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Un’ignoranza politicamente corretta

Giovedì 27 marzo 2025 alle 16.00 nella Sala rotonda del Coro di Notte del Disum di Catania parleremo del mio Ždanov. Sul politicamente corretto  e del libro di Davide Miccione La congiura degli ignoranti. Note sulla distruzione della cultura.
A discuterne saranno Francesco Coniglione, Fernando Gioviale ed Enrico Palma. L’evento è organizzato dall’Associazione Studenti di Filosofia Unict (ASFU).

«Una scuola realmente democratica dovrebbe invece essere capace di selezionare la classe dirigente attraverso criteri non di padrinaggio politico, di appartenenza ideologica o di fortuna familiare ma di merito personale, competenza e volontà. Regalando a tutti dei diplomi e delle lauree frutto di un insegnamento dequalificato e superficiale – e quindi inutile –, i “riformatori” all’opera in questi anni stanno confermando in realtà la sostanza vecchia e classista dei loro progetti, la quale si esprime anche nella Società dello spettacolo diventata la Società dell’ignoranza. Un’ignoranza che non sa di esserlo o che persino si vanta di esserlo. Molte persone ritengono infatti del tutto normale rinunciare ai fondamenti del pensiero argomentativo, quello che cerca di dimostrare ciò che si afferma, a favore di una esposizione fondata sul sentito dire delle piattaforme digitali, sul principio di autorità, su impressionismi psicologici, su ricatti sentimentali volti a emotivizzare le decisioni e le azioni, invece di razionalizzarle, su una comunicazione aggressiva, sull’omologazione pervasiva e schiavile del politicamente corretto. Anche e soprattutto in questo consiste la dissoluzione della scuola e dell’università» (Ždanov, p. 103).

«Tutto ciò che negli ultimi millenni abbiamo considerato come cultura scompare dalla mente della maggioranza dei contemporanei, si dilegua senza neppure fare rumore: che sia il senso della ricchezza della lingua e la sua conoscenza o la capacità di coltivare la dimensione teorica e non immediatamente riducibile alla sua pratica utilizzazione; che sia l’articolata e raffinata capacità di concettualizzare ciò che ci accade o di storicizzare ciò che vediamo vagliandolo.

Basterebbe ridare a questi professori spazio per fare, togliere loro le mansioni inutili, non pensare a loro come impiegati da controllare. Basterebbe fare della scuola luogo di pensiero, discussione, ricerca e non l’ennesimo ramo di un capitalismo della vigilanza che si fa sempre più grottesco. […] Se seguiamo questo filo (quello della comunità intellettuale riunita per la crescita delle nuove generazioni) molte cose oggi appaiono deliranti, superflue, nocive e molti elementi appaiono mancanti»
(La congiura degli ignoranti, p. 25 e pp. 93-94).

Emergenze

Il Prontuario per le emergenze ad uso dei governanti a firma di Davide Miccione, pubblicato su Aldous il 13 marzo 2025, è un testo che coniuga implacabilità logica, realismo politico, ironia espressiva.
Lo riporto qui integralmente poiché condivido per intero l’analisi che da esso emerge del nostro tempo, della sua sostanziale natura servile, la quale rende molte persone semplicemente incapaci di vedere ciò che accade.

Testo sul sito della rivista
Pdf del testo

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Quella venuta meglio resta il covid, senza alcun dubbio. Quella venuta peggio la guerra Israele-Palestina. Ancora più improbabile sembra la chiamata al riarmo immediato europeo. In mezzo abbiamo il patriarcato, l’omofobia, la guerra russo-ucraina, l’immigrazione, l’apocalisse climatica, il ritorno del fascismo. La velocità di sostituzione delle emergenze segue la crescente velocità di sostituzione delle merci, però funziona sempre peggio. Ogni sostituzione di emergenza si fa disvelamento progressivo per qualcuno e, sebbene alcuni di loro finiscano poi prigionieri di fantasiose e altrettanto dogmatiche contronarrazioni, il lavoro di convincimento delle masse sembra farsi sempre più faticoso per quel povero clero intellettuale (giornalisti, showrunner, sceneggiatori, romanzieri light, ghost writers dei politici ecc) cui è demandato tutto il peso delle narrazioni sul mondo.

