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Linguaggio, potere, epidemia

Zona rossa, lockdown, distanziamento, responsabilità, assembramenti…sono ormai i mantra patetici, dannosi e grotteschi di un’autorità smarrita, ripetitiva, retorica, riduzionistica, interessata soprattutto a perpetuare se stessa, disinteressata alla reale salute psicosomatica e sociale del corpo collettivo, come si può evincere anche da una testimonianza sulle modalità con le quali in un paese della Sicilia (o più di uno?) vengono ‘ottenuti’ i dati relativi ai positivi alla Sars2, modalità che oltre a essere del tutto arbitrarie (e quindi non scientifiche) mi sembra che possano configurare anche dei reati.
È stata costruita una orwelliana neolingua che è anche un coacervo di luoghi comuni ripetuti con la passività di ogni conformismo, con l’illusione di utilizzare la lingua del bene, con il cinismo della menzogna etica.
Su corpi e politica Peppe Nanni ha elaborato un efficace Dizionario della lingua tetroterapeutica.

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Vedo troppa gente in giro
I camion di Bergamo
Lo faccio per gli altri
Distanti ma uniti
Pensate alle cene mentre ci sono i morti
Una dieta appropriata al loccdaun
C’è meno smog
Spero bene da te
Non uscivo neanche prima
Meno male che c’è Netflix
Faccio ginnastica in bagno
Ora legale per la Nascita di Natale
Non è il momento di fare polemiche
E allora tu cosa proponi?
Hai ragione, ci devono dare ordini più chiari
La Scienza non è un’opinione
Troppi scienziati fanno confusione
Io non ho le competenze, mi affido alla Merkel
La prozia è una congiunta?
Non hai visto la Svezia?
Allora sei un trumpista!
Uccidi la nonna per un aperitivo
È un problema di scarsa educazione. Chiudiamo le scuole
Non solo i vecchi, ho letto che in Kazakistan ha la febbre anche un bambino
Tante lagne per qualche sacrificio, pensa se ci fosse la guerra
Siamo in guerra
Dovete lavarvi le mani
Cerchiamo di fare la nostra parte. Non dovete lavarvene le mani
Appena vi abbiamo detto di comprare  col cash back nei negozi e non on line, ci avete preso sul serio
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Mentre i barbari che non sanno governare la storia e le sue epidemie sembrano costringerci a ripetere ossessivamente questi belati d’ignoranza, alcuni di noi trovano i linguaggi che ci fanno comprendere come la malattia all’umano non venga da fuori ma sia ben infitta nella sua natura.
Giorgio Agamben, ad esempio, qualche giorno fa ha scritto che «quello che abbiamo oggi sotto gli occhi è l’estrema deriva di questa rimozione della morte: per salvare la loro vita da una supposta, confusa minaccia, gli uomini rinunciano a tutto ciò che la rende degna di essere vissuta. E alla fine Gaia, la terra senza più profondità, che ha perso ogni memoria della dimora sotterranea dei morti, è ora integralmente in balia della paura e della morte. Da questa paura potranno guarire solo coloro che ritroveranno la memoria della loro duplice dimora, che ricorderanno che umana è solo quella vita in cui Gaia e Ctonia restano inseparabili e unite» (Gaia e Ctonia, 28.12.2020).

Significativo anche l’intervento di Davide Miccione a proposito di Negazionismi, con la mia risposta alla quale si sono aggiunte altre riflessioni, come quella di Marta Mancini:
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[Miccione]
Sono d’accordo riga per riga, parola per parola con quello che scrivi nell’articolo sul covid. Te lo scrivo, nonostante di solito sia molto restio a postare e commentare sul web, perché ho l’impressione che la pandemia stia da un lato aumentando le distanze tra le varie posizioni sul mondo (invertendo il processo “mediocratico” di cui parla Deneault) e dall’altro stia riconfigurando nuove lontananze e vicinanze, e temo anche nuove solitudini, un po’ come il fascismo del ventidue-venticinque. Questioni come il valore della corporeità nell’esistenza umana, la stima nei confronti dell’impresa scientifica che non può essere “fede” nella scienza, una lettura del potere meno infantile di quella che vedo in giro, non possono più essere solo letture teoriche buone per un seminario ma si stanno facendo carne e sangue e diversa appartenenza alla polis sotto i nostri occhi. Non vorrei che dopo il realismo capitalista di Mark Fisher, per cui ormai si è fatto impensabile ciò che non è capitalismo, dovessimo obtorto collo cadere anche in un “realismo sanitario”.

