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Pulizia

Villetta con ospiti
di Ivano De Matteo
Italia, 2020
Con: Michela Cescon (Diletta), Marco Giallini (Giorgio), Cristina Flutur (Sonja), Massimiliano Gallo (Commissario Panti), Vinicio Marchioni (Don Carlo), Bebo Storti (De Santis), Ioan Tiberiu Dobrica (Adrian)
Trailer del film

Una cittadina del Veneto. Tutti si conoscono, tutti conoscono gli schei, tutti conoscono il denaro e i desideri  e i piccoli e grandi affari e le maldicenze e gli oggetti confortevoli e i bisogni degli altri e il noi/voi e la fede cristiana  e le amanti e i farmaci e poliziotti e i segreti.
E tutto questo confluisce in una notte di bisogni e desideri esauditi in lontani alberghi e in villette ben note e ben agiate. I farmaci e la solitudine e la delusione e la paura deflagrano però in un’azione eccessiva e inconsulta da parte di una brava persona, di una persona pia, di una persona generosa, di una persona buona. E allora convergono nella villa mariti e figlie e parroci e commissari e medici e madri. A celebrare la morte e i segreti e il silenzio e la distanza etnica e quella economica e quella antropologica.
«Chi si accinge di buona lena alla pulizia della casa in cui abita, dimentica su che base è stata costruita» (Horkheimer – Adorno, Dialettica dell’Illuminismo, trad. di R. Solmi, Einaudi 1982, § 130, p. 244), specialmente quando la pulizia è un altro modo della sozzura.

Gente per bene

Loving Vincent
di Dorota Kobiela e Hugh Welchman
Polonia-Gran Bretagna, 2016
Con: Robert Gulaczyk (Vincent Van Gogh), Douglas Booth (Armand Roulin), Chris O’Dowd (il postino Roulin), Eleanor Tomlinson (Adeline Ravoux), Saoirse Ronan (Margaret Gachet), Jerome Flynn (Il dottor Gachet)
Trailer del film

I dati di quell’evento e il contesto in cui maturò inducono a pensare che Vincent van Gogh non si uccise. E questo nonostante il parere diffuso e per molto tempo quasi concorde degli storici, che però negli ultimi anni è stato messo in discussione da varie parti e da altri studi. La tesi che l’artista sia stato ucciso da due ragazzi che lo tormentavano è stata accolta da Julian Schnabel nel suo Van Gogh – Sulla soglia dell’eternità (At Eternity’s Gate, 2018).
Qualche anno prima il regista Hugh Welchman e la pittrice Dorota Kobiela hanno percorso un itinerario dentro la vita e l’opera di Van Gogh arrivando alla medesima conclusione, alla consapevolezza che Van Gogh fu «le suicidé de la société» come scrisse Antonin Artaud. Non però soltanto in senso sociale e metaforico ma proprio alla lettera. Se l’artista, ferito, non denunciò i suoi assassini le ragioni possono essere molteplici e attingono certamente a una psiche tormentata ma la verità è quella che Artaud seppe icasticamente indicare: persone come Van Gogh, Hölderlin, Baudelaire, Nietzsche rappresentano un pericolo per la gente per bene, un pericolo per il conformismo e il bigottismo che possono assumere le forme più varie: dalle rigide convenzioni sociali all’obbedienza religiosa, dai costumi sessuali al gender o al  razzismo diventati ormai dogmi del politicamente corretto.
La particolarità di Loving Vincent non sta nella pur avvincente trama da giallo che progressivamente scopre la realtà di quanto accaduto ma nella tecnica. Il film è infatti stato realizzato con attori reali, tradotti poi in fotogrammi tutti disegnati a mano, secondo lo stile della pittura di Van Gogh. Molto più di un film ‘d’animazione’, piuttosto l’intuizione di come l’artista vedeva il mondo, della luce radiosa che lo pervadeva, del buio interiore che lo spegneva. I capolavori noti e meno noti ci sono tutti e dopo pochi istanti dal loro apparire prendono movimento, dinamismo, vita. Per quanto riguarda l’ambiente sociale e il contesto antropologico  dal quale Van Gogh venne perseguitato, riprendo qui la chiusa del commento al film di Schnabel, «tutti costoro sono da molto tempo ossa e polvere che nessuno giustamente più ricorda. Sono il nulla. Van Gogh è invece ancora il sole. ‘Che cosa dipingi?’ ‘La luce’».

