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Ministri

Il Ministro degli Interni del governo Renzi -il Ministro che con la sua sola presenza mostra la vera natura di un governo che evidentemente gli elettori del Partito Democratico un anno fa hanno scelto, voluto, indicato e del quale sono dunque giustamente soddisfatti- è stato a Catania, accompagnato da forze dell’ordine, scorte e notabili locali. A quale scopo? È venuto a Catania per rendere omaggio al «vero padrone» della città: Mario Ciancio Sanfilippo, editore del quotidiano La Sicilia, imprenditore e molto altro, uomo potentissimo senza la volontà del quale nulla di rilevante accade in questo luogo, personaggio indagato -a suo dire- «“solo” per concorso esterno in associazione mafiosa». A Ciancio fece visita anche il governatore Crocetta appena eletto. Il presidente regionale degli industriali, Ivan Lo Bello, «accompagnato dalla scorta che dovrebbe difenderlo dai mafiosi, se ne è andato a cena con Ciancio lo scorso 1 febbraio scorso in un ristorante alle pendici dell’Etna. La cosa è finita in Parlamento perché il senatore 5 Stelle, Mario Giarrusso ha presentato un’interrogazione chiedendo come mai uno sotto scorta vada a cena con un indagato per mafia. A chi l’ha presentata l’interpellanza? Ma al ministro dell’Interno. Sì, proprio ad Angelino Alfano che ha pensato di rispondere a strettissimo giro al senatore grillino e lo ha fatto in modo inequivocabile: con un voscenza benedica a Mario Ciancio…» (Domenico Valter Rizzo, «Mario Ciancio, la corsa al capezzale dell’indagato», il Fatto Quotidiano, 25.3.2014).
Renzi e i suoi dilettanti allo sbaraglio possono moltiplicare quanto vogliono le loro chiacchiere a vantaggio dei buoni elettori del Partito Democratico e del telepopolo. I fatti sono questi. I fatti sono che il ministro degli Interni del governo PD si offre alla propaganda di un potente indagato per mafia. In Sicilia.

 

Social network / Fiducia

Disconnect
di Henry Alex Rubin
Con: Jason Bateman (Rich Boyd), Max Thieriot (Kyle), Frank Grillo (Mike Dixon), Andrea Riseborough (Nina Dunham), Alexander Skarsgård (Derek Hull), Paula Patton (Cindy Hull), Michael Nyqvist (Stephen Schumacher), Colin Ford (Jason), Hope Davis (Lydia Boyd)
Usa, 2013
Trailer del film

Cercando di decifrare le immagini della fotografa Catherine Balet, ho accennato alle macchine delle quali gli umani non possono più fare a meno: computer, tavolette, cellulari. Oggetti che diventano icone, feticci, compagni. Oggetti totali, oggetti sostitutivi. Totali perché intridono di sé lo spaziotempo, l’andare dei giorni, gli anfratti. Sostitutivi perché la relazione è stata portata a un diverso livello, è diventata la struttura che è capace di interagire soltanto se l’altro non c’è. Balet coglie e mette in scena il fatto, ormai comunissimo, che le persone si trovano insieme nello stesso luogo ma tra di loro non parlano. Cercano piuttosto colui che sta altrove e con lui conversano. Quando coloro che hanno accanto andranno lontano, è allora che li chiameranno per chiedere: «Dove sei?»
Disconnect è un dramma un po’ avvincente, un po’ banale e un po’ lacrimevole che mostra un altro aspetto di questo navigare nella nostra solitudine. Il film racconta infatti di tre storie che hanno tutte al centro la comunicazione digitale: una giornalista che vuole far carriera tramite un’inchiesta su ragazzi e ragazze che si prostituiscono in Rete; una coppia che vede con sconcerto tutti i propri risparmi prosciugati da qualcuno che ha rubato le password delle loro carte di credito; un ragazzino che tenta di uccidersi dopo aver inviato un proprio nudo a chi crede sia una donna e invece si tratta di compagni di scuola che si divertono a ingannarlo.
Nessuna particolare originalità, come si vede, ma al di là della trama il film mostra con efficacia da quale profonda solitudine le persone siano spinte a confidarsi su Internet, a raccontare di sé e della propria intimità a perfetti sconosciuti, dietro le cui false identità potrebbe esserci chiunque. Un bisogno e un’ingenuità che spesso si pagano a caro prezzo. Disconnect è dunque da raccomandare vivamente a quanti chattano sulla Rete e vivono sui Social network, con il consiglio di smettere. Subito.

