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Mummificati

Non soltanto terrorizzati. Ma ora anche mummificati. Terrorizzati sino alla mummificazione. Costretti ad affidare la presidenza della Repubblica a un soggetto –il Peggiore– che la dovrebbe tenere sino a 94 anni. Spaventati al solo pensiero che un uomo non ricattabile e giuridicamente preparato potesse accedere -diventando presidente- a documenti riservati. L’indicibile deve essere tenuto ben nascosto.
Questo timore contribuisce a spiegare le ragioni mai esplicitate che hanno indotto il Partito Democratico a rifiutare pervicacemente di risorgere -anche dopo la catastrofe successiva alla mancata elezione di Prodi- eleggendo Rodotà (un uomo appartenente alla storia dei quel partito) e formando un governo con il Movimento 5 Stelle, che glielo ha proposto più volte, in modo aperto e insistito. Hanno agito come se questa via d’uscita non esistesse. Le ragioni di tale testardo diniego devono dunque essere profonde, oscure, sostanzialmente criminali. Con la “stupidità” o con la “follia”, infatti, non si spiega nessun evento storico, neppure questo.
In ogni caso, l’elezione di Napolitano conferma molte cose. Tra queste:
– L’essere ormai i ceti dirigenti del tutto mummificati, oltre che spaventati da un reale cambiamento.
– La conventio ad excludendum posta sin dall’inizio -nonostante tutte le manfrine del Partito Democratico- nei confronti del Movimento 5 Stelle, come il tenace rifiuto di eleggere Rodotà ha dimostrato in modo evidentissimo.
– L’aver sin da subito dopo le elezioni il PD optato -su spinta incessante di Napolitano- per un governo con dentro tutti (tranne Sel e 5S) e quindi un governo di impunità per Berlusconi.
– Il chiarissimo tradimento che il Partito Democratico ha attuato nei confronti dei tanti suoi elettori che hanno creduto alla favola di un “governo del cambiamento”, mentre si ritroveranno ora alleati di Berlusconi in un governo che proseguirà la politica ultraliberista del governo Monti; un governo ancora più arroccato nei privilegi del ceto politico contro le indagini della magistratura; un governo nemico dei diritti e dell’eguaglianza; un governo che sarà protetto, coccolato, esaltato dalla televisione e da tutta la cosiddetta “grande stampa” (la Repubblica, il Corriere della sera, il Sole 24 ore), in realtà composta da “grandi servi”.
– L’aver costituito Napolitano -un ex fascista ed ex stalinista (“ex”?)- un baluardo a difesa di Berlusconi, che è entusiasta della sua rielezione.
– Lo spingersi sino a un golpe costituzionale; se i costituenti, infatti, non sentirono il bisogno di escludere formalmente un secondo mandato è perché l’Italia alla quale pensavano era una Repubblica parlamentare -come Ciampi ribadì rifiutando nel 2006 la proposta di una sua rielezione– che Napolitano ha invece trasformato di fatto in una Repubblica presidenziale. Non si era mai visto che un candidato alla presidenza ponesse delle condizioni al Parlamento per essere eletto, come ha fatto Napolitano.

Tutto questo è squallido e molto grave ma spero che non durerà. Anche perché -come scrive oggi Giso Amendola su Alfabeta2– il ceto politico che ha compiuto questo delitto contro il futuro e contro le istanze più dinamiche del corpo sociale, ha così deciso «di rompere definitivamente ogni ponte con intere generazioni, con i linguaggi e i desideri del presente, con la vita».
“Lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (Lc, 9, 60).

