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«Un'entrata di felicità»

Novantacentodieci
di Filippo Scuderi
Giuseppe Maimone Editore, 2013
Pagine 74

Layout 1«E da qui di nuovo scuro nella mia modesta vita» (pag. 16). Così definisce la propria vita il Narratore, aggiungendo sempre “modesta” al sostantivo. Modesta come il voto di laurea che dà il titolo al libro, obiettivo raggiunto con tenacia al culmine di una dura esistenza. Un flusso di coscienza quasi ininterrotto -scandito da molte virgole e da pochi punti- ripete ancora una volta le figure archetipiche simili a quelle che abitano i romanzi di Elsa Morante: la Madre amata, morta quando il protagonista ha soltanto due anni; il Padre che si risposa con la Matrigna alcolizzata, pazza e gelosissima, perché «lei lo sapeva come era fatto mio padre in fatto di gonne, se c’era da alzarne una non perdeva tempo, ma la cosa che mordeva la sua coscienza era la conoscenza e la consapevolezza che quando la mia povera mamma si trovava in ospedale a combattere tra la vita e la morte, mio padre se la spassava con lei» (63-64); i Nonni, casalinga e pescatore, affettuosi, rigorosi e determinati, che lo educano alla complessità del mondo. Una costellazione familiare e antropologica con la quale il Narratore si sente una cosa sola e che tuttavia è da lui distante per quel barlume di conoscenza che sempre lo accompagna, per quella «curiosità di approfondire, e di cercare di sapere il più possibile» (51) che fa di questo personaggio un Odisseo candido e proletario.
«Mentre io ho letto più di trecento libri a casa mia non leggeva nessuno, nemmeno le bollette del telefono» (70). Un umorismo spesso surreale intride le pagine del romanzo: la professoressa di italiano che non porta a termine la lettura dell’Alchimista di Coelho e per questo viene deplorata poiché «nemmeno una professoressa di chimica (senza offesa) si comporterebbe così» (49); un’estate trascorsa «in una colonia estiva, una specie di collegio per gli sfigati» (51); la scoperta di botto e in una sola volta di una miriade di fratelli e sorelle, frutto dell’incessante attività copulatoria del padre; il rimprovero al figlio e agli adolescenti di essere tutti uguali, tanto da dire alla moglie «se ne portiamo un altro a casa alla fine è uguale» (22). L’ironia, spesso involontaria, si coniuga con una dolente comprensione della vita che «non la si gioca contro un avversario ma contro se stessi» (58). La scoperta, da adulto, della filosofia.
E tutto ciò in un linguaggio che è la vera sorpresa di questo romanzo: una lingua plebea e spesso sgrammaticata ma sempre lucida nel descrivere il mondo. Il Narratore sa benissimo che l’italiano è per lui «una seconda lingua […] una lingua difficile con una grammatica veramente tosta» (49) ma una lingua che questo flusso di parole sa piegare, tra anacoluti ed eccessiva creatività nella punteggiatura, a dipingere il dolore e l’insensatezza del mondo. È come se il Rabito di Terramatta fosse riuscito a prendere lui la laurea e non i suoi figli. Dire dello zio che «quando arrivava lui, per noi era festa, perché portava un’entrata di felicità» (27) significa aver trovato un modo luccicante per comunicare l’istante della gioia.
Le ultime pagine sono dedicate alla scoperta di un’amicizia profonda e al lutto per il padre. L’amicizia con Black, il cane che -dopo aver per caso incrociato da lontano gli occhi di Filippo- lo sceglie come suo padrone e al quale viene dato quel nome «per dimenticare i momenti neri che ha avuto tutti i giorni che è stato per strada da solo» (69). Anche il protagonista è stato per lungo tempo e tante volte lasciato per strada da solo. Lasciato da quel padre, odiato e amato, al quale è rivolta l’ultima relazione umana del testo, una lettera in cui, ormai adulto e consapevole, Filippo riconosce che «siamo stati gettati in questo universo, viviamo da spettatori o da protagonisti l’importante è vivere intensamente il tempo che passiamo, perché il tempo siamo noi» (68).

 

