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«Dentro il fasto verminoso dell’eternità»

Marche pour la Cérémonie turque
di Jean-Baptiste Lully
da Le bourgeois gentilhomme
(1670)

Molière ha colto in modo esatto la divertita insignificanza dell’umano. Il borghese gentiluomo è l’ossimoro nel quale questo genio ha racchiuso un intero mondo di penose ambizioni, di ferocia sociale, di carrierismi grotteschi, quelli che inducono chi si pone sulla china del potere e della mondanità ad assorbire come una droga l’innalzamento di funzione e di carica. E a non accorgersi più di quanto siano ridicoli nella loro smania di allontanare in questo modo la morte, che per fortuna verrà a prenderli. Tutti. Qualunque grado abbiano raggiunto in questo mondo di tenebra.
Lully ha colto la profonda malinconia della satira di Molière e le ha regalato musiche che sono pensiero. La Marche pour la Cérémonie turque è una cadenza di trionfo che in realtà è una marcia funebre.

[audio:Lully.mp3]

Thomas Kuhn e Beppe Grillo

Le verità delle scienze dure -fisica, chimica, geologia ad esempio- sono anch’esse sottoposte al condizionamento dei contesti in cui vengono elaborate. E sono sottoposte alle passioni personali di chi studia, scrive, fa ricerca nei laboratori. Le scienze sono immerse in paradigmi collettivi e -nel loro concreto operare- subiscono i pregiudizi personali, ideologici, politici degli scienziati, uomini in carne e ossa. Di fatto, afferma Thomas Kuhn, «i sostenitori  di paradigmi opposti praticano i loro affari in mondi differenti» (La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, 1978, p. 182); da ciò deriva la concreta impossibilità di una verità oggettiva e metastorica, tanto che -come scrisse Max Planck– una nuova verità scientifica non si afferma attraverso la persuasione degli avversari ma a causa della loro morte e della crescita di nuove generazioni a essa abituate e disponibili.
Se tutto questo vale per le scienze dallo statuto più oggettivo -quelle della natura-, a maggior ragione pervade di sé praticamente ogni affermazione e risultato delle scienze sociali. Un esempio è dato dalla stupefacente incapacità di scienziati della politica, analisti sociali e soprattutto giornalisti di comprendere le ragioni del successo in Italia di un movimento politico come quello fondato da Grillo.
La spocchia filogovernativa di Repubblica, specialmente del suo ex direttore Eugenio Scalfari ma anche dell’attuale Ezio Mauro; le banalità del Corriere della sera; i veri e propri insulti rivolti dai conduttori dei penosi talk show televisivi; gli evidenti pregiudizi del Manifesto, che sul numero di ieri definisce il Movimento 5 stelle «appetibile per chi si era lasciato fin qui sedurre dal populismo berlusconiano e dalle rozze semplificazioni bossiane, malgrado i 5 stelle siano in gran parte giovani secchioni ambientalisti, più bravi a problematizzare che a risolvere» (A. Fabozzi); tutto questo -e molto altro- dimostra una diffusa incapacità da parte dei mezzi di comunicazione di massa di intendere l’evidente novità di un movimento che può avere molti limiti -primo dei quali il populismo- ma che esiste al di là del blog di Grillo e le cui caratteristiche principali mi sembrano le seguenti: limpegno in prima persona di cittadini che non si rassegnano alla totale corruzione della cosa pubblica e si assumono l’incarico di amministrare direttamente le città; il rifiuto della politica come professione; l’attenzione massima posta alla qualità della vita e dell’ambiente; l’innovazione tecnologica (Internet come luogo politico); un programma chiaro, articolato ma anche breve, in grandissima parte “di sinistra”. Un programma che tutti possono leggere facilmente e la cui ignoranza da parte di giornalisti e analisti non è consentita.
Questo Movimento ha un progetto. Continuare a dire che si tratta solo di «protesta antipolitica senza proposte» è del tutto falso. Si può condividere o meno tale progetto ma è con esso che bisognerebbe confrontarsi e non con i propri pregiudizi.