Borghesia

Claudio Lolli
Borghesia
 (mp3)
(da Aspettando Godot, 1972)

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Come anarchico dedico questa canzone non ai governi Rumor, Fanfani, Andreotti, Colombo…Governi democristiani che dovevano confrontarsi non solo e non tanto con il Partito Comunista Italiano ma anche e soprattutto con reali movimenti d’opposizione, compresi quelli libertari.
Dedico Borghesia a un governo senza opposizione né in Parlamento né in una stampa disgustosamente servile né in una società spaventata, ubbidiente, moribonda, televisiva, la società del Covid. La dedico a un governo presieduto dalla quintessenza della borghesia di cui canta Lolli, da un banchiere.
La dedico al Governo Draghi, con disprezzo.
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Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia
Non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia.

Sei contenta se un ladro muore, se si arresta una puttana
Se la parrocchia del Sacro Cuore acquista una nuova campana
Sei soddisfatta dei danni altrui, ti tieni stretti i denari tuoi
Assillata dal gran tormento che un giorno se li riprenda il vento.

E la domenica vestita a festa con i capi famiglia in testa
Ti raduni nelle tue Chiese in ogni città, in ogni paese
Presti ascolto all’omelia, rinunciando all’osteria
Così grigia e così per bene, ti porti a spasso le tue catene.

Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia
Non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia.

Godi quando gli anormali son trattati da criminali
Chiuderesti in un manicomio tutti gli zingari e gli intellettuali
Ami ordine e disciplina, adori la tua Polizia
Tranne quando deve indagare su di un bilancio fallimentare.

Sai rubare con discrezione, meschinità e moderazione
Alterando bilanci e conti, fatture e bolle di commissione
Sai mentire con cortesia, con cinismo e vigliaccheria
Hai fatto dell’ipocrisia la tua formula di poesia.

Vecchia piccola borghesia per piccina che tu sia
Non so dire se fai più rabbia, pena, schifo o malinconia.

Non sopporti chi fa l’amore più di una volta alla settimana
Chi lo fa per più di due ore, chi lo fa in maniera strana
Di disgrazie puoi averne tante, per esempio una figlia artista
Oppure un figlio non commerciante, o peggio ancora uno comunista.

Sempre pronta a spettegolare in nome del civile rispetto
Sempre lì fissa a scrutare un orizzonte che si ferma al tetto
Sempre pronta a pestar le mani a chi arranca dentro a una fossa
Sempre pronta a leccar le ossa al più ricco ed ai suoi cani.

Vecchia piccola borghesia, vecchia gente di casa mia
Per piccina che tu sia il vento un giorno ti spazzerà via.

[La foto del Governo Draghi schierato in tutta la sua funerea potenza è di Roberto Monaldo/Getty Images]

Sulla Teoria critica

Potenza e limiti della Teoria critica
in Dialoghi Mediterranei
Numero 48, marzo-aprile 2021
Pagine 478-487

Indice
-Adorno e Horkheimer, la dialettica
-Adorno, la potenza
-Adorno, i limiti
-Marcuse, l’utopia
-Lo spettacolo, la realtà, il simulacro

