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Educante?

Educante?
Aldous, 18 settembre 2022

L’espressione «Comunità educante», diffusa e ripetuta in vari documenti del Ministero italiano dell’Istruzione e nella elaborazione dei suoi pedagogisti, è una delle più significative, in parte criptiche ma sostanzialmente chiare, espressioni della potenza che il linguaggio possiede nel nascondere la realtà mentre la designa. In altri termini, si tratta di una formula fortemente ideologica, volta a nascondere  – con il suono mellifluo dell’inclusione e della condivisione – la trasformazione ormai quasi compiuta delle scuole in luoghi di indottrinamento radicale, la cui radicalità consiste in una serie di «comportamenti attesi», nell’introiettare regole morali inflessibili, valori fuori dai quali non si viene riconosciuti non soltanto come studenti o docenti ma anche come cittadini e persino come umani. L’articolo analizza questa tendenza dispotica di alcune pratiche didattiche contemporanee.

«Il proprio tempo appreso nel pensiero»

È vero: «die Philosophie ihre Zeit in Gedanken erfaßt» (Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, prefazione), la filosofia (è) il proprio tempo appreso e colto nel pensiero, o almeno è anche questo. E dunque il breve e denso disegno che Davide Miccione traccia del nostro tempo è del tutto filosofico. Intelligenza del presente e chiarezza analitica descrivono infatti esattamente ciò che accade e la direzione che si sta cercando di imprimere alla vita collettiva, ovunque.
Il testo è uscito su Aldous il 10.9.2022, con il titolo Il nominabile attuale.

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Qualora fosse umanamente possibile, la campagna elettorale aumenta la confusione. Questioni gravi e questioni irrilevanti, problemi reali e capziosità, paure vere e chiamate alle armi di sessant’anni fa ritirate fuori oggi alla bisogna, si accavallano senza sosta. “L’innominabile attuale”, il presente incomprensibile entro cui seguiamo o persino pretendiamo di guidare gli altri (come nella bruegeliana parabola dei ciechi) si fa ancora più confuso, aumentano gli slogan e i distinguo, le false bandiere e i distrattori. Diventa allora necessario, accettando preventivamente il giudizio di superficialità e di indebita semplificazione che sempre ci si attira, provare a definire gli elementi essenziali del nostro (lungo e perdurante) presente politico. Posto in bell’ordine il catalogo è questo:

