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Chi distrugge la scuola?

Alla Ministra e ai suoi funzionari che rimbrottano i presidi perché si lamentano dei tagli sempre più gravi ai fondi delle scuole (come a quelli dell’Università e della ricerca in genere…), i sindacati rispondono che «i capi di istituto sono abituati a rimboccarsi le maniche ogni giorno per risolvere situazioni e problemi continui rispondendo di ciò che fanno alle famiglie degli alunni e all’Amministrazione e assumendosi i rischi in prima persona pur di far funzionare al meglio le scuole» (R.P., Tecnica della scuola, 14-11-2009).

E questo è l’errore. Dei presidi e soprattutto degli insegnanti:  colmare col volontariato il baratro finanziario voluto dai precedenti esecutivi ma soprattutto dall’attuale (mal)governo; salvare l’istituzione dalla paralisi economica; nascondere alle famiglie e ai ragazzi i veri obiettivi della destra televisiva e cialtrona. Bisogna rispettare sino in fondo la normativa e fare al meglio delle proprie possibilità tutto ciò che la legge impone alla professione docente. Ma nulla, assolutamente nulla, di più. A cominciare dalle uscite scolastiche, dalle gite lunghe e brevi, dalla partecipazione alle commissioni interne, da tutta la pletora di attività che non siano d’ufficio. Basterebbe questo, solo questo – altro che “blocchi a oltranza degli scrutini”!- per paralizzare la scuola e far cadere la maschera di chi la vuole distruggere.
Ma negli insegnanti italiani vive un singolare amalgama di senso di colpa (per che cosa?), forza di inerzia e volontà missionaria che contribuisce -quasi alla pari dell’ignoranza del Sommo Bottegaio e dei suoi servi- alla riduzione della scuola al miserabile luna park che è diventato.

Socrate e i comportamentisti

Leggo un articolo sulla scuola che critica un presunto aumento delle bocciature. Sono analisi e interpretazioni come queste che favoriscono la propaganda del regime berlusconiano. Vi si accredita, infatti, quello stesso “rigore” che ministra e governo sbandierano e che invece è del tutto finto e strumentale.

– I dati si riferiscono al 10 % delle scuole. Il campione è omogeneo (per regione, tipo di scuole…) o è casuale? Comunque sia, si tratta di una percentuale troppo bassa per estrapolare conclusioni generali – Il numero dei bocciati e dei non ammessi si mantiene su livelli del tutto fisiologici e secondo me ancora troppo bassi – Il vero problema è la totale assenza in Italia di seri canali professionali (come quelli presenti in Germania e nei Paesi scandinavi), che induce a una crescita abnorme dei licei, con i relativi gravi problemi di orientamento, di permanenza, di sbocchi lavorativi. Una crescita che i ministri di tutte le tendenze e maggioranze hanno sempre incoraggiato, sbagliando – L’articolo fa riferimento a quella didattica del “successo formativo” che costituisce l’estrema e banale eredità del comportamentismo, una visione pedagogica e antropologica entrata ormai nella storia e per fortuna uscita dal presente – Si ignora sempre e pervicacemente che l’apprendimento ha una struttura socratica, è frutto del rapporto tra allievo, docente e istituzione e non soltanto degli ultimi due elementi – Si ignora dunque, ma chi sta a scuola sa bene di che cosa parlo, il fatto che esistono ragazzi i quali semplicemente non hanno talento e volontà di studiare – La chiusa economicisitica è micidiale e totalmente “tremontiana”. Promuovere o bocciare in base a criteri finanziari e non didattici o culturali è una gravissima aberrazione (oltre che un comportamento fuori legge).

Fino a che l’opposizione alla attuale ministra si farà con gli argomenti dell’articolo di Repubblica, lei e il suo governo potranno stare tranquilli e agire quasi indisturbati nella trasformazione della scuola pubblica italiana in un immenso istituto privato, dove si paga e non si impara, dove la percentuale dei bocciati sfiora lo zero assoluto, dove il “successo formativo” è garantito a tutti. Ottimo modello, vero?