Tutto in famiglia

Dogtooth
(Kynodontas)
di Yorgos Lanthimos
Grecia 2009
Con: Christos Stergioglou (il padre), Michelle Valley (la madre), Aggeliki Papoulia (la figlia maggiore), Mary Tsoni (la figlia minore), Hristos Passalis (il figlio), Anna Kalaitzidou (Christina)
Trailer del film

Due sorelle, un fratello, i genitori. Una villa isolata, circondata da un muro. I tre figli non ne sono mai usciti. Padre e madre hanno insegnato loro tutto. Hanno insegnato quanto pericoloso sia il mondo che sta fuori e la sicurezza, invece, della propria casa. Hanno insegnato che i gatti sono animali terribili che divorano i bambini, che gli aerei cadono nel giardino, che il pube si chiama tastiera, che la parola fica vuol dire “grande lampada” e che “mare” indica una poltrona. Hanno insegnato che un ragazzo può comunque lasciare la casa quando perde uno dei canini, “destro o sinistro che sia, non importa quale”. E molto altro ancora hanno insegnato, soprattutto a competere duramente fra loro tre. Ogni tanto arriva una donna che soddisfa le esigenze sessuali del figlio, sino a quando tradisce la fiducia dei genitori che la sostituiranno con una delle sorelle. Ma la volontà di conoscere, liberi, il mondo sembra che non possa essere cancellata neppure da questo orrore travestito da agiata serenità familiare.

La scena chiave del film non accade dentro la villa. Consiste nel dialogo tra il padre e un allevatore di cani che gli spiega come la sua azienda sia capace di addestrare un animale secondo i desideri del suo padrone: servizievole, aggressivo, giocherellone, solitario. Come lo vuole lui. È il sogno di questi genitori comportamentisti, i quali programmano a tavolino -come Rousseau e come Watson- ciò che i loro figli dovranno essere: «Datemi una dozzina di neonati di sana e robusta costituzione fisica e lasciate che li tiri su in un ambiente scelto da me e garantisco che di qualunque di loro potrò fare qualunque cosa: medico, avvocato, artista, capovendite, e, sì, persino straccione o ladro, indipendentemente dalle sue capacità, tendenze, inclinazioni, abilità, vocazioni, e dalla razza dei suoi antenati» (J.B.Watson, Behaviorism, Norton 1930, p. 104).
Il coacervo di proiezioni del non essere dei genitori nell’essere dei figli è uno degli elementi che rendono la famiglia un’istituzione emotivamente insostenibile. Come Teorema di Pasolini e Gruppo di famiglia in un interno di Visconti ma in modo assai diverso da entrambi, lo stile iperrealista e raffinato, asciutto e insieme grottesco di questo bellissimo film restituisce per intero la claustrofobica perversione dell’amore familiare.

Contro il Sessantotto. Saggio di antropologia

Nuova edizione
Villaggio Maori Edizioni
Catania, 2012
Collana I Saggi del Villaggio

ISBN 978-88-906119-3-3
Pagine 176
€ 14,00

La prima edizione di Contro il Sessantotto (1998) è andata esaurita presso l’editore Guida. Questa seconda edizione presenta una Prefazione di Eugenio Mazzarella, alcune modifiche al testo e un nuovo capitolo dal titolo «Desiderio del Sessantotto. Un’ambigua autocritica».

Questo è l’indice completo:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Catania sì bella e perduta

Catania 1870-1939. Cultura Memoria Tutela
ex Quartiere militare borbonico già Manifattura tabacchi – Catania
A cura di Irene Donatella Aprile
Sino al 25 marzo 2012