  1. I ricchi diventano e devono diventare sempre più ricchi.
  2. I ricchi devono “potere” sempre più, dunque sempre meno devono essere gli aspetti della vita sulla terra non riducibili nella sua interezza al valore e al potere del denaro (per farsi un’idea degli aspetti descrittivi si vedano i lavori di Michael Sandel).
  3. Lo Stato si può impoverire o indebolire se ciò è utile al punto 1 o può acquisire importanza se ciò è utile al punto 1. Si veda a tal proposito la demolizione del welfare in questi decenni e viceversa il potentissimo Stato ambulatoriale di questi tre anni.
  4. Le procedure democratiche devono diventare irrilevanti in modo da non disturbare lo sviluppo dei punti 1, 2 e 3.
  5. Le procedure democratiche possono essere momentaneamente enfatizzate se servono allo sviluppo dei punti 1, 2 e 3.
  6. Quasi tutti i prodotti ideologici o culturali passati (dai sumeri al Novecento), fatto salvo qualche sparuto aspetto della ragione liberale, si pongono, anche senza volerlo o saperlo, come forme di resistenza allo sviluppo dei punti 1 e 2 perlopiù per un loro implicito non mettersi pienamente a disposizione. Dunque vanno sottoposti a character assasination (Islam, comunismo ad esempio), o a indebolimento, svuotamento eccetera, con moto uniformemente accelerato.
  7. Il processo dei punti 1 e 2 viene chiamato capitalismo, mercatismo, finanzcapitalismo, turboliberismo eccetera sebbene a volte si incarni in grandi organismi internazionali (ovviamente non eletti) o Stati.
  8. Quando alcuni attori che perseguono il punto 1 e il punto 2 hanno necessità di agire attraverso i governi o vi si identificano momentaneamente ciò viene chiamato geopolitica.
  9. Il processo dei punti 1 e 2 è necessario venga visto come irreversibile da tutti e come l’unico pensabile e non sostituibile da altro (vedi il compianto Mark Fisher).
  10. Per mantenere inimmaginabile qualsiasi altro tipo di mondo non basato su 1 e 2 va eliminata la storicità come categoria di giudizio del reale e la conoscenza del passato. L’operazione (già a buon punto) viene portata avanti per omissione (indebolimento dell’insegnamento della storia e degli aspetti storici di ogni disciplina) e attivamente con la promozione di quell’aborto concettuale che è la cancel culture, concezione che dell’alterità fa un medesimo difettoso da emendare e da condannare in quanto non uguale a noi.
  11. Per mantenere inimmaginabile un altro tipo di mondo non basato su 1 e 2 va eliminata la filosofia o va sostituita con una filosofia settoriale e procedurale (ben si attaglia dunque la filosofica analitica) che non pensi di poter descrivere e valutare l’interezza del reale.
  12. Per mantenere inimmaginabile un altro tipo di mondo non basato su 1 e 2 va eliminata la Grande Letteratura e la sua capacità di violare la “moralina” che ogni presente pensa di incarnare pienamente.
  13. Il politicamente corretto, la cultura woke, creando una perenne preoccupazione per le offese arrecabili a individui, è un ottimo “spengipensiero” e devia l’attenzione di chi dovrebbe essere di sinistra (dunque contrario ai punti 1 e 2) verso questioni meramente linguistiche e di dettaglio. Essendo fondata sulla libera decisione dei soggetti di sentirsi offesa, la cultura woke può riprodursi ed espandersi all’infinito.
  14. Le forme attuali dell’arricchimento del punto 1 abbisognano di un uomo sempre più sbilanciato verso una pseudovita telematica e sempre meno in grado di vivere esperienze libere, corporee, amicali. Per questo la digitalizzazione è diventata sempre un bene, anche contro ogni evidenza sociologica.

Addendum: una grandissima parte delle parole e degli slogan che sentirete in questa campagna elettorale è solo una forma di subspeciazione artificialmente creata per simulare una differenza e una dialettica tra forze egualmente devote all’obbedienza dei primi due punti dell’elenco. A meno che il lettore non faccia parte dei ricchissimi o di coloro che ragionevolmente pensano di poterli parassitare per un tempo sufficientemente lungo (giornalisti, operatori finanziari, apparatčik di organismi internazionali, deputati) votare per partiti che non avversano lo sviluppo dei punti 1 e 2 (e degli altri 12 di supporto) potrebbe non essere la cosa più razionale da fare, né per sé né per il mondo.

[L’articolo è stato ripubblicato anche da Sinistrainrete]

Lucrezia Fava su Disvelamento

Lucrezia Fava
Recensione a Disvelamento. Nella luce di un virus
in Vita pensata, n. 27 – Settembre 2022
pagine 76-80

«Il successo e il senso di Disvelamento sta infatti nel mostrare tutto il male emerso dallo scoppio dell’epidemia Sars-Cov2, o meglio, da una minaccia specifica denominata Sars-Cov2 che secondo l’autore è servita come combustibile di dinamiche politiche, sociali, economiche e culturali che sono distruttive per l’esistenza, che hanno una logica nichilista, che non soltanto esulano dal campo delle azioni necessarie o per lo meno utili a immunizzare l’individuo dal virus, ma anche limitano, logorano, contrastano ciò che realmente serve a tutelare, curare, migliorare la salute umana. Queste dinamiche, dunque, mentre vengono pubblicizzate e imposte come necessarie a proteggere il nostro organismo dalla Sars-Cov2, al contrario disintegrano proprio le condizioni indispensabili alla buona salute dell’individuo e della sua comunità. Non può che essere così, se è vero, come sostiene Biuso, che al fondo di esse vi sono l’ignoranza, l’alterazione, l’incomprensione dei significati di salute e malattia e più in generale di che cosa sia il corpo umano, di come si compia la sua identità, il suo senso, la sua vita piena e gaia. […]
Nel tentativo di debellare la Sars-Cov2 i corpi collettivi si sono poi confinati in un isolamento estremo, suicida, in cui la persona sospende la sua normalità, le sue possibilità esistenziali, si angoscia e si spegne. Si è fuggito il contatto con i propri cari, l’esperienza vivificante della condivisione del mondo sentito, interpretato, mostrato, rivelato dagli altri, e ci si è persi, inghiottiti nel vuoto che si estende ovunque quando si assottiglia il proprio legame naturale all’altro, quel rapporto dinamico, mutevole, che impegna il sé nella sua integralità e unicità, che lo mantiene permeabile all’alterità dell’altro grazie alla quale definisce se stesso e si comprende. […]
Ma tra tanti fattori del male presente mi sembra che uno in particolare, più o meno nascosto tra le righe di questo libro, stia al fondo di tutti gli altri: l’inadeguatezza generale degli umani alla comprensione e al compimento delle loro stesse migliori condizioni di vita. È allora fondamentale, per garantire la nostra sopravvivenza, imparare a elaborare dei dispositivi non di potere ma di conoscenza che insegnino a pensare e a sanare “uno dei frangenti più stupidamente tragici della storia contemporanea”».