Interiore / Sociale

Un giorno devi andare
di Giorgio Diritti
Con: Jasmine Trinca (Augusta), Anne Alvaro (madre di Augusta), Pia Engleberth (Suor Franca), Amanda Fonseca Galvao (Janaina), Manuela Mendonça Marinho (Janete)
Italia-Francia 2013
Trailer del film

Augusta lascia l’Italia e la sua città, Trento, dopo essere stata abbandonata dal compagno perché sterile. Va in Amazzonia, prima per collaborare con una suora e poi -delusa dai modi sbrigativi e dogmatici dei missionari cattolici- per tentare di penetrare davvero nella vita di quella Terra e degli umani che la popolano. Il suo attivismo non sortisce però gli effetti che sperava e Augusta decide di vivere da sola in una delle tante anse dell’immenso fiume. L’incontro finale con un bambino, i giochi con lui, gli abbracci, sembrano regalarle qualche frammento della maternità perduta.
Dal bianco della neve di Trento al bianco delle spiagge brasiliane, lo spazio e il tempo si incrociano, si mescolano, si confondono. Così gli umani: la madre, con la quale Augusta ha un rapporto evidentemente irrisolto; la suora, a cui pone interrogativi che lei respinge; i ragazzi e le ragazze delle favelas, dai quali rimane troppo diversa.
Uno degli elementi del film è dunque la profonda interazione tra la dimensione interiore e quella sociale. La descrizione del mondo emotivo di Augusta è infatti sempre unita al racconto della vita concreta e quotidiana lungo il fiume e nelle città brasiliane. Alcuni passaggi della sceneggiatura sono francamente insostenibili nella loro banalità -«Sono qui per scoprire altri valori»; «Se vuoi cambiare le cose devi andare dove le cose bisogna cambiarle»- ma è soprattutto attraverso i silenzi, le azioni, i paesaggi che questo film esprime un’antropologia della sobrietà individuale e collettiva. Emerge il tema costante del cinema di Giorgio Diritti: il rapporto con l’alterità, la continuità tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, il conflitto del singolo con la comunità.

Il Partito Democratico e il senatore Berlusconi

Rasenta l’incredibile e precipita nello squallore, nell’autolesionismo, nell’irrazionalità che un tiranno mediatico e politico, un soggetto che non ha rispetto per niente e per nessuno, venga da vent’anni (vent’anni!) protetto da chi tutti i giorni riceve da lui insulti, dal Partito Democratico. Con costui il PD ha progettato di riscrivere la Costituzione (era ed è il sogno di D’Alema); gli ha garantito -come ammise una volta Luciano Violante alla Camera dei deputati- il possesso di tre reti televisive che hanno manipolato sino al midollo le coscienze e l’informazione; ha concordato e concorda con lui sugli sprechi e sulle folli spese a danno dello stato sociale, della scuola, della sanità (e cioè a danno dei ceti più deboli e di tutti noi) e a favore invece dell’acquisto dei cacciabombardieri F35 e del TAV in Val di Susa; ha accuratamente evitato di regolamentare un conflitto di interessi enorme come l’Everest; ha sistematicamente sottovalutato e giustificato iniziative golpiste delle quali l’occupazione del Palazzo di giustizia di Milano è soltanto la più recente; gli ha permesso e gli permette -con l’attivo e primario contributo di Napolitano– di sottrarsi alla legge e ai tribunali; ha governato insieme a lui nell’esecutivo del banchiere Monti.
Rasenta l’incredibile e precipita nello squallore, nell’autolesionismo, nell’irrazionalità che molti militanti ed elettori del Partito Democratico, i quali hanno tollerato per vent’anni tutto questo schifo e ancora lo accettino, si dedichino ora all’attacco sistematico e continuo di un Movimento -come il 5 Stelle- il cui programma e la cui azione intendono ampliare gli spazi di democrazia, restituire all’Italia la dignità smarrita, garantire una maggiore eguaglianza economica e giuridica tra i cittadini, difendere la Costituzione repubblicana.
Tra qualche giorno la Giunta elettorale del Senato dovrà stabilire se Berlusconi è eleggibile oppure -sulla base della legge 361 del 1957- in quanto concessionario del servizio radiotelevisivo non possa svolgere le funzioni di senatore:

«Art.10. Non sono eleggibili inoltre: 1) coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica, che importino l’obbligo di adempimenti specifici, l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o la autorizzazione è sottoposta».
I senatori del M5S si sono già espressi per il rispetto della legge e dunque per l’ineleggibilità di questo soggetto. Dal Partito Democratico il silenzio sul tiranno è stato rotto soltanto dal senatore Luigi Zanda -da poco eletto capogruppo- il quale si è detto d’accordo con il M5S. Al momento del voto su tale questione si vedrà quale partito -se il M5S o il PD- è disposto a tollerare il capo dei fascisti e dei banditi politici presenti nel parlamento italiano.