[agb]
Ti sono davvero grato di questo intervento, anche perché so quanto tu sia restio a commentare sul web.
In un contesto di irrazionalità e di terrore come quello nel quale ci troviamo, la tua condivisione mi è di particolare soddisfazione.
È del tutto vero ciò che designi con la consueta tua esattezza: il fatto che la Sars2 «stia riconfigurando nuove lontananze e vicinanze, un po’ come il fascismo del ventidue-venticinque».
Infatti ciò che per delle persone con un bagaglio culturale anche modesto dovrebbe essere evidente:
-la funzione politica che il virus sta svolgendo
-l’accelerazione imposta ai processi di dematerializzazione
-gli enormi interessi economici in gioco da parte delle piattaforme
-il ritorno a un ‘positivismo’ così rozzo da non meritare neppure la denominazione comtiana
-l’infantilizzazione del corpo sociale
-il dilagare dell’ignoranza come frutto della chiusura delle aule scolastiche e universitarie;
questo (e altro) che per degli intellettuali dovrebbe essere oggetto di discussione su come resistere a un simile epocale regresso, diventa invece ragione di aggressione verso quei pochi (un solo esempio: Agamben) che formulano analisi non conformiste, tanto da incrinare o, come tu dici, «riconfigurare» antiche relazioni intellettuali e amicali, così come avvenne agli inizi del fascismo e del giudizio che se ne diede. Perché di fascismo sanitario si tratta, come aveva già intuito e previsto Ivan Illich.
Ma l’elemento più impressionante -ed è per questo che ho citato il ‘tradimento degli intellettuali’ di Benda- è il comportamento della più parte di coloro che dovrebbero sempre pensare in modo critico e che invece stanno convergendo con le banalità, gli insulti, le aggressioni, i luoghi comuni, i terrori, il primitivismo concettuale della bestia immonda che è la massa Social.
Qualunque cosa accada, questo precipitare compiaciuto nel conformismo della massa non è perdonabile.

[Mancini]
Il tuo articolo, con il quale mi trovo in piena sintonia, conferma ciò che osservo accadere nella vita di tutti i giorni, non senza preoccupazione: la progressiva erosione della capacità critica anche in coloro che, per cultura, storia personale, frequentazioni, ecc., normalmente ne sono dotati. Di fronte al Covid si assiste ad una sorta di azzeramento del pensiero dei “possibili” a vantaggio di presunte certezze scientifiche che gli scienziati più seri non si sognerebbero di spacciare per tali. Non penso si tratti di cedimenti emotivi, piuttosto che il fenomeno sia molto grave e che rappresenti uno spartiacque tra un prima e un dopo Covid che dobbiamo ancora comprendere a pieno in tutte le sue implicazioni e conseguenze. Un primo effetto che si rileva, riflettendo sulle tue considerazioni, consiste nella sostituzione delle finalità esistenziali e nei valori ad esse collegate: ad esempio, la sicurezza in luogo della felicità, oppure la sfiducia mascherata da rispetto per l’altrui salute che incrina silenziosamente le relazioni interpersonali e interrompe l’habitus umano della socialità, unico antidoto alla nostra strutturale insecuritas. Oggi ci stanno dicendo l’opposto, se vuoi sicurezza devi separarti dal tuo simile. E il modo in cui ti è concesso farlo è disturbato, frenato, mutilato dai mirabolanti strumenti tecnologici. La Thatcher affermava che non esiste la società, esistono solo gli individui. Non avrei immaginato che si potesse arrivare tanto rapidamente a superare perfino quelli ma, a pensarci bene, l’intelligenza artificiale non serve anche a questo? Mi consola poter condividere con te e con altri un pensiero fuori dal coro.
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Il lavoro filosofico che emerge da queste analisi ci aiuta a conservare e a comunicare la consapevolezza della duplice dimora in cui abitiamo, dell’inseparabilità del vivere e del morire. Non come decesso, quest’ultimo, ma come sostanza stessa del tempo che siamo. Una civiltà che nel morire vede soltanto un fallimento è una civiltà morta, è la civiltà barbarica della Sars2, del Covid19.
Ogni filosofia radicata nell’immanenza e nella finitudine – dai Greci a Nietzsche, da Spinoza a Heidegger – raffigura invece una civiltà della vita piena e completa, anche perché non teme Ἀνάγκη, l’inevitabile, il tempo, la fine.