La Teoria critica è un segno negativo di resistenza assai più che un’apertura totalistica verso il Sole dell’avvenire. La scrittura di Adorno è essa stessa un segno della irriducibilità del suo pensiero a ogni ovvietà, alla strumentalizzazione del semplice, alla complicità con la preponderanza del numero. Uno dei suoi meriti maggiori consiste nel vedere la barbarie che pulsa al cuore del sentimentalismo moderno, dell’umanesimo antropocentrico, dell’adulazione verso le masse, del culto per il semplice. Tutti elementi, questi, nei quali «un umanesimo radicale porta con sé la minaccia latente  dell’imperialismo della specie, il quale ritorna infine a perseguitare le stesse relazioni umane».
Dialettica dell’Illuminismo non è soltanto un classico della sociologia filosofica del Novecento ma è anche una sorta di avviso sempre vivo su come sia possibile che dalle migliori intenzioni, da una razionalità senza incertezze, si possa generare una tonalità individuale e collettiva che conduce a forme politiche fortemente autoritarie, ai fascismi, alle tecnocrazie neoliberiste.
La dimensione dialettica che pervade anche la riflessione di Marcuse rivela subito la dinamica hegeliana della contraddizione che oltrepassa lo stato di cose esistente verso esiti tra loro diversi. La stessa Ragione che può liberare dal bisogno e dal male può anche asservire a nuovi bisogni, a nuovi mali. Per Marcuse il filosofo non è un medico, non ha il compito di guarire gli individui ma ha il dovere di comprendere il mondo in cui essi vivono, capire la realtà che hanno costruito. E però la filosofia non sorge sul far del crepuscolo, non si limita a prendere atto del reale. Il fatto stesso di comprenderlo è l’inizio del superamento. Questa dimensione propulsiva del sapere è per Marcuse assente da posizioni come quelle neopositiviste e analitiche, nello scientismo riduzionistico e nelle filosofie del linguaggio che si limitano a consacrare il dominio dei luoghi comuni.
Per parafrasare Horkheimer e Adorno, la terra tutta virtuale splende all’insegna di sventurata realtà. La vita è diventata riproduzione di figure dietro e dentro le quali non si dà nulla se non la perpetuazione del dominio di chi possiede gli strumenti della rappresentazione rispetto a chi non li detiene.
Baudrillard sintetizza tali dinamiche della politica contemporanea nella formula dura ma efficace «della leucemizzazione di tutta la sostanza sociale: sostituzione del sangue con la linfa bianca dei media». Coinvolti in questa leucemizzazione, i partiti e i sindacati “rappresentanti dei lavoratori” sono in realtà diventati i loro nemici e il segno monetario si disconnette «da qualsiasi produzione sociale: esso entra allora nella speculazione e nell’inflazione illimitata». È esattamente quanto sta accadendo negli anni Venti del XXI secolo.

L’idiota a distanza

Dire umanità, fratellanza, solidarietà come se l’umano non avesse elementi biologici, come se non fosse un corpo, come se non condividesse con gli altri mammiferi anche l’aggressività, il territorio, l’identità di gruppo; usare così le parole e i valori, significa fare ciò che con lucidità il marxismo definisce ideologia, vale a dire utilizzare il linguaggio come maschera della realtà, come nascondimento di ciò che accade.
Risulta ad esempio ideologico l’utilizzo politico -e non semplicemente morale- che l’attuale Pontefice Romano fa di tali e altre parole. Proclamando infatti che siamo tutti fratelli, «Francesco aderisce a una concezione completamente irrealistica dei rapporti sociali. […] Crede che la politica si riduca alla morale, che a sua volta si riduce all’ ‘amore’» (Alain de Benoist, Diorama Letterario, n. 359, gennaio-febbraio 2021,  p. 4). Il risultato di questi atteggiamenti è sempre contraddittorio: non si può infatti reclamare un mondo totalmente aperto e poi criticare, come pure giustamente Bergoglio fa, la logica del capitalismo, la quale costituisce la massima apertura possibile poiché, sin dal fisiocratico  «laisser faire, laisser passer», niente è più aperto dei mercati, che non hanno mai avuto ‘patria’ e oggi davvero non conoscono confini, vista la loro metamorfosi digitale. In tali contraddizioni opera ancora una volta la logica monoteistica della reductio ad unum: «La sua ‘fraternità universale’ non è altro, di fatto, che un pio desiderio privo di senso, sotteso dall’ossessione dell’unico, della fusione, della scomparsa di tutto ciò che separa e dunque distingue» (Id., p. 5).
In realtà posizioni come queste -che siano espresse o meno in buona fede non conta- manifestano una delle caratteristiche più evidenti ma meno notate della società contemporanea: la proporzionalità tra il moltiplicarsi di un linguaggio compassionevole e il crescere della ferocia collettiva. Il veicolo principale e assai efficiente di questo duplice incedere è l’informazione, sia quella nuova dei Social Network sia quella tradizionale della stampa e della televisione, sempre più al traino della prima. Infatti «non soltanto i media hanno quasi abbandonato qualunque velleità di resistenza all’ideologia dominante, ma ne sono diventati i principali vettori» (Id., p. 7).
L’operare dell’informazione al completo servizio delle autorità è mostrata in questi anni in modo clamoroso dalla vicenda dell’epidemia. Se infatti è evidente che un virus esiste e colpisce -come è accaduto da sempre e sempre accadrà- è altrettanto chiaro come sia stato «facile, per le élites al potere, strumentalizzare queste circostanze a proprio profitto per colpire le libertà. Negli Stati Uniti, il Patriot Act è stato adottato per contrastare il terrorismo, dopo di che è servito a tenere al guinzaglio l’intera popolazione. Le leggi eccezionali finiscono per entrare nel diritto comune, cosicché l’eccezione diventa la regola» (Id., p. 10). Davvero

mai censura è stata più perfetta. Mai l’opinione di quelli cui si fa ancora credere, in certi paesi, che sono rimasti cittadini liberi, è stata meno autorizzata a manifestarsi, ogni volta che si tratta di una scelta che coinvolgerà la loro vita reale. Mai è stato permesso di mentire loro con una così perfetta assenza di conseguenze. Si presume semplicemente che lo spettatore ignori tutto e non meriti nulla