Ministri

Il Ministro degli Interni del governo Renzi -il Ministro che con la sua sola presenza mostra la vera natura di un governo che evidentemente gli elettori del Partito Democratico un anno fa hanno scelto, voluto, indicato e del quale sono dunque giustamente soddisfatti- è stato a Catania, accompagnato da forze dell’ordine, scorte e notabili locali. A quale scopo? È venuto a Catania per rendere omaggio al «vero padrone» della città: Mario Ciancio Sanfilippo, editore del quotidiano La Sicilia, imprenditore e molto altro, uomo potentissimo senza la volontà del quale nulla di rilevante accade in questo luogo, personaggio indagato -a suo dire- «“solo” per concorso esterno in associazione mafiosa». A Ciancio fece visita anche il governatore Crocetta appena eletto. Il presidente regionale degli industriali, Ivan Lo Bello, «accompagnato dalla scorta che dovrebbe difenderlo dai mafiosi, se ne è andato a cena con Ciancio lo scorso 1 febbraio scorso in un ristorante alle pendici dell’Etna. La cosa è finita in Parlamento perché il senatore 5 Stelle, Mario Giarrusso ha presentato un’interrogazione chiedendo come mai uno sotto scorta vada a cena con un indagato per mafia. A chi l’ha presentata l’interpellanza? Ma al ministro dell’Interno. Sì, proprio ad Angelino Alfano che ha pensato di rispondere a strettissimo giro al senatore grillino e lo ha fatto in modo inequivocabile: con un voscenza benedica a Mario Ciancio…» (Domenico Valter Rizzo, «Mario Ciancio, la corsa al capezzale dell’indagato», il Fatto Quotidiano, 25.3.2014).
Renzi e i suoi dilettanti allo sbaraglio possono moltiplicare quanto vogliono le loro chiacchiere a vantaggio dei buoni elettori del Partito Democratico e del telepopolo. I fatti sono questi. I fatti sono che il ministro degli Interni del governo PD si offre alla propaganda di un potente indagato per mafia. In Sicilia.

 

Briganti

Eugenio Bennato
«Ninco Nanco»
(YouTube)
Dall’album «Questione meridionale» (2011)

Giuseppe Nicola Summa -detto Ninco Nanco– fu uno dei più determinati guerriglieri che si opposero alla conquista piemontese del Regno di Napoli. Naturalmente venne ucciso. Eugenio Bennato gli ha dedicato una canzone che ha il merito di mettere in discussione la storiografia dei vincitori; discussione aperta ormai da tempo. Uno dei documenti letterari più celebri ed efficaci nel delineare il cuore di tenebra della conquista sabauda e della reazione meridionale è Il Gattopardo.
Mio nonno si chiamava Biagio Biuso (detto Brassi Manazza, 1887-1971). La foto qui sopra lo ritrae. Tutt’altro che brigante, era un uomo dolce e riservato. A lui dedico questo ascolto perché fu in ogni caso uno «zappaterra», un contadino analfabeta che conobbe la fatica riarsa di Sicilia, il dolore dell’emigrazione in Argentina, il ritorno senza soldi, la solitudine che si accompagna al bisogno. Un riscatto lo abbiamo avuto, nonno, e anche queste pagine lo testimoniano.

Inafabeto

Terramatta;
di Costanza Quatriglia
Con: Roberto Nobile
Italia, 2012
Trailer del film

Avevo visto e gustato la versione teatrale di Terra matta . Questo film ne scandisce le parole, i suoni, il tragico e il comico sullo sfondo delle immagini di un Novecento feroce e progressivo, nel quale dalla miseria profonda di un paesino di Sicilia Vincenzo Rabito viene catapultato dentro la storia, le guerre, i totalitarismi, le rinascite, i consumismi. «Ebiche» che si susseguono incessanti e che a questo «inafabeto» appaiono in tutta la loro incomprensibile necessità.
Ormai anziano e gratificato dal successo ottenuto dai tre figli, Rabito si chiudeva in una stanza per interi pomeriggi e lì batteva e batteva per ore sulla macchina da scrivere, riempiendo migliaia di fogli di una scrittura fitta, straripante di punteggiatura, inventata e arcaica.
Se la parola è tutto per gli umani -animali linguistici-, per uomini come Rabito diventa la forma più clamorosa e raggiante di riscatto, quella che dal subire gli eventi e le arroganze «perché ero senza scuola» conduce all’essere e al diventare padroni della propria memoria, signori della vita, gemelli del tempo.

Sempre uguale e ogni volta diversa

Teatro Coppola – Catania – 2 giugno 2013
Ondas d’amor
Musica medievale e dell’antica tradizione popolare eseguita da Ensemble Setar


Oltre il tempo, oltre lo spazio, oltre le differenze. La musica ha un potere unico, quello di essere sempre uguale e ogni volta diversa. I suoni che nel Mediterraneo -in Spagna, in Provenza, in Sicilia- vennero creati ed eseguiti alcuni secoli fa riecheggiano ancora intatti e insieme reinventati.
Nello spazio aperto, libero, alto del Teatro Coppola di Catania –teatro dei cittadini, teatro anarchico– Emanuele Monteforte ha suonato gli strumenti a corda da lui stesso costruiti su modelli antichi, Fulvio Farkas ha offerto il ritmo delle percussioni, Massimiliano Giusto ha dato voce al tempo e all’amore. Amore per la Madonna e per le madonne. Amore che non ha confini, Amore che per i poeti provenzali è un riflesso dell’amore sacro rivolto allo Spirito. La celebre sequenza è qui intensamente cantata da Massimiliano Giusto:
Veni, Sancte Spiritus, / et emitte caelitus / lucis tuae radium. / Veni, pater pauperum, / veni, dator munerum / veni, lumen cordium. / Consolator optime, / dulcis hospes animae, / dulce refrigerium. / In labore requies, / in aestu temperies / in fletu solatium. / O lux beatissima, / reple cordis intima / tuorum fidelium. / Sine tuo numine, / nihil est in homine, / nihil est innoxium. / Lava quod est sordidum, / riga quod est aridum, / sana quod est saucium. / Flecte quod est rigidum, / fove quod est frigidum, / rege quod est devium. / Da tuis fidelibus, / in te confidentibus, / sacrum septenarium. / Da virtutis meritum, / da salutis exitum, / da perenne gaudium, / Amen.

