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Todo Nihil

Le confessioni
di Roberto Andò
Italia-Francia, 2016
Con: Toni Servillo (Roberto Salus), Daniel Auteuil (Daniel Roché), Connie Nielsen (Claire Seth), Pierfrancesco Favino (il Ministro Italiano), Marie-Josée Croze (il Ministro Canadese), Richard Sammel (il Ministro Tedesco), Moritz Bleibtreu (Mark Klein)
Trailer del film

le_confessioniIn un maestoso hotel sul mare si incontrano gli otto ministri dell’economia più potenti del mondo. Daniel Roché, il banchiere che guida il Fondo Monetario Internazionale, invita al summit anche una scrittrice impegnata nella difesa dell’ambiente, un cantante rock e un monaco italiano. A quest’ultimo chiede di confessarsi. Il giorno dopo Roché viene trovato morto. Un evento che mette in discussione la manovra economica il cui varo avrebbe dovuto costituire il risultato più importante dell’incontro.
Quasi un Todo modo ambientato nel presente del dominio assoluto del dollaro e della finanza. Meno lugubre del film di Petri, più poetico, più metaforico, meno disperato. Ma assai chiaro nel mostrare come «la democrazia sia una finzione e il segreto sia indispensabile per guidare il mondo. I capi di governo sono delle anime morte al servizio delle banche. Il sistema è forse ormai fuori controllo».
Un soggetto molto interessante e tragico, che però è forse intessuto di un eccesso di simbolismo -enigmatica e centrale la scena del cane che minaccia i potenti della Terra e viene ammansito dal monaco-, di ambizione e di silenzi. Il silenzio è uno dei voti del monaco ma a volte si ha l’impressione che copra il fatto che non ci sia nulla da dire.
Bravissimi, more solito, Daniel Auteuil nel dare corpo a un banchiere tanto cinico quanto tormentato e Toni Servillo nel recitare con gli occhi, lo sguardo, le movenze misurate e insieme decise. Che il cinema cominci a raccontare la reale natura del potere contemporaneo -una natura assolutamente criminale- è buona cosa, in qualunque modo lo si faccia. Il film si scioglie su una formula matematica, su un algoritmo che non significa nulla. Lo stesso niente che intride la finanza.

Contro il crimine

Si fa finta -i giornali fingono, la televisione finge, i cittadini fingono- di non sapere e di non capire che la corruzione pubblica in Italia non è un problema di natura morale, è un problema di carattere economico-politico. Il bene e il male non c’entrano. C’entra invece l’enorme spreco di risorse pubbliche che tiene la società in ginocchio ostacolando e spesso rendendo impossibile l’erogazione di servizi essenziali per le collettività. E questo accade perché coloro che dovrebbero combattere la corruzione con gli strumenti legislativi sono essi stessi i maggiori corrotti e corruttori.
Si può dunque dire che l’Italia è in mano a criminali di diversa natura, funzione, identità. E lo è da tempo. Un caso come quello di Andreotti -esponente governativo di primo piano anche a livello internazionale- affiliato e complice di Cosa Nostra (prescritto non assolto!) è stato presto dimenticato per ovvie ragioni ma è un caso che dice tutto. Di massoni, di soggetti oscuri e sempre menzogneri, di patologici pubblicitari, come recenti presidenti della Repubblica e del Consiglio non è neppure il caso di discutere.
I criminali governano gli enti locali -da Bronte a Roma-; governano le banche; governano la Chiesa papista; governano le ‘forze dell’ordine’; governano il calcio; governano le Grandi Opere; governano numerose associazioni della cosiddetta ‘società civile’; governano molte università e centri di formazione; governano la televisione e la ‘grande stampa’. Governano -senza alcun dubbio- i partiti politici.
Anche per questo quando sento di qualcuno dire «è (o fu) un fedele servitore dello Stato» io penso che si tratti di servitori del crimine. Pur essendo (anche) un pubblico funzionario, spero bene che nessuno si sogni di dire di me una cosa del genere. Non c’è trattativa Stato-mafie. Perché non c’è trattativa tra il braccio destro e quello sinistro dello stesso organismo.
Possiamo fare poco, certo, nei confronti di tutto ciò ma almeno questo dobbiamo capirlo. E non fingere.

