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«Tutto quello che non uccide…»

Il CUDA (Coordinamento unico di docenti, ricercatori, pta e studenti dell’Ateneo di Catania per un’Università pubblica, libera e democratica) ha diffuso un documento che fa il punto sulla situazione dell’Università di Catania, anche alla luce delle sentenze dei tribunali amministrativi e delle recenti elezioni (5 ottobre) per il rinnovo del Senato Accademico.

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Non è vero che il carro segua i buoi, come logica e buon senso vorrebbero. O meglio, è vero dovunque, ma non in questa splendida e “autonoma” terra siciliana, bagnata da una Giustizia Amministrativa orgogliosa della sua differenza e della sua alterità.

Veniamo ai fatti. Il TAR di Catania, con la sentenza n. 2441 del 6 ottobre c.a., ha sancito che vadano avviate le procedure per la ricostituzione degli organi statutari di UNICT, nei termini e con le modalità già fissate dal Consiglio di Giustizia Amministrativa nella decisione n. 243/2016. Nel contempo, essendo proprio tale sentenza del CGA a dir poco ambigua se non pilatesca sul punto in oggetto (elezioni o meno del Rettore, tenuto conto che a tale carica si applicherebbe, a detta del Ministero, la norma che fa salvo il mandato in corso di svolgimento, ai sensi dell’art. 2, commi 8 e 9 della legge n. 240/2010), lo stesso CGA ha fissato e più volte rimandato (prima a settembre, poi a ottobre, adesso addirittura al 16 novembre!) un’udienza di interpretazione ottemperativa, tempestivamente chiesta dall’Ateneo già ai primi dell’agosto scorso. Situazione paradossale (se non vergognosa) e tutta “siciliana”, dunque, quella di un tribunale di primo grado che invoca l’applicazione di una sentenza definitiva, la quale però, ancora, non ha per niente raggiunto la sua stabilità e definitività. A voler essere maliziosi (e noi non lo siamo) si potrebbe pensare ad una sorta di “strategia del sandwich”; blocco la decisione a valle, e poi colpisco a monte con un’ulteriore sanzione. Ovvero indebolisco l’istituzione e cerco di porla, de facto, in condizione di stallo ed emergenza. E a continuare a voler essere maliziosi (e noi continuiamo a non esserlo) si potrebbe pensare che questa strategia abbia il fine di temporeggiare, di prendere tempo, logorare e lavorare sull’usura dell’avversario.

Nel contempo infatti, di certo in modo anch’esso “autonomo”, mentre la Giustizia Amministrativa siciliana litiga all’arma bianca con il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica (perché è con questo che sta litigando, come abbiamo più volte e chiaramente illustrato), all’Università di Catania i soliti noti manovrano per fare cadere l’attuale Amministrazione, rea di essere impegnata a ripristinare trasparenza e legalità a fronte di amicizia e clientela (anch’esse ben più “autonome” e siciliane, oltre che redditizie). E i soliti noti – gli stessi che prima avevano fretta fretta fretta di fare cadere il Rettore Pignataro – adesso hanno bisogno di tempo, tempo, tempo. Perché il loro candidato, aldilà di ipotesi-civetta e poco credibili, è come la pentola Lagostina: si cerca e cerca e cerca: ma proprio non si trova!

Facciamola breve e azzardiamo una previsione finale. Il 16 novembre il CGA (nel quale siedono esimi ex docenti dell’Ateneo di Catania) scioglierà la sua riserva e chiarirà quello che ha scritto (o meglio che non ha voluto scrivere da subito e davvero) chiedendo anch’esso le elezioni del Rettore, in barba all’interpretazione del Ministero e alla ratio di legge. A quel punto si dovranno indire elezioni, ma non si potranno tenere prima di gennaio. I soliti noti cercheranno allora (estrema e disperata chance) di non fare presentare l’attuale Rettore, il quale però ha pieno diritto legale (oltre che esplicito dovere morale) a concorrere a una nuova elezione fino ai sei anni di mandato prescritti dalla Legge. Seguiranno, à la carte, polemiche, denunce, falsi scoop di organi di millantata “inchiesta”, personalizzazioni parossistiche, minacce a mezzo di atti giudiziari; la solita routine, insomma, che ormai fa anche ridere se non fosse frutto della peggiore subcultura…

Fino al voto, in gennaio. Voto che confermerà (si vedano le recenti elezioni al Senato Accademico) un concetto semplice, anche se a taluni indigesto: a UNICT indietro non si torna. E se qualcuno vuole guidare questa Università, si prepari a farlo, dal 2019; ma con argomenti nuovi, proposte per un nuovo decennio e una cultura della legalità e della trasparenza chiare e non equivocabili.

Ai colleghi e alle colleghe che stanno producendo questo parapiglia di fine anno, dopo tre anni di “strategia della tensione”, ricordiamo il detto di un filosofo, che chi conosce un po’ la vita (ma non chi vive solo di potere e denaro) può comprendere .

“Tutto quello che non uccide, fortifica.”