Da aspiranti “emergenzologi” vorremmo provare a fare un po’ di chiarezza sui prerequisiti necessari per una buona emergenza anche ad uso dei sempre più stanchi governanti. In verità l’asset di potere su cui quasi tutte le costruzioni delle emergenze si sono basate appare in via di disarticolazione e il nuovo potere ascendente sembra voler sostituire la costruzione delle emergenze facendosi emergenza esso stesso. Trump sembra dire: posso fare di tutto, non ho limiti, sono imprevedibile: “l’emergenza c’est moi”. Quest’ultimo passaggio spiazza la nascente scienza dell’emergenzologia che avrà bisogno di più tempo per processare questi ultimi eventi ma vi è comunque la certezza che il vecchio sistema tradizionale di costruzione delle emergenze che ha i suoi prodromi in Italia già con l’entrata nell’Euro (l’emergenza di un treno che non poteva essere perso) e ancor prima in tangentopoli (l’emergenza corruzione) e nella strategia della tensione e che tante soddisfazioni ha dato nell’esercizio del potere, non verrà messo né del tutto né per molto in cantina.

Ecco dunque il prontuario per una buona emergenza. In primis l’emergenza deve essere vera. Ci deve essere davvero un virus, una guerra, dei morti, un cambiamento climatico, un atroce atto terroristico eccetera. Non bisogna farsi prendere dalla hybris e costruire sul nulla, sebbene in alcuni casi (l’emergenza antrace irakeno) anche la “fake emergenza” possa funzionare in assenza di significativi gruppi simpatizzanti con la controparte. Se però l’emergenza è vera in che senso parlare di emergenza e non della “cosa” stessa che ci impone la sua realtà? Per rispondere vanno analizzati con cura i parametri.

In primo luogo l’emergenza è caratterizzata dall’essere in parte causata, nel suo reale rischio collettivo, da quelle stesse forze che la sbandierano come ragione sociale del proprio intervento politico. Così, ad esempio, in quella riuscita meglio, una classe politica che aveva disinvestito sugli ospedali e le terapie intensive ci spiegava che ogni disposizione di legge era permessa perché in caso contrario i posti in ospedale non sarebbero stati sufficienti oppure, in altre emergenze, una classe politica che non ha investito nel welfare, nella scuola e nel controllo del territorio lancia l’emergenza della mancata integrazione degli immigrati. O ancora, una classe imprenditoriale malata di sviluppismo e vissuta sul consumismo scopre il tema dell’inquinamento e dell’ambiente.

In secondo luogo, oltre ad aver parte nel rendere l’emergenza più grave di quanto sarebbe potuta essere a causa di scelte precedenti, chi la cavalca ne acuisce gli effetti anche in atto. Ad esempio, nella nostra best practice di studio, lo fa impedendo alla medicina di prossimità di intervenire (i medici non visitino i malati!) o evitando siano prescritti farmaci adeguati e sostituendoli con vigili attese.

E poi necessario bloccare la linea temporale. Ogni buona emergenza nasce dall’istituzione di un limite temporale di partenza che non può essere violato senza incappare nella stigmatizzazione sociale. La guerra russa-ucraina va pensata dal 24 febbraio 2022 e non prima, l’attacco israeliano a Gaza dal 7 ottobre 2023. Il clima va analizzato senza andare troppo indietro nei secoli, il covid non ha predecessori e, senza vaccino, è un ufo contro cui si può solo fare vigile attesa eliminando anche la vecchia priorità dell’immunità naturale. Ancora, i dati sui delitti degli anni passati sulle donne non esistono eccetera.

L’emergenza va ritagliata anche nella sua possibilità di pensarla. Si esprime solo in un modo e si può lottare in essa solo in un modo. Dunque solo la Co2 conta per l’emergenza clima (le decine di altre questioni, ad esempio il consumo di suolo, diventano improvvisamente irrilevanti), solo l’immunizzazione dal covid conta (e, qualsiasi altra patologia le scelte politiche anticovid facciano aumentare, è fuori dal cono di luce dell’emergenza e quindi trascurabile); solo i morti israeliani, solo l’autonomia ucraina vale ma non quella dei russofoni ucraini, e così via. L’emergenzialismo, come Figaro, canticchia perennemente “uno alla volta, uno alla volta per carità”.