[L’immagine, scattata a Siracusa, è di Stefano Piazzese. Il testo è stato pubblicato in parte anche su Corpi e politica e girodivite.it]

Fisica

Lee Smolin
La rinascita del tempo
Dalla crisi della fisica al futuro dell’universo
(Time  Reborn. From the Crisis in Physics to the Future of the Universe, 2013)
Trad. di S. Frediani
Einaudi, 2014
Pagine XXX-297

La credenza di molti fisici contemporanei che il tempo sia irreale costituisce una forma di platonismo matematico che ha però abbandonato il profondo legame che Platone sente con la realtà come intero e come problema, mettendo al posto di questa serietà ontologica il semplice fascino dell’eleganza e del formalismo matematici, i quali tuttavia non garantiscono in alcun modo la verità dei loro asserti ma soltanto il bisogno di eternizzarsi. Vale quindi assai di più per le scienze attuali che per Platone la giusta osservazione di Smolin per cui «vi è una certa grossolanità alla base di ogni tesi secondo la quale il nostro universo in definitiva è spiegato da un altro mondo più perfetto, che è separato da tutto ciò che percepiamo. Se cediamo a questa tesi, rendiamo permeabile il confine tra scienza e misticismo» (p. 12).
Molte delle teorie fisiche e cosmologiche contemporanee se non sono errate rimangono tuttavia delle approssimazioni, riferibili ad alcune piccole parti dell’universo, rappresentabili tramite oggetti matematici atemporali.
Lo sfrenato platonismo di queste teorie risiede nell’«assurdità dell’opinione che la matematica preceda la natura. In realtà la matematica viene dopo la natura. Non ha potere generativo. In altre parole, nella matematica le conclusioni sono imposte da implicazioni logiche, mentre in natura gli eventi sono generati da processi causali che agiscono nel tempo. Non è la stessa cosa; le implicazioni logiche possono modellare aspetti di processi causali, ma non sono identiche a processi causali. La logica non è lo specchio della causalità. La logica e la matematica colgono aspetti della natura mai tutta la natura» (252). La matematica è uno strumento splendido e assai potente al servizio della scienza, non è la scienza al servizio delle matematiche. L’idea galileiana che il mondo sia scritto in caratteri matematici ha contribuito alla comprensione di molti aspetti della realtà ma non descrive la realtà in quanto tale.

La teoria della relatività e la meccanica quantistica sono tra di loro opposte ma condividono il primato newtoniano della matematica. I fisici che praticano tale paradigma si comportano come gli zoologi da laboratorio, i quali studiano gli animali rinchiusi in condizioni totalmente artificiose, riducendone il comportamento a schemi prefissati e astratti. È accaduto che dal problema dei tre corpi alle simulazioni su supercomputer, «stelle formate da un numero enorme di atomi sono trattate come se fossero punti e l’influenza di qualsiasi altra cosa esterna al sistema di solito viene ignorata» (46). Come l’etologia libera gli animali studiandoli nella concretezza dei loro ambienti, così il paradigma della realtà del tempo libera la complessità del divenire dalla sua riduzione alle equazioni.
Il fatto, ad esempio, «che il movimento avviene nel tempo mentre la sua rappresentazione matematica è atemporale significa che non sono la stessa cosa» (36).
Il movimento, il divenire, le possibilità, i fenomeni, la materia, l’universo, costituiscono l’essere immenso e complesso che si dispiega in ogni anfratto del tempo e dello spazio. Il passaggio dal semplice al complesso non si trova nelle equazioni, non è previsto dal funzionamento di strutture atemporali. ‘Fare fisica in una scatola’ significa scambiare la parte per il tutto, il laboratorio per la natura, l’astrazione di un fatto isolato con la concretezza delle relazioni dentro le quali soltanto ogni ente, ogni evento e ogni processo possono accadere -ontologia- e possono essere spiegati -epistemologia.

