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Persecuzioni

Sul numero 18 (Febbraio 2019) di Vita pensata è stato pubblicato un mio saggio breve dal titolo Le persecuzioni contro i pagani (pagine 5-12).

Nel tentativo di evitare la rimozione dell’Ara della Vittoria dalla curia del Senato romano, il prefetto Simmaco rivolse nel 384 al vescovo cristiano Ambrogio queste parole: «Eadem spectamus astra, commune caelum est, idem nos mundus involvit. Quid interest, qua quisque prudentia verum requirat? Uno itinere non potest perveniri ad tam grande secretum», ‘Contempliamo tutti gli stessi astri, il cielo è a tutti comune, un solo mondo ci circonda e contiene. Che importanza può avere per quale strada ciascuno cerca la verità? A svelare un così grande enigma non si giunge da un itinerario soltanto’.
I cristiani respinsero la richiesta e l’Ara venne tolta dal Senato. Pierre Hadot afferma che «queste stupende parole, che varrebbe la pena riportare a caratteri d’oro su ogni chiesa, sinagoga, moschea, tempio, in questo inizio di terzo millennio oscurato già dall’ombra di tremende dispute religiose, traggono probabilmente ispirazione -anch’esse- dall’aforisma di Eraclito», φύσις κρύπτεσθαι φιλεῖ, l’essere abita nell’enigma. Una calma, una sapienza, una distanza che i testi ebraico-cristiani ignorano completamente e che costituì una delle ragioni delle spietate persecuzioni che i pagani e le loro opere subirono da parte dei Nazareni. Il paganesimo offre infatti la serenità dell’inevitabile e relativizza le pretese di assoluto. La grandezza del paganesimo sta nel sapere e non nello sperare. Anche per questo una rappresentazione adeguata del divino pagano sono i κοροι arcaici, il loro enigmatico sorriso.

«Non mediante una sola strada…»

Il secolo della vittoria cristiana è un tempo di incertezza, paure, recessione economica. Con l’Editto di Milano (313) Costantino non solo trasforma il cristianesimo in uno dei culti ammessi ma stabilisce anche l’entità dei finanziamenti in suo favore. Nel 356 Costanzo II fa chiudere i templi pagani e ne sequestra i beni. Nel 380 Teodosio dichiara il cristianesimo religione di Stato e nel 391, infine, proibisce ogni culto pagano. Nel mezzo, l’ultima fioritura del mondo antico si esprime con l’imperatore Giuliano. Il suo tentativo di recuperare e far rivivere la grande tradizione del paganesimo più mistico e insieme più filosofico si scontra con un mondo morale che oscilla fra edonismo e superstizione.

Il vescovo cristiano Ambrogio contrasta in tutti i modi e con successo i tentativi del prefetto Simmaco di salvare l’Ara della Vittoria (384). Simmaco si appella alla tolleranza e alla pluralità di credenze della tradizione pagana: «suus enim cuique mos, suus ritus est…uno itinere non potest perveniri ad tam grande secretum» (Relatio III, 8-10); Ambrogio respinge tale invito. Un altro vescovo cristiano -Teofilo- si pone alla testa di chi vuol bruciare la Biblioteca di Alessandria (392), le Olimpiadi vengono chiuse (393) e i Misteri eleusini soppressi (396). Poco tempo dopo (415) e ancora ad Alessandria i cristiani aizzati dal vescovo Cirillo massacrano Ipazia nel modo raccontato da Damascio: «una massa enorme di uomini brutali, veramente malvagi […]..] uccise la filosofa […] e mentre ancora respirava appena, le cavarono gli occhi».

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