Un buon consiglio per una buona emergenza è di non far coincidere i cattivi della vicenda con una minoranza organizzata (errore fatto con i pro-palestinesi) ma di ritagliarla nella carne viva della società, tra gente che non sa ancora di essere il chiodo che sporge. Inquinatori con l’Hammer in garage e tizi che coltivano bio, se non hanno avuto fede nel verbo emergenziale climatico, si sono trovati incasellati nella medesima casella del negazionismo. Fascisti, comunisti, liberali, conservatori e progressisti, se hanno visto con perplessità le politiche pandemiche, si sono ritrovati nella casella dei no vax e cosi via.  L’emergenza infatti va fatta coincidere, dopo averla ritagliata tematicamente e temporalmente, con il bene assoluto e tanto colui che non crede, quanto colui che non ritiene sia perimetrabile come ha deciso la macchina informativa, quanto infine colui che pensa di risolverla diversamente, si trovano allocati nel male e vengono costituiti dall’esterno e omogeneizzati come una specifica classe di malvagi in quanto avversari del bene. La specificità del sistema è quella di accorpare posizioni diverse e definibili solo ex contrario dalla mancata adesione alla “brutta novella” causando una orribile stenosi del pensiero e del principio di realtà. Diventano così putiniani tanto coloro che apprezzano Putin quanto chi non l’apprezza ma ne capisce le ragioni e perfino chi non l’apprezza, non ne capisce le ragioni ma ritiene che si debba cercare la pace. Diventa antisemita sia chi odia gli ebrei e sia chi ama gli ebrei ma pensa che gli israeliani stiano esagerando. Diventa no vax sia chi teme tutti i vaccini, sia chi teme i soli vaccini anticovid e persino chi (ho conosciuto personalmente un caso) stando all’estero ha fatto senza problema i vaccini anticovid tradizionali (cinesi o cubani ad esempio) ma tornando in Europa non era disposto a fare quelli a mRNA.

Una lettura totalitaria del mondo è dunque strutturale al sistema emergenza. A fronte di questa, la barbarie della verità che ci mostra l’amministrazione Trump, così chiara nel mostrare i rapporti di forza e la solita natura predatoria umana squadernata in bella vista, appare come l’ultima tappa di un progressivo disvelamento del reale che il ventunesimo secolo ci sta regalando. Che poi le masse sappiano approfittare di questa opportunità di comprensione è un altro discorso.

«Chi si fa verme»