Come la più parte dei fisici, anche Smolin è partito dalla tesi della irrealtà del tempo ma si è dovuto ricredere e con coraggio si è ricreduto, fino a sostenere una epistemologia per la quale «la descrizione più vera di qualcosa si ottiene specificandone le relazioni con le altre parti del sistema di cui fa parte» (XII);  un’ontologia temporale per la quale il tempo è «la chiave del significato della teoria quantistica e della sua futura unificazione con lo spazio, il tempo, la gravità e la cosmologia» (VIII); una metodologia falsificazionista che ritiene scientifico soltanto ciò che produce previsioni che possono essere falsificate; una coraggiosa concezione temporale anche delle leggi scientifiche, sottratte alle strutture platoniche di là dal tempo e dallo spazio concreti, esperibili, fenomenici.
Una prospettiva radicale, quindi, perché -davvero- «nulla trascende il tempo, nemmeno le leggi della natura. Le leggi non sono atemporali. Come qualunque altra cosa, sono caratteristiche del presente e si possono evolvere nel corso del tempo» (X), come già sostenne Peirce, secondo il quale per riuscire a spiegare la natura e il suo divenire anche le leggi naturali devono essersi evolute. Se l’universo infatti è tutto ciò che esiste, non è possibile che la sua spiegazione consista in qualcosa posto al di fuori dell’universo stesso. Le scienze e le loro leggi fanno parte di questo mondo e come questo mondo sono sottoposte a evoluzione, trasformazioni, mutamenti: «Può sembrare che far evolvere le leggi ne riduca il potere, ma in realtà fa crescere il potere complessivo della scienza. […] Se ammettiamo ai livelli più profondi della nostra concezione della natura l’evoluzione e il tempo, abbiamo più possibilità di comprendere questo misterioso universo in cui ci troviamo» (257).
Le leggi sono approssimazioni assai utili, le quali emergono dalle strutture materiche e ne condividono genesi e destino. Il tempo fenomenico è il tempo reale, «il tempo e il suo passaggio sono fondamentali e reali e le speranze e le credenze relative a verità e regni atemporali non sono altro che miti. Accettare il tempo significa essere convinti che la realtà consiste soltanto di ciò che è reale in ciascun momento del tempo» (X) e del suo moto inarrestabile, direzionale, continuo.
L’universo-blocco della teoria einsteiniana dell’invarianza, la visione di Julian Barbour di momenti discreti che rimangono tutti eterni, la consolazione che tutto questo apporta rispetto alla mortalità e alla finitudine, sono tutte forme di eternalismo ben note nella tradizione metafisica e che trovano la loro espressione più grande e più potente nell’ontologia parmenidea, alla quale Smolin contrappone una fisica eraclitea e un’ontologia nella quale riluce il frammento anassimandreo posto a epigrafe del libro: «Tutte le cose hanno origine l’una dall’altra, e periscono l’una nell’altra,  secondo la necessità […] in conformità con l’ordine del tempo».
Il relazionalismo implica la rinuncia al principio della «relatività della simultaneità e accettare che, al contrario, esiste un concetto di tempo globale privilegiato. Un punto importante è che ciò non comporta l’abbandono della relatività, ma soltanto la sua riformulazione» (168-169) mediante il superamento della località implicito nella teoria dei quanti. Infatti se nella relatività ristretta gli eventi sono simultanei solo quando avvengono nello stesso luogo, «in un universo quantistico, in cui ogni particella è potenzialmente a un passo di distanza da ogni altra particella, ogni cosa si troverà essenzialmente ‘nello stesso posto’. In un modello siffatto, non si ha il problema della sincronizzazione degli orologi, quindi esiste un tempo universale» (196).

