Skip to content


La donna e i poliziotti

Militarizzazione del territorio, manganelli, lacrimogeni ad altezza d’uomo, ruspe, distruzione delle tende dei cittadini, armi chimiche. Anziani, donne, persone inermi picchiate, inseguite nei boschi, insanguinate. Perché? Questa è l’azione dei manichini armati al servizio delle aziende mafiose, dei partiti corrotti, delle banche per le quali un’opera tecnicamente ed economicamente del tutto inutile e dannosa -la linea ad Alta Velocità da Torino a Lione- è una fonte di danaro fuori da ogni controllo. La pagheremo tutti noi quest’opera, con i nostri soldi, con le tasse, con i servizi sempre più scadenti. Valli distrutte, umani umiliati, potenti ghignanti. No, non si tratta di una questione soltanto locale. È la metafora più pregnante della guerra che lo stato sta conducendo contro i cittadini italiani, della distruzione di risorse comuni che il peggior governo e la peggiore opposizione dell’Italia repubblicana vanno praticando con tenace volontà di morte.
La grande stampa (per non dire le televisioni) è quasi tutta schierata a favore della disinformazione. Anche per questo invito a visitare il sito No Tav e a vedere due filmati. Nel primo una donna espone le ragioni del rifiuto del Tav a una schiera di poliziotti rigidi come burattini. Il secondo è un’efficace sintesi di testi, immagini, voci che documentano quanto sta avvenendo in Val di Susa. Durano nove minuti ciascuno. Meritano il nostro tempo.

Internet killed the Video Star

Ringrazio gli amici ai quali avevo inviato nei giorni scorsi una mail sul tema dei referendum, che mi hanno risposto e che soprattutto sono andati a votare. Il risultato -davvero insperato- di questa consultazione ha tanti significati e implicazioni. Vorrei accennare a una soltanto di esse, che si può riassumere nella formula “nonostante la televisione”.
Nonostante le più potenti reti televisive italiane, infatti, abbiano agito sistematicamente a favore della  disinformazione e dell’omissione, 27 milioni di italiani hanno compreso il significato di questo voto e hanno scelto di partecipare a una decisione riguardante il loro presente, il loro futuro. Un simile risultato è dovuto in gran parte alla Rete, agli strumenti orizzontali e pervasivi di Internet. Si tratta di un evento davvero significativo. Di che cosa? Del lento ma probabilmente ormai iniziato declino della televisione come strumento monoteistico di informazione e di creazione della coscienza collettiva, a favore del politeismo della Rete. La quale -non bisogna farsi illusioni- nella sua dimensione collettiva e spontanea subisce anche un intenso rumore che copre i contenuti significativi e potenzialmente liberatori in una massa indistinta di messaggi, tutti velocissimi, planetari, uguali, una sorta di “notte in cui tutte le vacche-notizie sono vere”. Dietro i progetti di una democrazia digitale diretta, di una nuova agorà telematica, si possono nascondere pericoli anche gravi. Il cyberspazio può, infatti, facilmente diventare il luogo di nuove passività, di altri conformismi. E tuttavia la struttura molti a molti che caratterizza (almeno sinora) Internet è in gran parte capace di individuare e neutralizzare la manipolazione che si tenta anche al suo interno, cosa che la struttura uno a molti della televisione non può fare ma che anzi utilizza di continuo come strumento di omologazione.
Oltre al diritto all’acqua pubblica, all’allontanamento del rischio nucleare, al rispetto del principio costituzionale dell’eguaglianza davanti alla legge, con i risultati di oggi ha vinto la Rete, ha vinto il luogo che io e voi stiamo in questo momento vivendo.