Antropologia italica

Il capitale umano
di Paolo Virzì
Con: Valeria Bruni Tedeschi (Carla Bernaschi), Fabrizio Bentivoglio (Dino Ossola), Fabrizio Gifuni (Giovanni Bernaschi), Matilde Gioli (Serena Ossola), Valeria Golino (Roberta Morelli), Luigi Lo Cascio (Donato Russomano), Bebo Storti (l’ispettore), Gianluca Di Lauro (il ciclista), Giovanni Anzaldo (Luca Ambrosini), Gugliemo Pinelli (Massimiliano Bernaschi)
Italia, 2014
Trailer del film

Capitale_umano_Dino_OssolaLe parole sono il mondo, si sa. Definire un ente e un evento in una maniera o in un’altra significa conferirgli una diversa realtà. Nell’epoca dell’ultraliberismo vincente e di sinistra -da almeno vent’anni- uomini e donne che lavorano sono diventate delle risorse umane, la fine dei finanziamenti a fondamentali bisogni sociali si chiama spending review, la subordinazione della politica alla finanza ha preso il nome di governamentalità, le più squallide operazioni di potere e una miriade di intrallazzi vengono definite responsabilità. E così via nello schifo che soltanto il servilismo dei giornali e dei giornalisti di proprietà delle banche e dei partiti può trasformare in profumo.
Questo in tutto l’Occidente e, di fatto, nel mondo. In Italia, solita fortunata, si aggiunge da vent’anni la presenza di un bandito ricattato e ricattatore, le cui televisioni -come Pasolini ben aveva previsto- hanno trasformato non soltanto il vivere sociale ma assai più a fondo l’antropologia di questo popolo, il quale possedeva già comunque tutte le condizioni per diventare ciò che è. Tale popolo ha infatti per due volte nello stesso secolo dato credito e gloria a due scaltri buffoni carismatici come Mussolini e Berlusconi. Il risultato è un modo di esistere e di pensare che il film di Virzì ben esprime attraverso una storia brianzola (la Brianza di Carlo Emilio Gadda!) intrisa di ferocia, di tracotanza, di culto verso il denaro, di dissoluzione di ogni legame sociale, di provincialismo e soprattutto di volgarità. Una volgarità culturale (nel senso antropologico) incarnata da due magnifici attori che interpretano -rispettivamente- la cialtroneria del piccolo imprenditore che vuole diventare ricco in poco tempo (Dino Ossola) e l’elegante spietatezza di uno squalo della finanza (Giovanni Bernaschi).
Assistendo alla progressiva parabola discendente di questi e degli altri personaggi ho goduto, augurando a tutti i loro emuli e consimili nella vita reale il medesimo destino.  Il loro personale «lieto fine» con il quale il film si chiude è, certo, l’ammissione della sconfitta di una giustizia più alta di quella del diritto, l’ammissione del fatto che «sulla terra è la volgarità che è immortale» (J. Burckhardt, Sullo studio della storia, Boringhieri 1958, p. 214) ma è anche la conferma della nullità assoluta di queste vite, degne soltanto di disprezzo. Lo stesso disprezzo che meritano gli italiani.

 

Mafia Ridens

La mafia uccide solo d’estate
di Pif
Italia, 2013
Con: Pierfrancesco Diliberto (Arturo da adulto), Alex Bisconti (Arturo), Cristiana Capotondi (Flora da adulta), Ginevra Antona (Flora)
Trailer del film