(Guy Debord, Commentari alla Società dello Spettacolo, § VIII; Baldini & Castoldi 2008, p. 203, con delle modifiche nella traduzione).
Il risultato è anche ciò che Michel Desmurget ha definito con il titolo Il cretino digitale (Rizzoli, 2020) e che prima ancora aveva descritto come TV Lobotomie. La vérité scientifique sur les effets de la télévision (J’ai Lu, 2013). Desmurget è infatti un neuroscienziato (direttore di ricerca del Cnrs francese), il quale «vede in opera meglio di chiunque altro la decerebrazione di massa operata sui giovani cervelli in fase di sviluppo e, disgustato, scortica metodicamente questo infanticidio planetario che non osa dichiararsi tale» (Jean-Henri d’Avirac, p. 39).
D’Avirac continua la sua presentazione del libro affermando che «ridurre un giovane cittadino allo stato di semplice consumatore sommerso da segni e immagini, il cervello impantanato nella dopamina, ridotto fin dalla più giovane età alla dipendenza dallo schermo, dal porno, dalla moda, è una pacchia per il sistema, la cui ossessione è togliere i freni al consumo, sospendere il senso critico e la nostra capacità di stabilire delle gerarchie. […] La lobotomia è molto più efficace della repressione» (Id. p. 40).
Rivolgendosi ai genitori, Desmurget scrive: «I vostri figli vi ringrazieranno per aver offerto alla loro esistenza la fertilità liberatrice dello sport, del pensiero e della cultura, invece della perniciosa sterilità degli schermi» (cit. a p. 40).
E invece le istituzioni educative -comprese quelle italiane- sono state pronte a gettare in braccio agli schermi gli studenti di ogni ordine e grado. Non si è trattato di una soluzione ma dell’aggravarsi di un problema, il problema -appunto- della idiozia digitale. Se scuole e università hanno potuto chiudere con tanta immediatezza e facilità le loro porte agli studenti -studenti senza i quali scuole e università non hanno ragione di esistere- è perché strumenti e apparati erano già pronti a sostituire la relazione educativa con degli ologrammi disincarnati. Senza questi software sarebbe stato inconcepibile chiudere per mesi o per anni le scuole e le università. Sono dunque le piattaforme MSTeams, Zoom e altre analoghe ad aver causato un processo di impoverimento didattico e culturale che probabilmente è solo agli inizi. La cosiddetta DAD, che meglio si dovrebbe definire didattica d’emergenza, è -in questa prospettiva- l’incipit della barbarie pedagogica. E questo perché ‘insegnare a distanzaè una contraddizione in termini, perché ‘apprendere a distanza’ è una delle caratteristiche dell’idiota digitale che si vorrebbe tutti noi diventassimo: «La DAD diventa, così, un mirabile esempio di neolingua chiamata a sovvertire la realtà e ad ipotecare pesantemente il futuro dell’istituzione» (Fernanda Mazzoli, La scuola ai tempi del Covid: prove generali di colonizzazione digitale, in «Koinè», anno XXVII, 2020, p. 16).
La didattica del vuoto ha come orizzonte fondativo e come prospettiva futura ciò che Renato Curcio chiama il maestro vuoto, la cui

video-lezione, come lezione spettrale, appiattisce quest’ultima sulla mera trasmissione di nozioni, avvicinandola così a quel sapere procedurale messo in campo dalle nuove tecnologie assai più di quanto non possa farlo la lezione in presenza, la tanto attaccata lezione frontale che permette la lenta e dialogata costruzione delle conoscenze (e dei significati) a partire dalla sollecitazione ineludibile posta dal volto dell’altro e dall’instancabile attesa -carica di tutte le sfumature di un volto umano- che ne promana (Id., p. 40).

