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Farmaci

Il venditore di medicine
di Antonio Morabito
Italia, 2013
Con: Claudio Santamaria (Bruno), Isabella Ferrari (Giorgia), Evita Ciri (Anna), Giorgio Gobbi (Filippo), Ignazio Oliva (Dott. Sebba), Marco Travaglio (Prof. Malinverni), Roberto De Francesco (Dott. Folli), Pierpaolo Lovino (Stefano Pavolini).
Trailer del film

Venditore_di_medicine«Un regalo deve fruttare all’azienda almeno 11 volte quello che è costato». È una delle regole che guidano i rapporti tra i cosiddetti ‘informatori scientifici’ -vale a dire i rappresentati della case farmaceutiche- e i medici. Un flusso di regali ininterrotto e capillare che va dai cellulari ai viaggi intercontinentali, dai computer alle automobili. Una pratica internazionale ben nota, che si chiama «comparaggio» e che costa enormemente in termini economici ai servizi sanitari nazionali e in termini di salute ai malati. Ai quali moltissimi medici -chissà, forse anche il tuo- prescrivono farmaci non in base alla loro utilità ma in base all’entità dei regali che ricevono dai venditori di medicine delle varie aziende.
Uno di questi venditori, Bruno, vede i suoi colleghi licenziati uno dopo l’altro e teme di fare la stessa fine. Ma non può rinunciare alla splendida casa, all’auto, al tenore di vita. La complicità con medici che accettano e sollecitano regali sontuosi sembra non bastare. Deve fare un colpo definitivo, come indurre un primario incorruttibile a scegliere le fiale chemioterapiche della sua azienda. Azienda per la quale, gli dice la capo area, «oncologia vuol dire 2000 € a fiala». Per conseguire tale obiettivo è disposto a tutto, anche a distruggere il legame con la moglie e a procurarsi documenti riservati degli ospedali e delle farmacie.
L’inizio e la conclusione del film sono costituiti da brani di telegiornali, non soltanto italiani, che parlano di questi cosiddetti ‘scandali’. Parola poco significativa perché è l’intero mondo dei medici e delle case farmaceutiche a costituire uno ‘scandalo’. Per rimanere nel nostro Paese, in esso agiscono sei grandi associazioni criminali: Cosa Nostra, la camorra, la ndrangheta, le società di assicurazioni, le banche, le case farmaceutiche. Le prime tre si collocano fuori dal perimetro della ‘legalità’, le ultime dentro la legalità dello Stato. I delinquenti più pericolosi agiscono però in queste ultime, spesso in collaborazione con le prime tre.
Il film di Morabito documenta questa tragedia con dei colori lividi -il grigio e l’azzurro degli ospedali-, con inquadrature claustrofobiche, con caratteri umani ridotti a macchine produttive di guadagno. E soprattutto dando la netta sensazione che i personaggi si comportino come topi in gabbia, come cavie pronte a sbranarsi reciprocamente non avendo vie d’uscita. In una delle immagini iniziali si vede un topolino alimentato a forza con uno dei veleni che i chimici sperimentano. Si comprende quindi anche che cosa sia e a che cosa serva la vivisezione. Essa è lo strumento iniziale e più atroce di quello sfruttamento della vita a scopi commerciali che è la ragion d’essere e l’obiettivo ultimo delle case farmaceutiche.
 

