un pelo, vedreste ve lo dico io l’ora attuale, che sarebbero tutti per lui…a chi che avrebbe impiccato il più di ebrei, chi che sarebbe stato il più nazi…tirato fuori l’entragna a Churchill, portato in giro il cuore strappato a Roosevelt, fatto il più di tutti l’amore con Goering…».
Céline no. Céline rimase solo, generoso, ironico, libero: «anarchico sono, come ieri domani, e me ne frego proprio delle opinioni!».
Céline ci regala la danza potente, insensata e feroce della vicenda umana: «…il ballo al bersaglio, il rigodon che è tutto! per la madonna che si salta!»

Populismo

Inti-Illimani
El pueblo unido jamás será vencido
(Sergio Ortega-Quilapayún, 1970 – Esecuzione: Víctor Jara Sinfónico, 2019)

Ciò che pulsa e si esprime in questo video dal febbraio 2020 è sparito, non è più possibile, si è dissolto nella paura che pervade l’intero corpo collettivo. Le autorità non hanno creato l’epidemia da Sars2 ma certamente sanno bene come utilizzarla a fini reazionari.

Uno dei fatti più interessanti e più drammatici è che cittadini, partiti, intellettuali che pensano di essere ‘di sinistra’ o anche soltanto ‘progressisti’ sembrano non aver compreso che quanto sta accadendo è uno dei più potenti dispiegamenti della repressione e dell’antisocialità che la storia contemporanea abbia visto.
Il risultato del coacervo di miopia, terrore, ingenuità è una «‘vita’ spogliata delle sue libertà uccise dal liberismo», è il «lockdown dell’anima», è la «smaterializzazione della vita» (Eugenio Mazzarella, Dopo la pandemia: due riflessioni. L’ecumene che ci serve. Salvare la ‘presenza’, in «Pandemia e resilienza. Persona, comunità e modelli di sviluppo dopo la Covid-19», Edizioni Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma 2020, pp. 85-89) e quindi è di fatto la negazione dei presupposti biologici, sociali, relazionali, olistici, della ‘salute’.
Viene progressivamente cancellata la centralità dei corpi che abitano insieme lo spazio reale, il mondo degli atomi e non quello ingannevole e astratto dei bit. Una compiaciuta apologia della distanza sta distruggendo il corpo sociale e ogni sua residua possibilità di ribellione.
L’autentico significato degli ordini sanitari e securitari che da 14 mesi ci vengono imposti sta nell’isolamento, che è il vero e mai dismesso sogno del liberismo individualistico, del soggetto che fa tutto chiuso in una stanza davanti al suo monitor: relazioni, film, conoscenza, scuola, università, acquisti, sesso, tempo libero.
Sta vincendo non soltanto l’idea ma proprio la sensazione fisica profonda e sempre più interiorizzata che l’altro costituisca un rischio, un morbo, un infetto da tenere lontano di uno, due, tre metri; da incontrare senza volto dietro le maschere/museruole; da non toccare mai e dal quale mai essere toccati. In una condizione così artificiosa, lugubre, autoritaria, ogni possibilità di unirsi per rivendicare, protestare, rimanere liberi è chiaramente dissolta. È il sogno di ogni potere autoritario. È questo sogno che si va realizzando sotto i nostri occhi ormai complici, distratti, rassegnati.

Contro questo sogno reazionario, contro questo incubo della dissoluzione della vita umana che è vita politica, il mio auspicio è che «de pie cantar que el pueblo va a triunfar».

El pueblo unido jamas sera vencido,
El pueblo unido jamas sera vencido!
De pie, marchar que vamos a triunfar.
Avanzan ya banderas de unidad,
Y tu vendras marchando junto a mi
Y asi veras tu canto y tu bandera
Al florecer la luz de un rojo amanecer
Anuncia ya la vida que vendra

De pie, luchar,
Que el pueblo va a triunfar.
Sera mejor la vida que vendra
A conquistar nuestra felicidad
Y en un clamor mil voces de combate
Se alzaran, diran,
Cancion de libertad,
Con decision la patria vencera

Y ahora el pueblo que se alza en la lucha
Con voz de gigante gritando: Adelante!
El pueblo unido jamas sera vencido,
El pueblo unido jamas sera vencido!

La patria esta forjando la unidad
De norte a sur se movilizara,
Desde el salar ardiente y mineral
Al bosque austral,
Unidos en la lucha y el trabajo iran
La patria cubriran.
Su paso ya anuncia el porvenir.

De pie cantar que el pueblo va a triunfar
Millones ya imponen la verdad.
De acero son, ardiente batallon.
Sus manos van, llevando la justicia
Y la razon, mujer,
Con fuego y con valor,
Ya estas aqui junto al trabajador.

Y ahora el pueblo que se alza en la lucha
Con voz de gigante gritando: Adelante!
El pueblo unido jamas sera vencido,
El pueblo unido jamas sera vencido!

[Questo testo è stato pubblicato su corpi & politica e su girodivite.it]

Stupri

Róża
di Wojciech Smarzowski
Polonia, 2011
Con: Marcin Dorocinski (Tadeus), Agata Kulesza (Róża), Malwina Buss (Jadwiga), Kinga Preis (Amelia)
Trailer del film

La Masuria è una regione della Polonia per secoli appartenuta alla Prussia. L’immagine qui sopra mostra uno dei suoi paesaggi. Confinante con regioni russe e, appunto, polacche, aveva sviluppato -come sempre accade in questi casi– dei forti legami con la Germania. Tanto è vero che vi si parlava il tedesco e la più parte degli abitanti erano luterani (la Polonia, come si sa, è invece fortemente cattolica). Fu per questo che nell’estate del 1945, a guerra ormai finita con la vittoria degli angloamericani e dei russi, in Polonia gli orrori continuarono proprio contro i Masuri.
Il film di Wojciech Smarzowski racconta tali orrori senza eufemismi e infingimenti. Verso la relazione che lega il soldato polacco Tadeusz alla masura Róża, vedova di un soldato tedesco, si scatena la violenza dei polacchi e dei militari dell’Armata Rossa. Tadeusz ha un ardimento senza incertezze e protegge come può la donna, che le ripetute violenze conducono però a una malattia mortale.
Il film comincia con uno stupro seguito dall’uccisione della vittima e ha il coraggio, lungo tutta la narrazione, di mostrare la normalità, quasi ‘da prassi’, di questa immonda pratica da parte dei soldati di qualunque esercito contro le donne della popolazione nemica. Basti ricordare La ciociara di Vittorio De Sica (1960), film nel quale una donna italiana e la sua figlia dodicenne vengono violentate dai Goumiers, soldati marocchini dell’esercito francese.
E così continua in tutti i conflitti, oggi. Che si tratti di guerre di religione, economiche, imperialistiche, democratiche, la pratica dello stupro di massa è uno dei segnali più evidenti sia della natura umana sia dell’orrore che è la storia. È una conferma, se ce ne fosse bisogno, della nostra animalità che marca il territorio (come fanno cani, gatti e altri mammiferi con le urine) e cerca di sostituire i propri geni a quelli del clan avversario. La pretesa del sedicente Sapiens di non appartenere a questo mondo è semplicemente patetica, per non dire profondamente sciocca.
Róża narra natura e storia attraverso la densità dei colori che mutano con le stagioni in una regione ricca di foreste e di laghi; mediante la sobrietà dei dialoghi; tramite l’evidenza quasi rassegnata della ferocia.

[Photo by Łukasz Łada on Unsplash]

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