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Un’ignoranza politicamente corretta

Giovedì 27 marzo 2025 alle 16.00 nella Sala rotonda del Coro di Notte del Disum di Catania parleremo del mio Ždanov. Sul politicamente corretto  e del libro di Davide Miccione La congiura degli ignoranti. Note sulla distruzione della cultura.
A discuterne saranno Francesco Coniglione, Fernando Gioviale ed Enrico Palma. L’evento è organizzato dall’Associazione Studenti di Filosofia Unict (ASFU).

«Una scuola realmente democratica dovrebbe invece essere capace di selezionare la classe dirigente attraverso criteri non di padrinaggio politico, di appartenenza ideologica o di fortuna familiare ma di merito personale, competenza e volontà. Regalando a tutti dei diplomi e delle lauree frutto di un insegnamento dequalificato e superficiale – e quindi inutile –, i “riformatori” all’opera in questi anni stanno confermando in realtà la sostanza vecchia e classista dei loro progetti, la quale si esprime anche nella Società dello spettacolo diventata la Società dell’ignoranza. Un’ignoranza che non sa di esserlo o che persino si vanta di esserlo. Molte persone ritengono infatti del tutto normale rinunciare ai fondamenti del pensiero argomentativo, quello che cerca di dimostrare ciò che si afferma, a favore di una esposizione fondata sul sentito dire delle piattaforme digitali, sul principio di autorità, su impressionismi psicologici, su ricatti sentimentali volti a emotivizzare le decisioni e le azioni, invece di razionalizzarle, su una comunicazione aggressiva, sull’omologazione pervasiva e schiavile del politicamente corretto. Anche e soprattutto in questo consiste la dissoluzione della scuola e dell’università» (Ždanov, p. 103).

«Tutto ciò che negli ultimi millenni abbiamo considerato come cultura scompare dalla mente della maggioranza dei contemporanei, si dilegua senza neppure fare rumore: che sia il senso della ricchezza della lingua e la sua conoscenza o la capacità di coltivare la dimensione teorica e non immediatamente riducibile alla sua pratica utilizzazione; che sia l’articolata e raffinata capacità di concettualizzare ciò che ci accade o di storicizzare ciò che vediamo vagliandolo.

Basterebbe ridare a questi professori spazio per fare, togliere loro le mansioni inutili, non pensare a loro come impiegati da controllare. Basterebbe fare della scuola luogo di pensiero, discussione, ricerca e non l’ennesimo ramo di un capitalismo della vigilanza che si fa sempre più grottesco. […] Se seguiamo questo filo (quello della comunità intellettuale riunita per la crescita delle nuove generazioni) molte cose oggi appaiono deliranti, superflue, nocive e molti elementi appaiono mancanti»
(La congiura degli ignoranti, p. 25 e pp. 93-94).

Il tempo, un limpido enigma

Su invito della Prof.ssa Sara Lo Faro e delle colleghe di filosofia del Liceo Classico Bonaventura Secusio di Caltagirone, giovedì 20 marzo 2025 alle 11.00 terrò un incontro con gli studenti sul tema del tempo.
Il tempo è un enigma, ma è un limpido enigma. Il tempo è numero ed è anche durata; è interiorità ed è corpo; è convenzione ed è storia; è una struttura sociale ed è una potenza metafisica. Il tempo è unitario e molteplice.
Il tempo è una danza delle stelle, «χορείας δὲ τούτων αὐτῶν καὶ παραβολὰς ἀλλήλων» (Platone, Timeo, 40c) ed è un’apertura al futuro che sul fondamento di quanto è accaduto genera il presente.
Come Aristotele afferma dell’essere, anche il tempo si dice dunque in molti modi, πολλαχῶς.

