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San Martino è sempre

Konrad Lorenz dimostra che l’aggressività nel mondo animale svolge una funzione biologica molto importante perché è indispensabile alla sopravvivenza (aggressività difensiva), all’evoluzione (aggressività adattativa), alla maturazione del singolo (aggressività esplorativa). L’aggressività diventata guerra rappresenta però «nell’attuale situazione storico-culturale e tecnologica dell’umanità il più grave di tutti i pericoli» (L’aggressività, Mondadori 1990, p. 66). Il paradosso è che proprio la componente biologica costituisce un possibile freno alla distruttività mentre molte norme culturali impongono -con le motivazioni più varie: religiose, nazionalistiche, economiche- di uccidere. Tutti i grandi predatori hanno dovuto infatti sviluppare nel corso della filogenesi una radicale inibizione a usare le loro armi naturali contro membri della stessa specie, pena l’inevitabile estinzione. Un lupo, ad esempio, non uccide un altro lupo che gli offre la gola in segno di sottomissione, quando basterebbe un semplice morso per finirlo. Qui l’inibizione è assai forte e agisce sistematicamente. Nell’uomo invece essa è assente in quanto egli è privo di armi naturali con le quali possa, in un sol colpo, uccidere una grossa preda: «Nessuna pressione selettiva si formò nella preistoria dell’umanità per generare meccanismi inibitori che evitassero l’uccisione di conspecifici finché, tutto d’un tratto, l’invenzione di armi artificiali portò lo squilibrio fra la capacità omicidiale e le inibizioni sociali» (Ivi, 314-315). Da qui il proliferare di una violenza senza freni, esercitata mediante armi che colpiscono da lontano e in modo anonimo, rafforzata dall’evidente contrasto fra la “nobiltà” dei valori etici -come la democrazia e i diritti umani- e il permanere di istinti fondamentali e atavici di aggressione, sottomissione, moltiplicazione delle proprie risorse. James Hillman osserva a ragione che la guerra è oggi «una devastante operazione high-tech eseguita da tecnici specializzati con un tocco delle dita», tanto che «sempre più distanti dalle distruzioni che innescano, i sicari possono starsene seduti, comodi e puliti, insonorizzati e deodorati, attenti solo ai pixel» (Un terribile amore per la guerra, Adelphi 2005, pp. 114 e 191; su tutto questo cfr. la voce «Guerra» da me curata per il Dizionario di bioetica, Villaggio Maori 2012, pp. 182-184).
Una delle tragedie della guerra è che da essa sembra non si impari mai. Non soltanto dai conflitti più remoti ma anche da quelli recenti o addirittura ancora in corso. E quindi gli Stati Uniti d’America, con Gran Bretagna e Francia come loro più fedeli servitori, si preparano a un nuovo conflitto illegittimo sul piano dei diritto internazionale, pericolosissimo per gli sviluppi che potrà avere, totalmente distruttivo per i civili siriani. Perché? Lascio la parola a due esperti, diversi tra di loro ma convergenti nell’analisi.

Don Renato Sacco, di Pax Christi, sostiene che

«basta vedere a quello che è successo in Afghanistan, in Iraq, in Libia: il rovesciamento del capo del regime non ha portato affatto la pace. È una storia che si ripete sempre, con amarezza: noi abbiamo sempre cullato i dittatori, li abbiamo ritenuti nostri amici, li abbiamo armati e poi abbiamo detto che bisognava fargli la guerra. È successo con Saddam e poi con Gheddafi. La comunità internazionale ha fatto di tutto con la sua indifferenza per far precipitare la situazione, l’Italia stessa ha venduto le armi alla Libia e poi si è detto che bisognava bombardare. […] Chi oggi si scandalizza di fronte alle vittime siriane, se lo fa per arrivare alla guerra lo fa per interessi. Poi le vittime vengono dimenticate e non se ne parla più. In Iraq nel mese di luglio ci sono stati mille morti, siamo arrivati ai livelli di violenza del 2006 e nessuno parla più. Quando si utilizzano le vittime per giustificare una guerra non lo si fa per amore delle vittime ma per amore dei propri affari e dei propri interessi. […] Una chiave di questo precipitare degli eventi potrebbe essere quella delle pressioni esercitate da parte delle lobby delle armi. Qualcuno parla già di accordi economici e militari tra Usa e Arabia Saudita. […] L’intervento armato a sostegno dell’uno o dell’altro schieramento porterebbe alla catastrofe totale, renderebbe esplosiva tutta l’area mediorientale già instabile con conseguenze devastanti per tutti, a cominciare dall’Europa» (Fonte: «Le vittime di Assad sono un pretesto»).