Libertà e obbedienza

Sabato 27 agosto 2022 alle 18,30 nel Chiostro San Francesco di Patti (Messina) terrò una conversazione nell’ambito della prima edizione di Umana². Festival del Contemporaneo e della Partecipazione.
Il titolo del mio intervento è Libertà e obbedienza nelle società contemporanee.
Affronterò alcuni temi che qui provo a riassumere.

Libertà e obbedienza sono legate al fatto che l’umano costituisce una struttura corporea limitata nel tempo e consapevole della propria finitudine. Il dispositivo fondamentale dell’autorità tirannica, di ogni regime dispotico, sta qui, abita nella paura della morte.
Quando l’autorità prospetta il rischio della morte se si disattendono i suoi comandi, la probabilità di essere obbediti cresce esponenzialmente.
È per questo che ogni epidemia diventa un dono per chi comanda, una vera e propria manna, che essa sia discesa dal cielo, fuggita da laboratori, germinata dalla terra e dalla sua potenza.
Un’epidemia infatti dissolve con il suo stesso nome i corpi collettivi nei quali la socialità si organizza, cancellando il magnifico insieme di elementi ricchi, complessi, plurali nei quali la vita consiste.
È la paura del morire che sta a fondamento della pervasività del potere.
Ma se questo fosse il suo unico fondamento, il potere sarebbe sempre e soltanto espressione del negativo. Sarebbe dunque debole e ancor più incerto di quanto già non sia. L’altra sua fonte è la predisposizione a obbedire, ad accettare il comando da parte di coloro ai quali viene trasmesso.
Hume osserva come «NOTHING appears more surprising to those who consider human affairs with a philosophical eye than the easiness with which the many are governed by the few; and the implicit submission, whit which men resign their own sentiments and passions to those of their rules» (Of The First Principles Of Government, Part I, Essay IV, § 1).
La forza dell’autorità consiste anche nella capacità di presentarsi come affidabile ed esperta solutrice di problemi. Su questo punto la vicenda dell’epidemia Sars-Cov2 ha molti insegnamenti da darci.

La semplice vita organica – fondamentale ma non esaustiva – è ciò che i decisori politici si sono assunti come compito, a costo di rendere la vita di tutti misera, angosciante, depressa.
La salute dei cittadini è diventata un alibi per le pratiche di repressione, esclusione, discriminazione.
Si tratta di un compito ideologico, nel senso che esso maschera la morte, la quale viene invece favorita:
-dalla proibizione di cure efficaci;
-dalla chiusura degli ospedali;
-dalla distruzione della sanità pubblica attuata dai governi e dalle strutture liberiste;
-dall’imposizione di sieri che rappresentano un rischio enorme per milioni di persone, bambini e giovani specialmente, che non corrono di fatto alcun rischio a causa del virus.
La vicenda del coronavirus è stata ed è anche la testimonianza di un complottismo al contrario, testimonianza dell’attribuzione di ogni responsabilità all’elemento biochimico, al virus – indubbiamente presente – e però del silenzio a proposito:
-delle condizioni finanziarie
-delle modalità produttive (i mercati della carne)
-delle politiche sanitarie (la diminuzione drastica e feroce dei finanziamenti alla sanità pubblica)
che ne hanno favorito la comparsa, la virulenza, la diffusione.
Lo Stato etico prende la forma di:
-uno Stato psicologico/psichiatrico
-uno Stato ultrapaternalista
-uno Stato dispotico.
Siamo stati e continuiamo a essere vittime di una gestione dell’epidemia che ha intaccato in modo assai grave la salute della democrazia.