Alla trasformazione della relatività e al tentativo di renderla compatibile con la fisica quantistica, si accompagna una riformulazione anche della termodinamica, la quale esclude il concetto di morte termica in uno stato definitivo di equilibrio entropico e di eventi sempre uguali e ritornanti, poiché se «i sistemi termodinamici normali finiscono nell’unico stato di equilibrio uniforme; i sistemi gravitazionalmente legati, antitermodinamici, finiscono in uno dei moltissimi stati estremamente eterogenei»; se «l’unico tipo di universo che sembri naturale dalla prospettiva atemporale del paradigma newtoniano è un universo morto in equilibrio, ovviamente diverso da quello in cui viviamo. Dalla prospettiva della realtà del tempo, invece, è del tutto naturale che l’universo e le sue leggi fondamentali siano asimmetrici rispetto al tempo, con una forte freccia del tempo che comprende aumenti di entropia per sistemi isolati insieme a una continua crescita di struttura e complessità» (232). E questo non implica, come mi sembra tenda a pensare Smolin, il rifiuto del determinismo. Se il libero arbitrio è un errore e un’illusione, lo è non perché la necessità preceda il divenire degli enti e degli eventi, la necessità accade mentre diviene.
Il fondamento anassimandreo ed eracliteo di tali proposte ha come snodo fondamentale i principi leibniziani di ragion sufficiente e di identità degli indiscernibili. Infatti, «se il tempo è reale, dovrebbe essere impossibile che esistano due momenti diversi ma identici. Il tempo è completamente reale sono in un universo leibniziano. Un universo leibniziano sarà pieno di complessità che genera un abbondante assortimento di configurazioni e strutture uniche. E sarà in perenne cambiamento, per garantire che ciascun momento possa essere distinto da ogni altro dalle strutture e dalle configurazioni presenti. Proprio come il nostro universo» (223).

Il tempo si conferma così il più importante tema e problema della fisica e di tutte le possibili scienze che non vogliano assumere una dimensione e un linguaggio mistico-matematici. «L’ipotesi della realtà del tempo conduce a una cosmologia più scientifica» (248) perché conduce a una cosmologia la quale non ha più bisogno dei tentativi fisici, religiosi ed etici di consolarci del nulla nel quale ogni ente è destinato a dissolversi come ente in questa forma qui, in questa determinata struttura minerale, vegetale, animale, atomica e cosmica. La tesi della realtà effettiva, totale, pervasiva del tempo è più scientifica perché il mondo «continua a essere, sempre, un fascio di processi che si evolvono nel tempo e soltanto alcune sue piccole parti possono essere rappresentate da oggetti matematici atemporali» (252).
Scienze e filosofia consistono nella conoscenza razionale e fenomenologica della struttura temporale del cosmo e di ogni sua parte.

Scienza e magia

Leggo sul Fatto Quotidiano del 31.7.2020 questa notizia: Coronavirus, governo contro la pubblicazione degli atti del Comitato tecnico scientifico: “Danneggerebbero l’ordine pubblico”.