Arturo è stato concepito mentre a pochi metri avveniva la strage di Viale Lazio, a Palermo. Ma è cresciuto sentendosi sempre dire che la mafia non esiste, che si tratta di un’invenzione cinematografica, che le sirene della polizia disturbano la tranquilla vita dei palermitani, che -è il padre bancario a parlare- «con queste indagini sui conti correnti ci rompono le scatole e ci fanno fare lo straordinario senza neppure pagarcelo». Arturo si è innamorato di una ragazzina alla quale è rimasto fedele per tutta la vita. Per conquistarla ha fatto amicizia con Boris Giuliano e con Rocco Chinnici, ha intervistato Dalla Chiesa, si è posto al servizio di Salvo Lima. E soprattutto si è sempre ispirato alla saggezza di Giulio Andreotti. Candido e romantico, meticoloso e onesto, Arturo attraversa i decenni della mafia stragista con la  lievità di chi non comprende ma impara. Quando ha capito, cerca di trasmettere ai suoi figli un’altra idea della città, un’altra idea degli umani.
Il tono surreale si mescola ai drammatici filmati dei morti ammazzati e dei loro funerali; l’umorismo di fondo e le molte divertenti battute contribuiscono a restituire i mafiosi alla loro grottesca pochezza; il guru Andreotti si trasforma nel complice più sottile e decisivo della ferocia di Riina. «Una risata vi seppellirà», il tempo e l’arroganza li hanno già seppelliti. Molto più difficile, invece, è e sarà cogliere la mafia che si annida ora vivissima nelle più alte istituzioni della Repubblica, nei partiti (Nuovo Centrodestra, Forza Italia, Partito Democratico) che difendono il TAV, che si pongono al servizio delle banche (è questo ovviamente il luogo naturale di Cosa Nostra, oggi), che favoriscono e coprono il commercio delle armi, che dietro la folcloristica pornografia di Arcore celano gli affari con «eroi» come Mangano e Dell’Utri. Quando potremo ridere anche di costoro?

 

Solitudini

La prima neve
di Andrea Segre
Italia, 2013
Con:  Jean-Christoph Folly (Dani), Matteo Marchei (Michele), Anita Caprioli (Elisa), Peter Miterrutzner (Pietro), Giuseppe Battiston (Fabio), Paolo Pierobon (Gus)
Trailer del film

La Val dei Mocheni è un luogo del Trentino innestato tra montagne, boschi, cielo, neve. Qui lavora Dani, emigrante del Togo in attesa del permesso di soggiorno. Dani è distrutto dal ricordo della moglie, morta mentre dava alla luce la loro bambina. Il rispetto e l’affetto delle persone che lo circondano non gli bastano. Sino a che trova un’altra solitudine, quella di Michele, un ragazzino aggressivo al quale è morto il padre in montagna e che con la madre ha un rapporto di amore e di odio. Accompagnati dalla presenza del saggio Pietro, un vecchio falegname, entrambi compiono un percorso di accettazione della sofferenza.
I luoghi fanno da contraltare di purezza e di pace rispetto al gorgo del dolore umano. Tutto è molto silenzioso, accennato, accettato. Ma la vicenda è fragile, lo stile intimistico e i tempi lunghi.

 

Spie e spettacolo

In Europa fanno tutti gli ingenui, come se non sapessero dell’enorme potenza di controllo degli Stati Uniti d’America su ogni gesto, parola, decisione dei nostri popoli e dei governi che li hanno svenduti.
E quand’anche? Il signore non ha forse diritto a controllare il proprio maggiordomo?
Se non si vuole subire la sorte dei servi bisogna togliersi la livrea, non lamentarsi perché il padrone ti guarda.
«Mais l’ambition la plus haute du spectaculaire intégré, c’est encore que les agents secrets deviennent des révolutionnaires, et que les révolutionnaires deviennent des agents secrets».
(Guy Debord, Commentaires sur la société du spectacle [1988], Gallimard 1992, § IV, p. 25)

 

Videocrazia


La società videocratica
in L’anarchismo oggi. Un pensiero necessario
«Libertaria 2014»
a cura di Luciano Lanza
(Mimesis Editore 2013, pp. 230)
Pagine 67-71

La nuova serie di Libertaria, diventata un annuario, si apre con una riflessione a più voci e a diverse voci sulla fecondità e attualità dell’anarchismo.

«Oggi il pensiero anarchico si presenta come uno dei più originali e convincenti in un contesto caratterizzato dalla “crisi delle ideologie”. E non è un caso che l’anarchismo si sottragga a questa crisi generalizzata: non è mai stato un’ideologia nel senso pieno del termine, ma una teoria e una pratica della libertà, dell’eguaglianza e della diversità. Ed è anche per questo suo aspetto poliedrico e al contempo omogeneo (contraddizione solo apparente) che è riuscito a influenzare quasi tutti i campi del sapere e dell’arte contemporanei. Incredibile a prima vista, ma vero»
(Dalla quarta di copertina)

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