Maxinnovatori

Ho ricevuto una mail che racconta come «all’ITSOS di Cernusco S/N (MI) sia passato l’anticipo del riordino degli istituti tecnici anche con i voti di iscritti FLC CGIL. Il silenzio della Segreteria FLC CGIL lombarda e di quella milanese è assolutamente assordante.
87 a 64, con 7 o 8 astenuti, così e finita oggi all’ITSOS di Cernusco S/N (MI): il collegio dei docenti ha approvato l’anticipo del riordino degli istituti tecnici. La stessa cosa è accaduta qualche giorno fa all’ITCS Primo Levi di Bollate (MI). Nonostante le mozioni votate, gli scioperi fatti e le iniziative organizzate, le scuole d’eccellenza, i primi della classe hanno pensato di salvarsi e salvare la loro scuola, non la scuola pubblica, ma la loro scuola che è non è più pubblica, ma di fatto privata perché  di loro proprietà. È questo il risultato delle battaglie dello scorso autunno e non solo. Da questa vicenda di sicuro non ne escono sconfitti i 64 docenti che ci hanno creduto fino in fondo, ma chi prima ha proclamato la sua contrarietà a questa pseudo riforma e poi nei fatti non ha fatto altro che sostenerla.

Anche iscritti FLC CGIL hanno votato a favore, e non è cosa da poco. Diversi dirigenti delle scuole lombarde coinvolte nel progetto di anticipo del riordino dei tecnici sono iscritti FLC CGIL, e anche  questo non è cosa da poco. Il silenzio della Segreteria FLC CGIL lombarda e di quella milanese è assolutamente assordante. Qualche giorno fa ho posto delle domande, ma per il momento non c’è stata nessuna risposta. Cosa devo pensare? Cosa devono pensare tutti gli iscritti FLC CGIL che si battono quotidianamente contro la distruzione della scuola pubblica messa in atto dal Governo?»

Milano, 28 aprile 2009
Mario Piemontese

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Tutto questo -e in particolare il “silenzio” della CGIL- non mi sorprende affatto. Tanti anni fa, quasi all’inizio della mia attività di insegnante, ebbi la sfortuna di lavorare un anno in quell’istituto di Cernusco sul  Naviglio. Il peggior anno della mia carriera. Ma fu molto istruttivo. Non ho più visto nessuno di quella masnada e non so quali siano gli  attuali equilibri ma l’ITSOS Marie Curie (una scuola molto grande) è stato gestito sin dalla sua fondazione da un comitato (informale, ovviamente) composto da esponenti di Comunione e Liberazione e della CGIL. Andavano d’amore e d’accordo. Anche perché come Istituto “maxisperimentale” godeva di particolari privilegi, di ogni genere…

Ora quindi i maxinnovatori fanatici di allora confermano con coerenza la loro natura e sono i primi ad aderire allo smantellamento della scuola pubblica. Mi stupisce solo che ci siano stati così tanti oppositori al momento del voto. Si trattava, infatti, di una scuola dove regnava -e si pretendeva!- l’unanimità. Son passati dunque senza scossoni dal cattocomunismo a Berlusconi. Bravi.

Il pane e la scuola

Dalla Repubblica del 25 marzo leggo che «dopo un tam tam durato settimane, il ministero dell’Istruzione rende ufficiali i tagli agli organici del personale docente. (…) Più di metà degli oltre 37 mila posti che svaniranno dal prossimo settembre verranno tagliati nelle regioni meridionali. Il dato diventa imbarazzante nella scuola elementare, dove due cattedre su tre salteranno proprio al Sud. Da mesi i sindacati parlavano di accanimento verso la scuola nel Sud. (…) A pagarne le conseguenze saranno quindi le realtà del Paese dove le lezioni pomeridiane alle elementari sono una specie di miraggio. Gli addetti ai lavori sapevano già che le classi di scuola elementare a tempo pieno al Sud sono soltanto otto su 100 mentre al Nord sono il 36 per cento. Stornare dai tagli le classi a tempo normale sarebbe equivalso a penalizzare le regioni del Sud. Ed è proprio quello che è avvenuto».
Bene. Il Sud, insieme alla Lombardia, ha regalato ancora una volta il potere a S(upremo) B(ottegaio) e ai delinquenti che lo sostengono. Il Sud si merita dunque questo e altro. Spero che venga penalizzata in particolare la Sicilia delle migliaia di maestre, professori e loro familiari (e, naturalmente, dei milioni di genitori di alunni!) che hanno votato per Cuffaro, Lombardo, Firrarello e analoghi personaggi. Se non le tocchi il pane, questa gente non si sveglierà mai. E non è detto che lo faccia anche se glielo togli. Ma almeno si può sperare.