Bande

French Connection
(La French)
di Cedric Jimenez
Francia-Belgio, 2014
Con: Jean Dujardin (Pierre Michel), Gilles Lellouche (Gaëtan ‘Tany’ Zampa), Céline Sallette (Jacqueline Miche), Benoît Magimel (Il pazzo), Féodor Atkine (Gaston Deferre)
Trailer del film

Tany_ZampaMarsiglia, anni Settanta del Novecento. Dalla Turchia arriva la sostanza che dopo essere stata raffinata in laboratori clandestini viene venduta in Europa e negli USA. A dominare questo traffico è Tany Zampa, in collaborazione con chimici esperti, sicari determinati, padrini siculo-statunitensi, poliziotti e uomini politici. L’ingranaggio funziona assai bene e produce profitti enormi. Il giudice Pierre Michel prova a bloccarlo e ottiene notevoli risultati. Risultati che lambiscono le complicità istituzionali anche a livelli assai alti. Il giudice viene assassinato il 21 ottobre 1981. Zampa muore suicida in carcere il 16 agosto 1984. I poliziotti e gli amministratori di Marsiglia che resero possibile tutto questo fecero carriera, sino al ministero degli interni della presidenza Mitterrand.
le-juge-marseillais-pierre-michel-g-procede-le-12-octobre-1979-a-marseille-a-la-reconstitution-de-la-fusillade-du-bar-du-telephoneIl film di Jimenez racconta la vicenda e il suo contesto concentrandosi per intero sull’azione, sull’intreccio, sui movimenti, su una ricostruzione minuziosa e filologica degli oggetti, degli abiti, delle acconciature, delle cravatte, delle automobili negli anni Settanta. Tutto ruota sul confronto tra gli stili di vita personali del giudice e del delinquente. Un film dunque che non ha struttura politica ma di costume, un film con molto ritmo anche se con qualche lunghezza di troppo. E tuttavia anche da un’opera come questa -e soprattutto dagli eventi ai quali si ispira- si ha conferma che la cosiddetta lotta tra il crimine e lo stato è in realtà una guerra tra bande, dove ogni tanto qualche persona corretta e giusta viene stritolata. In Italia sappiamo bene come funziona.

Je suis (aussi) Ahmed

La paura delle parole arriva al parossismo. E lo fa proprio dove tutti in massa hanno detto Je suis Charlie. A Nizza infatti è stato interrogato Ahmed, un bambino di 8 anni che aveva ‘osato’ giustificare gli assassini di Charlie Hebdo. Non solo: «D’après le directeur départemental de la sécurité publique, Marcel Authier, l’enfant avait déjà refusé de participer à la minute de silence et de prendre part à une ronde de solidarité dans l’école au lendemain de l’attaque de Charlie Hebdo» («Apologie du terrorisme : pourquoi un enfant de 8 ans a-t-il été entendu par la police ?», Le Monde, 29.1.2015). A quanto pare, la polizia ha poi affermato di non aver formalizzato nessuna accusa a carico del bambino (e dei suoi genitori) perché Ahmed ‘non capiva il significato di ciò che ha detto’. Se invece lo avesse capito, sarebbe stato diverso? Portare davanti alla polizia un bambino o chiunque altro per aver soltanto detto ‘Io sto con i terroristi’, questo è fascismo, sì, questo è stalinismo, questo è Inquisizione. Quanti in Italia dicevano di non voler stare «né con lo Stato né con le Brigate Rosse» -compresi Alberto Moravia, Leonardo Sciascia e altri- meritavano dunque di essere sospettati, solo per aver detto quelle parole, di essere pronti a prendere le armi? È la conferma che quando si comincia ad aver paura delle parole non si sa dove si possa finire, o meglio lo si sa benissimo. E dunque Je suis (aussi) Ahmed.

Aldo Moro /  Stato

Televideo Rai, 12.11.2014, ore 15.31

Moro, pg: Pieczenik indiziato su omicidio

15.31 Nei confronti dell’americano Steve Pieczenik, ex funzionario del Dipartimento di Stato Usa e ‘superconsulente’ del Governo italiano ai tempi del sequestro di Aldo Moro, vi sono “gravi indizi circa un suo concorso nell’omicidio” dello statista democristiano. Lo sostiene il procuratore generale di Roma, Luigi Ciampoli, che chiede alla procura di procedere. C’è anche un altro indiziato, ma è morto: è il colonnello Camillo Guglielmi, già in servizio al Sismi, presente in via Fani la mattina del 16 marzo 1978 quando fu rapito Moro.