Massimo Fini afferma che

«tra l’altro non si sa affatto se Assad ha usato armi chimiche, ci sono gli ispettori ONU per questo, o l’ONU non conta nulla? Evidentemente non conta nulla perché quando serve c’è il cappello ONU, se non c’è il cappello ONU si aggredisce lo stesso. Questo è avvenuto in Serbia nel ’99, in Iraq nel 2003 e in Libia recentemente. Tutte azioni e aggressioni senza nessuna copertura ONU. Si dovrebbe per lo meno aspettare la relazione degli ispettori. C’è un precedente che dovrebbe consigliare prudenza, non dico agli Stati Uniti che non ne hanno, ma ai suoi alleati, ed è quello dell’Iraq, dove sostenevano che Saddam Hussein avesse le armi chimiche, di distruzione di massa, e poi non le aveva. Certo, lo sostenevano perché gliele avevano date loro a suo tempo, gli Stati Uniti, in funzione anti sciita e anti curda, però non le aveva più perché le aveva usate ad Halabja, gasando cinquemila curdi. […] Obama aveva tracciato una linea rossa, ma chi lo autorizza a tracciare linee rosse in altri paesi? Gli americani hanno sfondato un principio di diritto internazionale che era valso fino a qualche decennio fa, della non ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano. I diritti umani sono il grimaldello con cui in realtà intervengono dove vogliono e quando vogliono, anche perché non hanno più contraltare, la Russia non è più una superpotenza. […] Tutti questi interventi si sono sempre risolti in altri massacri, prendiamo l’Iraq, l’intervento americano ha causato direttamente o indirettamente tra i 650 mila e 750 mila morti! Quindi ogni intervento cosiddetto umanitario si risolve in una strage umanitaria» (Fonte: La Siria e la terza guerra mondiale).

Giuseppe Ungaretti era stato un fervente interventista e si era arruolato -partendo da Alessandria d’Egitto- nell’esercito italiano che combatteva contro l’Austria-Ungheria. Ma si rese subito conto, al di là della propaganda bellica, di quale sia la vera natura della guerra. Scrisse allora queste parole: «Di queste case / Non è rimasto / Che qualche / Brandello di muro // Di tanti / Che mi corrispondevano / Non è rimasto / Neppure tanto // Ma nel cuore / Nessuna croce manca // È il mio cuore / Il paese più straziato» («San Martino del Carso», in Vita d’un uomo. Tutte le poesie, Mondadori 1977, p. 51).
E anni dopo così si espresse sulla «bestialità e l’imperialismo» che delle guerre sono sempre la vera radice:

 

 

 

Crisi

Mi sembra sorprendente ed estremamente positivo che un popolo innamorato del calcio come quello brasiliano stia avendo la forza di denunciare «le spese faraoniche in vista dei Mondiali, a scapito della qualità dei servizi sanitari e educativi, e la gigantesca corruzione, vero buco nero delle risorse statali. […] Negli stadi, incuranti del divieto della Fifa, molti tifosi hanno sostenuto le proteste: “Brasile svegliati, un professore vale più di un Neymar”». Ma anche di questa rivolta, come di quella turca, l’informazione italiana parla il meno possibile. E allora di fronte alla pervicacia istupidente del mainstream mediatico -teso sempre a sopire, troncare, tacere, ingannare– è opportuno ricordare come e perché si sia generato quell’insieme di eventi che vengono definiti «crisi»:

Il punto di partenza della crisi del 2008 è stato, da un lato, la deregolamentazione quasi totale delle prassi dei mercati finanziari e, dall’altro, la comparsa di “paesi emergenti”, a cominciare dalla Cina, che si sono accaparrati una parte crescente della produzione mondiale grazie al dumping salariale. Quella concorrenza, che spiega anche le delocalizzazioni, ha comportato un calo generale dei redditi nei paesi occidentali, calo che i nuclei familiari sono stati incoraggiati a compensare con un indebitamento crescente, che si supponeva potesse permettere di conservare il loro livello di vita. Ovviamente, le cose non sono andate affatto così, e il sistema è crollato quando i mancati pagamenti si sono accumulati. È quel che è accaduto negli Stati Uniti con la crisi dei crediti ipotecari (subprimes). Gli Stati sono stati allora costretti ad indebitarsi a loro volta per impedire al sistema bancario di sprofondare. Il problema dell’indebitamento privato si è così tramutato in problema dell’indebitamento pubblico.
[…]
Le banche, che potranno contrarre presiti all’1% dalla Bce, concederanno presiti al Mes [Meccanismo europeo di stabilità] ad un tasso di interesse nettamente superiore, dopo di che il Mes presterà agli Stati ad un tasso ancor più elevato. […] In ultima analisi, le banche daranno agli Stati, imponendo interessi, del denaro che consentirà a quei medesimi Stati di rimpinguare le casse di quelle stesse banche. Una situazione davvero surrealista, la cui causa prima, come è noto, è la proibizione fatta a partire dal 1973 agli Stati di contrarre prestiti ad interesse minimo o nullo con le loro banche centrali, il che li ha posti sostanzialmente alle dipendenze del settore privato. (Alain De Benoist, Diorama letterario, n. 314,  pp. 8-9)

La natura non soltanto assurda di queste transazioni -assurda per il bene pubblico ma assai sensata per gli interessi dei banchieri- è aggravata dal fatto che essa è stata resa per legge irreversibile, privando in questo modo parlamenti e governi di ogni potere, riducendoli a ornamento della finanza. Ha dunque ragione Gaby Charroux -deputato francese comunista e sindaco di Martigues- a osservare che in questo modo «consegniamo direttamente le chiavi della nostra politica economica e di bilancio ai tecnocrati di Bruxelles e scivoliamo verso […] una forma morbida, giuridicamente corretta, di dittatura finanziaria» (Ivi, p. 11). Con l’ascesa al potere anche politico di impiegati e funzionari della Goldman Sachs ad Atene, a Roma, a Francoforte (Mario Draghi), gli Stati sono diventati evidentemente degli Stati di classe diretti dal capitalismo finanziario: «Le banche, che controllano anche i mezzi di pagamento dei cittadini, hanno preso lo Stato in ostaggio per conto dei loro ricchi azionisti. Lo Stato diventa una macchina per ricattare le popolazioni a beneficio dei più ricchi» (Emmanuel Todd in un’intervista a Le Point, 13.10.2011).
Uscire da una spirale irrazionale e violenta come questa sarebbe possibile se il potere politico fosse altro da quello finanziario e prendesse provvedimenti come i seguenti: applicazione di un protezionismo europeo, nazionalizzazione delle banche, rifiuto di pagare il debito pubblico. Provvedimenti gravi ma praticabili se -appunto- i governi non fossero ormai ridotti alla condizione di impiegati della finanza il cui mandato è di agire contro i loro popoli, cominciando con l’ingannarli. Popoli i quali «non credono più nell’Europa, che confondono a torto con l’Unione europea. Non hanno più fiducia nella polizia […], non hanno più fiducia nei tribunali, che non sanzionano mai i delinquenti in colletto bianco e nemmeno i banditi della finanza di mercato» (de Benoist, Diorama letterario, n. 214, p. 23).
Anche le operazioni di killeraggio internazionale sono mosse dagli stessi scopi speculativi e di controllo delle risorse, come accaduto in Libia, con i massacri perpetrati da Sarkozy e Obama, «assassinando il capo dello Stato libico Muammar Gheddafi e la sua famiglia, inclusi i bambini piccoli»; come accaduto  in Iraq, dove le potenze anglosassoni e i loro servi italici hanno causato «due milioni di morti, affamato intere popolazioni, distrutto un paese unificato, allora il più evoluto industrialmente, socialmente ed economicamente della regione, averlo consegnato alla guerra civile, agli scontri tribali o religiosi, alla persecuzione delle minoranze come quella cristiana e agli attentati omicidi quotidiani. Del resto, George W. Bush non aveva dichiarato di voler riportare l’Iraq all’età della pietra?» (Maurice Cury, ivi, p. 24). La stessa operazione si sta ferocemente tentando contro il popolo siriano.

