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Metafisiche contemporanee

Metafisiche contemporanee
in Vita pensata, numero 22, maggio 2020
pagine 5-11

La metafisica è sempre stata un tentativo di pensare il mondo nella varietà, complessità ed enigmaticità delle sue strutture. Anche per questo essa ha mantenuto un carattere plurale, che ha generato a sua volta la molteplicità delle filosofie. Sia nella esplicita e reciproca continuità sia nel tentativo di differenziarsi l’una dall’altra, metafisica e filosofia sono state in Occidente inseparabili. La tesi aristotelica per la quale «τὸ δὲ ὂν λέγεται μὲν πολλαχῶς» ‘l’ente si dice in molti modi’ (Metaph., IV 2, 1003 a 33) si adatta perfettamente alla metafisica, che si dice anch’essa in molti modi a partire dal suo inizio e sin dentro la contemporaneità ermeneutica, fenomenologica e analitica.
La metafisica è da intendere non come fondazione/fondamento ma come comprensione dell’ininterrotto eventuarsi in cui mondo, materia e umanità consistono. Metafisica non come soggettivismo/idealismo ma come schiusura, apertura e compenetrazione del mondo umano dentro il mondo spaziotemporale che lo rende ogni volta e di nuovo possibile.
Mετά può dunque significare – e significa – non la ricerca di un fondamento assoluto o una duplicazione dell’esistente ma un andare oltre la parzialità della materia che pensa; significa l’apertura di tale materiacoscienza a sciogliersi nella materia tutta. 

Il saggio è diviso nei seguenti paragrafi:

  • Introduzione: la filosofia è una scienza?
  • Metafisiche analitiche
  • Metafisiche plurali
  • Metafisiche necessarie
  • Metafisiche perenni

Classico

Attualità dell’antico
recensione a:
Lucio Russo

Perché la cultura classica.
La risposta di un non classicista
Mondadori, 2018
Pagine 224
in Vita pensata 20 – settembre 2019
Pagine 58-60

Tra gli elementi che compongono il patrimonio vitale del nostro Continente ci sono il metodo dimostrativo perfezionato durante l’ellenismo, la democrazia greca, il diritto romano. Tre elementi che una vera e propria barbarie sta progressivamente ma tenacemente eliminando sia dalle scuole europee sia dagli studi superiori, con una serie di motivazioni molto diverse ma tendenti tutte -che ne siano consapevoli o meno- alla dissoluzione di ciò che a partire dal VI secolo a.e.v. è stata l’Europa.
Non si tratta di difendere i Greci o di proporre la salvaguardia di una qualche forma di classicismo, si tratta di garantire le condizioni minime della nostra autocomprensione e della conseguente capacità di agire in modo equilibrato, consapevole e fecondo, invece che come marionette in mano ai modi di produzione dominanti. 

Per la scienza, per gli studenti

Per la scienza, per gli studenti è una delle massime che guidano da tempo la mia esistenza. Da quando ho cominciato a insegnare -un bel po’ di anni fa- a oggi che la mia vita vede un compimento e una svolta.
Il compimento consiste nel fatto che ho vinto un concorso dell’Università di Catania e sono diventato professore ordinario di Filosofia teoretica. Nel gergo accademico l’espressione si riferisce al grado massimo della docenza universitaria e quindi della ricerca e dell’insegnamento in Italia (in Europa e altrove la formula è Full Professor). Un’altra denominazione -più ufficiale anche se meno utilizzata- è ‘Professore di prima fascia’.
La Commissione che mi ha conferito tale qualifica è stata composta da tre docenti. Due sono stati sorteggiati tra sei nomi di ordinari di Filosofia teoretica: Eugenio Mazzarella (Università Federico II di Napoli) e Luigi Tarca (Università Ca’ Foscari di Venezia). Il terzo è stato designato come membro interno dal Dipartimento di Scienze Umanistiche di Unict: Giancarlo Magnano San Lio. Ringrazio i colleghi professori per la generosa valutazione che hanno formulato della mia attività scientifica e didattica.
La svolta consiste nel fatto che farò di tutto per meritare questo riconoscimento della comunità filosofica e moltiplicherò il mio impegno verso la conoscenza e la sua trasmissione.
Al di là del mio caso personale, mi auguro che questo esito abbia anche un significato civile: entrare all’Università non è infatti facile, soprattutto per chi -come me- ha trascorso 17 anni nei Licei (esperienza bellissima) e quindi non ha intrapreso una carriera ‘canonica’. Spero che questo significhi che con abnegazione al sapere, passione per la scrittura, dedizione didattica e -naturalmente- con l’apprezzamento e il sostegno dei professori di un determinato ambito di studi, l’università rimane aperta a chi ama studiare e insegnare.
Pubblico quattro documenti/pdf relativi al concorso. I primi due si possono leggere anche qui: Procedura di selezione per la chiamata a professore di prima fascia ai sensi dell’art. 18, comma 1, della legge 30.12.2010, n. 240 – M-FIL/01 (DISUM)