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Aldo Moro venne sequestrato e assassinato da organi dello Stato italiano su incarico del governo degli Stati Uniti d’America. Le Brigate Rosse furono il braccio armato di tale operazione.
È quello che pensava Guy Debord, il quale giudicava il «terrorisme illogique et aveugle» delle Brigate Rosse una emanazione della P2, da lui definita Potere Due (Préface à la quatrième édition italienne de La Société du Spectacle, in Commentaires sur la Société du Spectacle [1988], Gallimard 1992, p. 138).
La concordia tra lo Stato e il terrorismo rosso è per Debord svelata da un lapsus: S.I.M., la sigla con la quale le BR indicavano lo “Stato Imperialista delle Multinazionali” non sarebbe altro che il modo con cui le Brigate Rosse firmavano senza volerlo la loro vera natura di succedanee del Servizio Informazioni Militari del regime fascista (Ivi, p. 135).
Condivido l’analisi di Debord. Ulteriori conferme arriveranno. Tardi ma arriveranno. Lo Stato è un mostro che divora anche se stesso poiché «Staat heisst das kälteste aller kalten Ungeheuer. Kalt lügt es auch; und diese Lüge kriecht aus seinem Munde: ‘Ich, der Staat, bin das Volk’. Lüge ist’s! […]  Aber der Staat lügt in allen Zungen des Guten und Bösen; und was er auch redet, er lügt. […] Falsch ist Alles an ihm». [«Stato si chiama il più gelido di tutti i freddi mostri. Freddo anche nel mentire; e questa menzogna striscia dalla sua bocca: ‘Io, lo Stato, sono il popolo’. È una menzogna!  […] Ma lo Stato mente in tutte le lingue riguardo al bene e al male: e qualunque cosa dica, egli mente. […] Tutto è falso in lui»] (Friedrich Nietzsche, Also sprach Zarathustra, parte I, «Vom neuen Götzen [Del nuovo idolo]»

In difesa della trattativa

La trattativa
di Sabina Guzzanti
Italia, 2014
Con Enzo Lombardo, Filippo Luna, Franz Cantalupo, Claudio Castrogiovanni, Sergio Pierattini, Maurizio Bologna, Sabina Guzzanti, Nicola Pannelli, Michele Franco, Sabino Civilleri, Ninni Bruschetta
Trailer del film