 

Pedagogie

Le scuole occidentali
Aldous
, 9 febbraio 2025
Pagine 1-2

Qualche tempo fa avevo pubblicato su questo sito una riflessione a proposito del film Armand, di Halfdan Ullmann Tøndel (Norvegia 2024). La rivista Aldous ha ripreso l’articolo, che dunque può essere letto anche in versione pdf. Si tratta di un testo che descrive e critica le pedagogie comportamentistiche, in quanto pericolose per la crescita delle persone e per le libertà dell’intero corpo collettivo. Il behaviorismo è infatti da sempre una pratica educativa e sociale rivolta all’obbedienza interiore e a un controllo pervasivo.

Illuminismo e disincanto

Dario Generali. Per la conoscenza, per la πόλις
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
26 gennaio 2025
pagine 1-9

Un esercizio attento e critico della razionalità per comprendere il mondo e per agire in esso tramite tale comprensione. Anche questo è il fondamento dell’opera e dell’esistenza di Dario Generali, uno dei maggiori storici della scienza contemporanei.
Allievo di Mario Dal Pra; cresciuto nel fervore della Statale di Milano negli anni nei quali era ancora ben presente e viva la plurale scuola di pensiero scaturita dal lavoro di Antonio Banfi, Enzo Paci, Ludovico Geymonat; massimo esperto al mondo dell’opera di Antonio Vallisneri e in generale della scienza settecentesca come essa emerge dagli immensi epistolari dei suoi protagonisti, Generali non si è limitato a essere uno studioso, un erudito, uno storico e filosofo ma ha posto il suo lavoro al servizio di un costante impegno civile, là dove ha svolto la propria opera di cittadino e di docente.
Chi ha la fortuna di conoscere Generali non si stupisce certo di quanto ho cercato di raccontare e analizzare nel testo che qui segnalo. A vederla, questa persona potrebbe benissimo stare nel pieno degli eventi francesi dell’Ottantanove. Non però tra i gruppi più illusi sulla virtù degli umani ma tra quelli che univano e uniscono al disincanto sui tanti limiti della nostra specie una determinazione totale nel perseguire sempre il vantaggio dell’intero corpo sociale e mai soltanto quello di alcuni privilegiati.

Insegnare

La scuola, i saperi
Aldous
, 22 gennaio 2025
Pagine 1-2

Nel novembre del 2024 (esattamente il 16 e 17) si è svolto a Vicenza un convegno dal titolo Salvare i saperi per salvare la scuola. Ad aprirlo è stata Elisabetta Frezza. In un quarto d’ora Frezza è riuscita a sintetizzare con grande chiarezza (e coraggio) le radici dell’ignoranza che affligge sempre più le scuole e le università italiane e occidentali, a partire dalla colonizzazione da parte della mentalità e della pedagogia statunitense, la quale ha totalmente fallito in quel Paese ma – come diceva Elémire Zolla – gli italiani hanno un particolare talento a nutrirsi dei rifiuti altrui.
In realtà, anche a partire dalla mia esperienza di docente liceale e universitario, io credo che la scuola sia semplicemente morta. Ad apparire è un suo fantasma, destinato naturalmente presto a dissolversi nel virtuale, negli algoritmi, nel digitale. Muore perché trasformata da spazio di apprendimento in un luogo terapeutico; muore nel non chiedere alcun impegno agli studenti, titillando invece il loro narcisismo e le loro presunzioni; muore nel lasciare i ragazzi in una condizione infantile; muore nell’essere mossa da strutture e logiche aziendali e non educative; muore nella sostituzione dei professori e degli insegnanti, delle persone vive, con dei software magari dotati di interfaccia robotica. I docenti che sostengono con masochistico entusiasmo o con passiva rassegnazione queste modalità non si rendono conto di tagliare il ramo sul quale siedono. Se la lezione viva viene sostituita da un insieme di tecnologie digitali, perché non sostituire l’intero corpomente del docente con un software/robot, come accade già in altri ambiti della vita sociale? Credo che questo sia uno degli obiettivi ultimi dell’ideologia didatticista impartita in modo ossessivo e autoritario anche ai docenti che si preparano ai concorsi. Una didattica che farà a meno di loro.
La scuola è morta e l’università è moribonda e tuttavia l’integrale disincanto, necessario per vivere e per pensare tenendo conto del principio di realtà, non deve mai essere separato dalla tenacia e dalla lucidità con le quali agire nel mondo. La formula di Burckhardt e dei Greci sul pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà deve guidare ogni pensiero e ogni respiro di chi insegna.