 

[audio:Allo Spirito Santo – Sequenza.mp3]

 

 

 

 

 

 

 

Firrarello e l'Università

Pino Firrarello è un senatore del PDL che è anche sindaco di Bronte, il paese dove sono nato.
È persona sempre gentile e disponibile. Ogni tanto ne commento l’attività politica e amministrativa. Stavolta l’occasione è però inconsueta. Il senatore ha infatti scritto un libro –Un contadino al senato, prefazione di Angelino Alfano- che domani sarà presentato a Catania da alcuni docenti ed ex docenti del Dipartimento nel quale insegno.
Copio la notizia dal sito del Popolo della libertà – Coordinamento regionale Sicilia:

«Sessant’anni di vita personale e politica: “Un contadino al Senato”, edito da Giuseppe Maimone editore, è il titolo del libro autobiografico del senatore Pino Firrarello.
Il volume sarà presentato giovedì 17 gennaio alle ore 17.30, all’Hotel Excelsior di Catania. Ad introdurlo sarà il professore Gino Saitta. Presentano il professore Enrico Iachello e la professoressa Lina Scalisi dell’Università degli Studi di Catania. Modera il giornalista de La Sicilia Salvatore Scalia».

Chi volesse saperne di più su questo personaggio, può leggere alcuni dei brevi testi pubblicati su Girodivite. L’ordine è cronologico e si conclude con la mia palinodia:

Il Senatore Firrarello è comunista

Onagrocrazia

Piazza Firrarello

«Chi scrive male…»

Un Pino tra le palme

Pinopoli. Una palinodia

Altri articoli sono elencati qui.

 

Angelo Anzalone. Gli umani, la luce

Ex Monastero dei Benedettini – Corridoio dell’Orologio – Catania
Il Tempo della Vita
Sino al 20 dicembre 2012

 

[Inserisco qui il testo critico che ho scritto per la mostra, che spero aiuti ad apprezzare l’opera di questo giovane fotografo]

L’immagine fotografica è luce diventata geometria. Sono quei tagli che feriscono lo spazio dandogli visibilità. È l’esistenza che si fa forma, idea, visione. Tre parole che nel greco di Platone sono una soltanto: Eîdos. Per il filosofo ateniese l’immagine fotografica sarebbe, naturalmente, l’ultimo e fragile riflesso della verità. E tuttavia è di questo riflesso che la filosofia vive, è questo debole bagliore di una luce assai più densa che millenni di pensiero, di scienza, di arte hanno indagato.
E dentro questo barlume gli umani. Essi appaiono nelle immagini di Angelo Anzalone come se fossero una sostanza sola con la luce che li esplora, li ferma, li conosce. Immobile per sempre è l’istante ebbro nel quale un’anziana donna ride soddisfatta e compiaciuta di ciò che ha davanti, una bambina scompigliata scruta l’enigma del mondo, un’altra emerge da uno spazio oscuro e circolare.
La luce intesse i singoli e i gruppi nel loro divenire quotidiano, nella pagnotta afferrata dalla fame, nel riposo su una panca, nell’acqua che scorre a dare frescura all’estate, nel ritorno dal mare o nel correre in bicicletta verso di esso. E soprattutto nella luminosità che invade un gruppo di anziani mentre gioca a carte, due muratori tra le loro porte, dei ragazzini con un pallone in un cortile assolato e desolato. Si tratta di tre foto impressionanti per nitidezza, potenza, simbolismo. Come se nel gesto dello svago e in quello del lavoro si fosse finalmente raggrumato il senso dell’esserci, dell’andare e dello stare al mondo.
Altre immagini descrivono linee, diagonali, cerchi, nei quali tre soggetti avanzano in prospettiva lungo una via, un uomo incontra due cani che si incrociano su una strada che procede a perdita di sguardo, un pastore diventa gioco di ombre mentre i suoi animali svaniscono sullo sfondo.
E poi le orme della polvere che siamo, lo scambio di due vite che da tanto stanno insieme ma che hanno ancora da dirsi guardandosi nei volti, l’immancabile santa e i suoi devoti. E i bambini, tanti bambini. Candidi e insieme violenti nelle azioni e negli sguardi. Sineddoche degli umani di Sicilia.
La realtà sta nell’occhio di chi guarda. E Anzalone imparerà a guardare sempre meglio e a restituirci con arte ciò che ha visto. Ma, intanto, le opere qui esposte disegnano una geometria in bianco e nero che sa fare del mondo pura luce. E, in essa, la speranza degli umani.

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