Esilio

Sino a qualche decennio fa era possibile rinunciare alla cittadinanza di un Paese europeo e assumere la condizione di apolide. Nietzsche, ad esempio, non fu più tedesco e non prese la cittadinanza svizzera. Era diventato un senza patria, un apolide per l’appunto. Il processo di burocratizzazione degli Stati successivo alla Prima guerra mondiale ha reso progressivamente impraticabile tale condizione.
Fosse ancora possibile, non vorrei essere più un italiano. Non vorrei appartenere alla nazione più corrotta d’Europa, nella quale basta scavare un poco per toccare vivo il malaffare. Non soltanto nelle grandi opere / grandi appalti, come il TAV Torino-Lione o l’Expo milanese del 2015, autentici verminai gestiti dai gruppi finanziari, dalle aziende, dagli enti locali legati al Partito Democratico, a Forza Italia e ai loro satelliti. Strutture, queste ultime, che succhiano il danaro pubblico e se lo spartiscono con le mafie, privando di risorse e di ossigeno i cittadini e le imprese che non entrano nel loro giro di tangenti, di complicità, di rapina e di violenza. Non è solo questo. Basta controllare i conti di qualunque Comune e appalto, di qualunque ente pubblico, del mio stesso Ateneo sino a quando abbiamo cacciato via coloro che ne hanno devastato le risorse; basta questo per accorgersi che l’Italia è senza speranza e che soltanto una svolta totale potrebbe salvarla. Una svolta che si affranchi dalla subordinazione ai nemici dell’Europa -la finanza ultraliberista che non conosce confini- e ai loro portavoce politici -i partiti liberali, democristiani e socialisti. Una svolta che faccia tabula rasa del ceto politico italiano, assolutamente incapace e indegno.
Un modo di essere apolide, una maniera di stare in esilio, l’ho però trovata. Mi sono affrancato dalla più pervasiva forma di cittadinanza italiana, dall’identità di telespettatore. Mi accorgo infatti che ignoro i riferimenti di molte conversazioni e di numerosissimi interventi che leggo sulla Rete. Non so chi siano centinaia di soggetti che appaiono del tutto familiari a tante persone, anche assai vicine a me. Non conosco nomi, personaggi, situazioni, programmi televisivi. E quando mi accade di incrociare uno schermo acceso sulla tv italiana, sento un senso di profonda estraneità, oltre che di autentica repulsione. Proprio come se stessi osservando degli stranieri dei quali so poco o nulla. Il mio esilio consiste nel non avere un televisore e nel non guardare la televisione. Decisione che presi ormai tanti anni fa e che benedico ogni giorno. Decisione che consiglio a tutti (è più facile di quanto si immagini). Decisione che ha purificato la mia mente dalle scorie della stupidità (rimane, eventualmente, quella mia naturale), dai veleni della menzogna, dal nichilismo profondo di un non luogo nel quale ciò che si vede non esiste ma che milioni di telespettatori credono essere reale. Felice esilio.

 

Liberi

Dal sito notav.info
4 maggio 2014

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Pubblichiamo qui di seguito la lettera scritta dalla mamma di Mattia, uno dei 4 giovani No Tav ancora detenuti in carcere con l’assurda accusa di terrorismo e in regime di massima sicurezza.
Questa lettera giunge a pochi giorni dalla manifestazione No Tav che è stata convocata a Torino il 10 maggio e che chiederà l’immediata liberazione di Mattia, Chiara, Claudio e Nicolò e di tutte le persone ancora sottoposte a restrizioni della libertà personale.

Carissimo figlio, perdonami se rendo pubblica questa lettera, ma ciò che ci accade non appartiene solo a noi.

Tra pochi giorni sono cinque mesi che sei chiuso in carcere, tanta vita rubata. Sono centocinquanta lunghi giorni e centocinquanta lunghe notti di angoscia.