Ringrazio coloro, e sono molti, che lungo gli anni mi hanno dato forza con la loro stima e il loro affetto e insieme ai quali posso ora condividere la soddisfazione di questo καιρός. Sono infatti convinto che un singolo da solo non possa ottenere alcunché nella vita, che qualunque risultato professionale conseguiamo lo raggiungiamo sempre in un contesto ben preciso, che la nostra persona è al servizio delle collettività alle quali appartiene e non il contrario. E io sono orgoglioso di appartenere all’Università di Catania e a un Dipartimento così ricco di intelligenze, energie e anche di simpatie tipicamente siciliane. Elencare tutte le persone alle quali debbo questo risultato sarebbe bello e doveroso ma riempirebbe pagine. Mi limito a rivolgere loro la dedica che il mio maestro pose a uno dei suoi libri più importanti: «Agli amici che l’hanno reso possibile: si riconosceranno»1. Aggiungo le parole affettuose e credo significative che mi hanno indirizzato due di queste persone:
«Diventare professore ordinario è il traguardo e il risultato dovuto al tuo impegno e alla tua passione assoluti, assoluti; risponde al palpito della filosofia nelle tue vene. La forma adesso calza a pennello la sostanza, per dirla con le parole con cui commentai il tuo passaggio ad associato, ma da allora la tua persona si è perfezionata ancora e molto e il successo che merita, di cui sarai orgoglioso e anch’io con te, è grande».
«Mi rallegra non soltanto per te, ma anche perché significa che in fondo il mondo accademico non è poi così terribile come è rimasto nella mia memoria. Sei stato davvero bravo, terribilmente testardo e bravo. Les opiniâtres sont les sublimes, scriveva il mio adorato Hugo. La perseveranza sostiene il coraggio come la ruota supporta la leva: rinnovandone costantemente il punto d’appoggio. Ti abbraccio in questa giornata importantissima per la tua carriera, te la sei guadagnata ‘con il sangue e col ferro’ e te lo dico: se sei arrivato vivo fino a qui, credimi, sei un guerriero».
E dunque ancora una volta e con rinnovata energia «an die Sachen selbst als freie Geister, in rein theoretischem Interesse»2.

1  Eugenio Mazzarella, Tecnica e Metafisica. Saggio su Heidegger, Guida 1981, p. 11.
2 [Alle cose stesse come spiriti liberi, nel puro interesse teoretico]. Edmund Husserl, Aufsätze und Vorträge. (1911-1921). Mit ergänzenden Texten, «Gesammelte Werke», vol. XXV, Martinus Nijhoff, Dordrecht/Boston/Lancaster 1987, p. 206.