E dunque la seconda presidenza Trump sta cancellando le finzioni con le quali la colonia Europa ha giustificato a se stessa la propria servitù agli Stati Uniti d’America.
Ora il dominio del padrone americano appare per come realmente è: brutale, colonialistico, violento. Merito di questo miliardario è aver sollevato il velo – «sfrondato gli allori», direbbe Ugo Foscolo – e posto davanti agli occhi degli europei la verità del dominio e della servitù.
I ciechi non vedono, sennò non sarebbero ciechi, e tuttavia è talmente palese il disprezzo degli USA verso i colonizzati europei da gettare nello sconcerto i ceti dirigenti delle nazioni prone e il corrotto governo  dell’Unione Europea guidato da Ursula von der Leyen. Non si aspettavano proprio di essere ricambiati con il soldo dell’umiliazione, dopo aver fatto in tutto e per tutto gli interessi degli USA, distruggendo l’Europa in una guerra per procura contro la Federazione Russa e persino accettando il sabotaggio del gasdotto NordStream2 che riforniva di gas russo Germania ed Europa a costi molto vantaggiosi.
La psicologia collettiva e la filosofia della storia ci insegnano da sempre che un padrone può ben avvalersi dell’opera dei servi ma naturalmente non li rispetterà mai, proprio perché sono servi.
Tra i Paesi europei l’Italia è particolarmente disprezzata. Nel maggio del 2022 ponevo infatti «una semplice domanda: che cosa ha fatto la Federazione Russa all’Italia? In quali circostanze, modi, azioni ha aggredito il territorio italiano o le sue rappresentanze, ha tradito gli accordi commerciali o politici, ha leso i diritti dei cittadini italiani?»
La risposta è: niente, la Russia non ha fatto niente all’Italia nella sua storia recente. E tuttavia, pur senza aver subìto dalla Russia il minimo affronto o pericolo, l’Italia ha contribuito e sta contribuendo in modo massiccio – militarmente, finanziariamente, politicamente – alla guerra degli USA e della NATO contro la Russia. E questo anche a costo di sottrarre risorse finanziarie (soldi) alla sanità, alla scuola, all’università, ai trasporti. Lo fa il governo Meloni e lo fanno con altrettanto zelo le cosiddette ‘opposizioni’ guidate da quella entità penosa che è il Partito Democratico.
Perché accade? Perché, come spesso nella sua storia, l’Italia e i suoi governi sia di ‘destra’ sia di ‘sinistra’ sono senza onore, il che vuol dire che non fanno gli interessi degli italiani ma quelli dei padroni che guidano tali governi, ridotti a colonie.
«Wer sich aber zum Wurm macht, kann nachher nicht klagen, daß er mit Füßen getreten wird.
Ma chi si fa verme, non può poi lamentarsi d’essere calpestato»
(Immanuel Kant, Die Metaphysik der Sitten – La Metafisica dei costumi [1797], trad. e note di G. Vidari, Laterza, Bari 1973, parte II, I sezione, II capitolo, p. 297).
A proposito di metafore e similitudini etologiche, ha ragione Alberto Capece quando scrive che «la povera Europa strilla e corre senza meta come un gallina senza testa»…
Dolorosa e sostanziale testimonianza di tutto questo è infatti che la stessa struttura politica – l’Unione Europea e le sue articolazioni finanziarie – la quale con Draghi e con von der Leyen aveva per anni escluso categoricamente che si potesse deviare dal cosiddetto «patto di stabilità» per fornire ai cittadini europei i servizi sanitari, scolastico-universitari, pensionistici, dichiara ora che tale ‘patto’ può e deve essere sospeso per riempire l’Europa di armi. Ciò che non si poteva fare per salvare la sanità, i bambini, gli anziani, la formazione scolastica e universitaria, i trasporti, il lavoro (in Grecia e in tutta Europa) è ora richiesto e voluto per continuare una guerra e incrementare il militarismo, per dissipare in questo modo le risorse e le vite dei cittadini europei.
Qui si mostra la reale natura del liberismo e del capitalismo, una natura che è sempre guerrafondaia, sempre distruttiva, sempre antisociale.
E ancora una volta trova conferma la tesi che soltanto dalla dissoluzione dell’Unione Europea potrà forse rinascere la civiltà europea, ora in mano a un ceto dirigente globalista e delirante, un’Europa che mai era stata così politicamente umiliata.

Israele

[Versione (più ampia) dell’articolo in pdf]

Assistere al genocidio, alla distruzione, alla tortura di un intero popolo – donne, vecchi, bambini – il popolo palestinese, da parte di uno stato razzista e suprematista; approvare tale massacro e tutto questo orrore; dargli forza con le armi, con l’informazione, con la diplomazia. 
Che le classi dirigenti europee siano, nel 2025, complici di tale abominio, fa capire che cosa sia accaduto nel nostro continente negli anni Trenta del Novecento.
Fa capire quanto illegittima sia la pretesa di supremazia morale e politica sul resto del mondo da parte delle moribonde democrazie liberali.
Fa capire quanto carnefici siano Israele e le strutture statuali, finanziarie, mediatiche che nell’occidente anglosassone ne sostengono l’azione di sterminio.
Fa capire quanto fasulli e ipocriti siano i valori mediante i quali si è trasformato il discorso pubblico in un dogma, valori quali: il rispetto, la non violenza, l’inclusione et alia, proclamati ai quattro venti mentre si tace o si è complici della più tenace pratica di esclusione e di apartheid della storia contemporanea; ricordo pagine e pagine di commozione mediatica per un solo bambino morto durante il naufragio di una barca di migranti nel Mediterraneo; sulle decine di migliaia di bambini palestinesi assassinati, feriti, mutilati, per sempre traumatizzati, cala il silenzio da parte dei buoni, a dimostrazione che non sono buoni ma sono soltanto delle marionette che si muovono sulla base di ciò che televisione e altri media presentano.