Pneuma

Al di là della speranza, per il respiro
Laboratorio dell’ISPF [Istituto per la Storia del pensiero filosofico e scientifico moderno] Rivista elettronica di testi, saggi e strumenti
XXI [14], dicembre 2024
Pagine 1-8

ABSTRACT
Beyond hope, for breath. One of the effects of political and economic liberalism – in Italy and generally in the Anglo-Saxon dominated West – is a classist educational system, in which obtaining diplomas and degrees becomes increasingly easy, triggering an inflationary dynamic that in turn results in social inequality and cultural ignorance. A recent book by Davide Miccione, La congiura degli ignoranti. Note sulla distruzione della cultura, shows in a clear, dramatic, and vivid way the roots of this catastrophe of knowledge and the conditions and ways still possible to stop it. 

SOMMARIO
Uno degli effetti del liberalismo politico e del liberismo economico – in Italia e in generale nell’Occidente a dominio anglosassone – è un sistema formativo classista, nel quale l’ottenimento di diplomi e lauree diventa sempre più facile innescando una dinamica inflattiva che a sua volta ha come effetto l’iniquità sociale e l’ignoranza culturale. Un recente volume di Davide Miccione, La congiura degli ignoranti. Note sulla distruzione della cultura, mostra in modo limpido, drammatico e vivace le radici di questa catastrofe della conoscenza e le condizioni e i modi ancora possibili per fermarla. 

Le scuole occidentali

Armand
di Halfdan Ullmann Tøndel
Norvegia, 2024
Con: Renate Reinsve (Elisabeth), Ellen Dorrit Petersen (Sarah), Endre Hellestveit (Anders)
Trailer del film

I fenomeni sociali, che siano spontanei o che vengano costruiti da una volontà di controllo sui corpi collettivi, alla fine si incontrano e scontrano con le strutture antropologiche, con ciò che l’umano è per natura al di là del costruzionismo politico che pure molta influenza esercita sulla vita degli individui e delle collettività.
Un ambito nel quale tale dinamica è particolarmente evidente, delicata e quindi anche distruttiva, è la formazione, è la scuola. Da alcuni decenni, e in modo sempre più accelerato, la scuola permeata dai principi pedagogici dell’occidente anglosassone – e quindi sostanzialmente dal behaviorismo coniugato con il moralismo – vede al centro alcuni fenomeni, quali:
-la presenza sempre più ossessiva dei genitori nelle scuole, con il conseguente primato della componente emotiva e privata a danno della componente professionale e oggettiva, vale a dire gli educatori, i maestri, i professori;
-la conseguente perdita di identità e sicurezza da parte dei docenti, ridotti o a burocrati o a domestici delle famiglie, e affetti in modo ormai preoccupante dalla sindrome da burnout;
-una ossessione iperprotettiva rivolta ai bambini e agli adolescenti, che si presume dover salvaguardare da ogni più piccola difficoltà, dispiacere e soprattutto conflitto. Risultano evidenti non soltanto l’impossibilità empirica di un simile programma – l’esistenza è attrito e conflitto – ma anche la distruttiva conseguenza del non far crescere le persone, lasciandole in una condizione di infantilismo e di perenne dipendenza che chi insegna all’università – e dunque si occupa della formazione in una fase nella quale le persone dovrebbero essere ormai autonome e adulte – percepisce in modo evidente (a volte anche con sgomento).