Università

Lo scorso anno ho scritto a proposito di una catastrofe didattica. Per fortuna l’Università non è soltanto esami ma è Communitas, è relazione tra persone, è crescere insieme nella conoscenza, nel disincanto e nella tenacia. Nata in Europa nel XII secolo, l’Università rappresenta uno dei più forti elementi di identità del nostro Continente. Luogo di conflitti e di scoperte, sede di trame a volte miserabili ma anche di fondamentali apprendimenti, spazio di scienza e di invenzione, l’Università è il respiro stesso di un sapere non impressionistico, non dogmatico, non utilitaristico. Proprio perché è anche questo, nel XXI secolo si sta operando a fondo -da parte dei decisori politici e dei loro complici- per ridimensionarne la funzione, la struttura, i contenuti. E tuttavia, pur con i tanti limiti che l’Università subisce e che ineriscono alle vicende umane, la fine dell’Università costituirebbe un gesto di autentica barbarie, di impoverimento collettivo, di prevalenza del fanatismo, della superficialità, dello spettacolo che emargina e rimuove il pensiero.
Il principio che mi guida nell’insegnamento è: «Per la scienza, per gli studenti». Proprio perché ha questi scopi, il mio è il mestiere più bello, più coinvolgente, più vivo. Ne ho avuto conferma in questo anno accademico, nel quale i gruppi-classe delle tre discipline sono stati partecipi, attenti, rispettosi e vivaci. La foto che vedete qui sopra è stata scattata lo scorso 1 giugno, a conclusione delle lezioni di Sociologia della cultura. Essa ritrae soltanto alcuni degli studenti che hanno frequentato il corso ma vorrei ringraziarli, insieme a tutti i loro colleghi, per avermi permesso di affrontare tematiche complesse e testi difficili in modo tanto serio quanto piacevole. Spero che gli studenti abbiano imparato qualcosa da me, io sicuramente ho appreso molto dallo scambio rigoroso e quotidiano con loro.
Chi fosse interessato, può anche ascoltare (e scaricare da Dropbox) la registrazione audio degli ultimi 30 minuti della lezione del 1 giugno, dedicati alla lettura e analisi di un saggio sulla società videocratica e ai saluti finali.

Vedere

L’occhio e lo spirito
(L’Œil  et l’Esprit [1960], Gallimard, Paris 1964)
di Maurice Merleau-Ponty
Trad. di Anna Sordini
Postfazione di Claude Lefort
SE, Milano 1989
Pagine 75

Che cosa significa vedere? In che cosa consiste il mondo di colori, forme, strutture che si impone appena apriamo gli occhi? L’arte, e in specie la pittura, descrivono il reale oppure lo producono? Quali saperi sono più adatti a comprendere la relazione  che intercorre tra i sensi, il cervello e l’essere? Le scienze dure manipolano il reale e rinunciano ad abitarlo, afferma Merleau-Ponty, poiché prendono in considerazione soltanto le componenti quantitative che esse stesse hanno elaborato in modo che possano essere registrate dagli apparati di cui si servono. Vale anche per esse il principio fenomenologico fondamentale secondo cui noi «vediamo solamente quel che guardiamo» (p. 17). La fenomenologia è anche un tentativo di guardare l’esterno della materia e l’interno della coscienza non come contrapposte ma in quanto generate entrambe dalla stessa matrice, che è il corpo isotropo. Il movimento di ciascuno, infatti, «è il proseguimento naturale e la maturazione di una visione» (18), la quale si struttura come un cerchio il cui centro è la materia consapevole di esistere -il corpo, appunto- e le cui onde sono la penna e il computer, il sole e le stelle, le montagne e le case, tutto ciò che la visione tocca e che noi stessi diventiamo nel tocco della visione. Vedere è dunque «la metamorfosi delle cose stesse nella loro visione», è «la doppia appartenenza delle cose al grande mondo e a un piccolo mondo privato» (31).
Per questo, secondo Merleau-Ponty, ogni teoria della pittura è sempre anche una metafisica della visione e dipingere significa comprendere in atto che «qualità, luce, colore, profondità, che sono laggiù davanti a noi, sono là soltanto perché risvegliano un’eco nel nostro corpo, perché esso li accolga» (20). È dal corpo quindi che si genera il mondo reale, inteso come mondo percepito, sentito, compreso e vissuto. In quanto si muove e vede, vede e si muove, il corpo

tiene le cose in cerchio intorno a sé, le cose sono un suo annesso o un suo prolungamento, sono incrostate nella sua carne, fanno parte della sua piena definizione, e il mondo è fatto della medesima stoffa del corpo. (19)