 

Forza Milan

Ci sono contraddizioni assai chiare ma che in certe condizioni non si riescono a percepire. Una consiste nell’essere milanisti e però detestare il berlusconismo. Lo dico da anni ai miei amici tifosi rossoneri: «ogni gol che vi fa esultare, ogni vittoria di questa squadra rappresentano un potente sostegno a Berlusconi, il quale ha fatto anche del Milan uno strumento di propaganda, di consenso, di dominio». La festa di ieri sera a Milano per il diciottesimo scudetto ne costituisce la conferma. Nei due giorni in cui la pubblicità elettorale è ufficialmente proibita, il Milan sta permettendo al suo padrone di mostrarsi, di additare se stesso come modello al quale credere sempre, a cui ciecamente affidarsi. L’intima natura totalitaria del berlusconismo nulla può lasciare al di fuori di sé, figuriamoci il calcio che è uno dei maggiori strumenti di manipolazione delle masse.
Da quando ero bambino e sino a vent’anni fa sono stato un tifoso milanista che adorava la sua squadra, che con essa ha esultato, atteso le vittorie, pianto (ad esempio dopo l’atroce sconfitta per 5 a 3 a Verona che nel maggio 1973 fece svanire all’ultima giornata di campionato lo scudetto della “stella”). Berlusconi mi ha rubato anche la squadra, trasformandola in una propaggine del proprio io, della propria menzogna. A queste condizioni non ho potuto più tifare per il Milan. Ribadisco dunque l’invito a non farsi complici del dittatore: «Amicus Milan sed magis amica libertas».

 

La società dello Spettacolo

La Société du Spectacle (1967)
Commentaires sur la société du spectacle (1988)
di Guy Debord
Gallimard, Paris 1992
Pagine 209 e 149

Lo spettacolo è il dominio della rappresentazione sulla realtà, la confusione costante dei due livelli sino alla loro totale compenetrazione, che cancella i limiti del sé e del mondo, dell’effettuale e dell’immaginato: «la réalité surgit dans le spectacle, et le spectacle est réel. Cette aliénation réciproque est l’essence et le soutien de la société existante» (La Société du Spectacle, aforisma 8, pagina 19).
Lo spettacolare concentré e lo spettacolare diffus -che nel 1967 Debord ancora distingue- nei successivi Commentaires del 1988 saranno unificati nello spettacolare intégré. Tra tutte le forme dello spettacolo contemporaneo è soprattutto la televisione a costituire l’ininterrotto discorso che la folla solitaria e i suoi padroni intrattengono su se stessi, il dominante specchio autoelogiativo di un sociale divenuto autistico e totalitario. Un’immensa allucinazione collettiva sembra fare del mezzo televisivo il suo stesso scopo. Tale spettacolo

est le soleil qui ne se couche jamais sur l’empire de la passivité moderne. Il recouvre toute la surface du monde et baigne indéfinitement dans sa propre gloire (af. 13, p. 21).

Soltanto ciò che appare in televisione esiste veramente, il monopolio dell’apparire è diventato il monopolio dell’essere e del valore fino al punto che non apparire equivale a non esserci. Un mondo sempre più virtuale sembra mostrare evidenti le tracce del profondo nichilismo che lo attraversa: «le spectacle est le mauvaise rêve de la société moderne enchaîné, qui n’exprime finalement que son désir de dormir» (af. 21, pp. 24-25).
Quali le cause della vittoria televisiva? Debord tenta una sia pur sintetica storia del mondo (nel capitolo V: temps et histoire) ma certo non mira a cogliere tutte le radici del fenomeno. Si limita a individuarne due: da un lato la centralità del vedere unita al dominio della tecnica che caratterizza fin dai Greci il progetto filosofico europeo; dall’altro il dispiegarsi vittorioso del Capitale. Lo spettacolo nella sua essenza altro non sarebbe che «le capital à un tel degré d’accumulation qu’il devient image» (af. 34, p. 32).