Come sanno tutti quelli che hanno un minimo di istruzione, la scienza è per definizione una procedura pubblica, ripetibile, controllabile. In caso contrario si parla di magia, di superstizione, di guru, di sette. E di questo si tratta ormai a proposito del Covid19. Ma il governo Conte questo non lo sa. E non lo sanno neppure il Fatto Quotidiano, la Repubblica, la Rai e la miriade di fogli e media obbedienti.
Di tale atteggiamento superstizioso fa parte la maschera/museruola, che all’inizio dell’epidemia veniva raccomandata soltanto agli operatori sanitari e a quanti mostrassero difficoltà respiratorie (parola del Ministero italiano della Salute e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità), poi -una volta disponibili milioni di museruole– è diventata magicamente necessaria, obbligatoria, fondamentale per non ammalarsi e non contagiare. Maschera/museruola la cui efficacia è sottoposta a una serie di regole e procedure -nel toccarla, conservarla, indossarla– che somigliano a una complessa cerimonia giapponese e che i suoi utilizzatori naturalmente ignorano tenendola in tasca, sul braccio, ovunque; prendendola con mani non lavate; riutilizzandola. Temo che questa pratica farà danno alla salute degli incauti utilizzatori. Anche perché tenerla a lungo sulla bocca e sul naso fa sì che l’anidride carbonica ritorni nei polmoni invece che dissolversi nell’ambiente. Una ragione per la quale il respiro ha un ben preciso ciclo ci sarà, no? «Il metabolismo energetico aerobico consuma ossigeno e produce biossido di carbonio (comunemente detta anidride carbonica). In fisiologia si intende, per respirazione, anche la funzione biologica di scambio dei gas fra organismo e ambiente esterno, con assorbimento dell’ossigeno ed emissione del biossido di carbonio» (Wikipedia, voce Respirazione).
La maschera/museruola non svolge dunque una funzione sanitaria ma è un simbolo politico di controllo generale e un vero e proprio talismano che dovrebbe garantire dal malanno.
Non solo: l’utilizzo dei guanti, che contrariamente alle mani non vengono lavati, conduce con sé batteri e sporcizia di tutti i generi. Ma il Supremo e Segreto Potere Sanitario si è pronunciato (da un certo momento in poi) a favore delle maschere e dei guanti. E il popolo obbedisce. Non tutto, per fortuna.

Alle osservazioni di un amico il quale ha obiettato che «il popolo è ‘uno animale pazzo’ come diceva Guicciardini, quindi fraintenderebbe il contenuto delle conclusioni scientifiche, di per sé problematiche» ho risposto in questo modo: «Quello che scrivi mi sembra molto pericoloso, poiché è la giustificazione di tutti i poteri autoritari, dai Tribunali della Controriforma alla CIA. E in questo caso tra ‘il popolo’ ci sono anch’io e migliaia di studiosi e intellettuali ai quali una setta autoproclamatasi ‘scientifica’ nasconde le proprie procedure e decisioni. E poi ci sono sempre i media -compreso lo zelante FQ– a tenere buono il popolo. Proprio perché ‘problematiche’ le risultanze DEVONO essere pubbliche. In caso contrario saremmo in balia di folli, di guru, di capi indiscutibili, che oggi si chiamano Conte, domani potrebbero chiamarsi Salvini, Biuso, Rossi. Non importa. Non è una questione di partiti o di nomi, è una questione di istituzioni, di salute, di diritto e di libertà».

Metafisiche contemporanee

Metafisiche contemporanee
in Vita pensata, numero 22, maggio 2020
pagine 5-11

La metafisica è sempre stata un tentativo di pensare il mondo nella varietà, complessità ed enigmaticità delle sue strutture. Anche per questo essa ha mantenuto un carattere plurale, che ha generato a sua volta la molteplicità delle filosofie. Sia nella esplicita e reciproca continuità sia nel tentativo di differenziarsi l’una dall’altra, metafisica e filosofia sono state in Occidente inseparabili. La tesi aristotelica per la quale «τὸ δὲ ὂν λέγεται μὲν πολλαχῶς» ‘l’ente si dice in molti modi’ (Metaph., IV 2, 1003 a 33) si adatta perfettamente alla metafisica, che si dice anch’essa in molti modi a partire dal suo inizio e sin dentro la contemporaneità ermeneutica, fenomenologica e analitica.
La metafisica è da intendere non come fondazione/fondamento ma come comprensione dell’ininterrotto eventuarsi in cui mondo, materia e umanità consistono. Metafisica non come soggettivismo/idealismo ma come schiusura, apertura e compenetrazione del mondo umano dentro il mondo spaziotemporale che lo rende ogni volta e di nuovo possibile.
Mετά può dunque significare – e significa – non la ricerca di un fondamento assoluto o una duplicazione dell’esistente ma un andare oltre la parzialità della materia che pensa; significa l’apertura di tale materiacoscienza a sciogliersi nella materia tutta. 