Qui siamo tutte e tutti in buona salute…

Abbracci e serenità

Il CUDA
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Mozione del Senato Accademico dell’Università di Catania sui tagli alla ricerca

Il Senato Accadcon_la_culturaemico è il più importante organo collegiale eletto da docenti, personale amministrativo e studenti in ogni Università italiana. Nella seduta del 21.12.2015 il SA del mio Ateneo ha approvato un importante documento (che pubblico qui sotto), i cui contenuti sono confermati dai dati esposti in un articolo di Roars: Università, l’Italia taglia, la Germania investe.
Per capire alcuni contenuti di questo testo aggiungo due informazioni: uno dei governi Berlusconi/Tremonti ha nel 2008 stabilito -e i governi del Partito Democratico hanno successivamnte confermato- che per assumere un nuovo docente è necessario che cinque vadano in pensione; nel mio Dipartimento (Scienze Umanistiche) tre anni fa eravamo in 180, adesso siamo ridotti a 131 docenti, i quali debbono sostenere in ogni caso ben 13 Corsi di laurea. È del tutto evidente che in questo modo l’Università muore per inedia, per fame. Ed è altrettanto evidente che il futuro appare problematico per i numerosi studenti ricchi di talento e di passione, nel caso in cui volessero intraprendere la carriera accademica. Non ci sono soldi? Non è vero, i soldi ci sono per tante altre destinazioni: ad esempio per l’insensata occupazione dell’Afghanistan e di altre terre, la quale costa alle finanze pubbliche 2,7 milioni di euro al giorno («Tutti soldi “civili” usati per spese militari: generosi finanziamenti integrativi strutturali al bilancio della Difesa, come i miliardi di contributi del ministero dello Sviluppo economico per l’acquisto di armamenti»). Che cosa si potrebbe ottenere con una tale cifra a favore di sanità, scuola e università? Anche per questo quello di Renzi è un governo criminale, perché uccide la ricerca e il futuro.

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L’Italia, contrariamente ad altri Paesi europei e alla maggioranza di quelli OCSE, ha scelto, in questi anni, di ridurre il finanziamento pubblico dell’istruzione universitaria e della ricerca, in una contingenza storica particolarmente difficile, caratterizzata da una crisi economica che sta consigliando agli altri Paesi di investire in innovazione per realizzare una radicale ristrutturazione dei propri sistemi produttivi. Questa scelta non è priva di conseguenze strutturali: pesante riduzione degli organici del personale docente e di quello tecnico-amministrativo, con riduzione altrettanto significativa del potenziale formativo e conseguente necessità di introdurre il numero programmato in sempre più corsi di studio. Il disinvestimento nell’Università ha anche comportato una riduzione degli interventi finanziari a sostegno del diritto allo studio.

Le conseguenze negative di questo stato di cose si misurano, soprattutto, in termini di opportunità di futuro per le giovani generazioni: si riduce, in particolare al Sud, il numero dei giovani che, completato il ciclo di istruzione superiore, decidono di immatricolarsi all’Università, in un Paese che presenta un gravissimo deficit di laureati, non soltanto rispetto ai Paesi europei più sviluppati, ma anche a quelli che sono in condizioni di sviluppo economico meno pronunciato.

In questo contesto, il sistema universitario italiano ha, tuttavia, mostrato un grande senso di responsabilità nei confronti del Paese: ha contribuito attivamente alla buona riuscita dei processi di valutazione della ricerca e di accreditamento dei corsi di studio; ha realizzato una produzione scientifica di qualità, nonostante la (quasi) scomparsa del finanziamento pubblico nazionale dei progetti di ricerca; ha contribuito, più di ogni altra categoria del pubblico impiego, al risanamento della finanza pubblica, subendo un blocco delle progressioni stipendiali temporalmente più lungo.

Il Senato Accademico dell’Università di Catania, pur convinto dell’importanza della valutazione per garantire una compiuta responsabilizzazione delle Università, ritiene che, permanendo la scelta di riduzione del finanziamento pubblico degli Atenei, i processi di valutazione non potranno garantire efficacemente il riconoscimento del merito e, pertanto, comprende il clima di sfiducia nei confronti della VQR, rilevabile dalle mozioni deliberate da numerosi Consigli di Dipartimento dell’Ateneo, così come di molti altri Atenei e dello stesso CUN, condividendo la posizione assunta dalla Conferenza dei Rettori nei confronti dell’esercizio di valutazione.

Il Senato Accademico, altresì, chiede al Governo:

  • Un piano straordinario di reclutamento di ricercatori a tempo determinato, in particolare di tipo b).
  • Una seconda tranche di finanziamento del piano straordinario associati e l’attivazione di un piano straordinario per il reclutamento di professori ordinari.
  • Finanziamenti adeguati a garantire a tutti gli studenti bisognosi e meritevoli il loro diritto allo studio, attraverso le borse di studio e anche con un investimento sulle strutture.
  • La rimozione del blocco degli scatti stipendiali dal 2015 e il riconoscimento, ai soli fini previdenziali, del quadriennio 2011-2014.
  • Il rinnovo dei contratti del personale tecnico-amministrativo, nonché un finanziamento per un piano straordinario di assunzioni.
  • Un finanziamento adeguato dei piani di ricerca nazionali.

Il Senato Accademico ritiene, inoltre, che vadano ripensati i criteri di ripartizione della quota premiale del FFO, evitando che essi siano ancora una volta ricollegati alla VQR, privilegiando, invece, una valutazione dei progressi nella qualità della didattica e della ricerca che tenga conto dei punti di partenza dei singoli Atenei.

Il Senato Accademico chiede al Rettore di farsi portatore, nelle sedi opportune, dei contenuti di questa mozione e di promuovere, presso la CRUI, un’azione coordinata a livello nazionale anche per affermare il ruolo primario del sistema pubblico dell’istruzione universitaria e della ricerca nella crescita di un Paese moderno.

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