Per quasi un secolo molte operaie hanno buttato sangue e polmoni in questo luogo, trasformato nella manifattura dei tabacchi. Prima era stato il Quartiere militare edificato allo scopo di controllare la città dopo i moti del 1820-21. Adesso è diventata la sede del futuro (quanto?) Museo Archeologico regionale. Intanto, dietro l’imponente facciata neoclassica ospita una mostra documentaria di ineguale livello nelle sue sei sezioni ma certamente di grande interesse.
Paesaggio urbano mostra i progetti e le modifiche che tra fine Ottocento e primi Novecento privarono (e tuttora privano) Catania del suo mare. Da un lato, infatti, venne ampliato il porto ma dall’altro fu costruito proprio sulla costa il lungo viadotto ferroviario (i cosiddetti “Archi della marina”) che fa da ostacolo a un contatto diretto della città con il mare, tanto più dopo il successivo interramento degli archi stessi, sotto i quali all’inizio passava ancora l’acqua.
La sezione Archeologia espone una selezione, in verità piuttosto ridotta, di vasi, rilievi, statue conservate nel museo civico.
Quello dedicato all’Arte è lo spazio più ampio ed eclettico: pupi siciliani, dipinti di pittori non soltanto locali operanti nel periodo, gli eleganti arredi e quadri della Camera di commercio, collezioni private.
Una sezione specifica è dedicata alle Case della memoria, le case museo di Giovanni Verga, di Mario Rapisardi, di Alessandro Abate, l’interessantissima Casa del mutilato, con il suo intreccio di déco e di razionalismo modernista.
Editoria mostra la vivacità culturale che mai (per fortuna) è venuta meno in Sicilia. Un semplice e lungo elenco dei nomi degli scrittori più noti conferma come quest’Isola sia ancora un luogo di bellezza e di pensiero. L’editoria scolastica e i periodici documentano soprattutto la progressiva e totale subordinazione della scuola al fascismo. I libri di testo e i giornali per bambini e ragazzi sono tutti volti alla lode del Duce, alla ripetizione ossessiva delle sue formule, alla monumentalizzazione imperiale della storia italiana. È comunque molto intrigante osservare le copertine di questi libri e riviste: Il Balilla, Il Corriere dei piccoli, Emporium, La cucina italiana, La lettura, Le vie d’Italia (del Touring Club).
La sezione fondamentale per capire il senso della mostra è Architettura. Pur composto soltanto da progetti e da fotografie, è uno spazio che fa comprendere quanto sia bella ed elegante questa città. Catania pullula di ville neoclassiche, liberty, déco. Concentrate in particolare in viale Regina Margherita, sopravvivono anche in via Etnea, Tomaselli, Leucatia, Umberto, in viale Rapisardi, in corso Italia e in altri quartieri. Lo scempio urbanistico e il disordine architettonico degli anni Sessanta e Settanta hanno rubato alla città la sua armonia ma non sono stati capaci di fare tabula rasa di alcuni degli edifici più belli eretti in Sicilia nei decenni 1870-1940. Alcune di queste costruzioni sono in stato di profondo degrado -clamoroso il caso di Villa Manganelli-, altre sono invece state restaurate o non hanno mai perduto la loro forza: il cinema Odeon, il Palazzo della Borsa, Villa Pancari, caratterizzata da un armonioso liberty privo degli eccessi decorativi; è opera dell’architetto Paolo Lanzerotti, che fu molto attivo nella sua città e la cui vita (1875-1944) coincise con l’arco temporale documentato dalla mostra. 
Mostra che consiglio di visitare in quest’ultima settimana di apertura, nonostante i suoi proibitivi orari “catanesi” (9-13 tutti i giorni, con due sole aperture pomeridiane martedì e giovedì dalle 9 alle 18).
È bella Catania, nonostante lo stupro subìto da parte dei palazzinari, degli ignoranti, degli amministratori corrottissimi e incapaci che da decenni la governano senza pause con l’attiva complicità dei professionisti, dell’Università, del popolo. Tutti soggetti che sembrano contenti che lo spazio urbano nel quale si svolge la loro vita continui a essere violentato. Ma sotto il suo cielo azzurro e splendido la città mostra ancora, a chi sappia guardare, tutta la sua eleganza.

What a Shame

Shame
di Steve McQueen
GB, 2011
Con: Michael Fassbender (Brandon), Carey Mulligan (Sissy), Nicole Beharie (Marianne), James Badge Dale (David), Lucy Walters (la ragazza del metro)
Trailer del film

Brandon. Un lavoro sicuro. Una casa organizzatissima e accogliente a New York. La metropolitana. Gli sguardi delle donne. I film porno. Le prostitute. I locali gay. La masturbazione a casa e in ufficio. Sua sorella gli chiede di ospitarla per qualche giorno e diventa un ostacolo alla pulsione di Brandon. Due solitudini, due disperazioni. Il sangue e il pianto. Nessun incontro, mai, con nessuno. Lo sguardo di Fassbender diventa maschera e figura della tristezza che pervade questo film. Un film contro il sesso, si direbbe, visto il disgusto che afferra di fronte a un piacere senza gioia, a un eros privo di qualunque sorriso, a una dipendenza infelice come tutte le dipendenze chimiche: dall’eroina all’innamoramento. Mai una molecola di sentimento. Non a caso molte scene riprendono gli attori da una parte del corpo poco comunicativa come la nuca, di spalle. Un film esistenzial-newyorchese girato con maestria tecnica ma anche con troppa furbizia di intenti. Le due scene più terribili e belle sono il primo finale con il pianto di Brandon nel porto sotto la pioggia e -precedentemente- il suo sguardo durante un orgasmo con due prostitute. Raramente ho visto la disperazione e il vuoto dipinti così bene su un volto umano. E proprio nell’istante assoluto nel quale il piacere dovrebbe essere pura gioia, o almeno soddisfazione. Nulla di tutto questo. Nulla.