La brachilogia avrebbe potuto fermarsi qui. E però affermazioni come queste devono essere documentate quanto meglio possibile. Il testo è diventato talmente ampio da non poter essere pubblicato in html, come pagina del sito. Ho dunque preparato un pdf, che potrà essere scaricato e letto da chi lo desidera. Qui ne riporto alcune pagine.
Parte di tale documentazione è stata da me utilizzata in un saggio dal titolo Sul genocidio dei Palestinesi, pubblicato sul n. 69 (luglio-agosto 2024) del bimestrale Dialoghi Mediterranei; altra documentazione, soprattutto quella proveniente dall’ONU, si trova qui: La soluzione finale.

Altri documenti:

1) La migliore analisi che abbia letto sull’evoluzione della politica e dell’identità israeliane è di Aleksandr Dugin: Il Grande Israele e il Messia vittorioso, «Euro-Synergies», 24.12.2024 (in francese).

2) Testi da La causa dei popoli
Un’ampia documentazione sul genocidio, che in Palestina è in corso non dall’autunno del 2023 ma da decenni, si trova nel numero VIII/20-21, 2024 della rivista La causa dei popoli. Inserisco qui il pdf dell’intero numero, dal quale estraggo le seguenti affermazioni:

«Due campi fondamentali all’interno della società ebraica israeliana, oggi impegnati in quella che si può definire una guerra civile fredda. Si tratta di uno scontro tra quello che possiamo definire lo stato di Giudea e lo stato di Israele. Lo stato di Giudea è sorto negli insediamenti ebraici della Cisgiordania. Nato come movimento ideologico marginale, non è diventato una forza politica di rilievo centrale. Non si preoccupa dell’opinione pubblica mondiale, inclusa quella americana, e crede di poter realizzare con l’aiuto di Dio uno stato ebraico elitario e teocratico tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo» (Ilan Pappé, p. 3);
«Il fatto che molti ebrei, in Israele e altrove, rifiutino il sionismo dimostra che questa ideologia colonialista e razzista non coincide con l’ebraismo. Non solo, ma il fatto che alcuni dissidenti siamo stati costretti a espatriare per scampare alle ritorsioni governative conferma che il regime non tollera gli oppositori, soprattutto se occupano posti di rilievo che permettono loro di raggiungere un vasto pubblico. Davanti a questi fenomeni, lonestà intellettuale dovrebbe imporre di ammettere che il titolo di ‘unica democrazia del Medio Oriente’ è l’espressione di una posizione filo-israeliana basata sulla malafede e del tutto slegata dalla realtà» (Alessandro Michelucci, p. 5);
«Molti dei miei parenti sono stati sterminati nell’Olocausto. Niente è più spregevole che usare la loro sofferenza e il loro martirio per tentare di giustificare la tortura, la brutalità e la demolizione delle case che ogni giorno Israele commette contro i palestinesi. Mi rifiuto di lasciarmi intimidire dalle lacrime. Se aveste un cuore lo usereste per piangere i palestinesi» (Norman Finkelstein, dal documentario American Radical: The Trials of Norman Finkelstein [2009], p. 11);
«Il 15 maggio 2023, per la prima volta, le Nazioni Unite hanno commemorato ufficialmente la Nakba palestinese, o  ‘catastrofe’, un trauma nazionale che è iniziato nel 1947 e non è ancora finito. A novembre gli stati membri dell’Assemblea Generale hanno votato una risoluzione dove si riconosce il calvario delle generazioni che vivono sotto l’occupazione da quando le milizie israeliane le hanno cacciate dalle loro città e dai loro villaggi per costruire uno stato sionista. Gli Stati Uniti hanno votato contro la risoluzione e hanno boicottato l’iniziativa. La Nakba e il progetto coloniale sionista non vengono raccontati nei libri di storia. Washington ha usato ogni mezzo per occultare la tragedia palestinese al pubblico americano» (Reza Behman, p. 20).
«Israele non tollera ctitiche di nessun tipo. A queste, laddove è possibile, reagisce con una censura che ha ormai raggiunto livelli degni delle dittature più buie. Questa censura non viene praticata soltanto dal governo di Tel Aviv, ma viene applicata diligentemente anche da molti altri paesi. Dall’Italia all’India, dagli Stati Uniti all’Australia, studenti e professori vengono sanzionati, convegni e concerti vengono cancellati, artisti ed esponenti politici vengono epurati per essersi espressi in modo sgradito al governo israeliano. Chiunque lo contesti viene accusato di antisemitismo; dimostrare pubblicamente contro il genocidio di Gaza diventa una manifestazione di solidarietà nei confronti di Hamas; negare il ‘diritto di reagire’ alle stragi del 7 ottobre 2023 significa auspicare la ‘cancellazione di Israele’. Accanto a questi casi, ben visibili perché legati a episodi specifici, ne esiste un altro, meno evidente ma molto più importante, che tocca un pilastro centrale dell’intera architettura statale israeliana: contestare il dogma che considera la Shoah un genocidio mai visto, unico e irripetibile, o meglio ancora, l’unico evento storico che meriti di essere considerato un genocidio. Tutto questo ha trovato conferma in tempi recenti» (Alessandro Michelucci, p. 37).
«Quello che Israele sta facendo a Gaza col sostegno americano è un crimine contro l’umanità che non ha nessuno scopo militare. […] terre. In un eccellente articolo della New York Review of Books, David Shulman racconta la conversazione che ha avuto con un colono, che riflette chiaramente la dimensione morale del comportamento israeliano. ‘Certo, quello che stiamo facendo è disumano’, ammette il colono, ‘ma se ci pensate bene, tutto deriva dal fatto che Dio ha promesso questa terra agli ebrei, e soltanto a loro’» (John J. Mearsheimer, pp. 51-52).