Stella

di Sylvie Verheyde
Francia, 2008
Con Léora Barbara (Stella), Karole Rocher (la madre di Stella), Benjamin Biolay (il padre di Stella ), Melissa Rodriguez (Gladys), Laetitia Guerard (Geneviève).

stella

Stella è una bambina. Stella è una donna. Stella è sensuale e candida, ha paura di tante cose ma nessuno se ne accorge, è sola -molto sola- ma ha due amiche vere. Stella frequenta la prima media in una scuola parigina “per ricchi” ma vive in un bar gestito dai suoi genitori, che litigano sempre. Un bar frequentato da malviventi, disoccupati, giocatori, alcolizzati. Dice di se stessa che «sa tutto del calcio, dei cocktail, di come si fanno i bambini, di come si scopa, di chi fidarsi e di chi no; per il resto, sono una schiappa». Stella va molto male a scuola, soprattutto in francese, ma comincia a leggere Balzac e Duras e sa che quella particolare scuola è «un’occasione da non perdere». Stella è bella.

Stella è diventata la regista di questo film e sa raccontarsi senza sentimentalismi e senza giudicare. Sylvie Verheyde costruisce il film con una regia strepitosa che rende dinamiche e imprevedibili delle scene molto semplici e ripetitive, a scuola al bar in vacanza. Nessun campo lungo e molti primi piani, la cinepresa va dentro ciò che accade anche quando sembra non accadere nulla. Momenti chiave la corsa di Stella e il suo ascoltare e ripetere una canzone nella solitudine della propria camera. Un film autobiografico non per ciò che racconta ma per il modo -magistrale- in cui lo fa.

Mente & cervello 47 – Novembre 2008


La permanenza dei significati e delle intenzionalità è la memoria. Essa costituisce il nucleo più profondo della mente, quello in cui convergono la dimensione fisico-neuronale e quella coscienzialistico-immateriale. A questo tema sono dedicati alcuni degli articoli del numero di novembre 2008 di M&C. Anche il ricordare conferma che la mente non è una res ma è un fieri, non una sostanza ma una funzione. I ricordi, infatti, non vengono “depositati” in nessun cassetto ma «vengono creati modificando la forza delle connessioni tra centinaia, migliaia, se non milioni di neuroni, che facilitano la ricomparsa di schemi di attività specifici» (R.Stickgold e J.M.Ellenbogen, pag. 36); il sonno serve a consolidare -alla lettera- tali connessioni e quindi sembra finalmente chiarita la ragione per cui abbiamo bisogno di dormire: per fissare i ricordi e quindi per essere ancora noi stessi.
Anche altri animali e non solo mammiferi -i corvi, ad esempio- «hanno una memoria straordinaria, tanto da ricordarsi con precisione un volto umano, anche dopo parecchio tempo» (F.Sgarbossa, 21) e questo apre all’importante argomento della mente animale, affrontato da J.Vlahos dal punto di vista del disagio mentale, delle cure e dei farmaci che vengono erogati agli animali non umani. Il pregiudizio cartesiano è stato completamene smentito: gli animali «sviluppano malattie mentali che somigliano in maniera inquietante a quelle umane, e rispondono agli stessi farmaci» (52); e anche le ragioni sembrano analoghe, visto che molto del disagio mentale nasce «dalle vite innaturali che i proprietari li costringono a condurre» (56), vite, spazi e tempi innaturali anche per noi. Il sistema limbico, che controlla le emozioni, funziona infatti in modo assai simile in tutti i mammiferi. Darwin affermò giustamente che «la differenza tra la mente dell’uomo e quelle degli animali superiori, per grande che sia, certamente è una differenza di grado e non di genere» (cit. a p. 56).
L’animalità dell’Homo sapiens sapiens spiega anche la particolare attrazione dei maschi di questa specie -come anche di alcune scimmie- per la pornografia. La ragione è persino banale: «per i maschi è adattativo, cioè vantaggioso in termini evoluzionistici, essere reattivi di fronte alle possibilità di accoppiarsi, anche velocemente e senza troppo impegno, per diffondere i propri geni sul pianeta (…) E ai mammiferi maschi generalmente conviene tentare di fecondare il più alto numero di donne possibile e quindi essere veloce e ricettivo di fronte alla visione di una donna disponibile» (S.Bencivelli, 26-27).
Un argomento diverso e didatticamente assai utile è quello che concerne l’imperversare di psicologi e «neuromiti nelle scuole», come se presentarsi con un camice bianco o utilizzare un linguaggio neurobiologico attribuisse per ciò stesso una qualche verità ed efficacia alle affermazioni di molti sedicenti esperti dell’educare. E invece «gli insegnanti non devono abdicare la loro responsabilità di educatori delegando in modo acritico la loro competenza alle fandonie di divulgatori senza scrupoli» (R.Cubelli – S. Della Sala, 84). I due studiosi sostengono anche -e giustamente- che alla base di molti interventi inopportuni o dannosi delle neuroscienze in ambito didattico starebbe «la commistione tra mente e cervello diffusa anche tra gli addetti ai lavori, ossia l’idea che lo studio del funzionamento fisiologico e biologico del cervello sia sufficiente a comprendere i processi mentali e i meccanismi di acquisizione della conoscenza. Lo studio del cervello e lo studio dei processi cognitivi non sono sinonimi, non si pongono i medesimi obiettivi e rappresentano livelli di conoscenza diversi» (82).
Osservazioni critiche che ci riportano alla necessità di un approccio filosofico per la comprensione della mente e della memoria, come sostiene anche Nelson Cowan dell’Università del Missouri: «per determinare la verità sarà quindi necessario affiancare alle moderne tecniche di brain imaging i vecchi metodi comportamentali e il ragionamento filosofico sul funzionamento della mente. In un articolo del 1971 intitolato Art in Bits and Chunks, lo psicologo della percezione Rudolf Arnheim affermava che lo strumento più importante per uno psicologo è la sua poltrona. E questo sembra valido anche per le ricerche sul cervello» (49).
Segnalo, infine, una intrigante intervista di Loredana Lipperini a Francesco Dimitri, uno dei maggiori scrittori italiani di fantasy -che non è un genere per ragazzini o per sognatori…- autore di un romanzo dal titolo Pan ambientato in una Roma contemporanea attraversata dalla crudeltà orgiastica del dio greco. Dimitri sostiene che «i sogni scientifici stiano mostrando la corda e che siamo in tempi di risveglio: in questo senso l’arrivo di Pan è davvero imminente. Il che non significa diventare luddisti. Una parte degli avanzamenti scientifici sono stati non semplicemente anticipati dalla letteratura, ma condizionati. Penso a Verne. Al cyberpunk. E penso a Mark Pesce, l’inventore del Vrml (Virtual Reality Modeling Language), che è un occultista: e ha realizzato l’estensione tecnologica di una propria idea esoterica» (45). E comunque Pan non è mai morto, come ci ricorda Hillman, poiché egli è l’unità psicosomatica che siamo. È nel trionfo del corpo che -nonostante il grido riferito da Plutarco che pose fine al mondo antico- Pan è vivo e sempre lo rimarrà. Sempre, finché un corpo umano e animale pulserà del desiderio di vita e del suo terrore.