 

Imperialismo

Poche cose sono emblematiche della servitù di un individuo e di un popolo come il prendere posizione per l’uno o per l’altro di due padroni, le cui differenze sono per quell’individuo e per quel popolo irrilevanti. Il coro dell’atto III dell’Adelchi è assai efficace nel descrivere tale situazione.
Che dunque a vincere le imminenti elezioni che designeranno il rappresentante legale del sistema finanziario e militare statunitense sia il guerrafondaio premio nobel per la pace Barack Obama o il plurimiliardario cristiano-mormone e ultraliberista Mitt Romney, la politica statunitense verso il resto del mondo rimarrà quella ben esemplificata da Hiroshima, dal Vietnam, dalla distruzione dell’Iraq, dell’Afghanistan e della Libia, dal terrorismo che sta colpendo la Siria.
Ed Husain, analista del Council on Foreignis Relations -uno degli istituti di ricerca che elaborano la strategia statunitense verso gli altri Paesi- scrive che «i ribelli siriani oggi sarebbero incommensurabilmente più deboli senza Al Qaeda. I battaglioni dell’esercito libero siriano (Fsa) sono stanchi, divisi, confusi e inefficaci. Si sentono abbandonati dall’Occidente e sempre più demoralizzati mentre affrontano la potenza di fuoco superiore e l’esercito professionista del regime di Assad. L’arrivo di jihadisti di Al Qaeda porta disiciplina, fervore religioso, esperienza bellica dalle battaglie in Iraq, finanziamenti dai simpatizzanti nel Golfo e soprattutto risultati letali. […] In breve, l’Fsa ha bisogno di Al Qaeda ora» (Fonte: www.cfr.org/syria/al-qaedas-specter-syria/p28782 ).
Questo significa, commenta Francesco Labonia su Indipendenza, (anno XVI, n. 32, pp. 30-35) che «Washington e i suoi alleati/subalterni NATO sostengono (con finanziamenti e forniture di armi) quella che per anni è stata dipinta come una Spectre planetaria, cioè al Qaeda», con la quale invece gli USA si sono adesso alleati allo scopo di annientare «l’ultimo Stato arabo laico caratterizzato da un pluralismo multiculturale, integrato con il riconoscimento degli stessi diritti alle varie religioni che si intrecciano nella complessità dei vincoli tribali-familiari», come vari esponenti cristiani che vivono in Siria confermano.

Nel flusso di menzogne che i media filoamericani diffondono «straordinario è il ruolo dell’influente Al Jazeera, di proprietà della famiglia regnante del Qatar. Ora, il Qatar è il regno di un piccolo satrapo di stampo feudale e teocratico. […] Il Qatar brilla per il fatto che non esiste alcun Parlamento, non vige alcuna Costituzione, non è ammessa l’esistenza di alcun partito e ovviamente non sono mai state indette, anche solo pro forma, consultazioni elettorali. La parola “diritti”, di qualsiasi natura, è semplicemente sconosciuta. La sua importanza le viene soprattutto dall’essere sede di una gigantesca base militare statunitense, considerata la più grande esistente fuori dagli Stati Uniti. […] Da questo emirato Al Jazeera lancia le sue crociate suppostamente democratiche d’interventismo militare in casa d’altri. Anche al prezzo di mistificazioni e falsificazioni colossali. […] Di democrazia è fantasioso parlare anche per altri Stati dell’area come gli Emirati Arabi Uniti l’Oman o la monarchia hashemita della Giordania o nello stesso Yemen. Per Al Jazeera (e non solo), però, è la Siria laica, multiconfessionale, non sottomessa e sovrana a dover essere democratizzata, cioè, come da relativa accezione linguistica euroatlantica,  dominata».
Tutto questo è non soltanto grottesco ma anche esemplare di una società -la società dello spettacolo- nella quale il dominio appartiene a chi controlla la comunicazione e l’informazione. Ancora una volta Orwell e Debord ci hanno insegnato l’essenziale.
Ma nonostante questa imponente propaganda della quale naturalmente tutti i media italiani, escluso in parte il manifesto, sono strumento e voce «quel che principalmente conta –e non è assolutamente cosa da poco– è che gran parte della società siriana sinora non si è piegata ed ha scelto la strada della resistenza, nelle diverse forme in cui la sta esprimendo. La migliore risposta che si possa dare all’oscurantismo di matrice salafita-alqaedico e alla sudditanza atlantica».
Tacito fa dire al generale caledone Calgaco «Auferre, trucidare rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant» (Agricola, 30, 7). Rubare, massacrare, rapinare. Questo, con falso nome, chiamano impero. Creano il deserto, e lo chiamano pace. E democrazia.