3) Un altro testo, che mi è capitato di leggere quasi per caso e del cui autore non so nulla, coglie una delle principali ragioni della tragedia che sta colpendo non soltanto i palestinesi, non soltanto gli ebrei, non soltanto il Vicino Oriente ma il nucleo stesso della civiltà europea: il pensare. Perché pensare significa anche tenere conto della potenza del Sacro e dunque cercare di delimitarla. Se non ci si riesce, il risultato è la ferocia, è il massacro.
Il Sacro non potrà mai essere cancellato, esso infatti coincide in gran parte con l’umano. Può e deve invece quanto più possibile essere circoscritta la sua manifestazione religiosa, che è una espressione non di pensiero ma di autorità. Da questa prospettiva i due secoli forse meno religiosi della storia europea recente sono stati il Sette e l’Ottocento. Il Novecento ha invece visto un ritorno potente del sentimento religioso tramite la trasformazione delle opzioni politiche in fedi appunto religiose. Il XXI secolo sta aggravando tale metamorfosi, che non a caso – anzi inevitabilmente – si sta inverando nell’imposizione di verità indiscutibili; nella metamorfosi di contenuti politici, etici, scientifici in verità di fede; nella trasformazione dei critici in eretici.
Esempio tragico di tutto questo è l’essere diventato lo Stato di Israele un tabù, che in quanto tale nessuno può toccare, non può neppure sfiorare. Ecco perché l’autore propone di dissacrare Israele, per ricondurre a sensatezza la politica e a misura la storia. E, naturalmente, per continuare a pensare senza obbedire a dogmi.
Si tratta dunque di una riflessione che (anche se con alcuni limiti) va al di là delle armi, della geopolitica, della cronaca e dell’informazione, pur avendo come oggetto le armi, la geopolitica, la cronaca e l’informazione.
Dissacrare Israele, di Stac, da MyTwoSpicci, 16.11.2024

4) Per quanto infine riguarda la tregua sottoscritta da Israele e da Hamas, temo che sarà soltanto una pausa più o meno breve nel progetto del Grande Israele, e dunque nella pratica del genocidio.
Sulla base della storia e alla luce dell’apartheid, del razzismo e del colonialismo israeliani, credo che abbia ragione Chris Hedges a scrivere (16.1.2025) che «Israele, per decenni, ha giocato a un gioco ingannevole. Firma un accordo con i palestinesi che deve essere attuato in fasi. La prima fase dà a Israele ciò che vuole, in questo caso il rilascio degli ostaggi israeliani a Gaza, ma Israele di solito non riesce a implementare le fasi successive che porterebbero a una pace giusta ed equa. Alla fine provoca i palestinesi con attacchi armati indiscriminati per vendicarsi, definisce la risposta palestinese come una provocazione e abroga l’accordo di cessate il fuoco per ricominciare il massacro». Spero davvero di sbagliarmi, ne sarei sorpreso e felice.
In ogni caso, «i filmati dai droni mostrano i palestinesi che camminavano tra gli edifici distrutti nell’area di al-Saftawi tra Jabalia e Gaza City nel nord di Gaza dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco.
La guerra di Israele contro Gaza, durata 15 mesi, ha ucciso 46.913 palestinesi e ne ha feriti altri 110.750, secondo il ministero della Sanità di Gaza.
Per 471 giorni, le forze di occupazione israeliane hanno impedito alle ambulanze e alle squadre di protezione civile di entrare nelle aree colpite a Gaza, ostacolando gli sforzi per curare i feriti, recuperare migliaia di persone da sotto le macerie e persino registrare con precisione il numero di palestinesi martirizzati e feriti» (Giubbe rosse, 19.1.2025)

