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Kiefer

Anselm
di Wim Wenders
Germania, 2023
Con: Anselm Kiefer
Trailer del film

Da molti anni lo Hangar Bicocca di Milano ospita in modo permanente I sette palazzi celesti di Anselm Kiefer. «Una verticalità immobile  e cangiante» l’ho definita. E tutta la poetica di Kiefer è anche questa verticalità. Il film di Wim Wenders lo dimostra intessendo l’apparire delle opere – poiché di una epifania si tratta  – con la vicenda biografica che ha condotto questo artista visionario dalla collaborazione con Joseph Beuys a un ampliamento sempre più imponente delle immagini, delle costruzioni, degli spazi. Sino a occupare intere ex fabbriche o ettari di terreno per trasformarli in luoghi poietici, dentro i quali sorgono le spose/Lilith; sorgono gli enormi pannelli fatti di ferro, cemento, ondate di colore; sorgono le torri disseminate nello spazio; sorgono le fotografie raccolte in volumi di piombo.
Kiefer appare dunque come un alchimista e un fabbro, la cui fiamma ossidrica vorrebbe illuminare anche la storia recente della Germania, accompagnato dalla lettura costante ed empatica delle poesie di Paul Celan.
Introducendo Celan, leggendo le sue poesie, Kiefer e Wenders parlano anche di Martin Heidegger. Lo fanno con immagini e video che raffigurano il filosofo mentre cammina, con il suo sguardo sempre ironico e magnetico.  Kiefer e Wenders ricordano l’incontro tra Celan e Heidegger a Todtnauberg, nella baita. Celan scrisse in quell’occasione nel libro degli ospiti una frase che accenna all’attesa di una parola. Wenders/Kiefer rilevano che quella parola non è stata pronunciata.
Evidentemente l’ossessione nei confronti di Heidegger è pervasiva e sotterranea anche in un artista così disincantato come Kiefer. Quale parola si attendeva da Heidegger? Una parola di pentimento? Pentimento collettivo o individuale? Una parola di sottomissione ai vincitori? In realtà il punto non è questo, mai. Che ne siano o no consapevoli, i detrattori biografici di Heidegger – da distinguere dai critici teoretici più rigorosi – esercitano la loro moralità non sui «silenzi» e neppure sul «rettorato» ma su altro: sul fatto che per un filosofo di questa grandezza l’etica sia succedanea, secondaria, non necessaria. E invece io credo che anche qui, forse soprattutto qui, sta la grandezza di Heidegger: nell’aver tolto autonomia all’etica e nell’averne fatto la conseguenza dell’ontologia. Ci si comporta per come si è e non si cambia se non nei particolari; «operari sequitur esse», come ricorda anche Schopenhauer riprendendo Pomponazzi.
Secondariatà dell’etica rispetto all’ontologia che con altro linguaggio anche Carlo Emilio Gadda esprime con chiarezza: «Dopo rotto il déclic della molla organica interna, non c’è diti di Vescovo né virtù ed unzione di Sacramento che valga a rimontarne il tic-tac. Il gioco multiplo e avaro degli infinitesimi, delle minime elezioni accumulatrici, della dura disciplina selettrice, s’è scombinato in un blando desiderio di requie, s’è rilassato in un abbandono (alla lubido), o ne’ pisoli della vanità soddisfatta, s’è sdraiato in una eutanasia: l’essere è, da dentro, un morente: per cui la tromba la può suonare a perdifiato, ma suona invano» (L’Adalgisa, Garzanti,  2007, p. 280).
Heidegger ha rifiutato il primato etico della modernità e questo sembra ossessionare e nello stesso tempo affascinare molti interpreti. Ossessiona e affascina anche due artisti come Wenders e Kiefer capaci di cogliere, plasmare ed esprimere il male del mondo. Ancora un passo e capiranno che non c’è niente da chiedere a Heidegger ma c’è soltanto da capire, da conoscere, da sapere. 

Pienezza

Philippe Parreno. Hypothèsis
HangarBicocca – Milano
A cura di Andrea Lissoni
Sino al 14 febbraio 2016

Non è una mostra, non è un’installazione. È piuttosto un racconto che luci e suoni fanno a se stessi, un evento drammaturgico, un set cinematografico nel quale si viene immersi, diventandone attori nello spazio.
Si inizia con la citazione delle stranezze di Duchamp, diventate trasparenze. Si prosegue nel luogo più vasto del grande Hangar, nel quale una lampada si muove ellittica a indicare il cammino del Sole e proiettare sul muro le ombre delle Marquees (le insegne luminose che negli anni Cinquanta reclamizzavano i film nei cinema statunitensi) che ad altezze diverse scandiscono l’intero corridoio, nel quale vengono proiettati dei film di Parreno, vengono eseguite da pianoforti musiche di vari compositori, si illuminano dei led formando strutture e immagini.
Dinamismi, luci, suoni, sinestesie, generano nel corpomente una sensazione di rilassamento, di quiete, di silenzio abitato dalle forme. Si è immersi in un ambiente naturale, artificiale, ambiguo e quotidiano, soprannaturale, cinematografico.
Natura e artificio vi appaiono infatti profondamente coniugati. Il cielo, la pioggia, le nuvole, i tuoni, le albe e i crepuscoli, lampadine, cavi, canzoni. Il parlante silenzio della materia. E poi il rumore dei programmi televisivi, della radio, della pubblicità. Frammenti di insensatezza nella pienezza di un mondo sovrano e indifferente alla stupidità. La deriva dell’acqua, la sua potenza e la sua calma. Oggetti d’arredo nelle case. Lo spazio domestico sembra abituale e tuttavia appare inquietante. La Scrittura vergata sul palinsesto del mondo. Voci, parole, forme luminose. Tra Neuromancer e Blad Runner ma con maggiore raffinatezza.
Così vince il divenire, cosi  trionfa il Tempo.kiefer_dipinti

Dallo spazio di Hypothesis si accede ai Sette Palazzi Celesti di Anselm Kiefel, ai quali da poco sono stati aggiunti dei dipinti dello stesso artista. Enormi tele che descrivono piramidi rovesciate e costellazioni celesti; Dike, la bilancia e la giustizia cosmica; l’arcobaleno dei filosofi tedeschi; la polvere della terra e del tempo. Tutto questo esprime la fragile stasi dell’eterno, dell’archetipo, dell’arcaico. Un cammino iniziatico, un percorso verso la Pienezza.

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