«Quanto sia lodabile in un principe mantenere la fede, e vivere con integrità e non con astuzia, ciascuno lo intende: non di manco si vede per esperienza ne’ nostri tempi, quei principi aver fatto grandi cose che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con l’astuzia aggirare i cervelli degli uomini; e alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in sulla lealtà. […] Ma è necessario questa natura saperla bene colorire, ed essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici gli uomini e tanto obbediscono alle necessità presenti, che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare»
(Niccolò Machiavelli, Il Principe, cap. XVIII, Cremonese editore, 1955, pp. 70-71).
Di fronte dunque alle stragi perpetrate da Cosa Nostra in Italia all’inizio degli anni Novanta del XX secolo, che cosa avrebbe dovuto mai fare il Principe? Il suo dovere -per garantire pace e ordine- era trovare un accordo con un’autorità che non si poteva sconfiggere militarmente. E non la si poteva sconfiggere perché in realtà non di un nemico esterno si trattava ma di una parte delle istituzioni della Repubblica. Si trattava -e si tratta- di una fazione della quale hanno fatto parte dal 1945 amministratori locali e nazionali, capi di partito, magistrati, militari, altri e alti funzionari dello Stato. Tale appartenenza dimostra che l’obiettivo dell’organizzazione che va sotto il nome di Cosa Nostra non è mai stato soltanto l’arricchimento dei suoi membri tramite l’uso della violenza ma anche il mantenimento del sistema democratico e dei partiti che ne costituiscono il fondamento. Fu l’esercito statunitense, infatti, a porre uomini di Cosa Nostra a capo dei comuni siciliani. E furono i mafiosi a dare un contributo fondamentale alla permanenza dell’Italia nella sfera occidentale contro il pericolo comunista. Il sostegno, inoltre, alle aziende edili che rinnovarono Palermo, alla produzione e ai commerci durante l’impetuoso sviluppo economico, alle nuove realtà imprenditoriali come Mediaset, è sempre da tenere in considerazione quando si giudica la mafia.
Era quindi fisiologico che il maggior partito italiano -la Democrazia Cristiana- si fondesse, in Sicilia ma non solo, con Cosa Nostra. Fisiologico che la massoneria accogliesse nelle proprie logge molti suoi esponenti, sino a rendersi di fatto indistinguibile da CN. Fisiologico che la più importante realtà culturale e spirituale della nazione, la Chiesa cattolica, collaborasse attivamente con quegli uomini per il mantenimento dell’identità religiosa del Paese. Da tutto questo scaturisce con evidenza come fosse altrettanto -e soprattutto- fisiologico che le istituzioni della Repubblica non soltanto entrassero in ‘trattative’ contingenti e specifiche con Cosa Nostra ma che si scambiassero con regolarità informazioni, strutture, finanziamenti, uomini.
Soltanto se si comprende tutto questo si può, credo, capire che cosa sia stata la cosiddetta trattativa. Essa costituì l’inevitabile accordo tra il Ministero degli Interni guidato da Nicola Mancino, il Ministero della giustizia, la commissione Antimafia di Luciano Violante, la presidenza del Consiglio retta da diversi soggetti, i carabinieri del ROS del colonnello Mori, i Servizi di sicurezza di Contrada e dall’altra parte i capi moderati di Cosa Nostra come Vito Ciancimino e Bernardo Provenzano. Lo scopo fu quello di arginare da un lato la tattica stragista dei fratelli Graviano e di Salvatore Riina; e di arginare dall’altro l’oltranzismo giudiziario di magistrati come Falcone e Borsellino. Lo scopo fu di salvare la Repubblica. E tale scopo venne raggiunto. Il segno più evidente di tale risultato fu la scomparsa di molti partiti ormai superflui o vecchi e la nascita di una formazione nuova, dinamica, aperta come Forza Italia. Uno dei cui fondatori fu per l’appunto un mafioso di primo piano -giudicato tale ormai anche dai tribunali- come il palermitano Marcello Dell’Utri, al quale Silvio Berlusconi ha più volte correttamente e pubblicamente attribuito l’identità e il successo elettorale del suo partito. Che Berlusconi accogliesse nella propria casa e tra gli amici più intimi esponenti importanti di CN, come Vittorio Mangano, è soltanto una delle manifestazioni di tale profonda consonanza.
Venendo al tempo a noi più vicino, è del tutto in linea con tale storia la giusta difesa che l’attuale Presidente della Repubblica conduce strenuamente a favore del suo amico e allora Ministro Mancino. Non solo: uno degli elementi di maggiore importanza e significato della strategia del Presidente Renzi consiste nell’innovare, sì, ma rimanendo in continuità con le forze più moderate, occidentaliste e pragmatiche del Paese, a cominciare dalla massoneria nei suoi esponenti più vicini al mondo degli affari, compreso ovviamente il mondo di Cosa Nostra. Non a caso le attività di tali organizzazioni sono state di recente e finalmente inserite dall’Istat tra quelle che concorrono a formare il Prodotto Interno Lordo dell’Italia.
Infine, ma per me è la questione più importante di tutte, c’era e c’è un problema di giustizia. Non si vede infatti in base a quale criterio etico e politico alcuni dei soggetti che hanno concorso e concorrono a tale vicenda debbano stare in carcere -e subire addirittura le restrizioni dell’articolo 41 bis- e altri soggetti altrettanto responsabili di tutto questo debbano stare nei ministeri e in istituzioni ancora più importanti. L’omicidio, a suo tempo, dell’onorevole Salvo Lima fu una delle espressioni più chiare anche se dolorose di tale esigenza di giustizia.
Il film di Sabina  Guzzanti si occupa in parte di tutto questo, coniugando molta documentazione con un po’ di immaginazione. E in tal modo offrendo una buona sintesi della storia italiana nella seconda metà del XX secolo e negli anni Zero e Dieci del XXI.

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