Il saggio è diviso nei seguenti paragrafi:

  • Introduzione: la filosofia è una scienza?
  • Metafisiche analitiche
  • Metafisiche plurali
  • Metafisiche necessarie
  • Metafisiche perenni

Classico

Attualità dell’antico
recensione a:
Lucio Russo

Perché la cultura classica.
La risposta di un non classicista
Mondadori, 2018
Pagine 224
in Vita pensata 20 – settembre 2019
Pagine 58-60

Tra gli elementi che compongono il patrimonio vitale del nostro Continente ci sono il metodo dimostrativo perfezionato durante l’ellenismo, la democrazia greca, il diritto romano. Tre elementi che una vera e propria barbarie sta progressivamente ma tenacemente eliminando sia dalle scuole europee sia dagli studi superiori, con una serie di motivazioni molto diverse ma tendenti tutte -che ne siano consapevoli o meno- alla dissoluzione di ciò che a partire dal VI secolo a.e.v. è stata l’Europa.
Non si tratta di difendere i Greci o di proporre la salvaguardia di una qualche forma di classicismo, si tratta di garantire le condizioni minime della nostra autocomprensione e della conseguente capacità di agire in modo equilibrato, consapevole e fecondo, invece che come marionette in mano ai modi di produzione dominanti. 

Per la scienza, per gli studenti

Per la scienza, per gli studenti è una delle massime che guidano da tempo la mia esistenza. Da quando ho cominciato a insegnare -un bel po’ di anni fa- a oggi che la mia vita vede un compimento e una svolta.
Il compimento consiste nel fatto che ho vinto un concorso dell’Università di Catania e sono diventato professore ordinario di Filosofia teoretica. Nel gergo accademico l’espressione si riferisce al grado massimo della docenza universitaria e quindi della ricerca e dell’insegnamento in Italia (in Europa e altrove la formula è Full Professor). Un’altra denominazione -più ufficiale anche se meno utilizzata- è ‘Professore di prima fascia’.
La Commissione che mi ha conferito tale qualifica è stata composta da tre docenti. Due sono stati sorteggiati tra sei nomi di ordinari di Filosofia teoretica: Eugenio Mazzarella (Università Federico II di Napoli) e Luigi Tarca (Università Ca’ Foscari di Venezia). Il terzo è stato designato come membro interno dal Dipartimento di Scienze Umanistiche di Unict: Giancarlo Magnano San Lio. Ringrazio i colleghi professori per la generosa valutazione che hanno formulato della mia attività scientifica e didattica.
La svolta consiste nel fatto che farò di tutto per meritare questo riconoscimento della comunità filosofica e moltiplicherò il mio impegno verso la conoscenza e la sua trasmissione.
Al di là del mio caso personale, mi auguro che questo esito abbia anche un significato civile: entrare all’Università non è infatti facile, soprattutto per chi -come me- ha trascorso 17 anni nei Licei (esperienza bellissima) e quindi non ha intrapreso una carriera ‘canonica’. Spero che questo significhi che con abnegazione al sapere, passione per la scrittura, dedizione didattica e -naturalmente- con l’apprezzamento e il sostegno dei professori di un determinato ambito di studi, l’università rimane aperta a chi ama studiare e insegnare.
Pubblico quattro documenti/pdf relativi al concorso. I primi due si possono leggere anche qui: Procedura di selezione per la chiamata a professore di prima fascia ai sensi dell’art. 18, comma 1, della legge 30.12.2010, n. 240 – M-FIL/01 (DISUM)