In conclusione, i fatti – e non le tesi pregiudiziali – dimostrano che lo Stato di Israele non è per nulla «l’unica democrazia del Medio Oriente» ma, al contrario, è un’entità politica caratterizzata dai seguenti elementi:
-forti tendenze autoritarie e repressive, che si esplicano anche nella persecuzione dei propri cittadini di etnia e religione ebraica, come i membri di Neturei Karta International, che è un’associazione internazionale di ebrei ortodossi i quali condannano in modo assai chiaro il sionismo dello stato di Israele, giudicandolo incompatibile con la fede e con l’identità ebraiche. Qui si trovano dei documenti inerenti tale Associazione: Gaza 2023;
-una politica interna caratterizzata da apartheid e razzismo nei confronti dell’etnia araba;
-una politica estera di impronta colonialista e suprematista.

Marcosebastiano Patanè su Ždanov

Marcosebastiano Patanè
Dissipatio e zdanovismo. In difesa dell’Europa
il Pequod
anno V, numero 10, dicembre 2024
pagine 18-27

Indice
1 Oicofobia e politicamente corretto
2 Diritti, astrazione, Capitale
3 Progressismo
4 Il «coro degli spiriti della vendetta»

«Il wokismo, il politicamente corretto e la cancel culture condividono con i totalitarismi del Novecento l’odio verso il passato e la volontà radicale di trasformazione dell’esistente nella forma di un’imposizione dall’alto da parte di un’élite illuminata che deve condurre le masse verso un mondo nuovo, un Brave New World. […] L’auspicio di Biuso è quello della nascita di un nuovo Nomos della Terra contro la globalizzazione anglosassone, contro i popoli eletti e le élites illuminate. […]
Spinoza, Heidegger, Nietzsche, Mazzarella, Schmitt, per nominarne alcuni tra i più rilevanti. Accanto a questi nomi troviamo anche diversi scrittori, Orwell, Huxley, e poi ancora sociologi, poeti e uomini politici. Un nome, però, rischia forse di sfuggire. Si tratta di Hieronymus Bosch. Il particolare scelto per la copertina del volume, infatti, appartiene a un celebre dipinto del misterioso maestro fiammingo, Il Trittico delle tentazioni di Sant’Antonio, nello specifico un particolare del pannello centrale che vede nel mezzo della raffigurazione la figura di Sant’Antonio rivolta verso l’osservatore e tutt’intorno un’intricata, rizomatica, danza di figure ed eventi. […]
Gli spiriti della vendetta di Bosch sono anche il risultato che attende chi dimentica il passato, chi ignora la potenza del Bios, chi disconosce il dispositivo di identità e differenza che intride e governa l’Intero, chi ritiene che dall’alto del proprio potere tecnico possa divenire il padrone di un mondo rifondato a propria immagine e somiglianza stabilendone le regole e le origini».