Questo è lo sfondo educativo nel quale prende corpo la vicenda di Armand. Che accade in una scuola  norvegese, vale a dire in quella Scandinavia che ha accolto da tempo e in modo acritico i dogmi della pedagogia anglosassone e della società del controllo nella quale l’individuo è seguito in modo occhiuto e alla fine tirannico ‘dalla culla alla tomba’.
Accade quindi che un bambino di sei anni – Jong – venga trovato piangente in bagno e risponda che il suo compagno – Armand,  anche lui di sei anni – ha cercato di violentarlo nell’ano. La implausibilità di una simile eventualità, a sei anni il pene umano non è capace di una erezione tanto potente, viene quasi scartata. Vengono convocati i genitori dei bambini. Elisabeth, la madre di Armand, è presto sottoposta a un processo che attinge alla sua vita privata e che nulla ha a che fare con l’episodio oggetto della convocazione. Di fronte ai genitori stanno una maestra giovane, onesta e volenterosa ma la cui presenza viene annullata da quella di un preside tanto vigliacco quanto instabile e incompetente (tre caratteristiche che descrivono ottimamente la più parte dei ‘dirigenti scolastici’ italiani) e da una psicologa del tutto inconcludente e afflitta da continue perdite di sangue dal naso.

Ma il significato e il valore di questo film stanno nello scarto rispetto a una trama che così raccontata sembra quella di un film sociologico. No, si tratta si un’opera antropologico-simbolica nella quale alcuni eventi, la loro collocazione spaziotemporale, i diversi colori delle stanze acquisiscono una funzione primaria. Una funzione particolarmente e densamente fisica. Il film si allontana infatti da ogni semplice verosimiglianza almeno in tre scene: il sorridere e ridere di Elisabeth durante il colloquio con i genitori e i docenti; il danzare di questa madre insieme a un inserviente della scuola; il passaggio dell’odio degli altri genitori verso Elisabeth da una dimensione interiore e psicologica a una del tutto fisica nella quale i molti si avventano a poco a poco contro uno. Tranne poi capovolgere l’esito quando i fatti vengono chiariti nel loro reale accadere.
Ogni elemento di questo film è pensato e meditato con attenzione. Il significato del racconto è reso evidente sin dall’inizio mediante un elemento che non descrivo qui per lasciare a chi vedrà Armand di scoprirlo da sé, ma è un elemento ‘tecnico’ assai chiaro.

Il regista, trentenne, è stato un maestro elementare. Una condizione forse necessaria per pensare, progettare e realizzare un film così corrispondente a quanto di assurdo accade oggi nelle scuole dell’occidente anglosassone e che era stato con la consueta lucidità prefigurato da Ivan Illich in Tools for Conviviality (in italiano Convivialità, 1973): «The inevitable catastrophic event could be either a crisis in  end: end by annihilation or end in B. F. Skinner’s world – wide concentration camp run by a T. E. Frazier» (p.120 dell’edizione Fontana del 1975).
Illich aveva ben compreso, ma non era difficile per gli spiriti liberi, che di fronte alla dismisura della crescita infinita postulata dal capitalismo, una delle possibili conseguenze sarebbe stata la società del controllo. Controllo che già Hannah Arendt aveva intuito che sarebbe stato totalitario, portando al collasso le società liberali, che erano nate come ‘open society’. Illich analizza dunque e critica la «Skinner Box», una società guidata da algoritmi mediante l’utilizzo sistematico del protocollo stimolo/risposta che per Skinner – rispetto a Watson – non deve essere passivo ma richiede l’attiva e positiva adesione del controllato. In questo modo il comportamentismo appare per quello che è sempre stato: una pratica rivolta all’obbedienza interiore e a un pervasivo controllo. È ovviamente emblematico che uno dei libri più importanti dello psicologo statunitense Burrhus Frederic Skinner si intitoli Beyond Freedom and Dignity (1971). Tale è la tendenza dell’occidente contemporaneo e dunque delle sue scuole e università. Armand parla anche di questo.

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