Salute è relazioni, è lavoro, è affetti, è sole, aria, luce. Salute è la vita. Quella che invece viene proposta è la salute degli zombie, favorita -come diceva De André- da una continua e quotidiana «ginnastica d’obbedienza».
La libertà del cittadino, acritico, obbediente e irresponsabile sarà sempre:
-una concessione delle autorità
-sarà la libertà dei fascismi
-non sarà mai l’essenza stessa del respiro umano, lo splendore dello sguardo, il pensiero che comprende
-sarà la libertà della brava formica, la cui essenza è l’omologazione, il marciare compatti verso la meta, l’identità senza differenze, lo stare sempre dalla parte della maggioranza ‘buona e giusta’
-sarà il conformismo eretto a valore
-sarà la libertà che si genera dalla paura e non dal gesto che rompe le catene.
Tanto più diventano politicamente essenziali quei cittadini, pochi o molti che siano, i quali rimangono autonomi, consapevoli, liberi, nonostante l’enorme pressione sociale e normativa che stanno subendo. Sono loro la Costituzione, sono i loro corpimente ancora liberi.

Stefano Piazzese su Disvelamento

Stefano Piazzese
Recensione a Disvelamento. Nella luce di un virus
in Discipline Filosofiche (4 luglio 2022)

«La prospettiva ermeneutica da cui l’autore guarda il presente è plurale, mai univoca; infatti, come può una sola dimensione, e/o indirizzo del sapere, avere il primato ermeneutico su un evento costituito da una molteplicità di dimensioni?
Il rigore dello sguardo filosofico è dato sempre dal metodo – non si dà filosofia senza di esso –, che Biuso delinea nel seguente modo: “si tratta di capire la complessità di ciò che accade e di affrontarlo con coraggio e lucidità, sine ira et studio, con equilibrio esistenziale e scientifico” (p. 13). L’onestà intellettuale dello studioso, nonché la sua missione all’interno della comunità, consiste, in primo luogo, nel fornire delle chiavi di lettura valide per interpretare gli enti, gli eventi e i processi che del mondo costituiscono l’incessante accadere. La validità delle chiavi di lettura fornite da Biuso risiede non solo nella formulazione degli interrogativi fondamentali che la pandemia, come evento globale, ha fatto riemergere, ma pure nelle risposte storicamente fondate che rafforzano la tesi principale del libro, così enunciata da Davide Miccione: “l’epidemia e il suo uso politico hanno messo in luce le viltà e le debolezze di interi settori, le fragilità di quella democrazia che diamo per acquisita e, soprattutto, la miseria teoretica e morale di coloro che dovrebbero analizzare e spiegare il mondo”. […]
Biuso invita ad avere uno sguardo ampio e comprendente, dunque, la complessità dell’evento in questione, poiché ogni singolo aspetto isolato non è sufficiente a coglierne i vasti connotati sociali, storici, individuali. […]
Tra i diversi filosofi citati, un particolare posto spetta a Nietzsche, a cui è dedicato il quindicesimo capitolo. In che modo il filosofo di Röcken può aiutarci a comprendere la pandemia? Biuso ricorre al cosiddetto metodo genealogico per evidenziare “ciò che sempre sta e opera sotto le forme, lo si sappia o no” (p. 113). […]
L’analisi di Biuso, lungi dall’essere un lamento pessimistico, comprende anche una pars construens che risponde alla domanda: cosa fare? Ripensare l’epidemia vuol dire costruire un pensiero che non sia riduttivo, affrettato, mediatico e neppure antropocentrico, puramente sanitario (pp. 139-140). Si tratta di saper andare oltre la tragica e liberticida contingenza dell’epidemia, vuol dire, ancora, cogliere la follia del presente e saperne tracciare un rimedio, un pharmakos».