Ti chiedo sempre di tenere duro, ma sono io che non ho più la forza. L’amarezza a tratti mi sommerge, lo sdegno mi ferma il respiro. Mi sveglio di soprassalto ogni notte e nel silenzio mi sembra di poterti raggiungere nell’isolamento atroce in cui ti costringono. L’idea di vivere in un paese che permette che questo accada mi ripugna. Sono oscene queste maschere del potere interessate solo alle loro poltrone e ai loro portafogli. La corruzione in Italia è spaventosa, la politica ha perso qualsiasi ideale di giustizia e di uguaglianza.
E per voi giovani non c’è nulla, il vostro futuro è stato depredato da chi oggi vi giudica..né lavoro, né aria che si possa respirare, né terra pulita, né libertà. Dovete tacere , dovete subire, altrimenti essere incarcerati.
Carissimo Mattia, perché ti abbiamo insegnato il dovere di dissentire, di ribellarti davanti alle ingiustizie? Perché ti abbiamo trasmesso l’amore per l’umanità e per la Terra?
Non era meglio lasciarti crescere cullato dalla edificante “cultura” offerta dal nostro Paese negli ultimi vent’anni?
Sono certa che risponderai no, che preferisci mille volte essere chi sei e dove sei piuttosto che adeguarti a questo spettacolo raccapricciante offerto da chi esercita l’abuso di potere applaudendo gli assassini di Aldrovandi, rispondendo con i manganelli e la prigione ai movimenti popolari che nascono sulle necessità reali della gente, ignorate da chi dovrebbe cercare e trovare delle risposte.
Carissimo figlio, sabato 10 saremo tutti a Torino alla manifestazione contro la barbarie dell’accusa di terrorismo, contro la devastazione della Val di Susa, per la libertà di dissenso, per il diritto degli italiani a una esistenza dignitosa.
Ci saremo tutti e saremo tanti.

Manifesterò tutto l’amore che provo per te, ma anche per Claudio, Chiara e Niccolò e la promessa è di non smettere mai di lottare fino a quando non vi riporteremo a casa.
Un abbraccio, mamma
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Fonte: Lettera della mamma di Mattia

 

Schiavi

Una delle più interessanti e tragiche caratteristiche della vita collettiva consiste nel vedere individui, gruppi, ceti e nazioni affidarsi con fiducia a coloro che operano per la loro distruzione.
Tra gli esempi attuali c’è la fede che non pochi dipendenti pubblici, pensionati, persone senza lavoro nutrono ancora nei confronti del Partito Democratico e del suo governo, in particolare nei confronti del decreto sul lavoro, che costituisce in realtà un ulteriore e grave passo verso la precarizzazione a vita, verso la schiavizzazione, verso la fine di ogni speranza per le nuove generazioni. Per disinformazione, per militanza di partito, per semplice superficialità si rinuncia a un diritto e ci si offre come schiavi. Davvero il potere può fare ciò che vuole anche perché le sue vittime glielo consentono.

glielochiedesergio_==============

Renzie è dalla parte di Marchionne e contro i lavoratori, senza se e senza ma. Con il decreto lavoro vuole rendere tutti i lavoratori precari. #GlieloChiedeSergio.

«Il 20 marzo 2014 il Governo Renzi ha reintrodotto la schiavitù che per primo soppresse Abramo Lincoln nel gennaio del 1865, con il XIII emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d’America. Il lavoro è tornato ad essere schiavitù, la flessibilità è divenuta iperprecarietà. Con il Decreto Legge sul Lavoro, n. 34/2014, assistiamo alla liberalizzazione dei contratti a termine, per la cui stipulazione non è più richiesta una causa di giustificazione oggettiva. Con le innumerevoli proroghe possibili pensate dagli schiavisti del nuovo millennio, e l’estensione della durata massima di successione dei contratti a complessivi 36 mesi, si procede allo smantellamento del diritto al lavoro. Queste disposizioni sono palesemente in contrasto con la direttiva 1999/70/CE, come confermato anche dalla giurisprudenza prodotta dalla Corte Costituzionale italiana e dalla Corte di Giustizia Europea. Il decreto non crea nuovi posti di lavoro ma crea nuovi posti di schiavitù iperprecaria. Inoltre sono state presentate modifiche che consentono di aggirare il pur blando paletto che poneva un limite alle assunzioni a termine pari al 20% rispetto al totale della forza occupata»