La favola del fratello cambiato

Viva la libertà
di Roberto Andò
Con: Toni Servillo (Enrico Oliveri / Giovanni Ernani), Valerio Mastandrea (Andrea Bottini), Valeria Bruni Tedeschi (Danielle), Michela Cescon (Anna), Anna Bonaiuto (Evelina Pileggi), Eric Trung Nguyen (Mung), Gianrico Tedeschi (Furlan), Massimo De Francovich (Presidente), Renato Scarpa (Arrighi)
Italia, 2013
Trailer del film

Vigilia delle elezioni politiche in Italia. Il maggior partito dell’opposizione è guidato da Enrico Oliveri, un burocrate senza slancio, spesso depresso, quasi rassegnato alla sconfitta. Dopo l’ennesima contestazione, decide di sparire. Si rifugia in Francia presso la famiglia di un’antica amante. Bottini, il suo principale collaboratore, dice alla stampa e anche alla direzione del partito che Oliveri è in clinica per un intervento chirurgico. Bottini è l’unico a sapere della fuga. Si consulta con la moglie di Oliveri, che lo informa dell’esistenza di un gemello di Enrico, un professore di filosofia da poco dimesso da una clinica per malati di mente. Disperati, si rivolgono a lui. Il quale si cala perfettamente nel ruolo del fratello, trasformandone però l’identità da uggiosa in ilare, da prudente in spericolata, da grigia in carismatica. Tra risposte spiazzanti ai giornalisti, citazioni da Brecht e dalla poesia giapponese, invenzione di nuovi ed efficaci slogan, comizi dalla parola acuminata e coraggiosa, il fratello filosofo riesce là dove il politico aveva fallito.
Un apologo intelligente, misurato e divertente, che incrocia due caratteri differenti e conflittuali sino a fonderli nelle notevoli scene conclusive, dove lo spettatore -che pure sa come stanno le cose- non riesce più a distinguere i due personaggi. L’opera si chiude con il sorriso ironico e saggio di Enrico o di Giovanni? Il film racconta una politica diventata carisma personale e consenso spettacolare ma il suo significato va oltre e abita nel luogo dell’identità, nella lotta tra la serenità personale e la sottomissione che anche il potente deve accettare nei confronti delle masse, nelle domande di fondo sul significato dell’agire umano.
A tutto questo dà voce, corpo e sguardi Toni Servillo, capace di essere due personaggi e non soltanto di interpretarli. La favola del fratello cambiato, nella speranza che sia l’Italia a cambiare.

Whisky

La parte degli angeli
(The Angels’ Share)
di Ken Loach
Con: Paul Brannigan (Robbie), John Henshaw (Harry), Gary Maitland (Albert), Jasmin Riggins (Mo), William Ruane (Rhino), Siobhan Reilly (Leonie), Renana Raz (Esther)
Gran Bretagna, Francia, Belgio, Italia, 2012
Trailer del film

Tribunale di Glasgow. Vari improbabili ladruncoli, teppisti e truffatori ricevono le loro condanne. A Robbie il giudice impone 300 ore di servizi sociali. È la sua ultima occasione per evitare lunghe pene detentive. Dopo aver visitato un’antica distilleria alcuni di questi ragazzi senza lavoro e senza futuro sognano l’occasione della loro vita. A breve, infatti, si terrà un’asta per la vendita di una botte dove si conserva un whisky rarissimo. Rubarne il contenuto e venderlo ai collezionisti significherebbe darsi un’altra possibilità. Nonostante la loro imbranataggine, i quattro riescono (o quasi) nell’impresa.
Periferie, disoccupazione, cinismo dei poteri costituiti, violenza e solidarietà tra gli esclusi. I temi del cinema politico di Ken Loach ritornano in questa commedia che coniuga il riso (l’impresa del gruppo), i sentimenti (Robbie è diventato padre e vuole a tutti i costi un futuro diverso per suo figlio), il dramma (non mancano i pestaggi e un diffuso clima di violenza). Non è un grande film ma neppure un film banale, come molti di quelli che passano sugli schermi. La parte degli angeli alla quale il titolo fa riferimento è, nel linguaggio degli specialisti di liquori, quella che evapora senza lasciare tracce. Ma è anche un titolo metaforico dell‘intero cinema di Loach, dedicato agli ultimi che saranno i primi.