Al di là di soggettivismi e oggettivismi, di idealismi e di realismi vecchi e nuovi, una fenomenologia corporea  ci aiuta a penetrare nell’enigma della visione, dello spazio, della pittura, la quale non è cartesianamente disegno ma è quell’«indeciso mormorio dei colori» che ci mostra «cose, foreste, tempeste, insomma il mondo» (33).
Ultimo scritto di Merleau-Ponty -redatto in Provenza nell’estate del 1960, nel paesaggio abitato da Cézanne-, L’Œil  et l’Esprit, l’occhio e la mente, «facendo vedere con delle parole» (Lefort, p. 75) restituisce al linguaggio la sua natura ontologica e all’essere delle cose la loro scaturigine dalla materia che parla, dal corpo che vede e che guarda.

Thomas Kuhn e Beppe Grillo

Le verità delle scienze dure -fisica, chimica, geologia ad esempio- sono anch’esse sottoposte al condizionamento dei contesti in cui vengono elaborate. E sono sottoposte alle passioni personali di chi studia, scrive, fa ricerca nei laboratori. Le scienze sono immerse in paradigmi collettivi e -nel loro concreto operare- subiscono i pregiudizi personali, ideologici, politici degli scienziati, uomini in carne e ossa. Di fatto, afferma Thomas Kuhn, «i sostenitori  di paradigmi opposti praticano i loro affari in mondi differenti» (La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, 1978, p. 182); da ciò deriva la concreta impossibilità di una verità oggettiva e metastorica, tanto che -come scrisse Max Planck– una nuova verità scientifica non si afferma attraverso la persuasione degli avversari ma a causa della loro morte e della crescita di nuove generazioni a essa abituate e disponibili.
Se tutto questo vale per le scienze dallo statuto più oggettivo -quelle della natura-, a maggior ragione pervade di sé praticamente ogni affermazione e risultato delle scienze sociali. Un esempio è dato dalla stupefacente incapacità di scienziati della politica, analisti sociali e soprattutto giornalisti di comprendere le ragioni del successo in Italia di un movimento politico come quello fondato da Grillo.
La spocchia filogovernativa di Repubblica, specialmente del suo ex direttore Eugenio Scalfari ma anche dell’attuale Ezio Mauro; le banalità del Corriere della sera; i veri e propri insulti rivolti dai conduttori dei penosi talk show televisivi; gli evidenti pregiudizi del Manifesto, che sul numero di ieri definisce il Movimento 5 stelle «appetibile per chi si era lasciato fin qui sedurre dal populismo berlusconiano e dalle rozze semplificazioni bossiane, malgrado i 5 stelle siano in gran parte giovani secchioni ambientalisti, più bravi a problematizzare che a risolvere» (A. Fabozzi); tutto questo -e molto altro- dimostra una diffusa incapacità da parte dei mezzi di comunicazione di massa di intendere l’evidente novità di un movimento che può avere molti limiti -primo dei quali il populismo- ma che esiste al di là del blog di Grillo e le cui caratteristiche principali mi sembrano le seguenti: limpegno in prima persona di cittadini che non si rassegnano alla totale corruzione della cosa pubblica e si assumono l’incarico di amministrare direttamente le città; il rifiuto della politica come professione; l’attenzione massima posta alla qualità della vita e dell’ambiente; l’innovazione tecnologica (Internet come luogo politico); un programma chiaro, articolato ma anche breve, in grandissima parte “di sinistra”. Un programma che tutti possono leggere facilmente e la cui ignoranza da parte di giornalisti e analisti non è consentita.
Questo Movimento ha un progetto. Continuare a dire che si tratta solo di «protesta antipolitica senza proposte» è del tutto falso. Si può condividere o meno tale progetto ma è con esso che bisognerebbe confrontarsi e non con i propri pregiudizi.

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