Ringrazio coloro, e sono molti, che lungo gli anni mi hanno dato forza con la loro stima e il loro affetto e insieme ai quali posso ora condividere la soddisfazione di questo καιρός. Sono infatti convinto che un singolo da solo non possa ottenere alcunché nella vita, che qualunque risultato professionale conseguiamo lo raggiungiamo sempre in un contesto ben preciso, che la nostra persona è al servizio delle collettività alle quali appartiene e non il contrario. E io sono orgoglioso di appartenere all’Università di Catania e a un Dipartimento così ricco di intelligenze, energie e anche di simpatie tipicamente siciliane. Elencare tutte le persone alle quali debbo questo risultato sarebbe bello e doveroso ma riempirebbe pagine. Mi limito a rivolgere loro la dedica che il mio maestro pose a uno dei suoi libri più importanti: «Agli amici che l’hanno reso possibile: si riconosceranno»1. Aggiungo le parole affettuose e credo significative che mi hanno indirizzato due di queste persone:
«Diventare professore ordinario è il traguardo e il risultato dovuto al tuo impegno e alla tua passione assoluti, assoluti; risponde al palpito della filosofia nelle tue vene. La forma adesso calza a pennello la sostanza, per dirla con le parole con cui commentai il tuo passaggio ad associato, ma da allora la tua persona si è perfezionata ancora e molto e il successo che merita, di cui sarai orgoglioso e anch’io con te, è grande».
«Mi rallegra non soltanto per te, ma anche perché significa che in fondo il mondo accademico non è poi così terribile come è rimasto nella mia memoria. Sei stato davvero bravo, terribilmente testardo e bravo. Les opiniâtres sont les sublimes, scriveva il mio adorato Hugo. La perseveranza sostiene il coraggio come la ruota supporta la leva: rinnovandone costantemente il punto d’appoggio. Ti abbraccio in questa giornata importantissima per la tua carriera, te la sei guadagnata ‘con il sangue e col ferro’ e te lo dico: se sei arrivato vivo fino a qui, credimi, sei un guerriero».
E dunque ancora una volta e con rinnovata energia «an die Sachen selbst als freie Geister, in rein theoretischem Interesse»2.

1  Eugenio Mazzarella, Tecnica e Metafisica. Saggio su Heidegger, Guida 1981, p. 11.
2 [Alle cose stesse come spiriti liberi, nel puro interesse teoretico]. Edmund Husserl, Aufsätze und Vorträge. (1911-1921). Mit ergänzenden Texten, «Gesammelte Werke», vol. XXV, Martinus Nijhoff, Dordrecht/Boston/Lancaster 1987, p. 206.

Università

Lo scorso anno ho scritto a proposito di una catastrofe didattica. Per fortuna l’Università non è soltanto esami ma è Communitas, è relazione tra persone, è crescere insieme nella conoscenza, nel disincanto e nella tenacia. Nata in Europa nel XII secolo, l’Università rappresenta uno dei più forti elementi di identità del nostro Continente. Luogo di conflitti e di scoperte, sede di trame a volte miserabili ma anche di fondamentali apprendimenti, spazio di scienza e di invenzione, l’Università è il respiro stesso di un sapere non impressionistico, non dogmatico, non utilitaristico. Proprio perché è anche questo, nel XXI secolo si sta operando a fondo -da parte dei decisori politici e dei loro complici- per ridimensionarne la funzione, la struttura, i contenuti. E tuttavia, pur con i tanti limiti che l’Università subisce e che ineriscono alle vicende umane, la fine dell’Università costituirebbe un gesto di autentica barbarie, di impoverimento collettivo, di prevalenza del fanatismo, della superficialità, dello spettacolo che emargina e rimuove il pensiero.
Il principio che mi guida nell’insegnamento è: «Per la scienza, per gli studenti». Proprio perché ha questi scopi, il mio è il mestiere più bello, più coinvolgente, più vivo. Ne ho avuto conferma in questo anno accademico, nel quale i gruppi-classe delle tre discipline sono stati partecipi, attenti, rispettosi e vivaci. La foto che vedete qui sopra è stata scattata lo scorso 1 giugno, a conclusione delle lezioni di Sociologia della cultura. Essa ritrae soltanto alcuni degli studenti che hanno frequentato il corso ma vorrei ringraziarli, insieme a tutti i loro colleghi, per avermi permesso di affrontare tematiche complesse e testi difficili in modo tanto serio quanto piacevole. Spero che gli studenti abbiano imparato qualcosa da me, io sicuramente ho appreso molto dallo scambio rigoroso e quotidiano con loro.
Chi fosse interessato, può anche ascoltare (e scaricare da Dropbox) la registrazione audio degli ultimi 30 minuti della lezione del 1 giugno, dedicati alla lettura e analisi di un saggio sulla società videocratica e ai saluti finali.

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