Il tempo si dice in molti modi

Lo scorso 31.10.2024 tenni un seminario (a distanza) nell’ambito del PRIN  Synchronized with Nature. Measuring time in ancient Egypt and Mesopotamia: archaeological and textual evidence. Il titolo era COMPUTUS. Tempo storico e molteplicità del tempo. In quell’occasione ci soffermammo quasi esclusivamente sulle diverse forme del computus, del calcolo del tempo nelle diverse civiltà, epoche e culture europee.
La seconda parte del seminario si svolgerà il prossimo giovedì, 16 gennaio 2025.
Parleremo di come il tempo si dica appunto in molti modi, costituisca una realtà pervasiva e molteplice.
Presenterò (brevemente) nove forme del tempo: cosmico, fisico, convenzionale, sociale, psicologico, somatico, genetico, antropologico e il tempo/temporalità.
Spero che la definizione di queste forme ci faccia meglio comprendere che l’essere umano è tempo incarnato; il corpomente è la consapevolezza dell’essere noi stessi tempo: «L’esserci, compreso nella sua estrema possibilità d’essere, è il tempo stesso, e non è nel tempo» (Heidegger). Una tesi come questa non esprime un primato coscienzialistico sulla temporalità ma la costitutiva temporalità del nostro essere, che fuori dal tempo è letteralmente incomprensibile, indicibile, inesistente.
Che l’umano sia un grumo temporale non vuol dire che il tempo si risolva in noi ma, al contrario, che siamo noi a risolverci nel tempo, il quale «è la sostanza di cui son fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume; è una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre; è un fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco» (Borges)

Il link per partecipare è: https://meet.google.com/bwb-rjyn-vmh
In questa locandina si può leggere il programma completo dei seminari, che sono pubblici.

[L’immagine di apertura è una fotografia della galassia M104 / NGC 4594, denominata Sombrero, distante dalla Terra 29,5 milioni di anni luce]

Storia e specchi

Storia e specchi
Aldous
, 11 dicembre 2024
Pagine 1-2

In questo articolo ho cercato di mostrare quanto feconda sia la critica di Friedrich Dürrenmatt ai poteri politici e al dogmatismo culturale, come essa si esprime anche nell’ultimo testo drammaturgico da lui creato: Achterloo (1983). Un’affermazione quale «oggi siamo in grado di costruire una gabbia da cui è impossibile evadere» è molto più vera per il presente virtuale/digitale del XXI secolo che per gli anni Ottanta del Novecento, così come l’intuizione dei processi futuri – e oggi presenti – di ibridazione tra il corpomente umano e i computer: «Il computer, liberato dall’uomo suo creatore, è il senso ultimo dell’uomo; in esso l’uomo trova il suo perfetto compimento. […] Il rosso sanguigno del tramonto verso il quale, divenuta ormai superflua, l’umanità si avvia barcollando, per dissolversi in esso, è nello stesso tempo il rosso di un’alba da cui, come da un bagno di fuoco, sorgerà la nuova umanità, l’umanità dei cervelli artificiali».
Ho posto queste tesi del drammaturgo svizzero a confronto con le analisi di uno dei più attenti sociologi contemporanei, secondo il quale l’ontologia della Rete consiste nel fatto che «le macchine IA non ‘pensano’, operano» (Renato Curcio, Sovraimplicazioni. Le interferenze del capitalismo cibernetico nelle pratiche di vita quotidiana, 2024) e questo significa «che ciò che il dispositivo comunque e in ogni caso non può fare è proporre una risposta ‘intelligente’. E cioè una risposta creativa, non prevista o non desiderata nei magazzini in cui sono stoccati i suoi dati di riferimento o nei cloud di computo, assemblaggio e d’indirizzo. Una risposta che nasca da associazioni non consuete, improbabili, proiettate a suggerire un mutamento del sistema» e non a ribadire l’ineluttabilità dell’esistente attraverso il crisma algoritmico.
Strumento molto utile per ottenere tale passività del pensare (e dunque dell’agire) è la linguistica computazionale, la quale cerca di rimodellare e tradurre i linguaggi ordinari delle persone umane in linguaggi comprensibili e manipolabili dai software, in questo modo interferendo con i linguaggi e con i comportamenti che ne scaturiscono. Un esempio è il linguaggio politicamente corretto, definito da Curcio «l’ipocrisia istituzionalizzata», linguaggio che ha l’obiettivo di riprodurre l’esistente e rendere impossibile immaginare e organizzare «prospettive aperte, creative e istituenti».
I controlli linguistici che le piattaforme politicamente corrette operano contro parole, espressioni e concetti non coerenti con l’ideologia dominante del liberismo flussico costituiscono una delle più evidenti espressioni della società della sorveglianza nella quale siamo da tempo immersi.

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