L'Università che vogliamo

Due docenti universitari hanno redatto un appello -rivolto al ministro Profumo e a Monti- che sta ricevendo adesioni molto numerose. L’ho sottoscritto anch’io poiché mi sembra che descriva con realismo la situazione in cui ci siamo cacciati e proponga delle vie d’uscita. Vi si stigmatizza, infatti, la progressiva burocratizzazione: «Si sta scatenando negli atenei la definizione dei “criteri di valutazione”, al fine di misurare la “produttività” scientifica degli studiosi, come si misura una qualsivoglia quantità calcolabile. Anche per questo le Università europee sono sotto l’assedio quotidiano di un flusso continuo di disposizioni normative, che soffocano i docenti in pratiche quotidiane di interpretazioni e applicazioni quasi sempre di breve durata. Sempre minore è il tempo per gli studi e la ricerca, mentre la vita quotidiana di chi vive nelle Facoltà –docenti, studenti, personale amministrativo– è letteralmente soffocata da compiti organizzativi interni mutevoli, spesso di difficile comprensione, quasi sempre pleonastici». Un fenomeno che gli studenti dell’Ateneo dove insegno ben conoscono, dato che ogni anno vengono loro imposte modifiche anche radicali ai piani di studio, le quali creano una confusione enorme che sono i ragazzi a scontare, prima e assai più che i docenti.
Si condanna il cosiddetto «processo di Bologna», voluto nel 1999 dall’allora ministro Luigi Berlinguer (di infausta memoria) e sostenuto poi dai suoi successori. Tale modello ha infatti «rivelato il suo totale fallimento. Il numero dei laureati non è aumentato, le percentuali degli abbandoni nei primi anni sono rimaste pressoché identiche, diminuiscono le immatricolazioni, si fa sempre più ristretta l’autonomia universitaria, i saperi impartiti sono sempre più frammentati e tra di loro divisi, tecnicizzati, mai riconnessi a un progetto culturale, a un modello di società».
Un fallimento che l’appello giustamente riconduce al modello statunitense: «Ma a dispetto dell’immenso fiume di risorse e la finalizzazione spasmodica delle scienze alla produzione di brevetti e scoperte  strumentali, i risultati sono stati irrisori. La grande  ondata di nuovi posti di lavoro qualificati non si è verificata. Anzi, gli investimenti nel sapere hanno accompagnato un fenomeno dirompente: la distruzione della middle class. […] Inseguire gli USA su questa strada è aberrante. La crisi in cui versa il mondo rivela l’erroneità irrimediabile di una strategia da cui bisogna uscire al più presto».
Per avviare la «fuoriuscita dal modello liberistico di un’Europa ormai sull’orlo del collasso» il testo formula proposte molto concrete e di buon senso, tra le quali:
«Abolire il fallimentare sistema del 3+2 dall’organizzazione degli studi e ripristinare  i precedenti Corsi di Laurea, prevedendo lauree brevi per le Facoltà che vogliono organizzarli».
«Abolire i crediti (i famigerati CFU) come  criteri di valutazione degli esami».
«Noi crediamo giusto che l’Università resti pubblica, sostenuta da risorse pubbliche. […] L’organo di autogoverno degli Atenei sul piano didattico e della ricerca non può essere comunque il CdA, ma il Senato Accademico, democraticamente eletto, in modo da rappresentare equamente tutte le discipline e tutte le figure di coloro che nell’Università lavorano e studiano».
«Occorre immediatamente dar vita a un meccanismo di rapido reclutamento di nuovi ricercatori […] Ma è necessario al più presto bandire concorsi per la docenza in tutte le Facoltà. I docenti (compresi i ricercatori) italiani sono i più vecchi d’Europa e i numerosi pensionamenti hanno sguarnito gravemente tante Facoltà», compresa quella in cui insegno, i cui studenti hanno visto la cancellazione da un giorno all’altro di materie da loro scelte al momento dell’iscrizione.
«È infine necessario spendere le energie dei docenti per riorganizzare i saperi, il loro studio e la loro trasmissione nelle Università», poiché il senso della docenza universitaria affonda nella ricerca e nello studio quotidiano (“da mattina a sera”), aggiornato e scientifico e non nella burocratizzazione e nella quantificazione espressa da un lessico non a caso mercantile (debiti e crediti).
Consiglio di leggere con attenzione e per intero il Documento. La questione universitaria non riguarda i docenti e neppure soltanto gli studenti che frequentano per alcuni anni gli Atenei, ma è un ambito la cui struttura e il cui funzionamento ricadono sull’intero corpo sociale, su tutti.

[Invito a leggere anche un successivo intervento e i relativi commenti: L’università (s)valutata]

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