 

Entre les murs

La classe
di Laurent Cantet
Con: François Bégaudeau (François), Nassim Amrabt, Laura Baquela, Cherif Bounaïdja
Francia 2008

Il XX Arrondissement non è certo una zona centrale di Parigi ma non è neppure la banlieue più disagiata. È qui che François, prof. di lingua francese, insegna in quello che in Italia corrisponderebbe all’ultimo anno delle medie e al primo delle superiori. Ragazzi di origini etniche diverse, con livelli di conoscenza e di impegno al cui confronto le scuole italiane possono essere giustamente ritenute migliori, si scontrano ogni giorno tra di loro, con gli insegnanti, col non senso di quell’essere e di quel fare. La classe, infatti, è chiaramente disgregata al proprio interno. C’è chi si vergogna dei propri compagni perché vorrebbe studiare ma non si riesce; un dark si sente diversissimo dai ragazzi di origine nordafricana e questi da quelli provenienti dal Mali; alcune ragazze hanno un atteggiamento indisponente e insolente; Souleymane è il più ribelle e alla fine si scontrerà con il professore che pure vorrebbe aiutarlo e gratificarlo…
Tratto dal romanzo omonimo di François Bégaudeau, che insegnante lo è stato davvero e qui interpreta se stesso, Entre les murs è un film molto teatrale che non esce mai -appunto- dalle mura del microcosmo scolastico. È raccontato con notevole tecnica, evitando anche visivamente di mettere al centro dell’inquadratura il professore o i ragazzi. Il suo merito maggiore sta nel rifiuto di una presa di posizione a favore dell’istituzione o contro di essa, non difende gli studenti -a volte davvero insostenibili…- né li condanna e mostra invece quanto difficile e soprattutto complesso sia l’insegnare per chi voglia veramente farlo. Ne esce il quadro di una Scuola pressoché morta e forse questo può capirlo sino in fondo solo chi ha vissuto o vive in quelle aule…
“Palma d’oro” 2008 ma non può competere con Gomorra o con Il Divo, che pure erano in concorso a Cannes.

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