Enrico Palma su Disvelamento

Enrico Palma
Recensione a Disvelamento. Nella luce di un virus
in il Pequod, anno 3, numero 5, giugno 2022, pagine 157-162

«Il titolo, molto ambizioso, unisce lo sguardo filosofico a quello sulla realtà, tentando di utilizzare il Covid-19 come strumento appunto di disvelamento delle complessità etiche, estetiche, sanitarie, sociali e soprattutto politiche della contemporaneità virale. Il virus, per Biuso, è infatti una questione prima di tutto politica. Ed è tale perché il Covid-19 ha coinvolto ogni livello del vivere, sia individuale che collettivo. Sulla base di un’identità libertaria, filosofica e critica, Biuso individua allora alcune delle maggiori problematiche e delle più scottanti criticità nella gestione dell’emergenza sanitaria, facendo emergere l’ondata nichilistica, oscurantistica e irrazionalistica che ha pervaso i decisori politici e quindi di riflesso l’opinione dominante impattante sul corpo sociale, ammalato secondo l’autore di autoritarismo, servilismo e negligenza intellettuale ben più di ogni infezione da Covid-19. […]
Ad ogni modo, ho veramente difficoltà a comprendere pienamente la posizione dell’autore. Mi sembra che in almeno quattro loci del libro la malattia da Covid-19 venga presa nella sua realtà per la salute e dunque come evento da trattare con serietà e da fronteggiare anche in senso sanitario. […] Faccio difficoltà a coniugare una tale diversità di posizioni, come sia possibile cioè da una parte declinare una critica così lucida e largamente condivisibile alla gestione della pandemia e ai danni arrecati dalla risposta politico-sanitaria e dall’altra affermare la realtà del virus e non agire di conseguenza. […]
Un principio luminoso e di libertà profonda che ci ricorda del nostro limite, che lo fa accettare e benedire, che ci fa comprendere, distanti dall’illusione di gioie false e insperabili, la ferita e la tragedia che è la vita in sé, sempre, come sapeva, ben prima di ogni Covid-19, il Pavese con il quale Biuso termina in modo per me molto bello questo libro, che resta stimolante per la riflessione sul senso del nostro stare al mondo. Perché rimane prima di tutto un esercizio di libertà in vista della libertà stessa, un caveat radicalmente filosofico che intriso della lezione dei grandi maestri propone una prospettiva critica di comprensione su ciò che non dobbiamo smarrire, su ciò che dobbiamo ancora comprendere sulla nostra salus, che è insieme salute e salvezza».

Contro il gregge

Aldous, o del presente
Aldous, 2 agosto 2022

Nel Nuovo Mondo di Huxley si ha il «dovere di essere infantili» e lo strumento principale per riuscirci – oltre la droga – è la televisione che «si lasciava funzionare, come un rubinetto aperto, dalla mattina alla sera». Il mezzo televisivo, infatti, non comunica qualcosa di vero o di falso ma, semplicemente, di irreale, di insignificante. Il Nuovo Mondo è l’«Era del Vizio Televisivo», con gli umani trasformati da carne da cannone in «carne da televisione». Nel Nuovo Mondo il vero e unico nemico è la persona capace di pensare al di là ed eventualmente contro i decisori politici, le celebrità mediatiche, coloro che hanno ridotto il sapere scientifico, tecnico, medico a dogma, minaccia, religione.
Televisione, infantilismo, conformismo; un’esistenza del tutto in superficie e volta a impedire qualsiasi anche piccolo “trauma psicologico”; il culto del nuovo e la negazione del passato; il disprezzo per la creatività e per il sapere a favore del “saper fare”; i libri sostituiti dalle immagini e dal consumo di inutili prodotti e miriadi di “distrazioni”; l’appartenere a una qualche forma di collettivo alla moda; la paura di star soli; l’adesione spontanea alle minacce, alle lusinghe e alle decisioni di chi comanda.
Giustamente, Huxley definisce tutto questo «avvelenamento da gregge».

[L’articolo è stato ripreso da Sinistrainrete, 4.8.2022]

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