Un maestro vuoto atto a sostituire la persona viva e socratica di colui che alla relazione pedagogica -e di conseguenza al fatto educativo- dà voce, volto, pienezza. Il maestro vuoto è il coach della palestra dell’ignoranza e della conseguente obbedienza collettiva.

[Una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata su corpi e politica e girodivite.it]

Sul Governo Draghi

L’attesa di un banchiere quale salvatore conferma il tramonto della politica, la potenza della propaganda dell’Unione Europea e soprattutto l’infantilizzazione del corpo sociale. È il tramonto dell’Italia come Stato, con un esecutivo dedito al massacro sociale in obbedienza ai diktat della finanza e di Bruxelles. Draghi serve solo a questo. La scarsa memoria dell’informazione italiana dimentica che il principale tra i grandi elettori di Mattarella fu Renzi. Ora (ma anche prima) si comprende che fu un ottimo investimento. E infatti Renzi è il più entusiasta sostenitore del governo Draghi.
Tra gli ingenui -e sono i meno peggio- che oggi si affidano al banchiere Draghi come a un salvatore, probabilmente non sono pochi coloro che in seguito ai provvedimenti di un eventuale suo governo saranno licenziati. Piangeranno amare lacrime, ma sarà tardi. I facoltosi, a ogni livello, hanno invece ragione di esultare.
Qualunque cosa dirà presentandosi alle Camere, il programma vero Draghi lo ha stilato qualche anno fa. Qui il pdf e questa una sua sintesi:
-liberalizzazione e privatizzazione dei servizi
-fine dei contratti  collettivi di lavoro
-libertà di licenziamento
-tagli di spesa (anche nella sanità) e riduzione degli stipendi.
Vedere esultare cittadini potenziali vittime di tutto questo è istruttivo. In ogni caso, è diventato ‘normale’ che a decidere i governi siano i mercati e la borsa, non più i cittadini italiani. E la Costituzione? E la democrazia?
Al Movimento 5 Stelle è bastata una formuletta mediatica e vuota -Ministero della Transizione Ecologica- per cancellare un’identità politica. Il M5S è diventato un gruppo di mendicanti. Grillo e i dirigenti hanno le loro ragioni ma i militanti? È un’altra vittoria dello spettacolo, oltre che dei padroni, come ben si vede -spettacolo e padroni- anche dai nomi dei ministri, dalla composizione del governo.
Il quesito proposto agli iscritti al M5S è stato talmente tendenzioso da costituire una evidente testimonianza del timore che i capi hanno nutrito che ciò che resta del Movimento potesse dire no a un’alleanza con Berlusconi, con il resto della catastrofe italiana, con il banchiere Draghi e con Mattarella che definisce le elezioni un pericolo, confermando in questo modo l’impulso autoritario delle istituzioni.

Che tutti i partiti presenti in Parlamento -tranne uno- sostengano il governo è molto pericoloso per la dinamica democratica. Partiti che probabilmente ritengono di ottenere vantaggi appoggiando per ora tale governo, in attesa del momento opportuno nel quale prenderne le distanze. Ma Draghi non si schioderà facilmente, visto che ha il sostegno dell’Unione Europea, della finanza, dei mitici mercati.
Uno dei segni di questo governo, diciamo uno dei più seri, è l’interclassismo, la pura essenza democristiana. Un governo di correnti democristiane. Per un Paese profondamente cattolico forse non può essere diverso. Ma chi da sinistra ha esultato per l’incarico dato a Draghi non ha capito che tale incarico è la pietra tombale sul cadavere della sinistra. Se non lo hanno compreso subito, non serviranno ora neppure i nomi berlusconiani doc dell’esecutivo.
In ogni caso, il significato antropologico del Governo Draghi è chiaro: dopo un anno di obbedienza perinde ac cadaver possiamo imporre agli italiani qualunque cosa, obbediranno ancora, obbediranno sempre, leccheranno la mano che li colpisce. Hanno vinto Berlusconi e Renzi. Veramente patetici invece il Movimento 5 Stelle e chi si ritiene, sbagliando assai, «di sinistra».

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Tra i tanti commenti e analisi sull’incarico a Draghi ne segnalo quattro.

L’anno del dragone?
rivista indipendenza, 4.2.2021
Analisi acuta e completa, in un’ottica sia interna sia internazionale; articolo pubblicato prima che fosse resa nota la composizione del governo, della quale non vale la pena parlare, tanto è miserabile.