Al-Ciaeda

Nel «mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso» (Guy Debord, Opere cinematografiche, Bompiani, p. 54). I media e la politica che li controlla sembra che vogliano confermare ogni giorno quest’affermazione di Debord. Quando il rovesciamento tocca i popoli, i bambini, le guerre, diventa un crimine. Ricordiamo: il Segretario di Stato Colin Powell dichiarò solennemente davanti all’Assemblea dell’ONU che l’Iraq di Hussein deteneva “armi di distruzione di massa” e per questo andava invaso. Armi che poi si ammise non esistevano; la Libia è stata smembrata e distrutta anche perché Gheddafi venne accusato di aver massacrato decine di migliaia di suoi concittadini, buttati poi nelle fosse comuni. Tali fosse si disse poi che erano una fantasia. Adesso è il turno della Siria.
Invito a leggere un dettagliato e assai chiaro articolo di Paolo Sensini dal titolo Di ritorno dalla Siria. Appunti sulla geopolitica del caos, che dimostra in modo documentato e diretto che cosa veramente sta accadendo in quel Paese. Le menzogne del media mainstream che tutti ci condiziona emergono con chiarezza. Colpisce, in particolare, il fatto che gli USA e la Nato sostengano in Siria -come hanno fatto in Iraq e in Libia- i movimenti islamisti radicali che combattono il regime di Assad, quei movimenti che vengono accusati dagli stessi USA e dalla Nato delle peggiori nefandezze, compreso l’attacco alle Torri di New York.
Il documento si può scaricare a questo link. Per i più pigri ho evidenziato i brani secondo me più significativi. Alcuni li riporto anche qui sotto. Perché una delle condizioni per essere liberi è essere informati.

«Bernard Lewis presentò alla Conferenza del 1979 del Gruppo Bilderberg una strategia britannico-americana “approvata dal movimento estremista Fratellanza Musulmana […], con lo scopo di promuovere la balcanizzazione dell’intero Vicino Oriente musulmano lungo linee di divisione tribali e religiose”. […]
Nessuna menzione invece ai “rapimenti, alle torture, alle esecuzioni sommarie, alle mutilazioni e alle pratiche criminali commesse dai gruppi armati che si oppongono al regime siriano”, come ha dovuto ammettere anche l’organizzazione non-governativa Human Rights Watch in un suo rapporto pubblicato il 20 marzo 2012, cioè dopo più di un anno di distanza da quando i terroristi imperversano in Siria. […]
L’obiettivo primario di queste sollevazioni eterodirette è stato fin dall’inizio di frantumare la società siriana, infliggere quante più perdite possibili all’esercito di Assad, dividere il paese su linee etnico-confessionali, paralizzare la produzione agricola, industriale, artigianale. […]
Madre Agnes-Mariam de la Croix espone una realtà molto diversa dal quadro che, volente o nolente, si è raffigurato in Occidente sui fatti siriani. Senza interrompere la sua attività di pittrice per “guadagnarsi il pane” e fare andare avanti i lavori di sistemazione dello splendido Monastero che condivide con un’altra ventina tra suore e frati provenienti da varie parti del mondo, mi parla di “persone spacciate per morte ad uso televisivo e che morte invece non erano”, di “individui uccisi e orribilmente mutilati affinché le loro morti potessero essere attribuite alle violenze dell’esercito siriano, ma che invece erano stati assassinati dai cosiddetti ‘ribelli’ a beneficio delle troupes dei grandi network”. Parla ancora di “violenze inaudite su bambini, di stupri, di mutilazioni di seni, di uccisioni seriali di cristiani presenti nelle città teatro delle rivolte dei fanatici islamisti, di omicidi compiuti anche ai danni di sunniti che non condividevano la loro violenza belluina”. Parla di tutto ciò che ha potuto appurare in prima persona, senza frapporre tra sé e i fatti alcun filtro televisivo o giornalistico, ma la sua testimonianza non viene raccolta da nessun mezzo di comunicazione, neppure da quelli cattolici. Non rientrando nei canoni del “politicamente corretto”, la sua voce fuori dal coro risulta sgradita ai corifei del Big Brother».

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