Teleaddiction

Alcune serie televisive non soltanto durano anni e decenni ma entrano nella vita di milioni di persone come parte reale e decisiva della loro identità. «Legioni di adolescenti, professionisti, casalinghe, impiegati, persone di ogni età e senza caratteristiche particolari» incontrano «parte dei loro amici -della loro famiglia allargata, si potrebbe dire- all’interno della tv o del computer», tanto che «la fine della propria serie tv preferita può scatenare sintomi depressivi e un senso di angoscia e smarrimento simile a quella generata dalla fine di un amore» (P.E. Cicerone, «Maniaci seriali», in Mente & cervello, n. 97 – gennaio 2013, pp. 88 e 93). L’articolo che ne parla indulge un po’ troppo in un paragone tra serie televisive come le soap opera o fiction quali Lost, Sex and the City, Dr. House e la grande letteratura epica e romanzesca. Un’analogia insensata poiché per la nostra specie l’attenzione visuale, lo scorrere passivo delle immagini che attraversano il nostro orizzonte, è pura natura; il leggere è attività costruttiva della mente, è cultura diventata natura. Anche per questo la lettura costituisce un livello evolutivo assai superiore rispetto alla dipendenza televisiva, la cui essenza è quindi pre-umana.
Una conferma arriva da quanto leggo in merito alla presenza di s.b. in un programma televisivo di ieri sera (10.1.2013). Sia per il cinico conduttore Santoro sia per l’immondo suo ospite l’importante è stato non il contenuto di ciò che veniva detto ma l’audience, la capacità di tenere legati alla visione milioni di cittadini ridotti al rango di spettatori di uno scontro subumano. La vittoria non poteva che arridere al più rozzo, il quale -invece d’essere venuto a noia- dopo vent’anni domina ancora il mezzo televisivo.

Acciaio

Acciaio
di Stefano Mordini
Con: Michele Riondino (Alessio), Matilde Giannini (Anna), Anna Bellezza (Francesca), Vittoria Puccini (Elena), Massimo Popolizio (Arturo)
Italia 2012
Trailer del film

 

Due ragazzine a Piombino. Tra genitori assenti o inquietanti, fratelli coraggiosi e sfortunati, amici infantili o adescanti e soprattutto con l’acciaieria Lucchini incombente e totalizzante. L’isola d’Elba è lì vicino, a portata di mano, ma sembra irraggiungibile. «Perché il futuro deve essere sempre altrove, da un’altra parte?», si chiede Anna nella battuta conclusiva.
La classe operaia sembra davvero non esistere più, almeno al cinema. Anche un film come questo, del quale sono protagonisti degli operai e le loro famiglie, descrive in realtà individui sfilacciati, chiusi, cupi, senza presente. Che lo sguardo sugli eventi sia quello di due quindicenni prima unitissime e poi anche loro separate fa oscillare il film tra un tentativo di analisi sociale e lo scavo nei sentimenti privati. Ma si rimane in entrambi i casi alla superficie. Le ricorrenti inquadrature del mare, della fabbrica, della città dall’alto, sembrano dei riempitivi e si ha la sensazione che spesso il regista non sappia che cosa fare. Il risultato è assai banale in entrambi i finali del film: nel primo con la morte, nel secondo con la riconciliazione. La cosa migliore è l’icasticità del titolo, che è lo stesso del romanzo di Silvia Avallone dal quale il film è tratto.

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