“Draghi al governo? Non un keynesiano ma un distruttore creativo”. Massimo Franchi intervista Emiliano Brancaccio,
sinistra in rete, 9.2.2021
Testo vivace e che ben chiarisce l’identità di politica economica del governo Draghi, demolendo le illusioni che le anime belle della sinistra stanno nutrendo sul massacro sociale che ci attende.

Contro Draghi. Il fronte del rifiuto
di Moreno Pasquinelli
Sollevazione, 6.2.2021
«C’è un solo modo, infatti, di porre fine al Calvario, uscire dalla Unione europea, riguadagnare totale sovranitа nazionale, sganciarsi dalla mondializzazione liberista. Hanno chiamato Draghi per la ragione opposta: tenere il Paese in catene e impedire che faccia naufragare il Titanic dell’Unione europea»

Draghi e governo della finanza: Non prevarranno!
di Geminello Preterossi, La Fionda, 8.2.2021
Seleziono da questo terzo articolo alcun brani ma ne consiglio vivamente la lettura integrale, per capire davvero che cosa stia accadendo e accadrà.
«Pretesa elitista di stringere l’autonomia della politica democraticamente legittimata in una morsa che, a dispetto  degli interessi dei ceti popolari, doveva impedire politiche redistributive e sociali, la difesa del lavoro, il rilancio della domanda interna, nonché un previdente mantenimento   degli strumenti dell’economia mista. I fatti, dunque, confermano che Draghi è un rappresentante eminente del capitalismo finanziario. […]
L’ironia della storia contempla che il giovane Draghi abbia elaborato una tesi di laurea precisamente sulle monete senza Stato come l’euro, nella quale sosteneva (impeccabilmente) che una moneta comune in presenza di squilibri macroeconomici e senza una fiscalità accentrata, governata politicamente, non potesse essere un obbiettivo augurabile perché viziato da contraddizioni strutturali. […]
Ma che a gestire un’eventuale nuova fase siano chiamati i responsabili del disastro precedente fa venire molto dubbi. […]
Quando si tratterà di pagare i costi di tale riassetto, e suonerà la campanella che sancirà la fine della ricreazione, con la scusa del debito e una rinnovata strategia della tensione sullo spread, ne vedremo delle belle, in termini di nuova austerità, “riforme”, macelleria sociale, svalutazione del lavoro, impoverimento, disoccupazione. Tutto pur di evitare le ricette giuste, quelle di Keynes e Caffè, che invece mettevano al primo punto la “repressione finanziaria” per consentire di impostare politiche pubbliche di intervento nell’economia, non sotto ricatto dei mercati e perciò volte all’interesse dei lavoratori e dei ceti non abbienti. Alla luce di tutto quello che è accaduto in questi decenni, fino al coronamento di oggi, si comprende la ferma volontà di Caffè di sparire. Per non vedere. Soprattutto certi allievi. […]
Più è drammatizzata la crisi, più pesa il nome del prescelto come deus ex machina, maggiore sarà la probabilità del successo. […]
L’appello all’emergenza e all’unità è quindi un modo per affidare a commissari di poteri esterni, non legittimati democraticamente (la Troika), cioè a élites privatistiche, oligarchiche e antidemocratiche, quelle scelte. […]
La dialettica basso contro alto, popolo contro oligarchie, è una conseguenza logica del processo di espropriazione della sovranità democratica.  Può essere che sia destinata a fallire, che i suoi esiti siano ambigui o inefficaci. Ma è certo che finché permane questo campo di tensione dialettica, si cercherà di arginarlo in ogni modo attraverso l’uso politico-comunicativo dell’emergenza, per disciplinare i riottosi.  Un’impostazione obbiettivamente eversiva dei valori democratici. […]
Non c’è da sorprendersi se così la fiducia nelle istituzioni crolla. Sarebbe più serio abolire le elezioni, sancendo la fine dell’epoca cominciata con le Rivoluzioni settecentesche. Si sforzino, le cosiddette élites, di trovare un nome, e un discorso di legittimazione coerente, per giustificare in maniera esplicita, senza scuse emergenziali, la liquidazione della democrazia costituzionale. Soprattutto, propongano un nuovo modello, invece di deformare sempre di più quello ereditato dai Costituenti. Ma non lo possono fare: perché la loro mancanza di dignità e coraggio politico (quello che fa lottare apertamente, non manovrare dietro le quinte) è proporzionale al cinismo. La narrazione liberal, perbenista, pseudo-progressista, che è la copertura ideologica del globalismo finanziario, impedisce di dire la verità e soprattutto di trarne le conseguenze. […]
Ho la sensazione che con Draghi assisteremo a un nuovo uso politico-comunicativo della “pandemia”. Prima è servita a seminare terrore e chiudere tutto (al di là delle reali esigenze e della razionalità), adesso sarà l’occasione per aprire se non tutto molto e santificare Draghi come il nuovo “re taumaturgo”, che ha guarito la scrofola. Personalmente ne sarò felice, come credo tanti che non ne potevano più, ma resta il dato politico di un cambio strumentale di narrazione, che giustifica molti cattivi pensieri su quanto è accaduto nell’ultimo anno. […]
Gli anatemi reciproci tra Sinistra e Lega, 5 stelle e Forza Italia, mostrano qui, definitivamente, la loro grottesca superficialità e inconsistenza. […]
Quello che si può fare per ora è solo un lavoro culturale e critico di lunga lena, […] sperando che quelle istanze decisive, che esprimono il senso profondo della legittimità moderna, della sua promessa democratica, non siano fiaccate per sempre. Significherebbe che il riassetto del capitalismo in chiave digitale (e antisociale), occasionato dal coronavirus, si è mangiato interamente la politica come sfera dell’autodeterminazione e dell’eteronomia progettuale rispetto all’immanenza dell’economico. Una sorta di complessiva transizione epocale, di segno antropologico, civile e culturale, all’insegna dell’antipolitica ammantata di epistocrazia. In questo senso, il governo Draghi potrebbe essere visto come una pedina di un disegno più ampio: il governo della saturazione dello spazio pubblico, della negazione del conflitto in quanto tale».