È molto interessante seguire il percorso di Debord dall’opera del 1967 ai Commentari di vent’anni dopo passando per l’edizione italiana del ’79. In quest’ultima, infatti, le speranze rivoluzionarie e la fiducia nel proletariato “non stalinista” sono intatte, anche se mai Debord confonde la distruzione del presente con la sicura felicità del domani. I successivi Commentaires, invece, dichiarano fin dall’inizio di non voler giudicare né indicare ma soltanto descrivere e si chiudono con un’ambigua dichiarazione di resa affidata a una pagina di dizionario aperta alla voce vainement (“vanamente”): «le travailleur a perdu son temps et sa peine, sans préjuger aucunement la valeur de son travail, qui peut d’ailleurs être fort bon» (cap. XXXIII, p. 118).
Nel mezzo, si dispiega una compiuta descrizione di alcuni degli sviluppi più nascosti della società contemporanea. I temi, gli eventi, le connessioni toccate da Debord sono eccentrici e proprio per questo verosimili. Tucidide e Clausewitz servono a spiegare i servizi segreti, Gracián e La Boétie aiutano a cogliere i nuovi servilismi, mafie e terrorismi vengono inseriti –come è giusto- nel cuore dell’economia e della politica attuali. Aldo Moro e le Brigate Rosse ritornano con frequenza come prova della solidarietà e reversibilità che intercorre fra i servizi segreti e i rivoluzionari. Il «terrorisme illogique et aveugle» (Préface, p. 138) delle BR è l’emanazione della P2 chiamata da Debord Potere Due, in grado di assicurare impunità ai terroristi e la cui concordia è svelata da un lapsus: il S.I.M., il preteso “stato imperialista delle multinazionali” non sarebbe altro che il modo con cui le BR firmavano senza volerlo la loro vera natura di succedanee del Servizio Informazioni Militari del regime fascista (Ivi, p. 135). Non a caso, inoltre, le operazioni delle BR ottenevano il massimo di pubblicità da parte dei media, a suggello della «politique “spectaculaire” du terrorisme» (Ivi, p. 142). Terrorismo che nulla avrebbe quindi in comune con gli intenti sovvertitori della Internazionale Situazionista, della quale La Société du Spectacle volle essere il fondamento filosofico e critico. Ma, a proposito di lapsus, la Situationist International ha la stessa sigla dello SI, lo Spectaculaire Intégré, il quale s’impone ormai ovunque, perfettamente coeso con ogni forma di discorso pubblico, struttura istituzionale, modo di produzione. Esso si caratterizza per l’effetto combinato di

cinq traits principaux, qui sont: le renouvellement technologique incessant; la fusion économique-étatique; le secret généralisé; le faux sans réplique; un présent perpétuel (cap. V, p. 25).

Attraverso di essi l’arte di governo muta radicalmente, il dominio diventa assai più soft: «le destin du spectacle n’est certainement pas de finir en dispotisme éclairé» (cap. XXXII, p. 116). Non la violenza aperta è infatti lo strumento dello Spectaculaire Intégré ma una pervasiva disinformazione la quale «réside dans toute l’information existante; et comme son caractére principal» (cap. XVI, p. 69). La conseguenza è che tutti gli addetti all’informazione hanno sempre un padrone, sono tranquillamente sostituibili e meglio servono quanto meglio mentono. Ciò che conta è infatti rimuovere la storia, la memoria, la distanza poiché «l’histoire était la mesure d’une nouveauté véritable; et qui vend la nouveauté a tout intérêt à faire disparaître le moyen de la mesurer» (cap. VI, p. 30).
All’inizio dei Commentaires, Debord dichiara che non tutto potrà essere detto e bisogna scoprire il segreto fra le pieghe delle parole. Il caso forse più importante di applicazione di questa reticenza è il Sessantotto. Nonostante le sue esplicite intenzioni, esso non ha minimamente scalfito lo Spectaculaire Intégré che anzi ha continuato ovunque a rafforzarsi.

Già nel 1967, Debord aveva compreso e scritto che

À l’acceptation béate de ce qui existe peut aussi se joindre comme une même chose la révolte purement spectaculaire: ceci traduit ce simple fait que l’insatisfaction elle-même est devenue une marchandise dès que l’abondance économique s’est trouvée capable d’étendre sa production jusqu’au traitement d’une telle matière première (La Société du Spectacle, af. 59, p. 55).

E tuttavia secondo Debord dopo il Sessantotto nulla è davvero come prima poiché con esso la società ha perso la sua innocenza. L’ambiguità diventa enigma e persino mistero nel seguente giudizio:

Rien, depuis vingt ans, n’a été recouvert de tant de mensonges commandés que l’histoire de mai 1968. D’utiles leçons ont pourtant été tirées de quelques études démystifiées sur ces journées et leurs origines; mais c’est le secret de l’État (Commentaires, cap. VI, p. 28).

Tra i segreti dello Stato, il più palese è ormai la sua natura spettacolare, che in Italia si mostra in modo persino clamoroso. Le masse inebetite fanno della servitù la loro stessa vita, credendosi libere di scegliere quale spot politico-pubblicitario vedere. L’imbonitore che vende il nulla è diventato non più figura ma sostanza stessa del potere.