 M5S Camera

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Gente di studio e di rapina

Smetto quando voglio
di Sidney Sibilia
Italia, 2013
Con: Edoardo Leo (Pietro), Stefano Fresi (Alberto), Valeria Solarino (Giulia), Pietro Sermonti (Andrea), Valerio Aprea (Mattia), Lorenzo Lavia (Giorgio), Paolo Calabresi (Arturo), Libero de Rienzo (Bartolomeo), Neri Marcorè (Murena)
Trailer del film

Smetto quando voglioPietro è un assegnista di ricerca alla Sapienza. Quando l’assegno non gli viene più rinnovato decide di mettere a frutto le proprie competenze di neurobiologo mettendo insieme una banda composta da un chimico, un antropologo culturale, due latinisti, un archeologo e un economista; tutti precari della ricerca e tutti senza prospettive. L’obiettivo è sintetizzare una nuova droga a partire da molecole legali, distribuirla e guadagnarci. Pietro e il chimico sono molto bravi e riescono a produrre delle pasticche senza confronti. In breve tempo la capitale è piena della nuova sostanza e il gruppo è pieno di soldi. Troppi soldi. Lo scontro con la polizia e con le bande rivali è inevitabile.
Commedia molto italiana nei pregi e nei difetti. Tra i primi il ritmo; la simpatia degli interpreti; la bizzarria di personaggi che parlano in latino mentre compiono rapine utilizzando armi da museo; il susseguirsi di situazioni paradossali. Tra i difetti le tante banalità a proposito della gente che studia, dell’Università, degli studenti; l’eccesso caricaturale; lo squilibrio tra la prima parte e il finale accelerato. Per fortuna non c’è lieto fine (ma anche niente di drammatico, naturalmente). Il film è un dessert senza pretese, annaffiato con un liquore dal retrogusto amaro.

 

La Grande Madre

In grazia di Dio
di Edoardo Winspeare
Italia, 2013
Con: Celeste Casciaro (Adele), Laura Licchetta (Ina), Anna Boccadamo (Salvatrice) Barbara De Matteis  (Maria Concetta), Gustavo Caputo (Stefano), Angelico Ferrarese (Cosimo), Antonio Carluccio (Crocifisso)
Trailer del film

in_grazia_di_dioIl meraviglioso Sud. Il Salento. Il mare verso la Grecia. Le strade assolate, verdi e polverose. Una famiglia che ha aperto un’azienda tessile con i soldi guadagnati dopo decenni di emigrazione in Svizzera. La concorrenza dei cinesi e quindi la fine degli ordinativi da parte dei grandi marchi, i tassi di usura delle Finanziarie, le tasse esponenziali di Equitalia. La rovina. Il fratello torna in Svizzera. La madre, due sorelle, una nipote vendono fabbrica e casa e si trasferiscono in un loro fondo agricolo. Tornano a essere ciò da cui sono partite: contadine. Nessuna di loro rinuncia ai propri progetti. Ina, la nipote, è totalmente refrattaria alla scuola, sogna di farsi sposare da un riccone e trascorrere la vita tra burraco e costosi vestiti. Maria Concetta, la zia, recita la parte della Madonna in parrocchia ma la sua aspirazione è il cinema. Salvatrice, la nonna, trova un nuovo amore e si sposa. Soltanto Adele -la capafamiglia- sembra nascondere ogni desiderio dentro la durezza del lavoro. Urla rancore e perde stagioni dietro la nullità della figlia, l’odio per l’ex marito, l’incapacità di corrispondere all’amore di un antico compagno di scuola. Una solitudine che la spinge, una sera, a vendere l’oro per vestirsi di lusso e invitarsi a cena.
I rapporti tra queste donne sono espliciti, spietati nelle parole che si rivolgono, intramati di una solitudine lunare. E tuttavia, a loro modo, affettuosi. Uno sguardo sull’universo umano e femminile che dà l’impressione di esistenze reali e nello stesso tempo archetipiche. La Grande Madre fatta di tante maternità dolorose ma avvinghianti.

 

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