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[Questo articolo è stato pubblicato ieri su girodivite.it]

Paure

Individui e società sono fatti anche di paure, senza le quali rischierebbero gli effetti e i danni di decisioni e atteggiamenti spericolati. Avere paura è anche una forma di salvaguardia dell’equilibrio in cui si vive e dell’equilibrio che si è. E tuttavia quando la paura verso qualcosa diventa una paura assoluta, quando è il mondo a essere visto come il pericolo, allora la vita ha intrapreso la strada della propria dissoluzione. La paura indotta dall’epidemia da Sars2 è questa forma di terrore.
Il conformismo pronto, immediato, pervasivo che si è imposto in relazione a tale paura ha in realtà radici sociali e culturali ormai pluridecennali.
Paura della propria identità sovrana, il cui contrario – come giustamente afferma Michel Onfray «è il vassallaggio, la sottomissione, la dipendenza, l’assoggettamento, la tutela» (in Diorama Letterario, n. 357, p. 7).
Paura della pluralità, dell’incertezza, della libertà, cancellati dalla «colonizzazione dei media del servizio pubblico e delle istituzioni educative statali da parte dei propalatori del Pensiero Unico» (M. Tarchi, p. 3).
Paura dell’identità e della differenza. L’identità di una lunga storia di emancipazione che si innesta sull’accoglimento delle differenze, tra le quali sono fondamentali le differenze etiche, politiche, ideologiche, estetiche, epistemiche; in generale le differenze nelle concezioni del mondo e dei valori, che invece il dogmatismo etico-politico del presente tende ad annullare in una concezione monocorde del Bene, che sempre più pervade un discorso pubblico profondamente autoritario, qual è quello che si esprime nel politicamente corretto.
Esso nasce dalla paura delle parole, del linguaggio, della sua molteplicità, della forza, novità, plasticità, innovazione, che il politically correct cerca di dissolvere «riparandosi dietro il proprio Muro delle Lamentazioni», sotto la cui protezione «ogni minoranza convoca la terra intera al capezzale della sua presunta sofferenza di cui si è arrogata il lucroso usufrutto, capitale lacrimale» (F. Bousquet, 25).
Paura dell’Europa, della sua storia, della sua identità, del suo pluralismo, della sua cultura, della sua filosofia, alla quale si preferisce «l’Unione europea, vera anti-Europa […] non più riformabile, giacché ha voluto fare dell’Europa un mercato mentre essa avrebbe dovuto diventare una potenza autonoma, e nel contempo un crogiolo di cultura e di civiltà» (A. de Benoist, 7).
«Bella esperienza vivere nel terrore, vero? In questo consiste essere uno schiavo» (Ridley Scott, Blade Runner, 1982).

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