[I due testi sono stati tradotti e pubblicati in italiano con il titolo La società dello spettacolo, Baldini e Castoldi, Milano 2008]

Immondi

Le Reti televisive pubbliche tedesche ARD e ZDF invitano a pagare il canone utilizzando l’immagine di Berlusconi come esempio negativo del pericolo che si corre e delle gravi conseguenze che si subiscono quando un monopolista privato sovverte ogni norma liberale e distrugge il pluralismo dell’informazione. Lo slogan afferma che «una democrazia è forte quanto lo sono i suoi Media. La Germania ha uno dei panorami televisivi più pluralisti e  di migliore qualità del mondo. Questo rende possibili le nostre scelte, grazie al vostro contributo (canone)». «Non finire come l’Italia di Berlusconi» è un altro slogan della campagna.

Le conferme del livello davvero inaccettabile al quale è arrivato l’utilizzo delle televisioni da parte del Padrone non riguardano soltanto i cosiddetti programmi di informazione -come i telegiornali- ma anche i format di “intrattenimento” che dominano la Rai e Mediaset. Recente e clamoroso il caso di Forum (Canale 5) con una finta terremotata aquilana che magnificava la “ricostruzione” realizzata dal governo e che invece è stata disvelata come una figurante pagata per recitare un copione scritto dagli autori del programma andato in onda sulla Rete ammiraglia di Berlusconi.
Qui è accaduto qualcosa di radicale: non soltanto la finzione ha sostituito la realtà e la propaganda è stata spacciata per testimonianza ma delle persone che hanno perso tutto, che hanno subìto dei lutti, che hanno visto le proprie abitazioni distrutte, senza presente e senza futuro, nel programma di Mediaset sono state insultate come “pigre, vittimiste, approfittatrici”. La natura immonda della televisione italiana e del suo padrone ha bisogno di altre prove?

Provinciali promesse

Le allettanti promesse
da Il nostro caro angelo (1973)

In questa splendida e ironica canzone ci sono tutta la lievità, il graffio e il disincanto di Battisti-Mogol.
È un’attenta descrizione del provincialismo che rende così meschini coloro che trascorrono tutta la vita in luoghi spazialmente limitati (non solo paesini ma anche, a volte, capoluoghi). Ed è anche molto di più, basti porre attenzione all’ultima battuta del testo.

[audio:Battisti. Le allettanti promesse.mp3]

La bellezza del somaro

di Sergio Castellitto
Italia, 2010
Sceneggiatura di Margaret Mazzantini
Con: Sergio Castellitto (Marcello), Laura Morante (Marina), Enzo Jannacci (Armando), Nina Torresi (Rosa), Barbara Bobulova (Lory), Marco Giallini (Duccio), Gianfelice Imparato (Valentino), Emanuela Grimalda (Raimonda), Lidia Vitale (Delfina), Renato Marchetti (Ettore Maria), Lola Ponce (Gladys)
Trailer del film

Marcello e Marina sono due professionisti romani simpatici, agiati, politicamente correttissimi, i quali hanno sempre permesso alla loro figlia Nina di fare ciò che voleva. Adolescente molto seria ma anche puntuta, Nina ha un nuovo fidanzato. I genitori le propongono di invitarlo a una festa in campagna, convinti che il ragazzo sia un amichetto negro. E invece no. Armando è un bianco settantenne. Vacillano, naturalmente, le aperture mentali delle quali i due genitori si facevano vanto. Al loro posto si scatenano litigi, ricordi negativi, tradimenti. Marcello comincia a farsi le canne con i compagni della figlia, Marina cerca di riscoprire la propria femminilità infranta. Tutto intorno ruota una fauna di improbabili amici di famiglia: una preside bulimica e iperpermissiva, un cardiologo più interessato a vagine che a cuori, un economista che studia di continuo l’inglese, la severissima colf rumena, due pazienti di Marina decisamente schizzati, una giornalista assai antipatica e, naturalmente, un somaro. Ma chi è davvero Armando? Un furbo, un ex diplomatico, un buono, un guru? Non si sa, ma comincia a essere chiamato “il Presidente” (con chiaro riferimento al magnifico Chance il giardiniere di Being There). Presidente di che cosa? «Di tutto».

leggi di più
Vai alla barra degli strumenti